𝚠𝚎 𝚔𝚗𝚘𝚠 𝚟𝚎𝚛𝚢 𝚠𝚎𝚕𝚕

⟿ ✿ premessa che vorrei non dover fare ma che farò per mettere le cose in CHIARISSIMO. questo è un !au senza quirk, il che vuol dire che tutte le caratteristiche "fantasy" dei personaggi non ci sono. quindi mina (che c'è in questo capitolo) non è rosa, perchè le persone non sono rosa nella vita reale. per me, se mina fosse senza quirk, sarebbe nera, quindi qui è nera, perchè è la mia storia con i miei hc. se leggo QUALSIASI COSA, QUALSIASI COSA SU QUESTO CHE SIA ANCHE SOLO LONTANAMENTE RAZZISTA VI SCANNO.

(teoricamente kiri non dovrebbe avere i denti da squalo ma kiri senza gli shark teeth non si può vedere quindi non farò mai riferimento a questa cosa, così non sembra fuori contesto ma possiamo continuare a immaginarcelo con i suoi denti affilati.)

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

La mia vita, è piena zeppa di contraddizioni.

Credo che sia umano, averne. Dopotutto non è già l'uomo, di per se stesso, contraddittorio? Lo è, è inutile negarlo, e come uomo, sono pieno di contraddizioni anch'io.

Prima di tutto, una delle prime che salta alla mente, è il fatto che io abbia degli amici. Davvero, non è da pazzi? Sono uno stronzo irascibile, sono problematico e avere a che fare con me non è affatto divertente. Eppure ne ho, non tanti, ma qualcuno sì.

Da pazzi.

Un'altra cosa è che ho paura degli insetti.

Sono minuscoli, per la maggiore non velenosi e totalmente innocui, non potrebbero farmi assolutamente niente.

Eppure, di nuovo, non so per quale motivo, mi terrorizzano. Se ne vedo uno mi metto ad urlare, sul serio, mi fanno incredibile ribrezzo.

Poi c'è lo zenzero.

Amo il cibo piccante, ma il piccante dello zenzero mi fa andare a fuoco. Perché? Che senso ha? Non c'è evidenza scientifica che spieghi questo fenomeno, ma è così, ed è davvero un'altra contraddizione.

Ultima, non per importanza, di sicuro per idiozia, c'è quella che sto vivendo in questo preciso istante.

Io ho paura di guidare.

Quando studi un po' di termodinamica, un po' di meccanica delle macchine e un po' di meccanica strutturale, scopri che le cose che potrebbero andare storte, sono davvero troppe. Potrebbe saltare qualche ingranaggio per via dell'usura o di una revisione disattenta, potrebbe aprirsi un foro dove non dovrebbe per il semplice ingresso di un sassolino nel cofano, potrebbe compromettersi l'aerodinamica del mezzo per una botta presa per caso.

Potrebbero succedere un sacco di cose.

E poi serve grande coordinazione degli arti e dell'apparato sensoriale, per controllare un'auto intera completamene da soli.

Terrorizzato.

Davvero, anche solo il pensiero mi mette un'ansia sconcertante.

La contraddizione arriva nel momento in cui sono tranquillo qui, col culo sul sedile del passeggero della Toyota Corolla della madre di Denki, a guardare il mio migliore amico che canta "Telephone" di Lady Gaga a squarciagola col finestrino aperto.

Non dovrebbe farmi sentire a mio agio.

Dovrei cagarmi addosso al solo pensiero.

È pieno di cose che potrebbero andare storte, di probabilità irrisorie ma non inesistenti, di pericoli dietro l'angolo.

Denki, poi, non è che sia un mago della coordinazione, men che meno pronto di riflessi, meno ancora particolarmente sveglio, per essere brutalmente onesti.

Eppure non mi tremano le gambe, non ho paura, non mi sento male.

Sto bene.

È contraddittorio.

Ma non per questo meno vero.

Non ho il minimo grammo di paura quando supera a caso una persona premendo il piede sulla tavoletta come se stesse cercando di vincere il Grand Prix, e mi viene da ridere a sentirlo urlarmi il ritornello nelle orecchie.

È un coglione.

Ma credo che la fiducia che ripongo in lui valga più dell'arida razionalità dei miei studi.

Strano, vero?

Stranissimo.

Contraddittorio.

Ma mi piace questa contraddizione, e non la mando via. Non glielo direi mai, che mi rassicura più lui di una sfilza di numeri perfetti, ma è vero.

Maledetto Denki Kaminari, ti voglio davvero troppo bene persino per dirtelo.

− Vuoi che tolga la musica? Ti fa venire mal di testa? – mi grida dopo un po', la voce abbastanza alta perché superi la voce che invade l'abitacolo.

Scuoto la testa.

− C'è il pezzo di Beyoncé, stronzo, non l'ho imparato a memoria per farmelo togliere così a caso. –

− Sai a memoria il pezzo di Beyoncé? –

Sento un angolo della mia bocca alzarsi in un ghigno di superiorità.

− Ti sei perso la parte dove mi piace il cazzo? –

− Giusto, cazzo, è per la comunità. –

Toglie una mano dal volante per tirare indietro i capelli che il finestrino gli ha fatto finire da tutte le parti, una miriade di braccialetti di metallo tintinnano al movimento.

− Posso cantarla con te? O è un assolo? –

− Devi, figlio di puttana, o smetto di parlarti per il resto della mia vita. –

So che parlo sempre solo di numeri, di fisica e matematica e circuiti, lo so. So che sono un genio, so che sono intelligente, so che sono l'embrione di uno che vincerà un bel premio per una qualche rivoluzionaria scoperta scientifica.

Ma sono anche un diciottenne gay.

Con il proprio migliore amico.

In macchina per andare alla partita di football di un cretino coi capelli rossi e gli occhi dolci.

Per cui 'fanculo, potrò esibire la mia perfetta conoscenza delle canzoni della regina del Pop.

Non so esattamente quando l'abbia imparata. So che mi piace la musica movimentata quando studio, se no tendo ad addormentarmi, e so che ho una memoria piuttosto buona, dev'essere inconsciamente successo fra un'analisi circuitale e l'altra.

