Scomparsi

Thomas fu condotto in una mensa che aveva l'aspetto di un luogo anonimo e funzionale allo stesso tempo. 
Tavoli di metallo, lucidi e uniformi, erano disposti in file ordinate, con panche anch'esse metalliche su entrambi i lati. 
Sesuti attorno ad uno di essi riconobbe i suoi amici. 
Tuttavia, c'erano anche molti altri ragazzi che non aveva mai visto, volti nuovi che gli suscitarono un mucchio di domande.
«Ehi, amico!» lo salutò Minho, avvicinandosi con un sorriso. 
Thomas si sentì sollevato nel vederlo. 
«Pensavo non saresti mai arrivato» il ragazzo gli diede una pacca sulla spalla e lo guidò verso il tavolo dove erano seduti Frypan e Winston.
Thomas notò all'istante l'assenza di Sonya e Newt e sentì il cuore saltare un battito.
«Dove sono Sonya e Newt?» chiese, l'ansia crescente.
«Non ne ho idea, non li hanno fatti entrare» rispose Minho.
Un brivido di inquietudine attraversò Thomas, c'era qualcosa che non andava.
Perchè i due ragazzi non erano lì con loro?
Il suo sguardo si posò su Janson, che si trovava a qualche metro di distanza. 
Quando l'uomo stava per andarsene, un impulso irrefrenabile lo spinse a correre verso di lui.
«Dove avete portato Sonya e Newt? Perché non sono qui con noi?»
«Oh, Thomas, stai tranquillo. Gli stiamo facendo altri esami. Li rivedrai presto» rispose Janson con un tono che lo fece rabbrividire.
«Voglio vederli adesso» insistette, sentiva il cuore battergli forte nel petto.
«Purtroppo, non credo sia possibile» come se nulla fosse Janson si girò per allontanarsi. La porta si richiuse dietro di lui con un rumore metallico che risuonò come un cattivo presagio.
A Thomas non rimase altra scelta se non quella di ritornare al tavolo, sedendosi pesantemente sulla panca di metallo. 
«Ehi, se c'è una cosa di cui sono sicuro, è che Newt e Sonya sono due tipi tosti. Non gli succederà nulla di male» Minho aveva sicuramente percepito il suo stato d'animo e cercò di consolarlo poggiandogli una mano sulla spalla.
Lui, però, non riuscì a dire nulla.
Si limitò a strappare un debole sorriso, sperando che Minho avesse ragione.

«Chi sono queste persone?» chiese poi, scrutando l'insieme di volti nuovi che lo circondavano, come se si fosse reso conto solo in quel momento che c'erano tantissimi altri ragazzi, maschi e femmine, seduti ai tavoli.
«A quanto pare non eravamo gli unici; c'erano altri Labirinti» rispose Minho.
«Altri Labirinti?» ripeté Thomas, confuso.
«A quanto pare abbiamo passato tutti la stessa cosa» fece Winston lanciando un'occhiata ad alcuni di loro intenti a conversare con i loro coetanei.
«La maggior parte di loro sono qui da un paio di giorni» aggiunse Frypan per poi voltarsi verso un ragazzo seduto in un angolo «Quel ragazzo è stato il primo. È qui da quasi una settimana»
Thomas seguì il suo sguardo e vide che era rivolto verso un ragazzo che se ne stava a testa bassa, come se non volesse incrociare lo sguardo di nessuno. Non riuscì a decifrare il suo volto, coperto dal cappuccio della felpa, ma notò i capelli castani e l'aria un po' avvilita.
«Nel suo Labirinto c'erano solo ragazze»

Dopo circa una mezz'ora Janson rientrò nella mensa seguito da due uomini in divisa militare e annunciò che era il momento di andare nei dormitori.
L'uomo si prese la briga di accompagnarli di persona «Spero che i letti siano di vostro gradimento» dopodiché chiuse la porta a chiave.
Thomas lo osservò per un momento, poi si diresse verso il primo letto che gli capitò a tiro.
Si sdraiò, il corpo stanco e pesante, e alzò lo sguardo verso la rete del letto superiore. Quella struttura a castello lo infastidiva; non poteva fare a meno di sentire la frustrazione di non poter guardare il soffitto, di essere costretto a fissare un intrico di metallo e a pensare a quanto fosse angusta la sua situazione. 
La stanza aveva un'illuminazione fredda e sterile, e l'aria sapeva di disinfettante, un ricordo persistente di un luogo che doveva essere sicuro, ma che gli sembrava inquietante.
Nonostante i mille pensieri che si affollavano nella sua mente - la preoccupazione per Sonya e Newt, il timore che potessero trovarsi in pericolo - la stanchezza lo avvolse come un pesante manto.
I suoi occhi si chiusero lentamente, combattendo contro il desiderio di rimanere vigile.
La morbidezza del materasso, inaspettata e accogliente, lo attirò sempre di più nel sonno.
Sentì il suo corpo cedere, e in un attimo, i confini del mondo si dissolsero.

«Tommy, aiutami!»
Quella era la voce di Newt, che lo chiamava disperatamente.
Si trovava in un lungo corridoio scarsamente illuminato, e infatti faceva fatica a vedere a capire cosa avesse davanti; ma le grida terrorizzate del ragazzo fecero scattare qualcosa in lui e cominciò a correre senza sapere dove stava andando.
«Newt! Dove sei!» urlò in preda al panico.
«Tommy, aiutami!» ripeté il ragazzo.
Lui però stava cominciando a sudare, e il suo cuore batteva all'impazzata; inoltre quel corridoio sembrava non finire mai.
«Falli smettere, ti prego» questa volta si trattava della voce di Sonya.
«Che sta succedendo!? Dove siete!?» gridò Thomas più frustrato che mai.
«Perchè non ci aiuti?!»
«Cosa vogliono da noi!»
Le urla dei due ragazzi avevano cominciato a mischiarsi e a sovrapporsi e adesso Thomas non riusciva più a capire ciò che stavano dicendo.
La testa gli stava scoppiando; si inginocchiò a terra e cercò di tapparsi le orecchie con le mani, per non sentire più le loro grida di terrore.
«Basta! Smettetela!»
Thomas ovviamente voleva aiutarli, ma sentire solamente delle urla disperate lo disorientava ancora di più perchè non aveva idea di cosa gli stesse capitando, l'unica cosa di cui era sicuro era che loro avevano bisogno di lui ma non sapeva come aiutarli.
Mentre le urla non accennavano a diminuire e Thomas si trovava inginocchiato a terra ad un tratto tutto si placò e il ragazzo cadde in una sorta di abisso nero.

Si svegliò di soprassalto, era tutto sudato e stava tremando.
Quel sogno era stato davvero straziante, ma il messaggio era chiaro: il suo subconscio lo aveva indotto a pensare che a Newt e Sonya stesse capitando qualcosa di brutto; magari non era così, ma non poteva passare un minuto di più aspettando senza sapere dove fossero.

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