Ah, la gita di terza media!
Dramma in due atti dove Chiara (cioè io) si fa odiare da tutti tranne che da uno
Giovedì 25 marzo 2010
Matilde ha insistito tanto su questa cosa, perchè lei ha la fissa dei cliché e se una scrittrice (che non è il mio caso) ce li mette, allora li deve percorrere completamente e quindi secondo lei dovrei scrivere che durante la gita scolastica a Torino ero riuscita a conquistare Willy Fantini a suon di provocazioni e lingerie di pizzo, per poi passarci una notte di sesso infuocato dove la mia verginità era andata persa tra ansimi e gemiti e spargimento di umori.
In terza media.
No, evidentemente no.
Cioè, chiariamo. Alla fine non sarebbe stato male come epilogo letterario della gita, ma io continuavo ad avere le pulsioni piuttosto sopite e lui, va a sapere, i maschi sono strani a quell'età. A volte bisogna accontentarsi se hai davanto uno che preferisce FIFA 10 a FIGA 14.
Bella questa eh? Ammettetelo.
Comunque avevo preparato la valigia con cura, quasi con più cura di quando eravamo partite per Londra. Non potevo permettermi di dimenticare qualcosa di importante e fare una figuraccia davanti a tutta la classe, e soprattutto davanti all'altra classe, quella di Willy.
Poi il viaggio in pullman è stato divertentissimo! Ha ha ha.
No. Il viaggio in pullman è stata una bestialità perché Cate si era fiondata su per il predellino rifilando tre gomitate, sedendosi nel posto da quattro in fondo all'urlo di «Io, la Caselli, la Raggi e WILLY FANTINI!»
Io e Matilde eravamo salite con un leggerissimo imbarazzo, tra due ali di folla che ci riservava sguardi risentiti, specialmente il solito trio di compagne capitanate da Ashley, ma anche due o tre dell'altra classe che probabilmente avevano delle mire. Willy nel frattempo ci aspettava già seduto, o meglio, tenuto fermo da Caterina. Lo sguardo simile a certi prigionieri di guerra là in Iraq. Però alla fine io la metto giù tragica ma aveva funzionato: avevamo chiacchierato tutto il tempo, scattandoci foto e condividendo schifezze alimentari, soprattutto dopo la fermata all'Autogrill di Fiorenzuola d'Arda.
«Che figo! Non avevo mai visto un autogrill che passa sopra l'autostrada!» avevo detto mentre entravamo, ma la Cate mi aveva spintonato in bagno all'istante.
«Oh Chiara, io ti ho apparecchiato tutto, ma adesso te devi attaccare! Capito? Attacca!»
«Cate. Stai. Serena.»
Non nascondo che mi sentissi elettrizzata, specialmente da quando William aveva iniziato a sciogliersi e scherzare con noi. Ogni tanto mi lanciava uno sguardo e sentivo che non era una cosa casuale. Ma continuavo a ripetermi che dovevo stare tranquilla, altrimenti finiva male, con la sfiga che avevo.
Arrivati a Torino, la prima tappa era stata il Museo Egizio. È stato affascinante vedere tutte quelle antichità, eh sì.
Credici, la mia mente non ha registrato niente in quel posto pieno di cocci vecchi, continuavo a pensare cosa sarebbe successo dopo. E il dopo era arrivato al Parco del Valentino, dove avevamo avuto un po' di tempo libero per il pranzo al sacco. Io, Matilde e Caterina eravamo andate in un chiosco per prendere un gelato, e con nostra grande sorpresa, William e alcuni dei suoi compagni ci avevano raggiunte. Avevamo riso e scherzato, Cate aveva insultato bonariamente tutti, e a un certo punto Willy mi aveva detto se mi andava di andare al villaggetto medievale.
Figurati se gli dicevo di no.
Avevamo camminato per il sentiero, parlando di tutto ma più che altro di niente. Alla fine, ci eravamo trovati al borgo, sfortunatamente con un sacco di altra gente.
Forse si era accorto della mia delusione. Così mi aveva preso la mano dicendo «Un posto tranquillo lo troviamo.»
E in effetti un posto tranquillo lo aveva trovato, sul fianco di pietra di una delle casette. William mi aveva guardata negli occhi, e poi, lentamente, si era avvicinato e mi aveva baciata.
