𝚝𝚑𝚎 𝚌𝚒𝚝𝚢'𝚜 𝚘𝚞𝚛𝚜

!! smut alert !!

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Atterro sul letto con un tonfo sordo.

La mia schiena si schianta contro il materasso, tiro su le braccia, le stiracchio e sento l'orlo della maglietta salire sulle cosce, tendo la schiena, guardo il soffitto e rilasso il mio corpo tiepido.

– Stanco? –

Scuoto la testa.

– Ancora no. –

– "Ancora"? –

– Conto di esserlo per la fine della nottata. –

Sposto quel poco che basta la testa per guardare di fronte a me, Kirishima si para davanti ai miei occhi con le gambe che toccano il bordo del materasso, in piedi, senza maglietta, i capelli sciolti mezzi asciugati che cadono sulle sue spalle in un modo che ora come ora definirei disordinatamente attraente.

Piega la testa, sorride un po'.

– Smetterai di tentarmi prima o poi? È tutta la sera. –

Scuoto il capo.

– Smetto quando ti ficchi in testa che puoi fare quello che vuoi. –

– Non sai nemmeno cosa voglio fare. –

– Sono più che pronto a scoprirlo. –

Ridacchia appena.

– Sei incorreggibile. –

– Mi adori perché sono incorreggibile. –

– Lo faccio. –

Sorrido.

– Lo so. –

Ci siamo fatti la doccia più di quarantacinque minuti fa.

C'è voluto un po', ma...

Mi piace che ci sia voluto un po'. Mi piace che non ci sia stata fretta, che ci sia stata calma e che ci sia stato affetto.

So che arriverà l'urgenza e arriverà la foga, c'è stata, tornerà, però esserci presi un attimo per... fare le cose con un po' di calma, mi è piaciuto.

Mi è sembrato che ci tenesse davvero, a mettermi nelle condizioni di godermi quello che sarebbe arrivato dopo. Mi è sembrato che non desse per scontato che sarebbe arrivato un dopo, che si sia concentrato per un po' sul fatto che entrambi stessimo bene, prima di fare qualsiasi cosa.

Tutto, con lui, suona e sembra tremendamente quotidiano.

Non quel quotidiano di routine, non quello noioso.

Quotidiano nel senso di pacifico.

Credo che mi abbia capito più di quanto io non capisca me stesso.

Credo che sapesse, dentro di sé, o che forse l'abbia scoperto in un modo di cui neppure io mi sono reso conto, che con me c'è bisogno di calma.

Di calma e di farmi sentire al sicuro.

Che poi il resto può esserci solo se sento le mie fondamenta perfettamente ancorate al suolo.

Dio, se esiste un manuale d'uso e comprensione di Katsuki, sono sicuro che questo stronzo l'ha comprato e l'ha studiato a memoria.

– Sei comodo? Freddo? Caldo? –

– Comodissimo. –

– Hai fame? –

Quanto mi fa sentire bene.

Quanto mi fa sentire idiota.

Quanto mi fa sentire...

– No, sto bene. –

– Perfetto. –

Slaccia una mano dalla posizione conserta in cui teneva le braccia, l'appoggia sulla mia coscia nuda, mi accarezza piano.

– Vuoi togliere l'apparecchio acustico? –

– Dopo. –

– Se mi dici dov'è la custodia te la metto sul comodino, così poi non devi alzarti. –

– È dov'era l'altra volta, nella tasca interna dello zaino. –

– Arrivo. –

Indietreggia di qualche passo ed è inevitabile che io mi lamenti alla perdita di contatto, ma nonostante questo fastidio il mio cuore sprizza gioia da ogni poro a vederlo con calma farmi un favore stupido, inutile, ma che dimostra, come qualsiasi cosa faccia, che ci tiene, che gli importa, che di me ha tutta l'intenzione di prendersi cura.

Mi rilasso indietro sul letto.

C'è una sorta di sortilegio che pende su di me, me ne rendo conto.

Il fatto di essere così distante dalla mia vita di tutti i giorni mi fa sentire immune da qualsiasi problema io avessi là, da qualsiasi situazione tragica il mio cervello mi abbia propinato fino ad ora.

Qui è come se fossi in un luogo liminale, in un ambiente sospeso, a metà. Qui nessuno saprà cosa faccio e nessuno mi giudicherà, qui nessuno vede e nessuno parla. Mi sento libero di fare qualsiasi cosa, perché siamo soli e perché non c'è il mondo a bussar fuori dalla porta tentando di sfondarla.

Non so se poi in realtà sia veramente la distanza geografica, il punto.

C'è, è indubbio che ci sia, per carità.

Però forse non è quella che mi fa sentire così lontano dalle mie catene.

Forse è...

– È questa, vero? –

Alzo lo sguardo.

Kirishima tiene fra le mani la custodia.

– Quella. –

Annuisce, sorride, torna verso di me.

Questa volta non distolgo lo sguardo da lui, mentre lo fa.

Forse è che siamo io e te da soli.

Forse non è che siamo a Odaiba, forse è che qui non c'è nessun altro all'infuori di te.

Osservo con calma il suo corpo che si sposta, che si muove nella stanza. Ha la pelle di qualche tono più scura della mia, anche ora che è inverno, liscia, increspata da qualche smagliatura nella zona dei fianchi.

Che idiota, quando pensava che le sue smagliature non mi piacessero. Comprendo perché avesse formulato il pensiero, credo sia normale, visto il rapporto che ha con se stesso e il suo corpo, però è stato un idiota lo stesso.

Che poi non sono antiestetiche, non so perché le persone pensino che siano antiestetiche.

Sono lì.

Basta.

Mica mordono.

E poi sono di Kirishima, e sono belle, perché sono di Kirishima.

Come tutte le altre cose che sono sue.

Come gli addominali, come la schiena, come le braccia attraversate dalle vene che si vedono in superficie, come i capelli e le gambe lunghe e...

– Perché mi stai fissando? –

Rispondo senza pensarci.

