𝚞𝚗𝚝𝚒𝚕 𝚝𝚑𝚎 𝚏𝚊𝚕𝚕
⟿ ✿ TW :: menziono un DCA (in maniera non molto esplicita, ma qualche riferimento c'è). SE LEGGO QUALCOSA TIPO "eh ma i maschi non hanno DCA" oppure "eh ma non può sembrare così sicuro di sè se ha avuto un DCA" m'incazzo. non sto difendendo le mie scelte perchè eh ma io scrivo così, difendo una realtà, cioè il fatto che molte persone che hanno sofferto di DCA manifestano il loro disagio nei confronti del loro corpo mettendolo in mostra il più possibile, un po' come il meccanismo che porta dalle molestie all'ipersessualità o al satirismo. non invalidate le esperienze altrui perchè la vostra è diversa e non fate commenti che possono dar fastidio alle persone che mi leggono (perchè vi ammazzo a mani nude lol)
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Incastro il telefono fra la spalla e il viso come riesco, arraffo le cose disordinate e disperse in camera mia di fretta, apro lo zaino, inizio a buttare dentro la roba.
– Non mi risponde, Denks, non mi risponde da ieri. Dev'essere successo qualcosa e voglio sapere che cosa, perché se si è trovato una tipo e mi sta lasciando, giuro che... –
– Non ci credi manco tu. –
No, non ci credo manco io.
Per questo sono preoccupato.
Per questo sto facendo qualcosa che di norma non farei mai con qualcuno nella posizione di Kirishima.
– So soltanto che di solito mi scrive un messaggio ogni quindici secondi e che ora sono quasi ventiquattr'ore che non mi caga. So che stamattina non era a scuola. –
– Quel che è successo non è che si è trovato un altro, però. –
– No, non lo è. Lo so che non lo è. Stavo scherzando. –
Il pigiama mi serve? Non credo, ma...
Infilo il pigiama nello zaino.
– Hai intenzione di presentarti là di punto in bianco? –
– No. Sì. Non lo so. Voglio solo vedere come sta, Denki. –
Se mi serve il pigiama allora anche lo spazzolino. Certo, potrei usare il suo che non mi sembra abbia particolari problemi con la mia saliva, ma...
– Hai intenzione di piombare a casa sua e di presentarti ai suoi solo perché non ti ha risposto per un giorno? –
– Guarda che non è che mi ha ghostato. È che è successo qualcosa. Sono preoccupato per davvero, Denki. –
Lo sento sospirare, il rumore di lenzuola che si arruffano di sottofondo alla sua voce mi fa capire che è a letto, me l'immagino steso a pancia sotto con le gambe tirate su come fa sempre.
Lo so come sembra.
Lo so che sembra che io stia facendo lo psicopatico.
Lo so che sembra che Kirishima abbia voluto prendersi un attimo di pausa e che io stia invadendo la sua pace decidendo di presentarmi da lui.
Ma so quel che faccio.
Non so dove ho trovato il coraggio di prendere questa decisione, ma so quel che faccio.
– Kat, magari sta passando un momento in cui vuole stare da so... –
– Eijirō è molto onesto su queste cose. Se quello fosse stato il suo obiettivo, me l'avrebbe detto. –
– Ma... –
Il libro di fisica direi che non mi serve.
Me lo porto come portafortuna?
Beh, potrei.
Ecco...
Lo caccio dentro lo zaino.
– Non so se ha bisogno di me, Denki, so solo che se domani scoprissi che aveva bisogno del mio aiuto e io sono rimasto a casa perché avevo troppa paura di fare un passo dalla sua parte mi sentirei uno schifo. Magari sto facendo una stronzata, ma... –
– No, non penso che tu stia facendo una stronzata. Solo questa cosa mi sembra strana e non so bene come prenderla. –
– Strana? –
– Insomma, Katsuki, non è proprio da te prendere le situazioni di petto invece che passare le tue giornate ad autocommiserarti pensando che tutti ce l'abbiano con te, non credi? –
– Oh, 'fanculo. –
– Lo sai anche tu che è vero. –
Mi scappa una mezza risata perché ha ragione, Denki ha ragione, ha sempre ragione.
Fisso la custodia dell'apparecchio acustico.
Sì, forse anche quella.
La butto dentro lo zaino.
– È che credo sia successo qualcosa per davvero, questa volta. Credo anche che non sia colpa mia. Credo che se mi spaventassi e mi chiudessi in me stesso... me ne pentirei. E credo anche che... –
Mi sposto verso il bagno.
Inizio a cacciare dentro cose a caso che potrebbero servirmi.
– Che Eijirō stia male davvero. –
– Se stesse male davvero come dici, tu... tu come ti sentiresti? –
– Come quando stai male tu. Perso. –
Lo dico con onestà e con chiarezza, da una parte perché il mio interlocutore è il mio migliore amico, dall'altra perché ho fretta, troppa fretta per ragionarci su.
– È una cosa dolcissima, questa che stai dicendo. –
– È la verità. Se state male, se non siete come al solito, se cambiate rispetto a come siete normalmente mi sento perso. E quindi vorrei aiutarvi. In questo caso... lui. –
– Sei la persona più adorabile del mondo. –
– Stai zitto. –
– Posso anche star zitto, questo non cambia le cose. –
Mi guardo intorno.
Che altro?
Il caricabatterie l'ho preso?
Mi pare di sì, sì, l'ho preso.
I vestiti?
Sì, anche quelli.
I libri sì, le cose per lavarmi la faccia sì, le relazioni di laboratorio sì, il badge del liceo sì, la...
– Mi scrivi quando hai un attimo per farmi sapere come va, poi? –
– Ti scrivo appena posso. O al massimo ti racconto domani. –
– Se fate sesso mi scrivi subito. –
– Non credo proprio che faremo sesso, Denki. –
Sbuffa alla mia risposta, io continuo a cercare di capire se ho preso tutto, se sono effettivamente pronto ad una missione alla cieca che probabilmente sarà un disastro alla ricerca del mio non-fidanzato che mi piace più del mio teoricamente-fidanzato.
Miseria, se non sono infilato e stipato dentro il carrellino traballante di una vecchia montagna russa.
Mi sento proprio sballottato.
Non che non sia divertente, ma...