Però è vero come è vero che sono un genio, questa canzone spacca.

Il verso di Beyoncé in particolare.

Ti fa sentire un po' una stronza rovina famiglie e un po' una donna indipendente, un po' quel tipo intrigante e misterioso che ammalia il locale intero e poi sfugge tirandosi dietro la pelliccia costosa rubata a qualche vecchio marito ucciso.

Non che io sia una ragazza.

Né che uccida i mariti.

Né tantomeno che ammali la gente nei locali, ma la vibe è quella, e pur non sembrandolo da fuori, anch'io ogni tanto mi beo negli stereotipi.

Tiro giù il finestrino, mi calo gli occhiali davanti agli occhi, lancio un'occhiatina di sbieco a Denki che gioca con la pallina del piercing alla lingua fra i denti e fissa il mondo da dietro un paio di lenti rosa confetto.

Eccentrico come al solito, miseria.

Ma non so dove abbia preso quelle mutande che spuntano dalla vita bassa dei pantaloni e gli si aggrappano in cima ai fianchi.

E soprattutto come possano essere... comode.

Mi sporgo verso di lui.

Sa di zucchero filato, sa sempre di zucchero filato.

Contro ogni regola della buona condotta stradale, contro ogni forma di buonsenso, abbraccio la mia contraddizione, spiaccico la faccia al lato della sua e gli urlo nell'orecchio tutto, tutto il verso di Beyoncé.

E lui lo urla con me, ride e mi risponde, mi si sbilancia addosso, non toglie gli occhi dalla strada ma spinge di rimando il viso contro il mio, si muove con me.

Siamo solo due ragazzini, in fondo.

Che male c'è?

Lo urlo come se fosse lui, il ragazzo che mi chiede di uscire dal club di cui parlano nella canzone. Come se fosse un povero scemo che non ha la minima idea di che femme fatale io sia, come se cercasse di domare una tigre.

Che sono pur sempre un nerd fissato con le scienze, ed è pur sempre lui un bisessuale emo vestito come se stesse per andare a fare lo spogliarellista, ma siamo pur sempre noi due, e siamo pur sempre amici.

L'importante è che non lo sappia nessuno.

E so che non lo dirà, per cui me lo godo, me lo godo eccome.

Gli tiro una testata – a mia discolpa piuttosto lieve – contro la tempia quando finisce, lo guardo male ma penso una cosa carina che non voglio ripetere, torno indietro sul mio sedile che mi sento ancora più...

Contraddittorio.

Tremendamente contraddittorio.

Ma felice, felice nonostante questo.

− Questa è la mia canzone, cazzo. –

− Lo è, 'Suki, lo è. –

Mi stendo sullo schienale e lo guardo di sbieco.

− Ora puoi togliere la musica, se vuoi. –

− Ora che è finito il tuo momento? –

− Esatto, cretino. –

Fa spallucce e si sporge per girare la manopola del volume verso di sé. Non la toglie mai del tutto, ma sa che faccio un po' fatica con l'audio spaziale e che se non la tiene bassa rischia che non lo senta bene.

− Meglio? –

− Sì. –

− Perfetto. –

Riporta entrambe le mani sul volante, s'impasta le labbra piene di gloss glitterato, piega la testa di lato e mi fa un cenno con il mento.

− Che c'è? –

− Pensavo che ti saresti vestito diversamente, 'Suki. –

− Perché, non vado bene? –

Non mi sono messo... niente di che. Perché avrei dovuto?

Ma...

Avrei dovuto?

Non è che sono brutto, non è che...

− Pensavo che avresti tirato fuori le bocce. –

Mi diventa la faccia tutta rossa.

− Io non ho le tette, Denki! Basta con questa storia! –

Si mette a ridere e tira su la mano dal cambio per schiaffarmela sul petto. Mi divincolo e lo mando via, ma non abbastanza in fretta per impedirgli di strizzarmi un pettorale fra le dita.

Dice che sono tette da anni, che i pettorali non fanno quel movimento quando uno salta.

Ma se avesse anche neuroni, oltre a glitter e stronzate nel cervello, saprebbe che il tessuto muscolare è morbido a riposo, e che le mie non sono assolutamente e per nessun motivo, tette.

Gli dedico una delle mie occhiatacce più cattive, prima di mettere su il broncio e incrociare le braccia al petto.

Non sono tette, ok?

Non lo sono.

E lo fossero, messo il remotissimo e falsissimo caso in cui qualcuno potrebbe erroneamente pensare che lo siano, sarebbero delle belle tette.

Vero?

Avrei dovuto mettere una maglia più scollata?

Ho messo una maglietta oversize bianca e un paio di jeans, davvero niente di che, mi sarei dovuto curare di più?

− Sul serio, sto male? – sento chiedere alla mia stessa voce.

Mi imbarazza la domanda stessa, ma mi dico che è Denki, mi fido di Denki, posso anche concedermi questa parvenza di debolezza.

− Stai da Dio, 'Suki. Come con qualsiasi altro vestito esistente sulla faccia della Terra, per la miseria, sei cattivo ma sei bellissimo. –

− Oh, ok. –

Sorride, mi lancia un'occhiata velocissima, prima di rimettersi a guidare.

− Quando vuoi. –

Ci ha provato più di una volta, a farmi vestire come lui. Ma i collari mi fanno sentire compresso e mi sembra di non riuscire a respirare, i crop-top sono corti e io sono freddoloso, le robacce di pelle che si incastra sul corpo non fanno proprio per me.

Stanno bene a lui, che stiano su di lui.

No?

Guardo la punta delle Converse che ho da anni. Dovrei dar loro una lavata, sono grigie. Forse avrei dovuto mettere quelle con la suola rialzata, che sono più nuove, più carine, non mi fanno sembrare un nano da giardino.

Ma Denki è più basso di me, non è un problema in ogni caso. Alla peggio la figura del poco cresciuto la fa lui, io sembrerò nella media.

− Hai paura di non piacergli? –

Mi giro con gli occhi sbarrati.

