𝚜𝚞𝚛𝚟𝚒𝚟𝚊𝚕
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Sento la porta aprirsi.
Distintamente, chiaramente, sento la porta aprirsi.
Cigola sulla cerniera e fende l'aria, ed è seguita da una serie di passi che sbattono contro il parquet, in un rumore che riesco perfettamente a distinguere.
È...
Strano.
Sentirla.
La sto sentendo perché...
Oh, cazzo. Non riesco ad aprire gli occhi. Mi fa male la pelle, mi fanno male i muscoli, mi fa male ogni angolo del corpo.
Ho il metallo al posto delle ossa, metallo rigido, colato e raffreddato, che non si piega, non si flette, non obbedisce.
Sono conciato...
Sono conciato una merda.
Mi fa male tutto.
Mi fa male la testa.
Mi fa male...
Sento altri passi.
Sento?
Perché sento?
Non dovrei...
Riesco appena appena a piegare la testa per cercare di dare un po' di mobilità al collo, una guancia si strofina contro il materasso, mi rendo conto che fa attrito contro qualcosa dentro al mio orecchio.
Sono andato a dormire con l'apparecchio?
Com'è che sono andato a dormire...
I passi si fanno più serrati, poi si fermano, l'attimo dopo il peso di qualcuno si appoggia a fianco a me, sento il letto piegarsi e metà del mio corpo scendere con esso.
Mi arriva... una mano fra i capelli.
Mugugno qualcosa quando mi rendo conto che le unghie corte che grattano fra le ciocche chiare sono quelle di mia madre, riporto la faccia contro il letto e mi rilasso, lasciandomi andare completamente ad una sensazione di completa familiarità.
Non so manco chi sono al momento.
Ma di tutte le persone di fronte a cui posso ammettere di non saperlo, questa...
È forse la prima.
– Sei sveglio? –
Il mio cervello risponde "bella domanda di merda, se stessi dormendo come credi ti avrei potuto rispondere", ma la mia bocca emette solo un verso lagnoso.
Gratta un po' più forte.
– Direi che sei sveglio. –
Grazie al cazzo.
Grazie al cazzo che sono...
– È quasi ora di pranzo, scemo. Sono venuta a vedere se fossi vivo. –
Quasi ora di pranzo?
Non è ora di pranzo, avanti.
È ora di...
Ma che ne so che ora è.
So che mi fa male tutto, che sono indolenzito, che la prospettiva di mangiare ora come ora non è affatto allettante, che...
– So che dovrei farti il culo perché mi sei tornato a casa alle quattro di notte sbronzo marcio ma io alla tua età ero peggio, quindi vada, per questa volta. Però sarei felice se mi facessi vedere che sei vivo, ecco. –
Mugugno un'altra volta, la sua mano scende verso il mio collo, si aggrappa all'orlo della felpa.
La sento tirare giù, immagino guardi qualche istante, poi lo rimette a posto.
– Dio, se non mi somigli, ragazzino. Ero solo molto più stupida di te. –
Non so cosa intenda, o forse lo so, ma lascio correre e mi godo le sue dita sul mio viso che sanno di casa, perché è mia madre, perché è la sensazione più familiare che conosca.
– Dammi un cenno di vita che non sia il verso di un tricheco spiaggiato, su. –
La mia gola si esibisce gratuitamente in un altro mugugno, ma l'attimo dopo, quando la mia coscienza e la parte logica di me inizia a farsi strada fra la coltre annebbiata dei miei pensieri, tento d'impastare le labbra fra di loro.
Non credo di essermi lavato i denti, prima di andare a dormire.
La mia bocca sa ancora di alcol.
E di...
– 'Fanculo. – è tutto quello che riesco a dire.
Ride.
Col tono caldo e pieno di sempre, ride e mi pizzica una guancia.
– Ecco il mio bambino. Ben svegliata, principessa, bentornata al mondo reale. –
– 'Fanculo. – ripeto.
Ride di nuovo, ma invece di pizzicarmi mi accarezza la guancia libera, spazza via qualche ciocca dalla mia fronte, passa i polpastrelli contro il bordo di un occhio.
– Devi tirarti su e lavarti la faccia, cambiarti e bere due litri di caffè. Se non ce la fai ad alzarti ti aiuto come facevo quand'eri piccolo. –
Sì, sono sempre stato un tipo... pigro.