– Te lo posso fare un complimento o mi disintegri? –
– Che complimento vuoi farmi? –
– Uno sincero. –
Metto la chiamata in vivavoce, schiaffo il cellulare sul letto, il suono delle parole di Denki rimbomba nella stanza mentre m'infilo un paio di pantaloni sopra le mutande e cerco i calzini in fondo al cassetto.
– Sono davvero fiero di te. Stai facendo una cosa matura e stai facendo uno sforzo per qualcuno a cui tieni, è davvero bello da parte tua. Sono fiero di te, 'Suki. –
Schiaccio le labbra assieme, le mie guance si scuriscono mentre faccio il fiocco ai pantaloni della tuta per niente eleganti ma sicuramente piuttosto comodi.
– Non dirlo. –
– Certo che lo dico, è la verità, ti meriti di sentirlo. –
– Sì, ma mi metti in imbarazzo. –
– Non me ne frega assolutamente niente, 'Suki. –
Ha la voce leggera, felice, ridacchia piano alla cornetta.
M'infilo una felpa sopra la maglietta, cerco la sciarpa mollata da qualche parte sulla scrivania.
Devo fare solo una decina di minuti a piedi per andare a casa di Kirishima, lo so perché qualche volta siamo tornati a casa assieme da scuola quando Denki non c'era e dovevo prendere il bus, ma non ho comunque intenzione di sentire freddo.
I guanti?
I guanti sono qui.
La sciarpa...
– Grazie, Denks, anche se mi vergogno dei tuoi complimenti di merda. –
– Prego, idiota, anche se non apprezzi mai i miei sforzi. –
Eccola.
La prendo, la infilo e la giro due volte attorno al collo. È tanto spessa che mi copre metà della faccia.
Infilo i guanti, carico lo zaino, lo appoggio sulle spalle.
– Ora vado. Ci sentiamo dopo. –
– Ricordati che sono fiero di te. –
– Ti odio. –
– Lo sappiamo tutti e due che non lo fai. –
Allontano la cornetta dal mio viso.
Guardo l'immagine che campeggia sullo schermo, uno di quei selfie scemi che mi manda nei momenti più disparati della giornata.
– Ti voglio bene. – borbotto.
Poi chiudo la chiamata, perché non voglio sentire la sua risposta e perché m'imbarazzerebbe affrontare il fatto di essere riuscito a dirlo per davvero.
Oggi è una giornata di scoperte, eh?
Di cose nuove.
Miracoloso.
O forse solo terrorizzante.
Apro la porta di camera mia, mi sistemo lo zaino addosso e esco, le gambe più svelte di quanto non vorrei fossero, diretto in un posto che proprio non immaginavo avrei visitato in un'occasione simile.
Come ho già detto, Eijirō non mi risponde da ieri. Non ha visualizzato i miei messaggi, non ha risposto alle chiamate, non ha guardato la storia che ho messo ieri sera, né la mia, né quella di Denki, né quella di Kyōka, né tantomeno quella di Hitoshi.
Oggi a scuola non c'era e...
Sta male.
So che sta male.
Io mi sento di sapere che sta male.
Solo che vorrei sapere che cos'ha, e vorrei dargli una mano, e vorrei...
Per me è davvero un atteggiamento strano, me ne rendo conto.
Qualche settimana fa ho passato una notte a piangere e ad autocommiserarmi per avergli mandato una foto del culo, al minimo cenno di disinteresse quella sera alla festa ho subito pensato che mi odiasse, prendo ogni atteggiamento sempre nel modo peggiore, come un rifiuto, come un "no".
Però ora è diverso.
Non so spiegare perché lo sia, se per i comportamenti che ha avuto con me negli ultimi giorni, o per qualsiasi altra cosa.
So solo che...
– Dove vai? –
Mi blocco con la mano sulla maniglia della porta di casa.
Giro il volto verso destra, mia madre è sullo stipite della cucina, le braccia incrociate, lo sguardo indagatore.
– Da Kirishima. –
– Il ragazzo coi capelli rossi? –
– Lui. –
Alza le sopracciglia.
– E ti porti lo zaino perché... –
– Non so se torno. Forse sì, non ne ho idea. –
Apro la porta, il freddo che filtra attraverso lo spiraglio che ho creato m'invade la faccia.
– Devo rifarti il discorsetto delle precauzioni, Katsuki? –
Sento le mie guance scurirsi.
– Dio, mamma, no! Non vado mica a... –
– Le malattie veneree sono una merda. Non sono certo un problema le gravidanze indesiderate ma guarda che le malattie... –
– Non vado per fare sesso! Perché tutti pensate che vada per fare sesso? –
– Hai diciott'anni e stai andando a casa del tuo ragazzo con lo zaino per rimanere a dormire, cosa devo pensare che facciate da soli? Giochi a carte col tuo ragazzo, Katsuki? –
– Kirishima non è il mio ragazzo! –
– Sì, e io non sono tua madre. –
Ho il viso talmente rosso che credo se ci appoggiassi sopra le dita mi scotterei.
Perché tutte le persone della mia vita sono così...
Invadenti?
– Non sono cazzi tuoi cosa vado a fare con Kirishima, mamma. Sono grande, sono adulto, non t'intromettere. –
– Se mi torni con l'AIDS ti ci meno sopra. –
– Non vado a fare sesso! –
Si avvicina a me di qualche passo, mi squadra, socchiude gli occhi.
– Devo crederti? –
– Puoi anche non credermi, basta che... –
– Mi piace quel ragazzo, sembra gentile ed è carino, ma non mi va che tu faccia stronzate. Quindi conto sul fatto che tu faccia il bravo. –
Tiro fuori un sospiro esasperato.
– Faccio il bravo, mamma, faccio il bravo. Non sto andando a fare niente di losco. –
– Mmh, vedremo. –
– Mamma! –
Mi raggiunge, mi guarda il viso. Mi prende le guance con le mani e si china verso di me.
– Copriti bene, che fa freddo. E se i suoi genitori ti trattano male chiamami che vengo a dare qualche calcio nel culo. –
Mi stampa le labbra sulla fronte.
– Non mi tratteranno male, mamma, ma che dici. –
– Se dovessero farlo tu mi chiami e ci penso io. –
Mi scappa una risatina, scappa a lei.
Per un secondo mi godo le sue mani su di me, la sensazione familiare e pacifica di qualcosa che per me è sempre stato così e sempre sarà così.
– Non fare casini. –
– Va bene, mamma. –
– Dammi un bacio prima di andare, su. –
Cerco, e fallisco, di reprimere un sorriso che mi si apre sul volto quando mia madre mi presenta la guancia e io mi sporgo verso di lei per darle un bacio.