− A chi? –

− Oh, lo sai a chi, non farmelo dire, cretino! –

Il sangue sale immediatamente alle mie guance, si raduna sotto gli occhi e si addensa facendomi arrossire come un cretino.

Non me lo aspettavo.

Mi ha preso alla sprovvista.

Ora che gli rispondo?

"Non me ne fotte un cazzo se gli piaccio o no".

"Io piaccio a tutti".

"Che cazzo te ne frega a te".

− Secondo te gli piaccio? –

Oh, cazzo.

Cazzo, cazzo, cazzissimo cazzo.

Cosa ho detto?

− No, fai finta di niente, non ho detto niente, io non ho... −

Denki ha lo sguardo fisso in avanti, la bocca appena appena aperta e l'espressione più scioccata che gli abbia mai visto in viso.

Sembra in trance.

− Non l'ho mai detto, ok? Io non l'ho mai detto. Te lo sei sognato. – farfuglio, cercando davvero di convincerlo, di convincere me stesso che è tutto uno strano scherzo e che sentiamo le voci.

Ma non le sentiamo, le voci, io l'ho detto per davvero e Denki, ahimè, non è sordo come me.

− Tu... tu hai detto che... −

− Denki, fai finta di... −

− Tu... −

Nascondo la faccia fra le mani e la tiro giù, chiudo gli occhi.

Idiota.

Sono un idiota.

Che domanda di merda. Che mi frega se gli piaccio? Certo, mi ha detto che sono bello e gli ho sorriso, e io non sorrido mai a nessuno, e l'ho fatto entrare in laboratorio, ma non è che...

− Non lo so se gli piaci. Devo vederlo per dirtelo. Ma... cazzo, 'Suki, da quando ti importa di una cosa del genere? –

− Infatti non m'importa. –

Sbatte le ciglia bionde e si gira per un attimo.

Ha lo sguardo da "non dirmi cazzate" e per quanto non abbia paura di lui... diciamo che arrabbiato non è un bello spettacolo.

Sospiro.

− Era solo una domanda, non farti strane idee. –

− Io mi faccio un sacco di strane idee, 'Suki. –

− Cretino. –

− Ragazzina. –

Tamburella con le dita sul volante, si morde l'interno del labbro, vedo le sue gambe corte muoversi coordinatamente per accelerare e frenare pochi istanti dopo.

− Ti piace? –

Sospiro.

− Non lo so. –

Denki ridacchia, come l'arpia schifosa che è.

− Esteticamente, almeno? –

− Esteticamente sì, che cazzo di domanda è. –

Annuisce.

− In effetti. –

Mi sposto in avanti sul sedile, sistemo i bordi della maglietta attorno a me, rimetto gli occhiali sulla testa. Senza non vedo un cazzo, ma dovendo rimanere qui fermo, non credo cambi molto.

− Mi ha detto che sono bello. –

− Eh? –

− In laboratorio. Siamo andati in laboratorio, mi ha guardato in faccia e mi ha detto che sono bello. Più tipo sussurrato che detto, ma... questo è. –

Denki, un'altra volta, apre e chiude la bocca come un pesce.

Quando esce, la sua voce, sembra più il raschiare di un gesso su una lavagna che altro.

− E tu hai accettato il complimento? –

− Non ho risposto. –

− E non l'hai ucciso? –

− No. –

Spalanca gli occhi, sbatte le palpebre, guarda nel vuoto.

− Sono onestamente scioccato. –

− Non dirlo a me. –

Stringe le dita finché le nocche non si schiariscono, prende un grande respiro, poi lascia andare tutta l'aria che ha nei polmoni.

− Se dovete scopare stasera non nella macchina di mia madre. –

− Non dobbiamo scopare, Denki! –

Alza le mani in segno di resa per un attimo, le rimette sul volante quello dopo.

− Meglio prevenire che curare. –

− Sei un bastardo. –

Mi giro guardando fuori dal finestrino, di nuovo rosso come un peperone e di nuovo in imbarazzo. No, non sono qui per scopare, ma che cazzo gli viene in mente.

Che poi Kirishima non ci entrerebbe in questa macchina di merda.

E probabilmente sbatterei la testa da tutte le parti.

E sarebbe imbarazzante, strano e per nulla sexy.

− Se vuoi tengo i preservativi nella tasca interna dello za... −

− Basta, cazzo! –

Ride sotto i baffi, ondeggia con la testa da una parte all'altra, poi mi lancia un'occhiata e infila la lingua fra i denti.

− Ti mette in imbarazzo il sesso, 'Suki? –

− Non mi mette in imbarazzo il sesso, razza di... −

− Allora dev'essere Kirishima, a metterti in imbarazzo. –

Sbuffo.

− No. –

− No? –

− No. –

Assolutamente no.

Non mi mette in imbarazzo. Mi mette... un po' in soggezione, un po' a mio agio, un po' di curiosità, un po' di calma.

Mi mette un po' di panico quando mi si avvicina troppo, ma è una forma piuttosto carina di panico.

− Allora non c'è problema se dico che vuoi scoparte... −

− Smettila! –

Maledetto, maledetto, maledettissimo Denki.

Ti odio.

Ti...

− Quindi stai dicendo che non vuoi scopartelo. –

− No. –

− "No, non voglio scoparmelo" o "no, non l'ho mai detto"? –

Stringo la mascella.

− La prima. –

− Mmh, sicuro? –

Se potessi aprire la portiera della macchina, buttarmi sull'asfalto e uscirne vivo, davvero lo farei.

− Sicuro. –

− Non mi sembri sicuro. –

− Sono super sicuro. –

Non sono super sicuro. Per niente, super sicuro. In effetti è scontato che mi attragga, è carino, ha un bel sorriso, è più alto di me quel tanto che basta perché debba piegare la testa per guardarlo.

Ma Denki non deve saperlo, perché lui se si attacca alle cose non molla mai più, e non posso tollerare che mi prenda per il culo tutti i giorni della mia vi...

− Guarda, c'è Kirishima nella macchina a fianco! –

Tiro su la testa come se me l'avesse mossa qualcun altro.

− Dove? Dove l'hai visto? –

Vago con lo sguardo fra i finestrini.

Magari mi sorride.