Non mi piace svegliarmi la mattina. So che non piace a nessuno, ma a me, davvero, fa proprio schifo.
Vorrei rimanere a rotolarmi nel letto fra le coperte e godermi il calore del piumone sul mio corpo e tenere gli occhi chiusi finché non s'incollano fra di loro e...
– Ti ho preso un'aspirina per il mal di testa. Forse è anche meglio se ti togli l'apparecchio, l'hai portato tutta la notte, non dev'essere stato piacevole. –
Strizzo più forte gli occhi e il fastidio dell'apparecchio che si frappone fra il lenzuolo e il mio orecchio si acuisce.
È vero, devo toglierlo.
Devo liberarmi.
Però non riesco a muovermi, e...
Non berrò mai più.
Non m'imboscherò mai più in uno stanzino con uno che pesa quattro volte me e non farò in modo mai più che mi prenda e mi strizzi come uno straccio.
È stato divertente, Dio, lo è stato davvero, ma ora...
Sono sfinito.
E credo di aver dormito otto ore come minimo.
È illegale che mi senta così male, no?
E ora come faccio a studiare?
E ora come faccio a...
Oh, merda.
Più mi sveglio più me ne rendo conto.
E ora come faccio a fronteggiare tutto quello che è successo ieri sera? Come diavolo faccio a... ci siamo baciati, ok, ci siamo baciati. Ci siamo solo baciati. Un bacio non cambia niente, non cambia assolutamente...
Mi passa per la testa un flash istantaneo di quello che è successo.
Baciati?
No, Katsuki, non vi siete solo baciati.
VI siete saltati addosso.
E l'avete fatto perché tu...
Cosa faccio con Shindō?
Cosa faccio con...
– Mamma? –
La sento irrigidirsi per un attimo.
Non la chiamo spesso... "mamma". La chiamo "stronza", la chiamo "vecchia", ma "mamma"...
– Dimmi, stronzetto. –
– Ho fatto una cazzata, ieri, mi sa. – mugugno con la faccia contro le lenzuola e le parole tutte appiccicate le une sulle altre.
Sospira, poi ride piano.
– Ti sa? A giudicare dal tuo amico di sotto e da come sei conciato credo che sia piuttosto chiaro che ne hai fatta una. –
Aggrotto le sopracciglia.
– Il mio amico di sotto? –
– Sì, è venuto a sentire come stessi. Muoviti a scendere così si rilassa, è un fascio di nervi. –
Raccolgo ogni grammo di energia che possiedo e mi rivolto pancia all'aria.
Artiglio l'orecchio con una mano e mi strappo via l'apparecchio di dosso.
– Potevi anche farlo salire Denki, quel cretino ci vive, qui. – sbotto, mentre il mondo si fa ovattato.
E senza occhiali distinguo male mia madre rispondere, ma non me ne curo, perché ho mal di testa, ho sonno, e ho troppe, troppe cose a cui pensare.
Ci metto, a tirarmi su, il tempo che ci mette lei ad alzarsi, lasciarmi un bacio sulla fronte e uscire.
Mi alzo come se la costante di gravità della Terra fosse improvvisamente raddoppiata.
Provo a tirare su le spalle, ma ricadono indietro. Cerco di fare leva sui polsi, ma quando la schiena pare sul punto di sollevarsi dal materasso la testa riporta tutto inevitabilmente indietro.
Muovo le gambe, ma non sono di grande aiuto.
Cerco di usare gli addominali, ma...
Non saprei spiegare come io faccia ad alzarmi.
Davvero, non ne ho idea.
So solo che un'eternità dopo, mezzo secolo dopo, sono in piedi sulle mie gambette molli che arranco fuori dal letto per cercare di arrivare al bagno.
Sono... ancora stanco.
Voglio decisamente ancora dormire.
Ma ho anche voglia di un caffè gigantesco pieno di zucchero, e di tornare a sentire il mio corpo come se fosse un corpo e non un peso attaccato alle mie ossa da qualcuno che vuole rompermele e distruggermele.
Apro la porta del bagno, mi aggrappo al lavandino appena sono abbastanza vicino, faccio l'errore madornale di accendere la luce senza pensarci e il brillare istantaneo delle lampadine mi brucia le iridi e mi costringe a chiudere immediatamente gli occhi.
Merda, merdissima merda.
Non toccherò mai più una goccia di alcol.