– Perché sei bello. –

Si blocca nel movimento che lo stava attraversando.

– Sì? –

– Porca troia se lo sei. –

Alza le spalle, torna a fare quello che stava facendo.

– Forse qualcosa che si salva c'è, dai. –

Sbuffo.

– Sì, se per "qualcosa" intendi tutto e "che si salva" intendi bellissimo. –

– Non gonfiarmi troppo l'autostima. –

– Gonfierò te di botte se non smetti di fare l'idiota. –

Posa la custodia sul comodino, lo sento ridacchiare piano.

Incrocio le braccia conserte al petto.

– Se becco i figli di puttana che ti hanno fatto credere che sei brutto per strada li uccido tutti. No, sul serio, li uccido. Loro e le loro famiglie. E i loro cani. –

– Anche i cani? –

Taglio l'aria di fronte a me con una mano.

– Anche i cani. Nessuna pietà. –

Sento il materasso piegarsi da una parte, intendo che si stia mettendo a letto anche lui e mi sposto di lato per fargli posto.

– Nessuno ti fa sentire brutto e poi la passa liscia. Devono passare sul mio cadavere. –

Si muove con calma verso di me, il suo peso mi sposta verso il centro del letto.

– Nessuno fa sentire una merda il mio Eijirō. –

Me lo ritrovo di fronte un secondo dopo, che mi guarda dall'alto, i capelli che sfuggono verso di me, il viso di fronte al mio.

– Il "tuo" Eijirō? –

Stringo lo sguardo.

– Qualcosa in contrario? –

– No, vostro onore. –

– Sarà meglio. –

Sorride, piega il capo da una parte, si china e le sue labbra sfiorano le mie.

– E che fai, li picchi tutti a mani nude? –

Alzo le spalle.

– Se sono tanti mi porto dietro Denki. –

– Denki? Un metro e sessanta, fumatore, col fiatone a fare le scale? –

– Tu non lo conosci. –

Sento le sue mani inerpicarsi sui miei fianchi, raggiungere il mio viso, spostare qualche ciocca dalla mia fronte.

– Preferirei non picchiassi nessuno, sinceramente. –

– Sei per la pace? –

– No, ma se qualcuno ti facesse male poi lo dovrei uccidere. E sto bene fuori dalla galera. –

Gli prendo le guance fra le dita, sento un sorriso stiracchiarsi fra i connotati del mio volto.

– Sarebbe ridicolo se io picchiassi qualcuno per difenderti e tu dovessi difendermi dalla persona che io ho picchiato per difenderti. –

– Un po'. –

Chiudo gli occhi, quando mi bacia, credo lo faccia anche lui.

Dura un attimo.

Un attimo che risveglia qualcosa dentro di me, ma un attimo.

Quando si stacca, mi sto già spostando.

Incastro le braccia dietro il suo collo e mi spiaccico contro di lui, che ha la temperatura corporea più alta, un buon profumo e metri di pelle liscia da toccare.

– Però sarebbe anche carino. Sei molto carino quando sei protettivo. –

– Ah sì? –

– Mh-mh, anche quando sei geloso. –

Lascia scendere la mano dalla mia guancia alla spalla, sfiora i contorni del mio corpo con calma.

– Ti piaccio quando sono incazzato, Katsuki? –

– Anche quando sei incazzato, sì. E quando sei un po' cattivo con me. –

Accetto il bacio che mi dà col cuore che batte un po' più forte di prima contro il suo, che allo stesso modo, pare martellarmi addosso.

– Siamo un po' masochisti, eh? –

– Un pochetto, forse. –

Le sue labbra si distendono sulle mie, le mani affondano fra i miei capelli, il suo corpo si sistema sopra il mio, la vita fra le mie gambe, il petto contro il mio, la bocca mescolata e fusa alla mia.

Mi sciolgo piano.

Piano piano, come se fossi un ghiacciolo al sole in una giornata d'autunno.

Chiudo forte gli occhi e lo stringo, lo bacio di rimando, lascio che l'eccitazione e il calore tornino dentro di me e mi attraversino ogni fibra, ogni muscolo, ogni centimetro di pelle.

Di sesso, nella vita, non ne ho fatto tantissimo.

Non ne ho fatto poco, ma nemmeno tanto.

Ne ho fatto... un po'.

Non lo so, se davvero mi sia mai piaciuto.

È...

Un discorso strano.

Ho perso la verginità presto, avrò avuto quattordici, quindici anni, con uno dell'ultimo che mi aveva chiesto di uscire su Instagram e che trovavo esteticamente... carino. Non è durata, lui ha finito il liceo, si è dimenticato di me, io mi sono altrettanto facilmente dimenticato di lui.

Gli altri dopo, Shindō compreso, come lui.

Ok, è carino, ok, ci faccio sesso, fine.

Nulla di più.

Ho sempre vissuto il sesso come qualcosa di... distaccato.

So quanto paradossale possa sembrare, è un'attività di quelle che si chiamano "intime", "private", ed eppure per me è sempre stato un contorno, uno sfizio, un piacere momentaneo da vivere in solitudine nonostante si facesse in due.

Fare sesso per me, prima di adesso, prima di lui, era grattare un prurito, niente di più, niente di meno. Era solo ed esclusivamente avere un orgasmo e andare a casa, farmi una doccia, dormire da solo.

Non c'è niente di male, lo so, lo penso.

Però non è questo.

Questo è diverso.

Questo è...

Il sesso può essere in tanti modi. Può essere concitato, calmo, violento, dolce, frettoloso. Il mio, quello che ho sempre fatto, era di un solo tipo, esclusivamente di quel tipo. Era freddo.

Tremendamente freddo.

Tremendamente meccanico.

Una reazione chimica, una concatenazione di causa effetto, un atto corporeo.

Quello con Eijirō, questo, è un atto mentale.

È guardare, toccare, sentire, ma anche pensare, provare, emozionarsi. È reagire col corpo e con la testa, è prendere tutto e buttarlo là, di fronte ai suoi occhi, offrendogli la possibilità di farne come meglio crede.