Magari mi dice "ciao" con le labbra e "sei carino oggi" e...

Non c'è, Kirishima, nella macchina a fianco. Non c'è in quella appena dietro, non in quella subito davanti, non dietro di me.

È...

− Sei pessimo 'Suki, pessimo. –

Sto per esplodere. No, davvero, sto per esplodere e bruciare e dar fuoco a tutta questa merda di macchina.

− Mi stavi prendendo per il culo? –

− Certo che ti stavo prendendo per il culo! Tu stai prendendo per il culo me da quando abbiamo iniziato il discorso! –

Tiro l'aria dentro la bocca.

− Io non ti prendo per il culo! –

− Certo, come no. Non fai altro di parlarmi di quello stronzo da una settimana, improvvisamente hai voglia di andare a vedere le partite di football e mi chiedi se mi piace come ti sei vestito. Pensi che sia coglione? –

− Tu sei coglio... −

− Katsuki! –

Odio quando usa il mio nome completo. È come mia madre, lo fa solo quando vuole che gli risponda onestamente.

Lascio morire le parole in gola e le trasformo in un sospiro sfinito, esausto.

− Non capisco che cazzo te ne freghi, stronzo. – borbotto poi, col tono più mogio, più stanco.

Lo vedo girare il volante verso la destra, inizio a vedere segno della presenza di qualcosa che riconosco.

− Quando mi sono messo con Hitoshi tu c'eri, 'Suki. Sei stato un amico fantastico, il migliore che potessi chiedere nella vita, davvero. Voglio fare lo stesso per te. –

Mugugno qualcosa che non capisco nemmeno io.

− E poi siamo amici, se non lo dici a me a chi dovresti dirlo? –

− A nessuno. –

− Oh, andiamo, non dire così. –

Ci sono macchine parcheggiate ai lati della strada che noto pian piano, quando Denki rallenta, ragazzi sparsi sul marciapiede che chiacchierano fra di loro.

Non è il nostro liceo, è quello di una cittadina vicina, quello della squadra contro cui giochiamo oggi. Non ci sono mai stato, qui, mi mette un po' di ansia il pensiero, ma tutto sommato non sembra poi tanto diverso dal nostro.

Sospiro un'altra volta, mi incasso nel sedile strisciando in avanti con il culo, spiaccico il mento contro il petto.

− Non lo so se mi piace. Non so se voglio scoparmelo. So che è tanto carino e che mi diverte fargli ripetizioni. –

Denki sorride, lo vedo con la coda dell'occhio, svolta quando vede un parcheggio libero. Ho la sensazione che non dovremmo mettere la macchina qui, a rigor di logica non vedo perché dovrebbe essere libero questo punto così comodo se ci sono doppie file dietro di noi, ma ignoro la questione.

Non è che crepi di fame.

La può pagare una multa, e io non ho la patente, non ho intenzione di mettermi a fare il precisino proprio ora.

− E perché siamo qui stasera? –

− Perché volevo vederlo nel suo elemento. –

Spegne il motore, toglie le chiavi dal quadro ma non scende dalla macchina, anzi. Slaccia la cintura e si gira verso di me, mi guarda dritto negli occhi.

− Nel senso che vuoi vederlo giocare? –

− Voglio vedergli fare qualcosa che gli riesce bene. Lui l'ha fatto con me. –

Alza le sopracciglia bionde, sistema gli occhiali da Sole. Li porta anche se è sera, praticamente sempre, sono più un accessorio che una necessità, per lui.

− È uno scambio, allora? –

− No, solo curiosità. –

Mi mette a disagio, espormi e parlare degli affari miei. Almeno, mi ci metterebbe se non fossi contraddittorio. Ma lo sono, e contro ogni pronostico, dire questa cosa ad alta voce, è come se mi sciogliesse un nodo nel petto.

− Hitoshi mi ha detto che se voglio rimanere un po' dopo la partita posso andare da lui. Ti riportiamo a casa, prima. Credevo che non avessi voglia di aspettare ma... −

− Va bene. Rimanere un po' dopo, intendo. –

Annuisce, allunga una mano.

Anche essere toccato non è una delle mie cose preferite.

Ma Denki l'ha sempre fatto e glielo lascio fare, quando mi arruffa i capelli e strizza il naso guardandomi come se fossi un cucciolo indifeso.

− Sei dolcissimo, 'Suki. –

− Non dire stronzate. –

Scende verso il lato del viso e mi spiaccica le mani sulle guance, impastandole fra di loro.

− Il mio piccolo 'Suki, piccolo, piccolo 'Suki. Se quello ti fa qualsiasi cosa lo rinchiudo nel mio sgabuzzino e lo faccio crepare di stenti, cazzo. –

Mi viene quasi da ridere, per il modo stupidamente tenero e ridicolo in cui parla e per come strizza la mia faccia fra le dita.

− Non mi farà niente. –

− Oh, sarà meglio per lui. –

Mi stringe ancora un po', si china e mi bacia la punta del naso, poi mi lascia andare.

Mi pulisco dal lucidalabbra con le mani e mi esibisco in una palese espressione di fastidio ma in realtà... in realtà sono un po' felice che sia con me. Non sarei mai andato da solo, ma così non solo è rassicurante, è anche... divertente.

− E comunque con la giusta luce la maglietta bianca è un po' trasparente. – commenta, con la mano sullo sportello.

− Eh? –

− Ti si vedono le bocce. –

− Denki! –

Sbatto lo sportello mentre esco, mi appoggio sopra la macchina per guardarlo male mentre fa lo stesso e rido, quando alza due volte le sopracciglia verso di me per prendermi per il culo.

Idiota.

Stupido, scemo idiota.

Chiude la macchina con il tastino, infila la chiave con il portachiavi a forma di pon-pon grande quando la mia mano nella tasca dietro dei jeans e sorride, prima di percorrere un paio di passi e aspettare che lo segua.

Lo faccio.

Certo che lo faccio.

Dopotutto siamo qui per me, no?

Siamo qui per me.

Io e Denki, tutti e due, siamo estremamente contraddittori insieme. Sembriamo davvero usciti da due mondi diversi, non ha il minimo senso che siamo assieme, siamo assortiti nel più improbabile dei modi.

