Umana
Dopo la mensa Dua aveva strisciato pigramente i piedi verso la sua stanza, e una volta essersi fiondata sul letto, rimase lì per ore. Con la testa china di lato, stava osservando gli oggetti personali di Lili, sopra al letto sfatto. E mentre rimuginava se fosse il caso di prendere l'iniziativa per intavolare una conversazione con la sua compagna di stanza, il cellulare vibrò sul comodino.
A suscitarle il brivido che le percorse tutta la schiena non fu la sorpresa di essere cercata da qualcuno, ma il fatto che i suoi genitori la stessero chiamando alle quattro del pomeriggio, anziché la sera, quando erano soliti fare la videochiamata. Dall'ansia che fosse successo qualcosa, rispose subito.
<<Mamma!>> Cercò di essere ottimista ma la sua voce vibrante la tradì.
<<Dua! Piccolina mia, senti, ho una novità da comunicarti...>> Parlò la mamma con tono grave, il quale fece aumentare la velocità dei battiti di sua figlia. Mentre tratteneva il fiato, aspettava che la madre continuasse.
<<Voi state bene vero?>> Chiese, ormai stufa di quel silenzio tombale.
<<Sisi, noi sì, piuttosto siamo preoccupati della tua reazione...>> Stava per finire di esporre, quando Dua la mise a tacere. Non riusciva a sopportare tanta ansia da parte di sua madre.
<<Ti prego sputa il rospo!>> La incalzò.
<<Ecco...Zayn è stato qui oggi.>> Proferì infine, seppur a bassa voce. I secondi che susseguirono quell'affermazione servirono a Dua per apprendere e metabolizzare la notizia.
<<Zayn...quel Zayn?>> Lanciò un'occhiata alla porta come per assicurarsi che fosse chiusa e che nessuno potesse vederla in quel momento vulnerabile. Perchè dopo giorni e settimane si sentiva così. Vulnerabile, debole, nuda. Senza protezioni. Senza maschere. Attanagliata al passato a cui aveva rinunciato con troppa fretta.
<<Sì quali altri Zayn conosci?>> Neanche il sarcasmo di sua madre riuscì a placare la sua tensione, per cui si alzò di scatto dal letto, facendo avanti e indietro per la stanza, pronta a sentire tutto ciò che sua mamma avesse da raccontarle.
<<Zayn Malik.>> Borbottò più a sé stessa, con la gola improvvisamente secca.
<<Era venuto qui per riportarti il tuo skateboard, lo avevi dimenticato a casa sua. Ad ogni modo, vedendo il suo viso affranto gli ho proposto di entrare dentro a prendere una tazza di tè, come in passato.>>
Da sola, tra quelle quattro mura in cui nessun occhio indiscreto poteva giudicarla, era ritornata sé stessa. La voce gentile di sua madre che le ricordava i vecchi tempi, le fece perdere un battito. Per lei non esistevano più i vecchi tempi. Poteva solo immaginare l'espressione del suo ex ragazzo mentre fissava la casa in cui ne avevano passate tante, dietro le spalle ricurve di sua madre.
<<E...?>> La incitò a continuare.
<<E niente. L'ho mandato io via, chiunque abbia ferito mia figlia, non è il benvenuto in questa villetta!>> Si intromise suo padre, con il suo consueto essere protettivo. Dua rimase senza parole, non sapeva se essere sollevata poiché Zayn non si fosse avventurato in quell'oceano di ricordi, o scontenta poiché così non poteva sapere il modo in cui la sua vita fosse andata avanti, dopo il loro addio.
Dopo che ebbero attaccato alla chiamata, fece scivolare il suo corpo contro la porta, fino ad adagiarsi col sedere sul pavimento freddo. In quel momento Dua era bramosa di sapere, bramosa di curiosità. E le domande nella sua testa la stavano schiacciando. Voleva sapere se Zayn nutrisse ancora rancore nei suoi confronti, se avesse mai riflettuto sui suoi errori. Voleva sapere se continuava a frequentare la sua gente e se avessero mai chiesto di lei, dopo non averla più vista in zona. Voleva sapere se frequentava ancora quel parchetto sotto casa e se si sedesse ancora su quella panchina arrugginita. Voleva sapere se girasse ancora con le sue Marlboro rosse in tasca e se di notte si svegliasse di soprassalto, per un passato troppo doloroso.
Quando le lacrime amare abbandonarono i suoi occhi, scivolando sulle sue guance, si rese conto di aver toccato il fondo. Erano rari i casi in cui piangesse, ed era sicura che se non avesse trovato un modo per distrarsi, non avrebbe fatto altro, quella sera e anche i giorni a venire. Come un lampo, l'idea di andare alla festa accennata da Cole, rinsavì nella sua testa.
