Capitolo II

Koro si sentì molto in imbarazzo quando aprendo la porta dell’appartamento si trovò di fronte all’Ammiraglio Druson, uno dei Triumviri.

“Signore!” esclamò subito Koro scattando sull’attenti e provando contemporaneamente ad accennare un inchino.

“Tranquillo, soldato” disse il Mon Cala sorridendo.

Koro, d’altra parte, abbassò il braccio del saluto ma rimase comunque in tensione.

“Mi complimento con te per il tuo operato sulla Naboo Grassland. Sei stato un eroe, e in quanto eroe vedremo di ricompensarti”. Koro si sentì quasi mancare per la riconoscenza annunciata da uno dei Triumviri in persona. “Comunque, siediti. Dobbiamo parlare”.

Annuendo, Koro si sedette su una comoda seria e dall’altra parte della scrivania si sistemò Druson.

“Il problema è il seguente: questo è il settimo raid di pirati in tre giorni, e peraltro tutti nelle orbite di mondi cruciali della Federazione. La situazione è critica”.

Koro annuì, senza essere sicuro del perché l’ammiraglio gli stesse facendo quel discorso. “Adesso devi dirmi una cosa: di che specie erano i pirati?”

Il soldato stava per rispondere quando Druson continuò a parlare. “So che questo potrebbe non avere importanza, ma stiamo cercando di capire qualche possibile affiliazione tra le varie gang in gioco”.

Koro questa volta attese di vedere se l’ammiraglio aveva ancora qualcosa da dire, quindi parlò lui. “Erano Trandoshani, signore”.

Druson annuì ed emise una specie di borbottio, qualcosa insomma di calamariano. “Trandoashani” ripeté lentamente l’ammiraglio.

“Finora abbiamo visto in gioco due gruppi misti, uno fatto perlopiù da Weequay, uno per metà da Weequay e per l’altra da Aqualish, un altro da Twi’lek e due da Umani. E, quindi, uno da Trandoshani” riepilogò Druson.

Koro capì che l’ammiraglio avrebbe sperato che non fossero Trandoshani, in modo da poterli associare agli altri in qualche modo.

E allora Koro si ricordò di una cosa. “Mi ero dimenticato di dire che il leader, credo, dell’attacco, era un Duros, signore”.

Druson emise un altro di quei borbottii, e improvvisamente fissò Koro. “Un Duros?”

“Sissignore”.

“Ecco l’associazione!” esclamò in quel momento Druson alzandosi in piedi.

Si sedette nuovamente e prese un comlink. “Maggiore Klee?” chiese, e dall’altra parte del comunicatore arrivo un “sì”.

“Controllate i dati sui raid di pirati misti, di Twi’lek e di Weequay e verificate se i loro leader erano dei Duros”.

“In realtà non possiamo farlo, ammiraglio. Ricordatevi che le navi assaltate sono cadute in mano ai pirati e di conseguenza abbiamo solo i messaggi inviati dai comandanti dei cargo”.

Druson annuì pigramente. “Capisco. Vi chiamerò più tardi per far luce in questa faccenda”.

“Ricevuto, ammiraglio” replicò il maggiore, e la comunicazione si interruppe.

Druson tornò a guardare Koro, il quale aveva ascoltato attentamente la conversazione. “A quanto pare, non possiamo ancora fare libere accuse, ma dovremo comunque fare degli accertamenti riguardo a questa… condotta, se così la si può chiamare, dei Duros. Avremo bisogno di una squadra di agenti che vada su Duro e scopra se ci sono movimenti sospetti o quant’altro. Ovviamente, il senatore Mase non verrà avvisato di ciò, e così voi potrete curiosare tranquillamente sul pianeta”.

Koro stava ascoltando il discorso con interesse relativo finché non sentì quel “voi”.

“Noi, signore?”

“Esatto, soldato”.

“Noi chi?” chiese sempre più preoccupato Koro.