Lui ha il passo svelto, ha sempre caldo, lo stile eccentrico. Gli ballano i fianchi quando cammina, la linea delle mutande gli rientra a vista sulla carne, il top non copre nemmeno metà della pancia. È pieno di anellini, sulle orecchie e sulle dita, di bracciali e gioielli.

Io sono... normale?

Normale, credo.

Normalissimo.

Forse un po' nerd.

Nessuno guarda me con gli occhi sgranati con cui guarda Denki ad ogni passo, ma la cosa non m'infastidisce, davvero, anzi, mi scherma un po' dalle attenzioni. Fa un po' ridere doverlo portare in giro perché attira davvero tanto lo sguardo, ma dall'altra lo catalizza al punto che mi sento molto più rilassato, quando lui c'è.

Di gente ce n'è parecchia, oggi, tra l'altro.

Non so se abbiano un campo da football particolarmente grande o cosa, ma fra i fan in trasferta come noi e quelli del posto, più ci addentriamo verso il liceo, più le persone si moltiplicano a perdita d'occhio.

Mi stringo verso il mio amico.

Lui si stringe verso di me.

− Tutto bene? –

− Tanta gente. –

− Conta. –

Chiudo le labbra e annuisco appena.

È una delle cose che mi aiuta, anche se sembra una stronzata. Spengo il cervello, lo mando in modalità automatica verso qualcosa di idiota e semplice come contare, lascio che Denki mi prenda dal polso e mi tiri dove devo andare.

È come se... mi rinchiudessi in una grotta a cantilenare fra me e me una canzoncina a caso mentre fuori il panorama cambia.

− Pronto? –

− Sì. –

Inizio a contare.

Conto l'uno, il due, il tre, poi il quattro, il cinque, il sei.

Chissà quanto ci vorrà per arrivare dall'altra parte del banco di persone. Chissà se c'è, un'altra parte oltre il banco di persone. Chissà se ci sarà Kirishima, laggiù.

Chissà se si sta allenando o se è nello spogliatoio prima della partita, chissà a cosa pensa, chissà se si aspetta di vedermi qui.

Che dirglielo non gliel'ho detto, ho come avuto la sensazione e l'impulso di sfidare la fortuna e vedere con i miei stessi occhi la reazione genuina che questo gli avrebbe generato.

Chissà se farà come ha fatto Hitoshi con Denki l'ultima volta.

No, non ha senso che lo faccia, non lo farebbe mai.

Ma sarebbe carino, no?

Hitoshi, l'ultima volta, ha passato il time-out a guardare il mio migliore amico ed è passato di fronte alla transenna, prima di tornare in campo. Si è sporto e quell'altro pure, l'ha baciato come se nulla fosse, ha sorriso come fa di rado.

− Quasi arrivati. –

− Ok. –

Non sto guardando da nessuna parte. Vedo ma non guardo, tengo le pupille defocalizzate e mi sento portare in avanti come da una mareggiata, molle e inerme.

Fai tu, Denki.

Io... io continuerò a bearmi dei miei pensieri ancora un po'.

Chissà se mi ha pensato, oggi. Chissà se ha pensato "vorrei davvero che Katsuki venisse a vedere la mia partita", chissà se sarà una sorpresa gradita.

Io odio le sorprese.

Kirishima sembra però quel tipo di persona che le adora.

So già che mi metterò a sorridere come un idiota quando saremo là, che gli punterò gli occhi addosso tutto il tempo, ma è anche dolce provare questa... impazienza, credo. Questa voglia di sapere e non sapere insieme, questo... misto di emozioni varie.

Non ho nemmeno portato i miei libri per difendermi, oggi.

Sono venuto disarmato.

Chissà che cosa ne tiriamo fuori, Kirishima, da questa stronzata.

− Quanto ancora? –

− Contane altri dieci. –

Il mio cervello ha continuato a contare di default, lo fa sempre, come il clock di un PC, senza che glielo chiedessi. Lo faccio partire e lo fermo, valuto dopo a che livello sia arrivato, per ora lo mando avanti.

Chissà se te lo aspetti.

Chissà se mi divertirò.

Se mai ci dovesse essere una seconda volta di tutto questo, potrei anche pensare di seguire il consiglio del mio migliore amico e venire un po' più scollato.

Ti piacerebbe?

Ti piacerei?

In che modo, per cosa, per quanto, come, perché?

Cazzo, se non mi rendi curioso in un modo che non mi sarei mai aspettato.

Quando il mio cervello conta centottantasette, le dita sul mio polso si slegano, esco dalla grotta del mio cervello, le lancette smettono di girare e ricomincio a prendere coscienza del mondo.

Siamo...

In un posto relativamente libero. Sotto una scalinata che immagino porti ad una tribuna, in una bolla vuota di persone, io e Denki vicini e nient'altro nel giro di un paio di metri da me. Qualcuno schiamazza e qualcuno ride, qualcuno passa e qualcuno rimane seduto, ma l'atmosfera è calma e non mi sento sopraffare dal panico.

Denki mi guarda negli occhi.

− Bene? –

− Bene. –

− Perfetto. –

Si appoggia con la spalla ad uno dei corrimani della scala, sporge di lato il fianco come fa di solito, caccia la mano nella tasca dietro dei pantaloni e tira fuori un pacchetto di sigarette.

Gliel'ho detto, che fa male, ma mi risponde sempre che è il suo modo di gestire la sua morte con stile, e devo ammettere che s'intona bene con il personaggio.

Ne mette una fra le labbra, l'accende, prende un tiro e mi guarda.

− Se c'è qualcosa che non va me lo dici subito, ok? Sembra esserci una barca di gente. –

Annuisco, lo fisso nel modo più cattivo che posso.

− Non trattarmi come se fossi un disabile. –

− Non lo sei, ma sei il mio piccolo 'Suki ed è mio compito difenderti. –

− Sei più basso di me. –

− E ho anche il cervello più piccolo, questo non cambia le cose. –

Mi fa la linguaccia e la pallina argentata cattura la luce per un attimo.