'Fanculo.
Quand'è che torno normale?
Quand'è che mi riprendo?
Io non...
Cerco di prendere un grande respiro e di rilassarmi per un attimo.
Un'aspirina, un caffè e un po' di cibo e vedrai che tornerai come nuovo.
Ti lavi la faccia, ti cambi dal pigiama, ti fai una bella dormita e starai perfettamente, il tuo cervello ricomincerà a funzionare e gli arti a rispondere ai tuoi comandi.
Non c'è niente che non vada.
Niente.
Assolutamente niente.
Mi sfilo la maglia prima di riaprire gli occhi.
Ricordo davvero poco di quello che è successo ieri dopo che Kirishima se n'è andato. Ricordo Shindō che si lamenta del fatto che non volessi andare a casa con lui, Denki che schiocca la lingua e gli dice qualcosa di velenoso, Shinso che mi tiene un braccio attorno alle spalle per aiutarmi ad arrivare al parcheggio senza morire sull'asfalto.
Sono rientrato a casa e mi sono cambiato.
Me la sono fatta una doccia?
Credo di sì.
Grazie al cielo che il mio apparecchio acustico è impermeabile o avrei buttato un sacco di soldi nel cesso solo perché ho deciso di prendermi una sbronza.
Non sono propriamente certo di cosa io abbia addosso.
Per quanto ne so potrei essermi messo un reggiseno di mia madre o il costume da bagno.
Slaccio il fiocco dei pantaloni e lascio cadere pure quelli, un brivido di freddo m'intirizzisce il corpo da testa a piedi ma per quanto sia sgradevole e per quanto la prospettiva di tornare correndo verso il letto, tuffarmici dentro e rintanarmi fra le coperte finché il mondo non sarà finito mi alletti, immagino che mi faccia bene.
Apro gli occhi poco alla volta.
Poco, poco alla volta.
Mi sembra di tirar su anche loro con una gru da carichi pesanti.
Le palpebre si sollevano di un millimetro alla volta, le pupille cercano di riadattarsi alla luce, le tempie mi pulsano dal dolore l'attimo esatto in cui sono definitivamente aperti.
Ma dopo il dolore, inizio a vedere.
E quel che vedo di me di fronte allo specchio, in mutande, è... terrificante.
Maledetto...
Maledetto bastardo.
Maledetto porco, stronzo, bastardo che allunga le mani.
Maledetto giocatore di football con la presa d'acciaio.
Maledetto cretino con l'istinto da squalo.
Maledetto...
Ho il collo viola.
Tutto il collo viola.
Tutto il collo costellato di morsi, sulla glottide, verso la spalla, sotto l'orecchio, persino le clavicole. Sembra che io abbia avuto un incontro ravvicinato con un vampiro o, che so, con una sanguisuga.
Poi...
Ho i segni sulla vita.
Netti, distinti, chiari.
Mi giro per guardare meglio e divento paonazzo al solo intravederne la forma.
Ho le cinque dita stampate sulla pelle.
In corrispondenza di dove mi ha stretto ieri per tenermi su, io ho il segno delle sue mani che mi... stringono.
Merda.
E io come la nascondo sta roba?
Come la mando via?
Grazie al cielo che ho Denki in casa, grazie al cielo, lui saprà come fare, saprà sicuramente come...
Mi sporgo verso lo spazzolino, ci spremo sopra una quantità che non riesco a distinguere di dentifricio, lo ficco in bocca e inizio a muovere le setole su e giù sui denti.
Stronzo di merda.
Saremo stati da soli mezz'ora, non di più, cazzo.
E in mezz'ora... questo?
Mi balena per la mente il pensiero, se non la curiosità, di sapere cosa sarebbe successo se fossimo rimasti un minuto in più, mezz'ora in più, un'ora in più, ma lo scaccio.
Domani mi sente.
Domani vado da lui e gli tiro un bello schiaffone in faccia.
Che sono, la tua troia?
Oddio, forse sono la sua troia.
Ho decisamente fatto la troia.
È stato divertente fare la troia?
Spazzolo più forte.
È stato divertente, ma porca puttana, non ha reso le cose più facili e non ha diminuito nemmeno di un briciolino tutto quello che mi succede dentro.
Anzi, se possibile, l'ha... peggiorato.
Ora...
Voglio saperne di più.
Voglio vederlo fare di più.