“Tu e altri abili come te. In più, con voi ci sarà un Jedi, così potrete ottenere più informazioni di quanto non potreste carpirne da soli” spiegò il Mon Cala senza abbandonare quel tono di gioia e coraggio che aveva assunto dall’assegnazione dell’incarico.

“Va bene, signore” disse Koro ricomponendosi. “Ma, se posso dirlo, non credo di essere così abile da compiere una missione del genere”.

Druson rise. “Ma non essere modesto, soldato. Hai liberato una nave da una banda di pirati; non credi che tu sia in grado di indagare su dei movimenti di Duros?”

Dì di no, dì di no. “Sì, penso di sì, signore”.

Era fatta. “Va bene, soldato. La manderò a chiamare nel suo appartamento quando avrò scelto gli altri membri. A quel punto, sarete liberi di scegliere armi ed equipaggiamenti adatti alla missione. Buona giornata, Shimti”.

Druson si era alzato e Koro insieme a lui, e quando tra di loro ci fu una stretta di mano, il soldato si sentì quasi al paro di un senatore o di qualche altra persona di importanza galattica.

Subito dopo, Koro uscì dall’appartamento e si maledisse. Guarda in che guai ti sei cacciato, idiota! si rimproverò.

Ma era inutile: il danno ormai era fatto.

–––

Koro inserì la chiave magnetica nella serratura e la porta del suo appartamento si aprì.

Restò quasi a bocca aperta: abituato a un cubicolo di neanche dieci metri quadri sulla Naboo Grassland o su qualche altra nave, rimase davvero di stucco di fronte alle varie stanze che componevano l’appartamento e all’appartamento, a suo parere, lussuoso.

C’erano due divani, un oloproiettore all’avanguardia, delle lampade di foggia alderaaniana, un tavolo, qualche sedia e un bel camino. In realtà, quest’ultimo mascherava i riscaldamenti, ma Koro lo apprezzò comunque. “E’ fantastica” si disse.

Ma tanto non ci resterai più di qualche giorno, e probabilmente su Duros ci resterai finché non morirai o non scoprirai qualcosa.

Fu infastidito dal suo stesso pessimismo, e così scuotendo la testa si chiuse la porta alle spalle e si lanciò sul divano.

Prese un piccolo telecomando lucido e di colore rosso acceso e selezionò un canale a caso. L’oloproiettore si accese e sulla parete iniziarono a lampeggiare le luci di alcuni landspeeder delle Forze di Sicurezza di Coruscant. Un giallo! Quant’è che non ne vedevo uno?

I tre landspeeder si fermarono intorno a un Devaroniano con un baule tra le braccia. “Mani in alto!” urlò uno degli agenti, e il criminale lasciò cadere la cassa ed estrasse una pistola e prese a sparare all’impazzata, evitando i colpi nemici ed eliminando nel frattempo un agente dopo l’altro.

Koro osservò a bocca aperta la scena spettacolare, fino al punto in cui una pattuglia di agenti non arrivava alle spalle del Devaroniano e lo tramortiva usando dei blaster stordenti.

E proprio allora l’immagine si ridusse, lasciando comparire un Gran dietro un banco in legno. “Ed erano queste le riprese effettuate da un privato della sparatoria svoltasi oggi nella Sottovia D39 nel quadrante ovest. Il Devaroniano si trova ora agli arresti ed il bottino è stato riconsegnato al negoziante derubato”.

L’HoloNet! Non era un olofilm! si accorse Koro con un po’ di ritardo. Era decisamente troppo tempo che non stava un po’ all’olovisore.

“E adesso, passiamo alla politica. L’emendamento proposto dal senatore aleena Shi Krol è stato rifiutato dai Triumviri per motivi sconosciuti. Un nostro inviato ha tentato di carpire qualche informazione dall’imperatore Fel, anche se con scarsi risultati. Ma vediamo il servizio”.

L’annunciatore smise di parlare e una nuova immagine si espanse lungo tutta la proiezione.