Ne ha uno anche all'ombelico, di piercing. È più visibile di quello alla lingua, ma non ci porta la pallina, ma una sorta di croce cristiana rovesciata che dice che lo fa sentire più fico.

Vai tu a capire cosa passi in quella scatola cranica vuota.

Prende un altro tiro e batte via la cenere.

− Emozionato? –

− Impaziente. –

Si sporge per pizzicarmi un fianco con le dita, poi ride sotto i baffi.

− Ti piacciono gli uomini sudati, eh? –

− Mi piacciono gli uomini grossi. –

Si lecca le labbra, fa "sì" con la testa. Lo sa, lo sanno tutti, lo sanno anche i muri. Mi piacciono alti, con le spalle larghe, è sempre stato così.

− Questo però è grosso davvero, 'Suki. Se ti dà uno schiaffo ti spacca in due. –

− Oh, già. –

Ripeto, diciotto anni e ormoni sono una scusante più che sufficiente per il bassissimo livello dei miei pensieri di stasera. Perdonate l'assenza di Katsuki intelligente, credo che al momento non sia disponibile.

− E non ci mette niente a tirati su, cioè davvero per lui non peserai nulla. –

− Esattamente. –

Idee poco caste nella mia giovane mente. Idee davvero poco, poco caste. Inizia a diventarmi la faccia rossa da quanto poco caste siano, che so di starle solo pensando, ma certe volte sono io stesso un po' troppo persino da solo.

Inspira ed espira, sbatte le ciglia e sorride.

− Stiamo partecipando alla tua fantasia porno in questo momento? –

− Vuoi una risposta onesta? –

− Non lo so. –

Rido e ride anche lui, mi avvicino, mi metto più vicino al suo corpo. Lo zucchero dei prodotti che usa è lievemente chimico e un po' troppo dolce, ma è buono, familiare, ormai ci ho fatto l'abitudine.

− Mi fa avere strane idee. –

− Non sono affatto strane. –

Cicca per terra, fuma più vicino al filtro, butta il mozzicone e mi mette le braccia tese sulle spalle, mi guarda dritto negli occhi.

− Non è mica un dramma se vuoi scoparti qualcuno. –

− Non lo è? –

Sospira.

− Certo che no! Cioè, dovresti lasciare il tuo tipo, ma se non vuoi farlo... sai che sono cieco se si tratta di 'ste cose, fai quel che ti pare. –

Storco il naso.

− Ah, giusto, c'è anche quello. –

− Sì. –

Non ho voglia di pensarci, respingo l'idea. Tanto anche se fantastico non succederà niente, e non sono di certo qui per fare in modo che accada.

Sono qui per una lievissima attrazione fisica che potrei provare.

Niente di più.

Niente di più.

− Vuoi salire sulla tribuna? –

− Se inizia fra poco sì. –

− Magari allora... −

Si ferma, si ferma e guarda dietro di me, con gli occhi velati per un attimo. Sembra che cerchi qualcosa, o che abbia riconosciuto qualcosa, ma nonostante gli servano per vedere, gli occhiali che porta non sono fatti per farlo.

Lo vedo confuso.

Lo vedo spalancare lo sguardo e poi stringerlo, piegare la testa.

E quando arrivo alla conclusione che l'unica cosa che posso effettivamente fare per sapere chi o che cosa abbia visto sia girarmi, sembra sbloccarsi.

Mi lascia andare, mi supera e inizia a correre.

E so prima di vederlo che cosa sta per dire.

− Hitoshi! –

Sospiro con calma.

Sarà passato a salutarlo. La loro storia è partita strana, è partita un po' confusionaria, ma da quando si sono ufficialmente messi assieme, sono sempre così.

Tensione sessuale che potresti affettarla con un coltello, baci e abbracci, Denki che urla e Shinso che ascolta.

Li odio.

Li odio ma sono carini.

Non evito di sorridere quando faccio per girare a guardarli.

Sento le mie labbra che si tirano su istantaneamente e li guardo, guardo come Hitoshi lo tiri su e come Denki gli stringa le gambe attorno alla vita, guardo come ridono, guardo come...

No, nel momento in cui iniziano a baciarsi smetto di guardare. Che sono carini ma io dovrei, o quantomeno vorrei, mantenere una parvenza di dignità.

Lancio lo sguardo di lato, dietro il ragazzo del mio amico e per un attimo mi sembra di vedere dei capelli rossi.

Capelli rossi?

Oh, ma sono rossi.

Rosso fuoco.

Rosso...

Faccio un passo piccolino.

Sistemo gli occhiali, aguzzo la vista, cerco di concentrarmi.

Sono rossi e sono sciolti, ci sono un paio di mani che li stanno legando, le braccia sembrano muscolose, il viso dolce.

È lui.

È Kirishima.

Ora vado a salutarlo.

Ora va...

A pochi centimetri da lui, pelle scura, scurissima, capelli rosa confetto, unghie lunghe. Ha la mano sulla sua spalla, sbatte le ciglia quando parla, impasta le labbra fra di loro.

Mina Ashido è il capo delle cheerleader.

Mina Ashido è più alta di me anche se sono un ragazzo, ha due tette vere e non i miei rispettabilissimi pettorali, le cosce sode, un viso dolce e la personalità espansiva. Lo guarda e gli parla, e mi sembra di morire.

Ma non è che...

Avrebbe senso.

Perché non dovrebbe?

La capo cheerleader e il quarterback stanno sempre assieme, no?

Non lo sportivo e il nerd.

Non l'ingegnere e l'atleta.

È stata un'idea di merda. È stata un'idea di merda dal principio, cazzo, ma cosa mi ha detto la testa? Sono fidanzato, non dovrei essere qui a fare la gattamorta con uno a cui faccio ripetizioni, non avrei dovuto coinvolgere Denki, non mi sarei dovuto illudere.

Dovrei essere a casa mia, sulla mia poltrona a fare i miei esercizi, non qui a mettermi in ridicolo.

Ora come glielo dico, a Denki?

"Mi ero fatto un film mentale che chiamarlo film è una riduzione, è più una dodecalogia con spin-off, ma poi mi sono ricordato di chi cazzo sono e di chi cazzo è lui e sono rinsavito."