Il problema, con questo genere di cosa, il motivo per il quale mai prima d'ora avevo avuto il coraggio di farla, è che per darti, per concederti, devi smettere di difenderti e devi iniziare a fidarti.

Mai.

Mai nella vita.

Mai nella vita avrei concesso a qualcuno, fino a qualche mese fa, di fare questo.

Ma poi è arrivato lui.

E lui non è qualcuno.

È lui.

A lui gliele posso dire, quelle cose che non direi nemmeno sotto tortura, posso rivelargli i miei segreti, i miei gusti, le mie preferenze. Posso chiedergli di fare questo o quello e sentirmi chiedere di fare questo o quello, perché mi fido e perché voglio che si fidi di me.

Può toccare il mio corpo, Eijirō, può toccarlo e può averlo.

Ma non è solo il corpo.

Non è solo il corpo, è...

C'è spazio per te nella mia testa. C'è spazio perché tu ci entri e ti ci sieda in mezzo come fai da settimane, c'è spazio perché tu ne visiti ogni angolo, perché tu legga ogni pensiero, ogni parola, perché tu prenda e rimescoli quel che c'è all'interno.

Ho già fatto sesso, nella mia vita.

Ma non era questo.

Sei la prima persona con cui lo faccio.

Dice la mia testa che tu sarai anche l'ultima, perché sarai la sola così importante da poter attraversare i cancelli della mia mente, la sola ad avere accesso qui dentro, dove ero da solo fino ad un paio di mesi fa, dove adesso siamo in due.

Quando si stacca abbiamo il fiatone entrambi.

Si specchia nei miei occhi col petto che si alza e si abbassa nel tentativo di riprendere aria, la pelle bollente, le pupille dilatate di nuovo, come prima, a mostrare di lui una versione meno adorabile e più istintiva.

Mi piace tanto, questo Kirishima.

Ha il retrogusto di una cosa che vedo solo io, di una cosa che in un certo modo mi appartiene, che è fatta giusta per me.

– Ricominciamo da dove ci eravamo fermati prima? –

Annuisco.

– Per favore. –

Sposta le labbra dalle mie alla mia fronte.

– Ok, ok. –

Lo sento baciarmi con calma, una scarica elettrica si dipana dentro di me, mi fa frizzare i nervi, la pelle.

– Ora... –

Passa un attimo di silenzio, in cui la sua voce pende sul mio collo come una spada di Damocle, in cui non so cosa succederà e come, tutto quel che provo è impazienza e curiosità.

Quello dopo, mentre mi chiedo tempestivamente cosa potrebbe succedere, non succede niente, solo Kirishima si sposta col viso di lato, la fronte contro la mia tempia, e non fa nulla.

Tremo.

Apro la bocca per chiedere spiegazioni.

La chiudo quando mi precede.

– Rilassati, Katsuki. Rilassati. Lasciati andare. –

Cosa?

– Lo so che non è facile ma rilassati. Rilassati e lascia perdere tutto. –

Sbatto le palpebre.

Vorrei girarmi e chiedergli cosa intenda e cosa c'entri, ma non faccio in tempo e...

– È pesante dover sempre avere il controllo su tutto, vero? È faticoso. Devi sempre fare tutto da solo, rispettare le tue aspettative, lavorare per i tuoi sogni, farti in quattro per poter raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato. Dev'essere stancante, Katsuki. –

Stancante? Faticoso?

Lo è, ma...

– Lascialo fare a me. Lascialo a me, il tuo fardello, per un po'. Lo tengo io. Dallo a me. –

La realizzazione si schianta dentro di me come se qualcuno me l'avesse lanciata addosso. Impatta contro il suolo e si frammenta, ogni scheggia raggiunge, colpisce e ferisce un punto diverso.

Lo intendevo metaforicamente, prima, ma lui lo sta facendo per davvero.

Lui mi sta entrando nella testa.

Lui ci è già entrato.

Sta... mettendo ordine.

Sta...

– Non c'è bisogno che ci pensi quando sei con me, ci penso io. A tutto, ci penso io. Tu non devi più fare niente, non devi controllare niente. Lascia fare a me. –

Mi sembra di immergermi in un banco di nebbia.

Il mio cervello, che vedo e intendo sempre come un complicatissimo ammasso di minuscoli ingranaggi che ruotano e lavorano assieme, inizia a rallentare.

Pare che qualcuno stia versando miele fra le ruote dentate che piano, piano piano, iniziano a fermarsi.

– Non ne puoi più di dover sempre pensare a tutto, no? –

I nodi nel mio stomaco, quelli che ci sono sempre, che sono tanto abituali che quasi non ci faccio più caso, iniziano a sciogliersi.

L'ansia, il complesso d'inferiorità, la paura, il timore di non essere abbastanza.

Si ammorbidiscono.

– Puoi non pensare a niente. Puoi lasciarmi tutto quello che c'è là fuori e te lo ridarò quando sarai pronto a riprenderlo. –

Per un istante mi sembra di levitare in aria.

Poi torno sul mondo reale, sul materasso, sotto Eijirō, ma col corpo più leggero, più distante, meno... mio.

– Lasciami il controllo, Katsuki. –

Vorrei guardarlo.

Qualcosa dentro la mia testa mi urla di non farlo.

Mi urla che...

Non lo so se lui lo vuole.

Devo chiedergli se vuole che...

Mi sposta il viso verso di sé prima che faccia in tempo a finire di formulare il pensiero.

Sono felice, grato, persino, di poter immergere gli occhi nei suoi.

Sono belli ma non solo belli, anche sicuri, anche protettivi. Mi sembra di potermici tuffare dentro e che quando sarò là, a nuotare fra le onde placide, niente potrà più scalfirmi.

– Lascia decidere a me, riposati. Non pensarci, non pensare a niente. –

Lento, calmo, pacifico.

Mi sento inerme.

Vulnerabile.