Profuma, mi dà sempre una sensazione tanto piacevole, lei.
È una stronza.
Però... è anche la mia mamma.
E mi farà sempre sentire bene e al sicuro, perché lo è e perché è, tutto sommato, davvero una buona madre.
L'attimo dopo sono col culo sul porticato di casa mia, al freddo, che ancora sorrido e ancora penso che nonostante tutto, nella vita, io sono stato davvero fortunato.
Inizio a camminare prima che il freddo mi congeli.
Le mie gambe si muovono in automatico verso destra, verso il fondo alla via che mi si presenta di fronte agli occhi, la mia testa inizia a vagare e le mani si chiudono fra di loro dentro le maniche cercando di non cadere a pezzi rinsecchite dal vento.
Dieci minuti.
Solo dieci minuti.
E poi sarò...
Io non so niente di Kirishima. Mi salta il pensiero alla testa come una lampadina che s'accende, compare e si espande nella mia mente. Io non so...
Certo, so un sacco di cose. So che è alto, so che è bello, so che cosa dice quando è contento, cosa quando non lo è, so com'è il suo viso arrabbiato, so com'è calmo e come quando il sangue gli ribolle nelle vene, so che sapore ha, cosa si prova a toccarlo, cosa a vederlo da vicino.
Però ci sono un sacco di cose di cui non ho idea.
Le case mi scorrono accanto, cerco disperatamente di ignorare il mio naso che si ghiaccia.
Non ho mai visto i suoi genitori.
Non so nemmeno che faccia abbiano.
Non so come sia fatta casa sua, non so se viva in una casa unifamiliare come la mia o con qualcun altro, non so perché si sia trasferito qua da Osaka, non so...
Magari potrebbe essere un'occasione per conoscerlo meglio?
Spero di sì.
Spero...
Ho paura che mi dica che non vuole vedermi. Lo facesse rispetterei questa cosa, perché se sta male come temo stia non è detto che gli vada di vedere qualcuno, ma...
Chissà se i suoi genitori mi faranno entrare in casa.
Magari mi odiano per davvero.
Magari...
La vedo in fondo alla strada.
Da fuori la riconosco.
Ha le pareti chiare, di un rosa pallido, c'è il giardino, la cuccia del cane, la macchina parcheggiata sul vialetto.
Mi affretto.
Magari ce l'ha con me.
No, no, perché dovrebbe? L'ultima volta che ci siamo visti ci siamo baciati e ok che dopo la competizione sportiva non abbiamo avuto tanto tempo da soli perché tutti volevano festeggiare il vincitore, ma mi sembrava felice, mi sembrava contento che fossi là.
Non mi pare di aver fatto niente di male.
Shindō non lo sento dalla festa, quindi...
L'aria si tinge della condensa del mio respiro di fronte al mio naso.
No, è tardi per pentirti.
È tardissimo.
Ora lo fai, Katsuki.
Non vale tirarti indietro perché hai paura, Kirishima sta male, questo è l'importante, non che tu sia un maledetto insicuro cronico col terrore di sbagliare tutto.
Al massimo piangi dopo se va tutto male.
Ma quantomeno ci provi.
Se lo merita.
Se lo merita davvero.
Vedo il cartello col numero della via farsi più grande di fronte ai miei occhi, i dettagli farsi più chiari, più definiti.
La luce del piano di sotto è accesa, le tende semi-aperte mostrano di visibile solo l'immagine della televisione accesa, qualcuno in casa c'è di sicuro.
Cosa sto facendo?
Presentarmi qui così di punto in bianco è un'idea davvero...
No.
È la cosa giusta.
È la cosa...
Mi stringo nelle spalle.
Non le faccio, io, queste cose. Non le ho mai fatte. Non prendo mai questo tipo di situazioni con coraggio infilandomici a capofitto per cercare di risolverle. Sono un codardo, io, uno che fugge, che si protegge, che si scherma dalle cose che succedono fuori.
Però so che mi rende una persona migliore, provarci.
So che mi rende una persona che ci tiene.
Migliorare non può spaventarmi.
Crescere non può farlo.
Fare un passo dalla parte di Kirishima, non può farlo.
È giusto così.
Odio l'idea che stia male.
Spero solo di poterlo far sentire... un po' meglio.
Arrivo al vialetto, m'imbuco sui ciottoli lisci, lo percorro con le ginocchia che tremano e arrivo di fronte alla porta terrorizzato ma al contempo dannatamente convinto di quello che sto facendo.
Non ci penso troppo, perché so che mi bloccherei, tiro su la mano e premo il dito sul campanello.
Suona e si sente oltre la porta.
Suona.
Suona e il panico mi pervade, la situazione si fa seria, le conseguenze di quel che ho deciso di fare mi si presentano pratiche, ora, reali, più che speculate nei miei pensieri.
L'ho fatto.
E ora?
Merda.
Ora che succede?
Non avrei dovuto, vero?
E se va male?
E se mi odiano?
E se sono omofobi e mi picchiano?
E se rovino la vita di Eijirō?
E se...
Sono sul punto di girarmi e correre via, quando la porta si apre. Sono in quella fase di incertezza totale, di panico e terrore, quando sento la serratura sbloccarsi, quel momento in cui ti rendi conto di aver fatto qualcosa e vorresti non averla fatto.
Mi ritrovo là, inchiodato dalle mie azioni.
Là, con una donna alta, decisamente molto alta, che infila la faccia fuori dalla porta e mi guarda, incuriosita, sorpresa, sullo zerbino di casa sua con la mano ancora alzata accanto al campanello.
Il mio cervello si svuota.
Oh, merda.
L'ho fatto.
E ora che dico?
È la madre di Eijirō, è lei, devo dire qualcosa, devo davvero dire qualcosa, devo...
Mi precede.
Si gira.
Credo si rivolga al salotto.
– Amore, vieni! È lui, è Katsuki! Vieni, è lui, ed è molto più carino di quanto non ci abbia detto Eijirō! –
Rimango a bocca aperta.
Eh?
– Entra, entra, fa freddo. Prego. –
Si sposta dalla porta e mi mostra l'ingresso di casa, io reagisco in automatico perché il mio cervello e le mie sinapsi sono completamente bloccati, metto piede in casa senza pensare, mi tolgo le scarpe quasi di riflesso.