Vorrei che facessimo di più.
Pensieri a parte, speculazioni a parte, che quelle torneranno quando tornerà un minimo di coscienza nel mio cervello in hangover, fisicamente, istintivamente parlando, io voglio fare di più.
Le cose vere.
Quelle serie.
Quelle...
Tiro fuori lo spazzolino dalle labbra, apro il rubinetto, risciacquo la bocca.
Sesso.
Voglio fare sesso.
Voglio vederlo fare sesso con me.
E voglio sentire che dice, voglio sapere come mi guarda, voglio percepire le sue mani su di me. Voglio il prima, quel momento in cui sai cosa succederà ma non sai come, e voglio il dopo, quando le sue mani si muovono fra i miei capelli e il suo corpo avvolge il mio.
Voglio...
Come inizio a sentire caldo, appoggio lo spazzolino sul lavabo e caccio la faccia sotto l'acqua.
Devi pensare a un sacco di cose, Katsuki.
Devi pensare all'intera situazione con Shindō, a riprenderti e a capire emotivamente quello che vuoi.
Non fantasticare su un metro e novantacinque di armadio giocatore di football che ti prende e ti piega e ti apre in due su un letto, non passare il tempo a cercare di speculare su come dev'essere sentire le sue mani affondarti sulla vita, non speculare su come dev'essere nudo, completamente nudo, che suda contro il tuo corpo, non...
Giro la manopola finché l'acqua non è gelida.
E per quanto faccia male e per quanto i miei ormoni diciottenni ci provino, alla fine vince lei, e la temperatura dei miei pensieri scende vertiginosamente fino a raggiungere lo zero assoluto.
Cerco a tentoni il detergente che mi ha comprato Denki, ne spremo un po' sulla mano e mi lavo la faccia.
Oggi non si pensa a nessuno.
A nessuno che non sia tu.
A nessun giocatore di football.
Oggi ci si prende un attimo per se stessi e per respirare, ci si dà un po' di pace e si cerca di ristabilirsi.
Dopo.
Dopo, dopo.
Non ora.
Non...
Afferro l'asciugamano, trascino via le goccioline gelide dalla mia faccia e mi guardo riflesso nello specchio.
Vedo una persona normale.
Succhiotti, mani, guance arrossate a parte.
Vedo qualcosa di normale.
Vedo i capelli biondi, il taglio affilato degli occhi, la pelle chiara e il naso dritto.
Normale.
Io sono...
"Sei la cazzo di cosa più bella che abbia mai visto".
Mi diventa fuoco il ponte del naso.
A me.
L'ha detto a me.
Io sono la "cazzo di cosa più bella che abbia mai visto", non qualcun altro, io.
Lui che è così bello, così attraente, così perfetto, l'ha detto a...
Me.
Era incazzato per me.
Era geloso di me.
Ha bevuto perché non riusciva a controllarsi riguardo a... me.
Non mi era mai capitato che qualcuno mi volesse in questo modo. Non mi era mai capitato che qualcuno come Kirishima decidesse che valesse la pena... darmi corda.
E invece lui sì.
A lui... piaccio tanto.
Mi mordo il labbro inferiore quando mi rendo conto che sto sorridendo, chino lo sguardo e lo fisso sulla superficie bianca della ceramica del lavabo.
Non è stato l'orgasmo, o i baci, o le mani, nemmeno la messa in mostra gratuita della sua forza quando ha piegato l'armadietto solo tirandoci un pugno.
Niente di tutto questo è il motivo per cui il solo pensiero di quel che è successo mi fa tremare le gambe e scaldare la faccia.
È il bisogno.
Il fatto che lui avesse... bisogno di me. Che fosse bisognoso di me, che gli interessasse di me e nessun altro e che tutto il mondo fosse in secondo piano rispetto a me.
L'attenzione.
La...
La rabbia.
Lui non si arrabbia. Non lo conosco da così tanto da poterne essere certo ma al contempo sono abbastanza in confidenza per saperlo.
Lui non si arrabbia, Eijirō Kirishima non si arrabbia mai.
Io lo faccio arrabbiare.
Io sono un'emozione forte, per lui.
Io...
Mi fa sentire in prima linea, e questo mi spaventa. Mi fa sentire esposto, mi fa sentire nudo e inerme di fronte ad un'intera battaglia.
Ma mi fa sentire importante.