Inutile, indifeso, ininfluente.

Ed è...

Bello.

– Pensa solo a me. Ci sono solo io. Il resto non esiste. –

Non conto niente, non devo fare niente, non ho responsabilità, non ho pesi. Non devo pensare, ragionare, meditare. Il mondo non è sopra le mie spalle, la mia vita non dipende da ogni scelta che faccio, non c'è fretta, non c'è foga.

C'è calma.

C'è pace.

C'è lui.

Sì, va bene, va bene. Prendi tutto, tienilo, stringilo tra le mani, te lo cedo. Puoi avere Katsuki e puoi farne quello che vuoi, puoi avere il controllo, il comando, le redini, puoi avere tutto.

Grazie.

Grazie, grazie.

Fai tu al posto mio.

Fai...

– Lasciami pensare con la tua testa. –

Apro i cancelli.

Taglio il filo spinato, tolgo le sbarre, tiro giù i mattoni e il cemento delle mura, giro le serrature, una ad una, lascio che scattino, che si liberino.

Piego la maniglia.

Lascio che entri.

Non è un posto sfarzoso, non è elegante, non è bello, non è perfetto.

È una stanza piccola. Calda, tiepida, con una finestra sola. Non c'è niente che faccia rumore, nessuno che non sia io, chili di coperte, calcoli scritti sui muri, cioccolata calda al peperoncino.

Non c'è mai entrato nessuno.

C'è chi ha superato le prime difese, chi si è avvicinato alla porta, chi ha guardato dal vetro e mi ha salutato da fuori.

Ma qui dentro, nella parte dove ci sono solo io, dove Katsuki è morbido e vulnerabile, non è mai entrato nessuno.

Perché non ci puoi arrivare con la forza.

Devi farti dare il permesso da me.

E tu, Eijirō, tu il permesso ce l'hai.

Quando mi lascio andare mi sembra di essere un'altra persona. Mi sembra di provare le emozioni di un'altra persona.

Sono forti, queste.

Io non sono abituato.

Ma...

Mi sento accarezzare il viso.

Sbatto le palpebre.

Sono dov'ero un attimo fa ma in un posto completamente diverso.

Questo posto...

Ecco, questo posto mi piace.

Eijirō mi guarda e anche lui mi sembra uguale e completamente diverso, bello come sempre, amorevole come sempre, ma più... autorevole.

Piega la testa, sorride.

Mi guarda.

– Il mio piccolo Katsuki. –

Il mio cuore salta un battito.

Sì.

Sì, Eijirō, sì, io sono questo, assolutamente questo, niente di più. Voglio essere questo, io...

– Sono così felice che ti fidi di me. –

Mi bacia l'arcata di un sopracciglio, di nuovo la fronte, il ponte del naso.

– Sei meraviglioso. –

Non rispondo perché voglio.

Lo fa una parte di me che ancora non si è tranquillizzata, che procede in automatico, che non pensa e fa e...

– Grazi... –

– Non ti ho detto che puoi parlare. Sta' zitto. –

Chiudo immediatamente la bocca.

Lo osservo, il sorriso sul suo volto non è più un sorriso, l'amore nei suoi occhi sembra volermi pungere.

No, no.

Non volevo farti arrabbiare.

Non volevo...

– Chiedi scusa. –

– Scusami. –

– Ecco, ora va meglio. Bravo. –

Ricomincia a sorridere, mi sciolgo di nuovo, mi rendo conto e dimentico nel giro di pochi istanti che stavo per mettermi a piangere.

Il suo respiro torna a battermi sul viso.

Mi bacia di nuovo il viso, una guancia, l'angolo della bocca, lo zigomo.

Non parla, solo sfiora la mia pelle con le labbra, come se si stesse godendo il momento.

Io sto fermo.

Lo lascio fare.

Io non devo fare niente.

Non devo...

Muove le mani su di me.

Mi stringe una guancia, passa sul collo, si ferma su una spalla che prende premendo insieme clavicola e scapola.

Sposta la maglia.

Guarda la carne nuda e scoperta.

Stringe.

Forte.

Mi fa...

Male.

– Forse ci sono andato un po' pesante coi denti prima, nella doccia. –

So a cosa si riferisce.

Quando siamo usciti mi sono guardato e sì, ha ragione, ci è andato pesante.

Ho segni su tutte le spalle, sul petto, sul principio del collo.

– Quasi mi dispiace. –

Ride.

Kirishima ride.

– Anche perché fino a prova contraria quando torni a casa non sono più io il tuo ragazzo, no? È quell'altro. Vorrei proprio vedere la sua faccia quando cercherà di spogliarti e tu gli dirai che non può perché ci sono passato prima di lui. –

I miei denti si separano come fanno quando voglio parlare, ma le labbra rimangono incollate fra di loro.

Non posso parlare.

Ma voglio, per dirgli che non mi spoglierà e che non tornerò da lui e che...

– Mi fa quasi pena, lo sai? Povero ingenuo, è un povero ingenuo. –

Mi sento stringere il viso.

Non c'è niente di amorevole.

C'è solo la rigidità.

– Cercherà di scoparti e crederà che ti piaccia. –

Sorride con metà del viso, rotea gli occhi, c'è qualcosa di sarcastico in lui, ma un sarcastico minaccioso, non divertente, sopito e pericoloso.

– Buona fortuna, a cercare di essere me. –

Quando mi bacia non è gentile.

È...

Non lo so, com'è.

So che rispondo ma non inizio, che sono in balia dei suoi movimenti, del suo ritmo, mi faccio tenere fra le mani e maneggiare come un oggetto, come uno strumento.

La sua lingua e la mia s'intrecciano, il fiato si fa più corto, il cuore mi batte forte nel petto.

Il suo corpo sul mio diventa d'improvviso più pesante, più presente, sento la sua eccitazione contro di me, la rigidità dei suoi muscoli, dei suoi movimenti, delle sue mani.

Mi lascio andare.