Io...

Faccio per fare un passo indietro e allontanarmi ma Kirishima si gira, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.

Si gira e guarda Shinso, vede Denki, corre con lo sguardo in avanti.

Mi vede.

Mi sorride.

Il mondo si ferma.

Non so cosa stia succedendo.

Non so che cosa... che cosa pensare. Mina Ashido che cazzo ci fa lì? State chiacchierando? Lei ti piace? Tu le piaci? Ci esci assieme?

E perché mi stai guardando così? Ti piaccio io? Vuoi venire qui? Non te l'aspettavi? Non vuoi vedermi fuori da scuola?

Mi sembra di inciampare nei miei stessi pensieri.

Mi sembra di balbettare dentro la mia testa.

Rimango immobile.

Non reagisco, non sorrido di rimando né saluto, ma non scappo, rimango lì.

Kirishima guarda me. Si vede, mi punta gli occhi addosso, sta guardando me.

Fa un passo e un altro, poi si gira, guarda Mina Ashido.

È lontano due o tre metri, forse tre e mezzo, non vedo le sue labbra. O anzi le vedo, ma stanno dicendo "quanto è carino, ti prego" e mi convinco che sto sognando, che non è quello che ha detto, che mi sono confuso.

Ricomincia a camminare.

Dovrei scappare?

Dovrei rilassarmi?

Dovrei...

Ma io, in questa vita, ma onestamente, senza mezzi termini, ma io che cazzo dovrei fare? Com'è possibile che non sappia mai quale scelta prendere sotto questo punto di vista? È imbarazzante, miseria, che cazzo di genio voglio fingere di essere?

Non so nemmeno...

− Katsuki, sei venuto alla fine! –

Il mio cuore riparte.

Non so cosa fare.

Ma mi rendo conto in un attimo che forse non mi serviva poi tanto saperlo.

− Ciao, Kirishima. –

− Sono così felice che tu sia qui, non me l'aspettavo! Sei venuto a vedermi giocare? –

Mi si piazza davanti in divisa, due strisce nere che corrono sulle guance, il sorriso smagliante, la crocchia fatta di fretta che cede e si scioglie in una matassa di capelli rossi e lisci.

Gli stanno bene, sciolti.

Sembra più... selvaggio.

− Che cazzo sarei venuto a fare se no? –

− Oh, giusto! –

Mi fa male il collo, quando lo piego indietro per guardarlo. Ma non smetterei di farlo, quindi lo ignoro, lascio completamente perdere la sensazione.

− Stai... molto bene, oggi. – dice poi, guardandomi, fissandomi...

Ci sono le luci giuste?

Mi s'intravedono le...

Mi sta fissando il petto.

− Grazie. –

− Di nulla. –

Rimaniamo in silenzio, giusto per un attimo d'imbarazzo. Non so che cosa dirgli, ma credo che il problema non si ponga se è lui a...

− Sono così felice che tu ci sia, davvero! Volevo scriverti per uscire o qualcosa del genere perché di solito ci vediamo sempre a scuola ma non mi aspettavo che saresti venuto per davvero. –

− Tu sei venuto al laboratorio, era giusto che io venissi qui. –

Addolcisce lo sguardo, piega appena la testa.

− Ma non è uno scambio. Non sono qui perché te lo devo, sono qui perché... mi andava. – aggiungo dopo un'istante, cercando di salvarmi un po' dalle mie stesse parole.

Non voglio che pensi che per sia un patto o qualcosa del genere. Non lo è.

Sono qui perché è stato gentile con me, perché m'incuriosisce.

Non per altro.

− Davvero? –

− Già. –

Sorride e il riflesso è quello di stringere gli occhi per schermarli dalla luce. Come se fosse lui stesso il Sole, come se guardarlo direttamente potesse... essere troppo.

− Spero di giocare bene, allora, non voglio sembrare un cretino! –

− Ah, tanto non ci capisco niente, per me potresti passare il tempo a rotolarti nel fango e sarebbe uguale. –

Tira giù uno dei bordi della bocca.

− Non lo sai come si fa punto nel football? –

Scuoto la testa.

Rimane un attimo in silenzio, poi diventa appena più rosso in viso.

− Allora quando faccio punto mi giro verso di te così lo capisci. Però devi guardarmi, se no non funziona. –

Apro la bocca per parlare ma m'impappino e devo prendere un bel respiro prima di riuscire effettivamente a farlo.

− Devo... guardarti? –

Si tira su e spiaccia le mani sulla sua divisa.

− Sono il numero venti, non dimenticartelo. –

− Oh, come il mio compleanno. –

Alza appena le sopracciglia più in un gesto di sorpresa che altro, poi sorride.

− Sei nato il venti? Mese o giorno? –

− Non esiste un mese col venti, sono dodici in totale. –

− Ah, giusto. –

Mi viene da ridere e rido, solo un attimo.

− Il venti di aprile. –

− Quindi sei del Toro? –

− Ariete. Sai, l'opposto della Bilancia. –

− Io sono Bilancia! –

Mi mette le mani sulle spalle e le stringe, in un gesto di pura, semplice felicità. Non so perché lo rallegri così tanto questa cosa, è una stronzata, l'astrologia mica è una scienza.

Però non lo caccio e anzi, mi rilasso un po' al contatto.

− Che coincidenza. –

− Non è una coincidenza! Le stelle non mentono, Bakugō, Mina me lo dice sempre. –

M'irrigidisco.

Sente che m'irrigidisco e il suo volto passa da felice a preoccupato in un secondo.

Mi lascia andare subito, apre la bocca per scusarsi ma lo precedo.

− Conosci Mina? –

− Sì, siamo amici, io e lei. –

− Amici? –

Mi guarda strano, poi scuote la testa.

Eccolo.

Eccolo che mi dice "no, più di amici, stiamo insieme, lei mi piace, voglio uscire con lei."

Quantomeno abbiamo messo subito le cose in chiaro e non mi farò più seghe mentali su cose che neppure comprendo, cazzo. Menomale, in effetti, menomale.

− Migliori amici. –

− Migliori amici? –

Questa non me l'aspettavo.