Cazzo, ve lo dico con il cuore in mano: non era stato il mio primo bacio, ma sarebbe stato perfetto come primo bacio. Sembrava che il mondo si fosse fermato intorno a noi. Avevamo passato un sacco di tempo così, parlando e baciandoci, fino a quando i cellulari di entrambi erano suonati praticamente nello stesso istante e avevamo capito che la festa era finita.
Al punto di ritrovo, più o meno cinquanta paia di occhi ci guardavano, e tutti esprimevano disappunto. Dopo la ramanzina della prof, era arrivata la parte peggiore: salendo sul pullman, ci eravamo accomodati uno affianco all'altra in un posto da due, ma era arrivata come un falco l'insegnante di arte, intimandoci l'immediata divisione.
«È già tanto che non vi metto uno nel bagagliaio e una nel vano motore!» aveva ringhiato.
Avevo letto l'espressione soddisfatta di certe tizie. Ma che si fottessero, quello che dovevo fare, l'avevo fatto.
La sera, in albergo, nonostante il divieto tassativo di uscire dalla camera e la minaccia di avvisare i miei genitori per il comportamento "non consono" che avevo tenuto, non riuscivo a smettere di sorridere come una scema. Caterina era ovviamente curiosa di sapere ogni dettaglio, e quando avevo raccontato sia a lei che a Matilde cosa era successo, avevano iniziato a ridere.
«Ma non gliel'hai massaggiato un po'?» aveva chiesto la Cate, mimando l'atto della masturbazione, «Nemmeno frullato con la lingua?»
«Cate, sei una bestia» le avevo risposto.
Venerdì 26 marzo 2010
Il secondo giorno era partito malissimo. La prof di arte era passata a svegliarci e si era incazzata con noi perché sulla porta, appena sotto il numero della stanza, c'era attaccato un foglio con su scritto a caratteri cubitali "SLUT ROOM".
Capite il problema? Noi, dentro la stanza che dormiamo, fuori qualcuno (o qualcuna *coff coff*) attacca un cartello offensivo, e la prof con chi se la prende? Con chi è dentro.
Cate, per lo meno, aveva fatto dell'ironia, postando su Facebook la foto del cartello e mettendo come didascalia "Veramente in stanza eravamo in tre, dovevi usare il plurale, amore".
«Comunque io finchè non scopro chi è stato non sto bene» avevo piagnucolato, scendendo nella hall.
A causa di questo incidente avevamo dovuto fare colazione in fretta e poi montare altrettanto in fretta sul pullman. Non mi era sfuggito il fatto che certe tizie ghignassero malevolmente e nemmeno tanto di nascosto.
«Le ammazzerei tutte» avevo sospirato, a fianco a Cate, «specie la tua amica Ashley.»
«Non è mia amica» aveva risposto lei, seccamente, «E non è stata lei.»
«Spiegati, Cate. La difendi, come se fosse una santa donna.»
«Non devo spiegare un cazzo. Ho le mie idee e il discorso è finito.»
«Io delle volte non ti capisco, Cate.»
«Non devi capirmi Chia. O meglio, non devi capirmi sempre. Devi essere mia amica. Cazzo.»
«Hai qualche dubbio?» le avevo chiesto.
Ma nonostante tutto quel giorno, nella mia memoria rimane, uhm, come dire, struggente? Sì, mi sembra una parola azzeccata. Avevamo visitato la Mole Antonelliana e il Museo del Cinema, con i prof che fissavano di continuo me e Willy per evitare che ci avvicinassimo a meno di cinque metri l'uno dall'altra. Durante la pausa pranzo, avevamo provato a allontanarci di nuovo ma la prof di arte era scattata come una trappola per topi, fermandomi al grido di «O stai qui, o ti interrogo per tutto il viaggio di ritorno.»
Poco male, avevo consumato quasi tutto il traffico internet mandando a lui messaggi da vera piccioncina. Lo ammetto.
Quando era arrivato il momento di tornare a casa, ero felice ma anche un po' triste. Sapevo che la magia di quei due giorni sarebbe rimasta con me per sempre. Durante il viaggio di ritorno, io e Cate avevamo condiviso le cuffiette del mio lettore MP3, ascoltando la sua musica preferita, che tanto avreste potuto farmi sentire anche le urla dei mocciosi che giocano all'asilo e mi sarebbero comunque andate bene.
Mentre Matilde, nel sedile davanti discuteva con la Collinelli di non so quale uscita editoriale, Willy confabulava coi suoi compagni e io avrei tanto voluto sapere cosa si dicevano.
Cosa ho imparato dalla Gita di terza media: che il tempo vola quando sei con la persona giusta.
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