– Sei così carino, miseria, così carino! Ti prego, non è adorabile? –
La madre di Eijirō si gira di spalle, un'altra figura spunta dal salotto verso di me, con la stessa identica espressione, sorpresa e curiosità, sparse sul viso.
Oh, non lo sapevo, questo.
Non c'avevo mai fatto caso, non gliel'avevo mai chiesto.
Kirishima ha due mamme.
La seconda donna, se possibile ancora più alta della prima, coi capelli scuri e folti legati in una coda e lo stesso, identico sorriso di Kirishima, spalanca gli occhi quando mi vede e si pianta le mani sulle guance.
– Oddio, è adorabile. Sembra un angelo. –
– Vero? Guarda il colore dei suoi capelli! Sono... –
– Bellissimi. Merda, Ei non mentiva, è davvero la cosina più carina del mondo. –
– Lo è, lo è, ti prego. –
Non so come reagire.
Come dovrei...
Cosa dovrei dire?
Mi stanno facendo dei complimenti, ma...
– B... buongiorno. – mi costringo a dire, ma la voce mi trema, mi sento tremendamente... timido.
La prima donna che ho visto, quella un po' più bassa, con i capelli castani e il viso più dolce, sbatte le ciglia verso di me.
– Anche la voce è adorabile. –
– È così carino. –
Spalanco gli occhi come un cervo di fronte ad un'auto in una strada di notte, i pochi, sporadici pensieri che ricominciavano ad addensarsi nella mia testa si diradano di nuovo.
– Io sono... –
– Lo sappiamo chi sei, sei Katsuki, Eijirō parla sempre di te. Bakugō, vero? Non vivi in fondo alla strada? –
– Ecco... io... sì, io vivo... –
– Miseria, avrebbe dovuto avvertirci che saresti venuto, è stato un colpo al cuore. –
Porto lo sguardo verso terra.
È tutto molto dolce, ma...
– No, è colpa mia. Lui non sa che sono qui. –
– Eh? –
Ok, riprenditi, Katsuki, riprenditi o qui ti mangiano vivo. Su, fai qualcosa che...
– Eijirō sta male, vero? Non mi risponde al telefono e volevo solo... –
– Oh. –
Alzo lo sguardo e quel che mi accoglie in un attimo perde tutta l'enfasi, tutta la dolcezza del trovami... adorabile, credo, e diventa molto più serio.
– Sei venuto perché sei preoccupato per lui? –
Annuisco.
– Mi dispiace di essermi presentato così di punto in bianco, ma... –
– Non so se è un buon momento. Onestamente. –
Non è un buon...
No, no, non ti puoi arrendere così.
Non puoi.
– Non voglio farlo stare peggio, lo giuro, vorrei solo... vederlo? Parlargli, magari. Solo dirgli che sono passato. Giuro che non voglio disturbare. Non voglio... –
– Ragazzino, non lo diciamo perché non ci piaci, ci piaci e dal vivo sei ancora meglio. Solo che Eijirō ha dei problemi... personali di cui non parla volentieri e non vorrei che dovessi... –
– Non voglio invadere la sua privacy. Non voglio, davvero. Non gli chiedo niente, giuro. Voglio solo dirgli che sono... qui. –
La prima donna che ho visto si gira verso la sua compagna che fino ad un attimo fa mi stava parlando, le appoggia una mano sul braccio.
– Eijirō è grande. Se non vuole vederlo glielo dice da solo. –
– Sai che non è bravo a dire di no. –
– Lo so, ma... è Katsuki. Sei sicura che non voglia vederlo? –
– No, ma... –
– Non essere iperprotettiva. Se poi stasera scende a cena e tu gli dici che non gli hai fatto vedere il suo ragazzino carino perché sei stata iperprotettiva s'incazza. –
La mia faccia si scurisce come ha fatto una decina di minuti fa con mia madre.
Io e Kirishima non stiamo...
– Dubito che scena a cena. –
– Lo facesse cosa gli diresti? Gli dici una bugia? Secondo me... –
– Non lo so. –
– Dagli una chance. Non ci siamo fatte fare una testa così su Katsuki per poi metterci in mezzo, no? –
Tutte e due si girano verso di me.
Mi sento improvvisamente minuscolo.
La donna più alta, quella che somiglia di più ad Eijirō mi si avvicina.
Sembra studiarmi.
Io...
– Non voglio farlo stare male. Non lo farei mai, mai. Lui mi aiuta sempre quando sto male, c'è sempre, vorrei solo poter fare... lo stesso. Io ci tengo, ad Eijirō. Giuro che ci... –
– Sali. –
La voce cala come una mannaia sulla mia.
– Eh? –
– Prima porta a destra dopo le scale. Bussa, senti se vuole che entri. Se la prossima volta che lo vedo sta peggio io e tua madre ci facciamo una chiacchierata. –
Lei e mia madre...
Oh, sarebbe uno scenario apocalittico.
Sarebbe...
– Grazie. Grazie, davvero, gra... –
– Eijirō ha ragione. Con la faccina carina che hai dirti di no è impossibile. –
Si sposta, mi mostra l'inizio delle scale.
– Grazie. – ripeto.
Alza il mento verso di me, come a dirmi "vai", poi mi sorride e il sorriso è identico, uguale e spiccicato a quello che mi fa battere forte il cuore di solito.
È...
Sarò anche io, quello carino, piccino e adorabile – tutte cose che non sono, ma contraddire le mamme di Kirishima mi terrorizza e quindi ho permesso loro di dirlo – però qua, miseria, qua si condividono tutti una bellezza davvero sfrontata.
Ci credo che Eijirō è così.
Sono...
Mi ci lancio, sulle fottute scale.
Salgo i gradini due a due.
Anche se mi viene il fiatone perché non sono proprio un atleta, mi ci butto lo stesso, perché...
Vedo la porta.
Eccola.
Non la apro, ovviamente, non mi ci butto sopra per spalancarla, però ci vado incontro, mi ci avvicino di fretta perché ce l'ho fatta, ho completato la mia missione, perché dall'altra parte c'è...
Mi fermo.
No.
Sono troppo agitato.
Troppo agitato, troppo veloce, troppo...
Ok, ok, hai fatto, Katsuki. Hai raggiunto il tuo obiettivo, sei arrivato qui.
E ora, ora inizia...
Prendo un grande respiro. Riempio i miei polmoni, mi fermo, mi arresto col volto verso il legno della porta chiusa, chiudo gli occhi.