Mi lascio trascinare e sballottare dalla risacca della tempesta che è diventato.

Si stacca solo per prendere fiato, mi sbotta un "tieniti", ricomincia a baciarmi. Ha fretta, tanta fretta, e vuole, desidera, mi desidera, io sento caldo, tanto caldo e mi tengo come ha detto lui con le mani sulle sue spalle e sento che mi prende la schiena e...

Mi tira su.

Mi stringe dal retro della vita e si tira su con me addosso.

Poi ci ribalta e si siede con me a cavalcioni sul letto, la schiena appoggiata sulla testiera, la mia fronte contro il collo, il comodino a fianco.

Solo quando siamo fermi smette di baciarmi.

E credo lo faccia solo per guardare dove mette le mani, perché quello che è sul comodino è lubrificante e credo sia esattamente quello che cercava. Non so dove l'abbia preso e non mi pongo il problema, lascio perdere, non è importante.

Respiro col fiatone contro di lui.

Sto fermo, tranne per il petto che non riesco a fermare.

Sento l'impazienza formicolarmi fra le ossa, ma non le do retta.

Eijirō mi accarezza la schiena sotto la maglia, balla con le dita sulla mia spina dorsale, mi fa chinare la fronte verso la sua spalla, sfiora e prende, tocca e tasta.

Poi sento il rumore del flacone che si apre.

Trattengo il respiro.

– Sono molto tentato di chiederti di farlo da solo, muoio dalla voglia di sapere come lo fai, a chi pensi, che aspetto hai. Però... sarà per la prossima volta, per questa non voglio negarmi il piacere. – commenta, la voce sempre sarcastica, un po' umiliante, un po' che dà per scontato che se l'avesse chiesto l'avrei fatto senza pensarci due volte.

Mi afferra le cosce, poi il culo, stringe, si lascia andare in un versetto di soddisfazione.

– Miseria, però, cazzo. –

Avvicina le labbra al mio orecchio.

– Ogni parte di te mi fa venire più voglia di scoparti. –

Cerco di reprimere un mezzo gemito ma si sente, grazie al cielo non s'incazza, lascia perdere, forse perché è preso da quel che sta facendo, solo forse perché gli è piaciuto.

Mi apre le gambe contro di sé, mi spinge in avanti, mi chiede di inarcare la schiena.

Lo faccio, gli lascio accesso completo, e quando tira su la maglietta e una botta di timidezza mi colpisce lo stomaco la ignoro, urlandole che tanto è Kirishima, che lui può, che è quello che non vedo l'ora di fare da mesi.

Chiudo gli occhi, appoggio la guancia sulla sua spalla e respiro.

– Pronto? –

– Sì. –

Entrambe le mani lasciano il mio corpo.

– Puoi parlare mentre lo faccio. Voglio sentirti. –

– Ok. –

– Vieni qui. –

E incontro le sue labbra quando sento due dita iniziare ad entrare dentro di me.

Non fa male, ma le sue dita sono più lunghe delle mie ed è un po' che non faccio qualcosa del genere, quindi la prima reazione che ottengo da me stesso è trattenere il fiato.

Eijirō però non si ferma.

Procede con calma, ma senza interrompersi.

Arriva fino in fondo e le separa piano.

Ignora di proposito il punto che vorrei toccasse, lo sfiora e mi dà l'impressione di volerlo raggiungere ma lo evita, mi rotola un versetto fuori dalla gola che a quanto pare lo incuriosisce.

– Male? –

– No, ma... –

– "Ma" cosa? –

Smetto improvvisamente di parlare.

Guidato da non so quale istinto giro la testa verso il suo collo e bacio lo spazio proprio sotto la mandibola, una, due volte.

– Niente, niente, scusami. –

– Mmh, ok. –

Ricomincia a muovere la mano.

La lascia uscire fuori, poi torna dentro e di nuovo non piega le dita, le tiene ferme, lascia che il mio corpo si adatti senza darmi il minimo grammo di piacere.

So che sa cosa sta facendo.

Lo sa bene.

Però...

Non mi lamento, chiudo gli occhi e lascio che la sensazione così fastidiosa di non essere appagato mi serpeggi nel corpo.

Aspetto, aspetto e ogni volta che tornano dentro di me fino in fondo mi mordo l'interno della bocca per evitare di lamentarmi, di pregarlo, per star zitto.

Lui non si ferma.

Aggiunge un po' di lubrificante, continua a separare le dita contro le mie pareti per prepararmi a quello che verrà dopo, affonda il naso fra i miei capelli e respira il mio odore.

Quando per l'ennesima volta mi sfiora ma non preme, non tocca, non riesco più a resistere.

Strizzo forte gli occhi e lascio andare un lungo verso lagnoso.

Di tutta risposta, ovviamente, Kirishima ride.

– C'è qualcosa che non va? –

– Ti prego. Ti prego, ti prego, ti... –

– Oh, siamo già disperati? –

Prendo fiato di fretta.

– Ti prego, Eijirō. –

– Impaziente. –

Afferra il mio fianco e serra le dita sull'osso con tanta violenza che non stento a credere domani avrò la sua mano stampata sulla pelle.

– Dov'è che lo vuoi, eh? Qui? –

Infila le dita fino in fondo, dentro di me, poi le piega e la scarica elettrica che attraversa il mio corpo mi precede nella risposta.

– Sì, sì, lì, ti prego, ti... –

– E se non mi andasse? –

Indietreggia col viso per guardarmi, lascia che le sue dita si allontanino.

– Per favore, per favore. –

– Non sono convinto. Se fossi stato bravo per davvero ti avrei dato quello che volevi al momento giusto, ma non hai resistito e non lo so se te lo meriti, ora. –

Sento i miei occhi spalancarsi da soli.

No.

No, no, non...

– Cosa dovrebbe trattenermi dall'alzarmi e andarmene subito? –

Schiaffo le mani sulle sue spalle.