Koro seguì anche quel servizio e quello successivo, finché non gli arrivò una chiamata al comlink. Il soldato premette il pulsante di risposta e sentì subito la voce di sua sorella, Jassa. “Koro, oggi sei comparso all’HoloNet!” gli gridò piena di gioia.

Koro rimase piuttosto colpito ma non disse nulla, e stette invece ad ascoltare il discorso della pettegola sorella, alla fine del quale lei lo ringraziò, ricordandogli come fosse sempre stata una buona sorella e come gli avesse sempre voluto bene.

“Cosa ti serve? Soldi? Guardie? Amici?” chiese Koro scorbuticamente interrompendo il discorso.

“Non mi trattare così!” sbottò lei. “Non ti chiederei mai nulla del genere! Solo… penso che su Coruscant ora tu abbia una bella casetta, e non è che noi…”

“Voi? Voi chi?”

“Io e Vanjoin, il mio ragazzo”.

Koro chiuse gli occhi e fece un grande respiro. Avrebbe voluto dirle di noi, ma poi ragionò sul fatto che una volta che fosse partito la sua casa sarebbe rimasta abbandonata. “Va bene, verrai qui, ma ora lasciami stare che sono stanco”.

“Oh, grazie fratellone! E non ti dimenticare che ti ho sempre voluto bene!”

“Certo, non lo dimenticherò”.

Koro chiuse il canale e gettò un’occhiata all’olovisore. Stavano ancora facendo l’HoloNet.

Lo lasciò acceso poiché era troppo stanco e si addormentò sul divano.

–––

Gli occhi di Meidro erano puntati sulla barriera laser che delimitava la sua cella.

Quel rosso era attraente e il Devaroniano non riusciva a staccarne gli occhi di dosso.

“Cos’è, ti sei incantato?” chiese una voce roca che fece subito voltare Meidro.

Aveva parlato il suo compagno di cella, un burbero Weequay che marciva in quella prigione da quattro anni. “Forse sì” borbottò.

Il Weequay emise una risata quasi agghiacciante e si sedette sul bordo della sua brandina.

“Ancora non vuoi dirmi cos’hai fatto per finire qui?”

Meidro sospirò. Il Weequay gliel’aveva chiesto almeno tre volte da quando era arrivato mezz’ora prima.

“E va bene, basta che non rompi più” sbottò il Devaroniano, e con un piccolo sforzo si alzò da terra e si andò a sedere sulla sua brandina.

Il Weequay lo guardava con interesse; probabilmente non aveva mai parlato con un Devaroniano. “Allora, da dove cominciamo?”

“Be’, comincerei da…” iniziò a dire il Weequay, e Meidro scoppiò a ridere.

“Era una domanda retorica”.

“Ah” fu la risposta dell’altro, il quale era piuttosto stupito. E anche piuttosto stupido.

“Dunque, partiamo da quando cinque giorni fa io e la mia gang abbiamo lanciato un attacco a un cargo ithoriano”.

Il Weequay fece per parlare ma Meidro si alzò improvvisamente in piedi e gli fece segno di stare zitto. “Non mi interrompere” disse secco il Devaroniano. In effetti, non voleva sentire altri inutili interventi da parte di quell’idiota.

“Come stavo dicendo, cinque giorni fa io e gli altri abbiamo attaccato un cargo ithoriano. L’equipaggio si è arreso subito senza praticamente combattere e ci siamo impossessati di un intero carico di bacche dluub, valutatissime su Shili. Stavamo appunto avvicinandosi a Shili quando uno Star Destroyer ci ha intercettati e un paio di corvette ci hanno abbordato.”

Meidro fece una pausa per bagnarsi le labbra e prendere fiato. “Abbiamo combattuto. Abbiamo combattuto come non mai, e siamo caduti uno dopo l’altro. Ma i Devaroniani, si sa, di natura sono un po’ vigliacchi, e così io mi sono arreso e mi hanno portato sullo Star Destroyer.”