Ora inizia la parte quella importante.
Ora c'è lui, di là.
Ora...
Non so cos'abbia.
Però ho il sentore che c'entri il suo problema, quello che riguarda il... cibo. È l'unica cosa che mi pare poterlo rendere così e immagino lo sia, e...
Tatto, Katsuki.
Calma.
Devi farlo star meglio.
Devi...
Puoi farcela?
Non ne ho idea.
So solo che se c'è una chance io voglio... provarci.
Ci tengo tanto, tanto davvero.
Quindi...
Mi sfilo lo zaino dalle spalle, lo appoggio sul tappeto.
Chiudo la mano in un pugno.
Busso.
Il rumore rimbomba nel vuoto assoluto, scompaiono sia il vociare dal piano di sotto sia qualsiasi altro suono io possa percepire, rimane solo il rintoccare della mia mano sul legno.
Aspetto.
Non ricevo alcuna... alcuna risposta.
Magari dorme.
Magari...
Non importa.
Sei qui per mollare, Katsuki? Sei qui per farti spaventare? Non hai affrontato le sue madri per poi arrivare qui e scappare, cazzo, non hai combattuto contro te stesso per mollare così.
Vuoi farlo, no?
E allora fallo.
Una volta nella tua vita, una, prenditi quello che vuoi senza farti sconfiggere dalle tue paure.
– Eijirō? Sono io, Katsuki. Non so se puoi sentirmi, spero di sì. Sono venuto a vedere come stai. – dico alla porta chiusa.
Di nuovo, non ottengo risposta.
Ma non importa.
– Mi sono spaventato perché sei scomparso così tutto un tratto e... non voglio incolparti di questo, lo so che non stai bene, me lo sento, però non è da te e sono venuto a dirti che... –
A dirgli cosa?
A dirgli...
– Non lo so cos'è successo. Però se è successo qualcosa e stai male io sono qui. Se vuoi parlarmi, se vuoi sfogarti con qualcuno, se vuoi... una mano. Sono qui, io sono qui. Per te. –
L'ho detto.
L'ho detto, l'ho...
– Non mi devi rispondere per forza. Va bene anche se non mi rispondi. Mi va bene anche stare qui fuori. –
Chissà se mi sente.
Chissà cosa pensa.
Chissà se...
– Forse sei in un brutto posto... con la testa. Non voglio intromettermi, assolutamente, però... io mi sento tanto meglio quando non sto bene e tu mi aiuti. Come quella sera alla partita che non sentivo niente e mi hai dato una mano, mi sono sentito tanto meglio. Quindi ho pensato che magari... –
Appoggio la fronte contro la porta.
Non so perché lo faccio.
Lo faccio e basta.
– Magari posso darti una mano. Non voglio essere arrogante, magari non serve a niente e ti sto solo dando fastidio, però se c'è una minima possibilità che possa farti stare meglio allora voglio provarci. –
Mi guardo le mani dall'alto.
Mi sfilo i guanti e li metto nell'unica tasca della felpa che porto, quando le mie dita sono finalmente libere le incastro le une sulle altre.
– Lo so che sono successe tante cose fra noi. Però questo non c'entra con quello, ok? Non sono qui perché mi piaci. Sono qui perché... –
Perché...
– Sei una persona importante per me, Eijirō. –
Magari sto parlando da solo.
Anche lo stessi facendo, non sarebbero parole sprecate.
Credo in quello che dico.
Non so dove trovo il coraggio di dirlo, ma ci credo.
– Sei la persona più forte che conosca. Però questo non vuol dire che qualche volta non abbia bisogno di una mano anche tu, no? Anche tu stai male. Mi piacerebbe poterti aiutare quando stai male. Non sono molto bravo con queste cose ma mi sono detto che posso... provarci. Voglio provarci. Per te, voglio provarci. –
Sto...
Oh, merda, mi sto... aprendo.
Mi sto aprendo con Kirishima e questa cosa non fa nemmeno un po' della paura che mi aspettavo avrei provato.
È così... strano.
Così...
– Se c'è qualcosa che posso fare, dimmelo, ti prego. Qualsiasi cosa. Non so bene come poterti aiutare però se tu lo sai magari in due riusciamo a fare qualcosa. Non ce la caviamo male quando facciamo le cose insieme. Certo, l'unico termine di paragone che ho sono i compiti di matematica... ma varranno pur qualcosa, no? –
Mi scappa una risata, ma non è una risata felice, è una risata... un po' triste.
– Io rimango qui. Mi siedo qui fuori. Tu prenditi tutto il tempo che ti serve, io sono qui. Se vuoi che me ne vada dimmelo, me ne vado subito. Intanto... rimango qui ad aspettare. Spero che le tue mamme non mi caccino di casa, solo, fuori fa un freddo cane e ad aspettare sotto la tua finestra mi congelo il culo. Però intanto rimango qui. –
Mi abbasso sulle ginocchia, poi mi lascio cadere indietro, mi siedo a gambe incrociate di fronte alla porta.
– Quando vuoi dirmi qualcosa io sono qui. Però non voglio metterti fretta, quindi... non devi per forza fare qualcosa. Non so bene cosa sto dicendo. Diciamo solo che... –
Mi mordo l'interno della bocca.
Mi viene da piangere, cazzo.
Ma sarà mai possibile che...
– Ti voglio bene, Eijirō. Non so chi o cosa ti abbia fatto stare male ma se capisco cos'è lo ammazzo. Non è giusto che facciano stare male te. Tu non te lo meriti. –
Appoggio di nuovo la fronte contro la porta.
– Spero di poterti dare una mano. –
– Non voglio che tu te ne vada. –
La voce che mi arriva dall'altra parte della porta è flebile, un ricordo del tono forte e entusiasta che sento sempre, tremolante, incerta.
Ho sentito bene?
Ha detto...
– Rimani qui un po' con me, per favore. Solo... –
– Non me ne vado. Sono qui, sono qui. –
Sento il rumore di passi oltre la porta.
Non l'apre.
Non lo fa.
Sento che...
Singhiozza.
– Sei qui? –
– Sono qui. Qui fuori. Rimango qui. –
Non dice nient'altro e per un attimo non lo faccio neanche io. Non lo faccio perché non so cosa dire e sono emozionato, un po' spaventato, un po'...
– Puoi parlare? –
– Io? Sì, sì, certo. Di cosa vuoi parlare? –
– Non lo so, solo... parla. Mi piace sentirti parlare. Dimmi... qualcosa. –
Il cuore inizia a battermi più forte nel petto.