~ ~ ~
La festa, anche se organizzata in palestra, si concentrava per lo più sul grande spiazzale verde. Settembre non era mai stato sinonimo di freddo, per questo la maggior parte dei collegiali si trovavano fuori, a godersi la leggera brezza. Lungo il percorso per giungere alla palestra, dove avrebbe trovato tutto ciò che le serviva, sentiva già il forte odore di alcol, il quale le trapassava le narici.
<<Che mi prenda un colpo, sei venuta?>> D'un tratto, Cole, in tutta la sua altezza si materializzò davanti a lei, raggiungendola a passo felpato. I suoi capelli, inaspettatamente liberi da qualsiasi copricapo, gli donavano un certo fascino.
<<No, questo è solo un miraggio.>>
<<Non te ne pentirai.>> La rassicurò dopo aver visto la sua espressione titubante.
Si avviò per primo, e in quella mischia di persone, lo seguì solo grazie alla sua giacca di pelle, la quale lo differenziava da tutti gli altri. Nell'ardua impresa di non perderlo di vista, era anche concentrata a schivare le persone che sorreggessero dell'alcol, così da evitare possibili macchie sul suo unico vestitino blu acceso, indossato unicamente per quell'occasione.
Una volta che fece accesso alla palestra, i giochi di luce resero impossibile controllare i propri passi. Stavolta l'area era stata curata nei minimi dettagli, ogni angolo trasudava ricchezza e lusso. I gruppi più in sedevano alle poltrone, mentre il resto dei collegiali si perdeva tra il buffet, composto da tagliata di frutta, pasticcini e fontane di cioccolato; oppure si faceva trasportare dalla musica, neanche troppo assordante, che li induceva a danzare elegantemente. Sembrava di partecipare ad un gala. Dua non si era resa conto fino a quel momento quanto fosse significativo per gli altri dimostrare il proprio ceto sociale.
In quel circolo di apparenze e superficialità, di materialismo e felicità, nessuno di loro stava realmente bene. Infatti, se si assottigliava lo sguardo, si poteva scorgere il club di Emma, bere accanitamente, come se fosse l'unico appiglio, l'unica via d'uscita. Erano piccoli i dettagli in cui scorgere le ombre e le sfumature della malinconia, ma c'erano. Dua fece per portare il suo sguardo altrove, sui giovani sconosciuti. Una cosa che l'era sempre piaciuta fare, era quella di esaminare persona per persona, come a scorgerne l'anima. Così fece. Individuò sorrisi forzati, occhi spenti, piedi che ticchettavano, labbra che mordevano, sopracciglia che si corrucciavano. Inoltre le piaceva immaginare o indovinare, grazie a tali comportamenti, i problemi di ognuno di essi. A tanti di loro poteva mancare un parente caro, oppure avere continuamente delle discussioni con la propria famiglia. Tanti di loro potevano aver avuto esperienze indimenticabili, dalle quali ne erano usciti a tentoni. Eppure non l'avrebbe mai scoperto.
C'erano molte maschere come la sua in quella palestra, maschere che fingevano una vita perfetta, una serenità assoluta. Proprio come si faceva sui social, i ricchi studenti del Princeton amavano mostrare soltanto il meglio di sé, seppur questo significasse mutare completamente. Con questa nuova cognizione, Dua non si sentì più tanto sola. Perchè in quell'orda di diversità, tra chi indossava abiti ricercati come Ariana, e chi invece indossava t-shirt larghe e pantaloni cargo, come Billie, tutti erano a bordo della stessa barca. Erano tutti adolescenti, tutti pensierosi, tutti simili.
Finalmente l'enigma sul loro club si risolse. Per giorni Dua si era spremuta le meningi per capire come facessero ad andare tutte d'accordo, nonostante le palesi differenze. Non era riuscita a cogliere lo scopo dei loro raduni, ma finalmente capì che ognuna di loro aveva dei problemi da affrontare, dei grattacapi, e l'unico modo per trarre forza, era restando unite.
Quello che avvenne dopo fu totalmente spontaneo. Di fatto Dua si avvicinò al loro gruppo e poggiò le mani sul loro tavolino, così da richiedere la loro attenzione.
<<Ho bisogno di aiuto. Anch'io sono umana, per cui voglio fare parte del club. Sono pronta al rito di iniziazione!>> Dichiarò come se stesse parlando da sola e la loro presenza fosse soltanto un pretesto per pronunciare quei vocaboli, per sentirne il suono diffondersi nell'aria.
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