– No, ti prego. No, no. –

– Abbiamo iniziato da cinque minuti e già fai quello che ti pare, non lo so se effettivamente possiamo... –

– No, no, giuro che sto zitto, giuro che sto zitto e che faccio il bravo, no, Eijirō, ti prego, ti... –

La sua mano rientra dentro di me con forza, più forza di prima. Piega le dita, a me cade la testa verso la sua spalla e un gemito mi estirpa le parole di bocca, istintivamente spingo il bacino indietro, contro le sue dita.

– Scherzavo. – dice, ridacchiando.

Mi bacia la fronte.

– Però sei stato tenero. –

Scherzava.

Lui scherza...

Piega le dita di nuovo.

– Eijirō! –

Sorride, lo vedo con la coda dell'occhio, poi tira fuori le dita, sento di nuovo il rumore del lubrificante e quando le rimette dentro sono tre, che arrivano in fondo e mi toccano e si piegano e...

– Oh, merda, Eijirō. –

La sua mano si muove contro di me come se sapesse a memoria come sono fatto.

Tocca quando deve toccare, rende le mie terminazioni nervose elettriche, sensibili, i tremori iniziano a scuotermi ma fa finta di niente.

– Eijirō, Eijirō, Ei... –

– Lo volevi così, eh? –

– Sì, Eijirō, sì, sì, sì... –

Mi tiene fermo quando cerco di muovermi, mi stringe forte, mi costringe e rimanere immobile e chiuso, stretto nel mio corpo, non posso far altro che subire quel che mi fa. Si sente nella stanza il rumore del lubrificante, la mia voce, il mio respiro affannato e lui che...

– Cazzo, sei bellissimo, Kat. –

Cerco di guardarlo ma non riesco.

Lui infila le dita dentro di me ancora, ancora.

– Chiama il mio nome, su. –

– Eijirō, Ei... –

– Più forte, più forte. –

– Oddio, cazzo, cazzo, ti prego, Eijirō, ti prego, ti pre... –

– Facciamolo sentire al mondo cosa stiamo facendo, così magari quando ti vedono domani in corridoio lo sanno come sei. –

Cerco di stringere i denti, di fermare la voce, ma mi guarda e so che vuole che io la usi e allora non riesco a fermarmi e lo ridico, il suo nome, lo ridico ancora.

– Ecco, così, bravo. –

– Eijirō... –

– Bravo, Katsuki, bravo. –

– Oddio, oddio, oddi... –

– Poi glielo diciamo al tuo fidanzato, che mentre lui ti ignorava perché era offeso tu eri qui a venirmi addosso, ok? Gli diciamo che mentre ti pensava tu mi stavi succhiando il cazzo nella doccia. –

Fuoco.

Fuoco e basta.

Non un pensiero, uno nella mia testa.

Solo...

– Oppure magari la smetti di scappare, Katsuki, magari la smetti di fare finta che questo non sia quello che vuoi ogni cazzo di giorno della tua vita. –

– Sì, lo voglio, lo... –

– Magari sei onesto con te stesso e capisci con chi cazzo è che devi stare. –

Fa quasi male.

È talmente tanto che fa quasi male.

E assieme a far quasi male è anche dannatamente bello, dannatamente piacevole, e sento le lacrime iniziare a far capolino fra le mie ciglia, mentre...

– Vediamo se ora lo sai, mh, vediamo. Con chi è devi stare tu? –

Mi aggrappo forte alle sue spalle.

– Con te, oddio, con... –

Mi strizza il viso con la mano, il tono della sua voce è sempre meno controllato, sempre più gutturale, più minaccioso.

– Con me, Katsuki? Devi stare con me? –

– Sì, con te, con te, perché... perché io... merda, merda, me... –

– Non con gli altri bastardi che credono di essere me, no, con me, vero? –

– Sì, sì, con te, solo con... –

– Bene, perché quelli ci possono anche provare ma non saranno mai come me, Katsuki, e tu sai che l'unico che può davvero stare con te sono io. –

Mi mordo l'interno della bocca.

Mi tremano forte le gambe.

Kirishima si ferma.

Io non mi lamento, no, apro gli occhi con le lacrime che scorrono e alzo le mani che tremano, gliele metto sul viso.

– Lo so. Io lo so. –

– Lo sai? –

Annuisco.

Credo di essere un disastro ma annuisco.

– Tu sei sempre stato l'unico. –

Mi chino per baciarlo e si lascia baciare, con gli occhi che bruciano, che cercano di mangiarmi.

– L'hai detto tu che alla fine sarei tornato da te, no? –

Lo bacio di nuovo.

– Mi sa che avevi ragione. –

Sorrido, lui non reagisce, mi guarda in silenzio.

Pensa.

Credo stia pensando o stia ragionando o...

Mi spinge indietro da una spalla.

Toglie la mano da me e mi spinge indietro da una spalla, la mia schiena atterra contro il materasso, prima che possa rendermene conto ho le ginocchia tirate in alto, il retro delle cosce premuto contro la pancia, Kirishima in ginocchio di fronte a me, il lubrificante in mano e i pantaloni abbassati.

Non lo so se c'è qualcuno dietro quella patina densa e nebbiosa del suo sguardo.

Mi sembra che ci sia solo quella.

Quella e...

Mi apre le gambe, spreme il lubrificante su se stesso, su di me, e poi è lì.

Senza chiedere.

Senza aspettare.

Ad entrare dentro di me tutto d'un colpo, togliendomi il fiato, lasciando che il mio corpo si contorca in un misto di dolore e piacere sotto di sé.

Non si ferma.

Il suo bacino sbatte contro il mio.

La mia testa cade indietro, un gemito forte, alto, rotola nella stanza come se qualcuno me l'avesse estirpato via dalle labbra, le sue mani si muovono su di me, una approda sul mio viso, si adagia sul collo e mi stringe, mi tiene fermo.

C'è qualcosa che non è razionale dentro di lui.

C'è qualcosa che sballottato come sono intravedo e basta, ma rivela la parte più istintiva, quella più...