Merda, merda, questa cosa è... pericolosa.
Però non voglio indietreggiare.
Non posso.
Lui se lo merita.
E io non me ne andrò finché non mi dirà che devo farlo.
Io... non sono mai stato certo di qualcosa come lo sono di questo.
– Oggi a scuola mi sono addormentato alla prima ora durante matematica. Mi sono svegliato che stavo sbavando sui libri, lo sai? Mi sono proprio spento, ero stanchissimo, e quel coglione sta ancora facendo le stesse cose dopo due mesi. Ho fatto un bel riposino, sì, è stato davvero piacevole. –
È la prima cosa che mi è venuta in mente.
Non so perché sia questa, ma...
– Poi c'è stata educazione fisica, che merda. Il professore mi ha detto che non posso correre vicino a Denki perché se no facciamo troppo casino e l'ho mandato a fare in culo. Che senso ha correre se non posso farlo vicino a Denki? Dovrei correre per davvero? Chi è che corre per davvero durante educazione fisica? –
Mi schiarisco la voce.
– Mi sono rifiutato di correre e ho dormito di nuovo sul materassino quello blu. Oggi sono stato un sacco narcolettico, mi sa. Insomma, avevo sonno. Dovrei smettere di andare a dormire così tardi, cazzo. È che ieri stavo cercando di fare il progetto di un filtro passa-basso del terz'ordine e non riuscivo a montare bene la cella di Sullen Key perchè non avevo le resistenze giuste. E quindi sono rimasto sveglio fino a tardi per provarci, anche se... –
Alzo le spalle anche se non può vedermi.
– Non mi è venuto. Ma mi verrà, lo so. Devo solo riprovarci, sì. Poi quando mi viene te lo faccio vedere, secondo me ti piacerà. È una figata. –
Sento un tonfo, piccolo e sottile, provenire dall'altra parte della porta.
Sembra che...
Forse ha appoggiato la fronte come l'ho appoggiata io? Le mani, magari, o...
– Ha le lucine? –
– Scusami? –
– Il circuito. Ha le lucine come quello dell'altra volta? –
Oh, intende i LED. Le... lucine.
– No, questo no. Ma la funzione di trasferimento è fighissima. Sai quella roba che ti ho fatto vedere sul PC? –
– Quella colorata che si muoveva? –
– Sì, quella. Ho anche imparato come cambiare i colori, così posso farla rossa, come piace a te. O anche... –
– Arancione fluo? –
– Credo di sì, insomma... sì, posso farlo. Come mai arancione fluo tra tutti i colori? –
C'è un istante di silenzio.
– Ti sta bene l'arancione fluo. –
– Oh. Ecco... grazie. –
– È la verità. –
Il cuore mi si stringe, non riesco a reprimere un sorriso, chino lo sguardo anche se non ce l'ho davanti.
Io...
Ho fatto la cosa giusta.
Sono fiero di me stesso per aver fatto la cosa giusta.
Mi riconfermi ogni secondo che venirti incontro è la scelta migliore che potessi fare.
Cala qualche momento di silenzio. Non me ne rendo conto, all'inizio, immerso come sono nel godermi la sensazione del complimento che mi vaga addosso, ma quando lo faccio mi precede prima che possa inventarmi qualsiasi stronzata da dire per riempire il vuoto.
– Ieri sera siamo andati a cena dopo gli allenamenti. Tutta la squadra, noi e le cheerleader. – dice, la voce ridotta di nuovo ad un filo.
Mi sta...
Oh, credo di aver capito.
Mi sta dicendo cos'è successo.
Sto zitto e ascolto.
– Avevo fame. Ho mangiato... tanto. Ero stanco e mi ero allenato tutto il giorno e ho diciott'anni e... –
– Non azzardarti a giustificarti con me. Non devi giustificarti di un cazzo. Mangiare non è qualcosa per cui devi giustificarti. –
Mi scappa.
Mi scappa perché lo penso.
Perché... mi spezza il cuore che stia cercando di... scusarsi con me per aver mangiato.
Non deve...
Rimane in silenzio per un attimo.
Poi ricomincia a parlare.
– C'era uno nuovo, del primo anno. Non era mai venuto a cena con noi. Mi ha detto... –
Gli si spezza la voce.
Gli ha detto cosa?
Cosa cazzo gli ha detto?
Cosa cazzo...
– Mi ha chiesto perché mangiassi così tanto. Mi ha chiesto se non avessi paura di ingrassare. Mia ha detto che mi stavo... in... ing... in... –
Gli si apre e chiude la gola in un singhiozzo, lo sento prendere aria di fretta come se qualcuno gli avesse tolto a mani nude quella che aveva nei polmoni, trema contro la porta.
– Ingo... –
Non riesce a dirlo.
So cosa vuole dire ma non riesce a dirlo.
Vuole dire "ingozzando".
Non riesce a...
– Non dirlo. Non dirlo se non ce la fai, non devi dirlo. Non dirlo, ho capito. Ho capito. –
– Non ce la faccio, Kat, non riesco nemmeno a dirlo. Come faccio a pensare di essere guarito se non riesco nemmeno a dirlo? Come faccio a pensare di stare meglio se... –
Se cosa?
Cosa vuoi dirmi?
Cosa...
– Non riesco a guardarmi allo specchio. Ho paura che se mi guardo mi vedrò orribile e vorrò di nuovo smettere di mangiare. Mi viene da vomitare all'idea che sono anni che... mangio tutti i giorni. Ho paura di farti entrare qui dentro perché non voglio che tu mi veda. Non voglio che tu mi veda e che tu pensi che io faccia schifo. Mi sento così... –
Oh, merda.
Merda, merda, merda.
No, Eijirō, no, non tu, non a te, non...
– Vorrei che entrassi e che stessi qui con me e vorrei vederti perché mi fai sentire meglio ogni volta che ti vedo, ma non voglio che tu... –
– Tengo gli occhi chiusi. Giuro che tengo gli occhi chiusi. –
È la prima cosa che mi viene in mente.
Non sto ragionando, perché non ha bisogno che ragioni. Sto cercando di... mettermi nei suoi panni e dargli una mano.
Se usassi la logica scadrei nella rabbia. Nella rabbia più cieca, più becera, perché trovo ingiusto e maledettamente sbagliato che qualcuno sia portato a provare qualcosa del genere, che Kirishima sia portato a provare qualcosa del genere. Ma non è questo che serve a lui, a lui serve...