“Ovviamente lì mi hanno interrogato per sapere qualcosa di più sulla mia gang e sui nostri obiettivi. E io ho detto quel che sapevo, ossia che siamo i pirati di Nestoman e che la nostra base è un incrociatore classe Osk, il Black Iron. E poi mi hanno portato su Coruscant, ma scendendo la navetta ha avuto un guasto e si è schiantata”.

Meidro fece una pausa ad effetto e vide gli occhi del Weequay seguirlo con attenzione. “Sono riuscito a scappare, anche se ho dovuto combattere, e non poco. Sono scappato, e mi sono andato a nascondere nel bagno di una cantina, dove mi sono barricato e dove sono rimasto chiuso per quasi un’ora. Alla fine sono uscito fuori, e non vedendo guardie ho deciso che dovevo fare qualcosa”.

“Insomma, te la faccio breve: ho rapinato una gioielleria usando un blaster rubato alle mie guardie, e ce l’avevo quasi fatta a fuggire quando mi sono imbattuto in due agenti. Li ho fatti fuori subito, ma poi ne sono arrivati a decine e per quanto resistessi, alla fine mi hanno stordito e portato qui”.

Probabilmente aver esagerato coi numeri è stata una scelta giusta: questo babbeo resterà ancora più sorpreso e forse mi darà una mano ad andarmene da questa schifosa prigione.

“Sei un bel tipetto” commentò con la sua voce arrugginita il Weequay. “Anch’io ero un pirata, e facevo parte della gang di Ohnaka. Credo che sia piuttosto conosciuta, visto che esiste da almeno… vediamo… sì, insomma, duecento anni”.

Oh, sì che la conosco pensò Meidro, ma senza dare troppa importanza all’informazione fece un cenno affermativo. “Ecco, facevo parte della banda, e un giorno mi hanno lasciato a fare da guardia a un corridoio della nave che avevamo abbordato. E poi tutti sono scappati quando è arrivato un incrociatore del Triumvirato, ma nessuno mi ha avvertito, e così mi hanno stordito e catturato” raccontò il Weequay con evidente rammarico. Doveva ricordarsi dei tempi in cui era un pirata e in cui era libero di fare razzia di ciò che voleva, senza una barriera laser a tenerlo confinato in un cubicolo grigio.

“E così facevi parte dei ragazzi di Ohnaka” commentò Meidro con un tono che si poteva definire persuasivo.

“Modestamente sì” confermò il Weequay fingendosi imbarazzato.

“E nessuno di loro ha intenzione di portarti in salvo da qui?”

La domanda colse il pirata nell’orgoglio. “Non lo so, non li ho più sentiti, ma anche se fosse non credo che riusciremo a lasciare Coruscant con un mercantile”.

Per quanto sia un insulso Weequay ha ragione dovette ammettere il Devaroniano.

E così come nessuno salverà lui, probabilmente nessuno salverà me.

Il pensiero di rimanere lì per tutta la durata della sua pena fece rattristare Meidro. “Che ti succede?” chiese il Weequay.

Stupido e anche sentimentale. “Niente. Solo che non voglio restare qui. Voglio andarmene, dannazione!” sbottò il Devaroniano.

“Non mi hai ancora detto il tuo nome”.

Meidro guardò il Weequay e la sua faccia. Normalmente avrebbe ispirato molta paura, ma gli anni passati lì dovevano aver rabbonito il pirata. Succederà anche a me si rammaricò il Devaroniano. “Mi chiamo Meidro, e tu?”

“Io mi chiamo Dol Klipti, ma i miei mi chiamavano Fishcat”.

Meidro strozzò una risatina e appoggiò una mano sulla dura spalla di Dol. “Siamo pur sempre pirati, e dare soprannomi fa parte del nostro essere”.

Dol stava quasi per replicare quando la barriera laser si abbassò e due guardie entrarono nella cella. “Meidro, lei viene con noi” dissero con tono autoritario e il Devaroniano si vide afferrare dalle braccia robuste delle guardie.

Non protestò né si ribellò; guardò solo con uno sguardo comprensivo il Weequay, e un attimo dopo venne portato via.

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