– Tu sei mio. –

Cala su di me dall'alto, il mio corpo si scuote, trema, perde le parole.

Sento la saliva iniziare a bagnarmi un angolo della bocca.

– Tu sei mio, cazzo, tu sei... –

Geme quando i miei muscoli interni si stringono, spinge più forte il mio collo sul materasso,  il ritmo passa da frettoloso a frenetico.

– Non ti deve... ah... non ti deve toccare nessuno. –

Mi aggrappo al lenzuolo.

– Non ti devono nemmeno guardare. –

Stringe sul collo, non taglia il flusso d'aria ma inizia a girarmi la testa.

– Non ti devono dire un cazzo, non ti devono parlare, non devono volerti e non devono... –

Lascia cadere le mie gambe ai lati del suo corpo, non si ferma, ma si china verso di me. Mi guarda negli occhi e ci vedo tante cose dentro. Ci vedo la passione, la voglia, l'emozione, ci vedo il calore bruciante e quel tepore più timido, vedo la versione che mi sta mangiando, vedo quella che invece è solo euforica di essere qui con me.

Sorrido.

– Sono tuo. –

– Mio, cazzo, sei solo, solo mio, sei... –

– Sono tuo, Eijirō, io sono tuo. –

Schianta le labbra contro le mie, io non reagisco se non ricambiando il bacio, non ce la faccio. Gli gemo addosso, mi lascio sbattere fra sé e il materasso, prendo ogni cosa che mi dà, tutte, ogni dettaglio, ogni centimetro, ogni bacio, ogni...

Io sono sull'orlo del precipizio da prima.

Credo di esserlo dal momento in cui sono entrato nella doccia e l'ho visto nudo, sinceramente, e credo di essere stato ad un millimetro dal raggiungerlo per tutta la serata.

È impressionante che sia riuscito a resistere così tanto.

Di solito non cerco neppure di resistere, quando lo sento arrivare non mi fermo, perché finito quello è finito tutto e non devo più costringermi a stare con qualcuno di cui, a dirla tutta, nemmeno m'interessa.

Invece ora forse ci provo, per un attimo, a mandarlo via.

Però poi non ci riesco.

Perché Eijirō è dentro di me fino in fondo, perché mi sento felice, perché mi sento completo. Perché è tanto bello, è tanto dolce, e io sono tanto preso.

Perché...

Mi pare che il mio cuore si fermi.

Che il sangue smetta di fluire, che il mio corpo s'irrigidisca, che il cuore smetta di battere.

E poi arriva.

Con le mie dita che si artigliano alla sua schiena, la schiena che s'inarca e gli occhi che rotolano indietro, arriva.

L'orgasmo mi attraversa il corpo come se mi sommergesse.

Io mi lascio sommergere.

Perché mi sta bene, essere vulnerabile, qui, e mi sta bene che tu veda coi tuoi occhi esattamente quanto bene mi fai stare.

Quando torno sul pianeta Terra, quando i bordi e i contorni delle cose tornano ad essere definiti, lo trovo di fronte ai miei occhi, fermo per un istante, che mi guarda.

Io guardo lui, ma non mi muovo.

Dio, quant'è bello.

È la summa in un'unica persona di tutte le cose che trovo attraenti in un uomo.

È alto, è grosso, sembra non finire mai. Ha la mascella definita e ha gli occhi affilati e la cicatrice sul sopracciglio è carina, carina per davvero. Mi piace come gli cadono i capelli attorno al viso perché lo fanno sembrare più selvaggio, più istintivo, mi piace il sudore che gli imperla la pelle e gli fa scintillare i solchi dei muscoli, mi piacciono le sue mani, aperte su di me, che mi stringono forte in certi momenti, mi accarezzano il viso in altri.

Il pensiero di sbattere le palpebre e non vederti più mi terrorizza.

L'idea che potrei, fra un giorno, un'ora, un mese, avere e fare questo con qualcun altro, riprendermi da un orgasmo e non vedere te, mi disgusta.

Hai ragione.

Io sono tuo.

E te l'ho detto ora, ma ti giuro che te lo dirò a casa, dove non siamo lontani, dove non siamo sospesi, dove il mondo fa paura e io non sono così forte.

Ho paura di stare con te.

Ma mi rendo conto ora, che stare senza, è decisamente molto più spaventoso.

– Continua. – è la prima cosa che riesco a dire, con l'espressione addolcita dalle endorfine, le mani che tremano nel tentativo di accarezzargli la schiena costellata di graffi.

Sbatte le palpebre.

– Mh? –

– Continua. Finisci anche tu. –

Il mio corpo è tremolante, ipersensibile, sarebbe meglio se lo riposassi, se smettessi, ma...

Non m'importa.

A me importa che tu stia bene.

M'importa che...

– Sicuro? –

Apro una coscia sul letto, l'altra l'incastro dietro la sua schiena, lo spingo verso di me.

– Certo. –

– Ok. –

Ricomincia ma il fuoco che gli vedevo addosso, ora, dietro le lenti appannate della mia soddisfazione, sembra più languido, più calmo.

Il suo corpo sbatte contro il mio, il rumore della pelle che colpisce la pelle si mescola nell'aria alle nostre voci e a quello del legno del letto che ritmicamente impatta contro il muro, mi sembra di sentire ogni nervo a fior di pelle, ogni sensazione amplificata.

È così bello, così bello.

Si tira i capelli indietro con una mano per guardarmi meglio, si lecca le labbra, stringe la mascella.

È così dannatamente bello.

E di tutte le persone con cui potrebbe essere, dei milioni di persone che sono sicuro farebbero carte false per un minuto del suo tempo, lui è qui con me, sta facendo questo con me e sono mesi che non si arrende pur di stare con me.

Sono fortunato.

Sono davvero fortunato.

E sono cottissimo.

Forse cotto di un tipo di affetto che negli ultimi diciotto anni non avevo mai conosciuto.

Appoggia una mano a fianco del mio viso per reggersi, i suoi movimenti si fanno più veloci, meno regolari.