– Lo giuri? –
– Lo giuro. –
– Lo giuri per davve... –
– Non ho nemmeno gli occhiali, puoi spegnere la luce. Giuro che non guardo. –
– Allora... –
Mi alzo di scatto. Come sento la sua mano appoggiarsi sulla porta mi alzo in piedi, chiudo gli occhi, aspetto.
La porta si apre e io non vedo nulla.
La tentazione di aprire gli occhi è grande, enorme, perché amo guardarlo, perché anche solo averlo di fronte mi fa sentire le farfalle nello stomaco, ma non lo faccio, non lo farei mai.
So solo che lui guarda me.
E che se il secondo prima sono con gli occhi chiusi fuori dalla porta di camera sua, quello dopo sono dentro, in una stanza buia, con il suo viso sulla spalla e le sue braccia attorno a me, scosso da tremiti che non sono i miei e da un pianto che non mi appartiene.
Ho l'istinto di abbracciarlo anch'io.
Ma...
– Posso toccarti? –
Non risponde.
Muove la testa sulla mia spalla.
La muove in un...
Lo stringo forte.
Forte, forte, fortissimo. Forte che potremmo rimanere incastrati così per sempre, forte che fra noi non c'è spazio, nemmeno un millimetro, forte che senta da come lo stringo che non potrei mai pensare che lui faccia... schifo.
Dio, come potrei?
Come cazzo...
Porto il viso verso il suo orecchio a tentoni.
– Mai, Eijirō. Mai. Mai, mai, mai nella vita. Nemmeno se fossi una persona di merda con me, nemmeno se mi trattassi male. Mai potrei pensare che tu faccia schifo. Mai. –
Singhiozza forte.
– Se non ti fidi di quello che vedi nello specchio, se non vuoi guardarti, fidati di me. Io so come sei fatto. Tu sei perfetto. –
Le sue braccia mi stritolano e mi lascio stritolare.
– E non sei perfetto perché la tua forma fisica è perfetta, lo è, ma non è questo il punto. Tu, sei perfetto. Tu Eijirō. Tu dentro. Se cambiassi rimarresti comunque perfetto. Non c'è niente che tu possa fare per farmi cambiare idea. –
– Se pesassi di più nessuno mi troverebbe... –
– Se qualcuno ti tratta in modo diverso in base a quanto pesi, Eijirō, non è colpa tua, è colpa sua. Se qualcuno è tanto superficiale e cieco da non vedere quanto tu sia bello per la persona che sei, non è colpa tua, è colpa sua. Chi se la prendeva con te e chi se la prende con te ora per qualcosa del genere, è solo un coglione col complesso d'inferiorità invidioso di quanto perfetto tu sia. –
Infilo meglio il naso fra i suoi capelli. Sono sciolti, credo, perché sono ovunque, ma non saprei dirlo con certezza perché ho ancora gli occhi chiusi.
– Non è il tuo corpo che mi piace, o che mi eccita. È come lo usi. Quello che dici, quello che fai, come ti comporti, l'aura che emani. Se cambiasse rimarresti comunque tu a guidarlo e per questo continuerebbe a piacermi e ad eccitarmi come fa adesso. Sei tu il punto, non come sei fuori. –
Affondo le mani su di lui.
– E tu sei bellissimo. Sei attraente e sei forte e sei eccitante, sei divertente e sai sempre cosa dire, sei bravo con le persone, sei intelligente, sei una persona empatica e gentile e disponibile, sei... –
Trema fra le mie braccia.
– Se d'ora in poi tenessi gli occhi chiusi per sempre quando sono con te non mi sentirei di una virgola meno al sicuro, meno apprezzato, meno felice. Se non vedessi più come sei fuori ma potessi interagire con te e parlarti io non mi lamenterei un minuto. Il tuo corpo è un'estensione di te e tu, Eijirō, tu sei... inarrivabile. –
Piange più forte, forse piango anch'io, so solo che mi sembra di essermi aperto la cassa toracica, mi sembra di avergli dato una parte di me, mi sembra di essermi messo completamente a nudo per un attimo, e la sensazione...
Non è come credevo sarebbe stata.
Non è gelo e terrore.
No.
È...
Giusta.
Tremendamente, dannatamente giusta.
Davvero...
Così dev'essere. È giusto che sia così, così è come le cose devono andare.
Tu ti meriti questa parte di me.
Io merito questa parte di te.
Noi...
Cazzo, Kirishima, in questo momento penso proprio che siamo perfetti l'uno per l'altro.
Forse la previsione di Denki...
– Non so se è la cosa giusta da fare per come sto, ma posso... posso... cazzo, posso... –
– Vieni qui. –
Non riapro gli occhi.
Solo mi sposto col viso sotto al suo, gli passo le mani sul collo, sul viso, sulle guance, mi sporgo verso di lui, lui si sporge verso di me.
Sa di sale.
Di sale e di lacrime.
Sa di...
È disperato. Lui disperatamente alla ricerca della prova che quel che dico sia vero, io disperatamente intento a urlargli che lo è, vero, e che non potrebbe essere altrimenti.
Lui apre la bocca, io lo faccio, la mia lingua s'intreccia con la sua e il mio corpo si schiaccia contro il suo, le mie mani si chiudono dietro al suo collo e le sue sulla mia vita, per un attimo non c'è niente al mondo che non sia... noi.
Kirishima, miseria.
Non mi senti?
Non mi vedi, quando sono con te?
Come potresti essere qualcosa meno di perfetto quando sei tutto quello che voglio dalla vita?
Come?
Io...
Non capirò mai il tuo male. Cercherò di aiutarti come potrò, lo farò per davvero, ma capirti... mai, mai nella vita.
Non so come tu faccia a guardarti e pensare qualcosa di cattivo su di te.
Io non ci sono mai riuscito.
Credo tu mi sia piaciuto da morire dalla prima volta che ti ho visto.
Mi trascina indietro, vado con lui, mi lascio trasportare, le sue labbra continuano a muoversi sulle mie e le sue mani sul mio corpo, mi faccio prendere, muovere, perché mi fido, cazzo, mi fido davvero.
Atterriamo sul letto, lui di schiena, io sopra.
Non apro gli occhi.
Li tengo chiusi, chiusi anche quando ci stacchiamo.