Tira su un braccio e si gratta la nuca, guarda verso il basso e sorride ancora. Sembra che qualcosa lo imbarazzi, ma non capisco cosa, non ne ho idea.

− È di Osaka anche lei, abbiamo fatto le medie assieme. È bello ritrovarsi dopo tanto tempo, mi mancava molto. –

− Non ti piace? –

Se potessi mordermi la lingua e tagliarne via un pezzo per sputarlo fuori, lo farei. Se potessi sotterrarmi, spiaccicarmi a terra e mimetizzarmi col prato, se potessi mori...

− Oh, Dio, no! Non in quel senso, no, assolutamente no! Sembra che stiamo assieme? –

− Sai... il quarterback e la cheerleader non dovrebbero... −

− Lei è aro e io... preferisco i ragazzi. No, davvero, sembra che stiamo assieme? Non voglio che sembri che stiamo assieme, cioè almeno non a te, davvero, noi... −

Mi sento la faccia che va a fuoco, ma...

"Almeno non a te"?

In che senso, "almeno non a te"?

Nel senso che non vuole che metta in giro strane voci? Ma io non metto in giro voci, ho tipo tre amici, sai che gossip potrei mai fare.

Forse...

Ma che poi che cazzo sono qui a giudicarlo a fare? Io sono impegnato, cazzo, sono un ipocrita del cazzo.

− Preferisci i ragazzi? – tiro fuori con un filo di voce.

Idiota, idiota di un Katsuki, idiota scemo acefalo stupido coglione di un...

− Tecnicamente sono pan, ma non esco con una ragazza... dal primo anno di liceo. –

− Oh, ok. Grazie di avermelo de... −

− Se poi sono biondi divento uno zerbino. Amo i ragazzi biondi. –

− Tipo Denki? –

Ride, diventa ancora più rosso, discosta lo sguardo dal mio.

− Tipo te. –

− Ah. –

Se avessi una presa collegata da qualche parte, se fossi un dispositivo ad alimentazione esterna attaccato alla corrente, so che qualcuno in questo momento l'avrebbe staccata.

Perché c'è elettrocardiogramma piatto nel mio cervello.

Terra chiama Katsuki.

Rispondi, Katsuki.

Dove sei?

Houston, abbiamo un problema.

La sonda non risponde.

Dev'essere morto.

Dev'essere...

− Ma non è una regola fissa, cioè, è una cosa generica, non è che per forza tutti i ragazzi biondi mi piacciono, però mi piacciono i capelli chiari, ma in realtà... −

Alzo una mano e me l'appoggio contro il viso.

− Ti piace il colore? –

Prendo una ciocca fra le dita così per caso, di riflesso.

Segue il movimento e ammutolisce.

Sono un casino, i miei capelli, sono sempre un casino. Sono chiari, di quello che di norma si chiama biondo cenere, con un riflesso freddo che quasi tende al grigio.

Non ho mai pensato che fossero...

Fa "sì" con la testa.

Allunga la mano e la mette vicino alla mia, accarezza un secondo il lato del mio viso, poi si stacca come se scottassi, diventa tutto rosso.

− Devo... mi sa che devo andare. La partita sta per iniziare e... −

− Vai, ci vediamo dopo. –

− Ok, ora... −

Fa un passo indietro ma non si gira, mi guarda e basta.

− Ricordati di guardarmi, eh. Il venti, come il tuo compleanno. –

− Me lo ricorderò. –

− Per... perfetto. –

Ne fa un altro, di passo, ma non smette di rimanere rivolto contro di me.

Ha il viso scurito dal sangue che circola sulle sue guance, ma lo sguardo serio. È come se fosse in imbarazzo per quello che ha detto ma contemporaneamente davvero deciso.

Muove le labbra, ma non parla, l'ennesima volta.

Credo che sia... la nostra cosa, ormai. Quella in cui lui parla in un modo che solo io posso capire e in cui lascia che le cose arrivino alla mia testa e in nessun altro posto.

"Grazie di essere venuto, ci speravo tanto. Sei sempre più bello, non so come sia possibile."

Il mio viso si distende come l'altra volta in laboratorio. Si distende e sorride, lui mi guarda e rimaniamo così per un attimo, prima che la tensione si spezzi e si giri verso Shinso per andare. Si danno una pacca sulla spalla ciascuno, Denki ruba un ultimo bacio dalle labbra del suo ragazzo e scompaiono nel marasma come ne sono usciti.

Io rimango immobile.

Immobile mentre aspetto che il mio migliore amico si avvicini.

Io...

− Sì. –

− Eh? –

− La risposta alla domanda di prima, se gli piaci. Sì, 'Suki. Gli piaci. –

− Sei sicuro? –

Mi raggiunge, mi stringe una mano e fa per trascinarmi verso le scale, sulla tribuna.

− Mano sul fuoco. –

− Se lo dici tu. –

Cerco di tornare su questo pianeta ma faccio un po' di fatica. Devo prepararmi psicologicamente ad altre persone e altro casino, devo...

− E a te piace lui. –

− Scusami? –

Denki sospira, scuote la testa.

− Segnatelo, perché sto per fare una delle mie previsioni. –

− Denki, non sto capendo un caz... −

Solenne, quando lo dice. Solenne nonostante i vestiti, l'ambiente, il contesto, tutto quello che ci circonda. Solenne come se stesse mettendo una pietra miliare nella vita di entrambi.

− Non mi chiedere perché lo so, perché non saprei spiegartelo, ma ho percepito una cosa. –

− Che cosa? –

Non mi fido delle previsioni di Denki, non mi fido di... di cose che non c'entrano con la scienza, di cose senza prove sperimentali, di stronzate campate in aria.

Ma il fatto che non ci creda non impedisce a Denki di farlo e soprattutto non gli impedisce di sputarmi addosso tutte le sue speculazioni.

− Katsuki Bakugō, quello è l'amore della tua vita. –

− Eh? –

− Ho detto quel che ho detto. Non si torna indietro. −

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

super super super grazie per l'aiuto a SaikiKM, elyn0108, gattarasenzasperanza, -unaliive tysm fr ily all <3 <3

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top