Mi sposto perché la mia guancia sia a contatto col suo polso, mi strofino piano, lo guardo e basta.

Inarrivabile.

Sei inarrivabile.

Ineguagliabile, impareggiabile.

Indescrivibile.

Qualcosa che non so se mi merito, non so se mi sono mai meritato, ma che non posso fare a meno di volere e a meno di adorare.

Si abbassa verso il mio viso che ha il fiato corto, il corpo che inizia a tremare, so che è vicino.

Sfioro le labbra con le sue, sorrido, lascio che le mie gambe lo stringano verso di me dal retro della schiena.

– Katsuki... –

– Vieni per me, Eijirō. –

Il muscolo della sua mandibola si contrae, accarezzo la zona dove l'ho visto guizzare per un secondo.

– Cazzo, Kat, cazzo, ca... –

– Per favore. –

Sbatte così forte contro di me, il suo corpo, che mi fa quasi male. Mi stringe il fianco con tale foga che temo potrebbe rompere l'osso.

Ma mi piace.

Che mi... brami.

Che mi voglia così tanto.

– Katsuki, Katsuki, Kat... –

– Ti prego, Eijirō, ti prego. –

E l'attimo dopo la mia schiena è sul materasso, il suo corpo fra le mie gambe, se stesso non più dentro di me ma stretto fra le sue dita e il mondo cade anche per lui.

È sexy.

Lo è davvero.

Lo è perché tutto di lui è attraente, la voce, l'aspetto, il modo, il carattere, ma lo è anche perché ti arriva come una botta in testa la consapevolezza che lui non è con qualcun altro, con la tipa della festa quella sera o con il capo delle cheerleader, ma è con te, a guardare te, a venire con te, per te e su di te.

Non è con loro.

È con me.

Lui chiama me.

Lui vuole me.

Lui...

Il suo orgasmo mi bagna la pancia, le sue mani mi stritolano per un attimo che sembra durare un'eternità, trattengo il fiato e guardo qualsiasi dettaglio per stamparmelo a fuoco nella memoria, il mio cuore batte forte, così fa il suo.

E poi si scioglie, mi sciolgo io, e alza lo sguardo, prima di lasciarsi cadere sul letto di fianco a me, con la fronte contro la mia e le labbra che mi cercano.

Non è ancora stanco, eh?

Si sente che non è stanco.

Ha solo un po' il fiatone, ma niente di più.

Questo fra mezz'ora ricomincia come niente.

Ma mi va bene.

Ok.

Fai come vuoi.

Io tanto, sono qui per te.

Mi accarezza il viso ma senza fretta, con calma, percorre la linea dei miei zigomi coi polpastrelli, mi passa le dita fra le ciocche chiare, mi bacia finché non è soddisfatto, finché non è contento.

Quando si stacca ha lo stesso sguardo che ho io.

Cotto.

Adorante.

Soddisfatto.

– Intero? –

Faccio spallucce.

– Più o meno. –

– Contento? –

Annuisco.

– Euforico. –

Ridacchia, mi bacia la punta del naso.

– Anche io. –

Passa con le labbra sulle mie guance, sugli angoli della bocca. Sorride, sorrido anch'io, mi sembra di navigare in un'acqua sottile, piacevole, che mi riscalda senza scottarmi.

Appoggia la fronte contro la mia, a me viene da ridere e rido anche se non so perché, mi lascio toccare e mi lascio accarezzare, lascio che sia affettuoso con me.

Va bene, se sei tu.

Non sono mai stato così a mio agio con un'altra persona.

Quindi... va bene.

Va...

– Sei la cosa migliore che mi sia capitata. –

Apro gli occhi di colpo.

– Katsuki, tu sei la cosa migliore che mi sia capitata nella vita. –

Ha le iridi un po'... lucide, e la voce che un pochino trema e...

– Non so se lo sai, ma volevo che tu lo sapessi. –

Sento i tratti del mio viso distendersi, anche le mie iridi lucidarsi un po', il cuore che si riempie di gioia.

Raccolgo tutta la forza che ho per attraversare la sua vita con una coscia e spingerlo con la schiena sul materasso per poterlo raggiungere meglio.

Gli stringo forte le mani con le mie.

Piego la testa, quando gli parlo, e sorrido come viene, come sento di voler fare, lo guardo contento, onorato, euforico di poter essere qui con lui.

– Anche tu lo sei, Eijirō. Sul serio. Sei meglio che se vincessi il Nobel. –

– Meglio del Nobel? –

– Meglio del Nobel. –

Apre le braccia, mi tira giù, mi stringe a sé.

– Oh, Katsuki... sei adorabile, sei... –

Lo interrompo baciandolo.

Risponde al bacio.

Sì, sei meglio del Nobel.

Sei meglio del premio Wolf e sei meglio della Medaglia Fields.

Perché ti amo, Eijirō Kirishima.

Te lo direi, lo farei.

Ma non lo voglio fare qui.

Te lo dico a casa.

Perché non voglio che pensi nemmeno un secondo che sia qualcosa che non faccio ogni dannato, quotidiano, stupido giorno della mia cazzo di vita.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

OK ALLORA CI SIAMO RIUSCIT* ALLELUJA DOPO DICIANNOVE CAPITOLI C'È STATO DEL SESSO

è stato catartico
giuro

as always vi chiedo se mi dite cosa ne pensate (rispondo poco ai commenti perché non apro mai l'app praticamente la uso solo da pc MA LI LEGGO TUTTI DALLE MAIL QUINDI VI LEGGO E VI AMO giuro che non sono una stronza sono sempre super felice dei vostri feedback e mi interessano sempre )

e boh niente basta prossima settimana soap poi scottish sithe e questa torna fra un pochino ma TORNA

ah e mancano otto capitoli alla fine

quindi
NIENTE NO NON CI VOGLIO PENSARE

UN BACIONE

mel ;D

tysm for the beta reading to v4ltor sendin you kisses babe <3

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