– Rimani qui con me stasera? –
– Certo. Certo che rimango. –
– Dormi qui? –
– Va bene, va bene. –
– Mi prometti che non scappi? –
Lo cerco a tentoni.
Cerco il suo viso a tentoni sotto di me, quando lo trovo gli accarezzo una guancia.
– Non vado da nessuna parte. Ci tengo davvero che tu stia meglio. –
– Sono così fortunato a... –
– Stocazzo, fortunato. Te lo meriti. Sono due cose diverse. –
– Me lo merito? –
– Te lo meriti da morire. Ti meriti che mi fidi di te, ti meriti che mi apra con te, ti meriti che io sia qui con te ora e sempre. Sono cose che ti meriti. –
– Mi piace quando mi dici che ti fidi di me. Non ti fidi di nessuno e mi fa sentire... speciale. –
– Vuoi vedere quanto sei speciale? –
– In che senso? –
Nell'istante in cui l'idea arriva, immediatamente il mio cervello mi dice di no. Ma la ripesco forzatamente, perché è l'idea giusta, e perché non c'è altra persona con cui vorrei o potrei farlo.
Nessuna.
Nemmeno mia madre.
– Vai a prendere il mio zaino fuori, per favore? –
– Perché ti serve... –
– Fidati. –
– Ok. –
Mi sposta delicatamente di lato sul letto, sento il materasso piegarsi col suo peso che si alza, i suoi passi per terra. Apre la porta, prende il mio zaino, la richiude e torna da me.
– Aprilo. C'è una custodia nera, nella tasca interna. –
– Cosa ci devo fare? –
– Prendila. –
Ascolto il rumore della zip che si apre, delle sue mani che s'infilano fra le mie cose. Ci mette qualche secondo, ma poi...
– L'ho trovata. –
– Portala qui. –
Torna dalla mia parte. Batto due volte sul materasso e si siede, sento che si siede, di fronte a me.
Prendo fiato e tutto il coraggio che possiedo.
– Questa cosa non l'ha mai fatta nessuno nella mia vita. Nessuno. Solo tu. E non è perché voglio metterti pressione, è per dirti che sei la prima persona che incontro a cui veramente me la sento di chiederlo. Perché sei speciale. –
Piego la testa di lato.
Mi sposto i capelli.
– Toglimi l'apparecchio acustico. –
Non risponde.
Trattiene... trattiene il fiato.
– Sei sicuro che... –
– Così sono comodo, ci stendiamo e ti abbraccio finché non ti senti meglio. Magari ci facciamo una dormita che ho la sensazione tu non sia proprio stato nelle condizioni nelle ultime ventiquattro ore. –
– Ma... –
Sporgo una mano in avanti in cerca delle sue.
Gli prendo un polso, l'avvicino a me.
– Con delicatezza, piano. Non lo rompi, avanti. –
Trema.
La mano gli trema.
La muove...
– Mi fido di te. Puoi farlo. –
L'appoggia sul lato del mio viso. Passa le dita incerte sulla mia guancia, prima, fra i capelli, mi tocca il bordo di un labbro, l'angolo di un occhio, lo zigomo.
È delicato, quasi...
Rituale.
Quando si avvicina al mio orecchio sono io a tremare.
È vero, non stavo mentendo.
Nessuno.
Non l'ha mai fatto...
Nessuno.
È più che spogliarmi. È più che mettermi a nudo.
È fargli toccare dove sono debole.
Non riesco a credere che non sia la persona giusta per farlo.
Incastra le dita sull'apparecchio, lo sfila con calma, non sento la cerniera della custodia aprirsi e chiudersi, ma percepisco lui spostarsi, intendo dunque che lo metta sul comodino o da qualche parte al sicuro.
È...
Mi si avvicina tutto d'un tratto, lo sento parlarmi direttamente all'orecchio.
– Apri gli occhi. –
– Guarda che non c'è bisogno che... –
– Aprili. Guardami. –
Sento le ciglia separarsi nel buio. Non vedo molto, quasi niente, tratti morbidi e scuri nel buio della camera.
Vedo Eijirō.
Vedo i capelli lunghi sciolti e gli occhi gonfi, vedo il suo viso che adoro e la forma del suo corpo, vedo l'espressione, vedo...
Apro le braccia.
Ci si tuffa dentro.
Approdiamo sul letto, avvinghiati, stretti, nascosti al buio ma alla luce del sole l'uno per l'altro.
Lo stringo forte, lui stringe me.
Si avvicina per parlarmi.
– Quando le cose fra noi cambieranno, chiedimi cos'ho pensato in questo momento. – mi dice.
– Cosa stai pensando? –
– Non te lo posso dire. Ma te lo dirò. –
Sento le sue labbra sulla mia guancia.
– Forse penso quello che pensi tu. –
– Sarebbe bello. –
– Lo sarebbe. –
Mi bacia sulla bocca. Lo bacio anch'io. Dura un attimo.
Apro gli occhi solo per vedere i suoi.
– Denki aveva predetto tutto. – mormoro.
Le sue sopracciglia s'aggrottano.
– In che senso? –
Scuoto la testa.
M'incastro col suo corpo.
Annuso il suo profumo, lo sento sotto di me, addosso a me, il mio cuore batte forte.
– Denki ha sempre ragione. –
– Non ti capisco. –
– Non importa, vieni qui. –
Si china di nuovo verso di me, incastra il viso nel mio collo, ci stringiamo a vicenda.
Denki ha sempre ragione.
Cazzo, quel bastardo ha sempre, sempre ragione.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
OK ALLORA SCUSATE L'ATTESA INTERMINABILE
SONO VIVA
SONO QUI
SPERO CHE IL CAPITOLO VI SIA PIACIUTO so che magari qualcuno fra voi aspetta solo che questi due ballino in orizzontale ma I BRO DEVONO LEGARE e devono CONDIVIDERE LE DEBOLEZZE e volevo anche che si capisse che non è un rapporto unilaterale dove kat è quello fragile e kirishima quello forte cioè sono tutti e due in una situazione di condivisione sisi
LE MAMME A KIRISHIMA PERCHÈ LUI TROPPO UNO CHE HA DUE MAMME DAI SCUSATE PARLIAMONE QUELL'UOMO HA PALESEMENTE DUE MAMME
niente
fine
questo è quello che dovevo dirvi
vi mando un bacino
ciao cuori <3
mel
ringrazio per il betareading jjjustshel tysm bby davvero <3
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