E che mi faccia sentire importante mi piace.
Mi piace... decisamente troppo.
Esco dal bagno che non ho le idee più chiare ma quantomeno un banco di nebbia meno fitto nel cervello.
Arrivo in camera mia, apro la cassettiera delle felpe e le guardo per cercarne una da mettere.
Voglio rilassarmi, oggi, no?
Voglio decisamente rilassarmi.
E cosa c'è di più rilassante di una felpa tre taglie più grande della tua che ti avvolge come una coperta quando ti siedi?
Non è perché è sua, è perché è obiettivamente la più grande che ho. Non è perché è quella della sua scuola di Osaka ed è rossa come i suoi capelli, non è perché mi ricorda lui.
È solo perché...
La prendo e la infilo.
Mi arriva quasi alle ginocchia, le maniche superano generosamente le mie mani, il fodero interno è morbido contro la pelle e il collo è tanto in alto che se piego la testa mi entra tutta fino al naso.
Mi piace questa felpa.
Forse un'altra gliela chiederò, prima o poi.
Lui ha detto che me ne avrebbe regalate quante me ne pareva, no?
Quella del football. Quella che fanno alla squadra, senza il cappuccio, coi bottoni e il nome scritto dietro. Quella gliela ruberò, prima o poi.
Dev'essere parecchio comoda.
E dev'essere parecchio carina, con scritto dietro "Kirishima" e il numero venti, addosso a me.
Lascio perdere e mi giro verso il letto.
È sfatto, dovrei rifarlo, ma non credo che passerò tanto tempo fuori dalle coperte, oggi, quindi lo ignoro. Mi sporgo verso il comodino solo per mettere l'apparecchio acustico dentro la custodia, nulla di più, m'infilo un paio di calzini e lascio perdere i pantaloni perché non credo di farcela a piegarmi senza morire e tanto devo rimanere in casa, mi dirigo verso la porta.
C'è un silenzio confortevole, in casa mia, ed è il silenzio di stare senza apparecchio.
È una cosa che mi piace.
Mi sa di sicurezza, di pace, di intimità.
Quando arrivo verso le scale muovo le dita sull'interruttore della luce così che scatti di sotto e mia madre sappia che sto per scendere, mi aggrappo al corrimano e uno scalino alla volta, piano e con calma, scendo verso il salotto.
Mi chiedo perché Denki non sia salito.
Sale sempre, oggi no?
Forse è messo peggio di me e non vuole fare le scale, è possibile.
Forse sta parlando male di me con mia madre, è un'altra cosa che fa decisamente non di rado.
Mi schiarisco la voce.
Quando arrivo al fondo delle scale imbuco immediatamente la porta della cucina, a destra rispetto a me, alzo entrambe le braccia per stiracchiarle e lasciar schioccare le vertebre e mi guardo attorno.
Non le tiro giù.
Vedo mia madre di fronte alla macchinetta del caffè che ne versa un po' in una tazza.
Aggrotto le sopracciglia.
– Dov'è quel cretino di Denki? –
Parla piano per farmi leggere le labbra.
– Dietro di te. –
E io mi giro.
Dietro di me, io mi giro.
Il problema, è che quello che mi si para davanti, a Denki Kaminari non ci assomiglia manco per il cazzo.
La prima cosa che faccio è tirare immediatamente giù le braccia.
Sollevandole non s'erano alzate solo loro, ma anche tutta la felpa, e l'orlo era decisamente sopra il bacino, quindi inevitabilmente sopra...
Non che non l'abbia mai visto, per carità.
Gli ho chiaramente mandato una foto la settimana scorsa o giù di lì e ieri sera lo stava toccando, però...
La mia faccia, per l'ennesima volta nel giro di una sola, singola giornata, diventa rosso fuoco.
Che cosa ci fa qui? Come fa a sapere dove abito? Che diavolo è venuto a fare qui a quest'ora del mattino e come diavolo fa ad essere... così intero?
Era sbronzo quanto me, forse di più.
Perché lui sembra fresco come una rosa, solo un po' sudato, e io sono completamente da buttare?
Certo che la vita è proprio ingiusta.
È dannatamente...
– Ciao, Katsuki. –
Leggo le sue labbra con calma e cerco di prendere un grande respiro.
– Eijirō. – rispondo, perché non so che altro dire.
Rimane a fissarmi per un secondo e io fisso lui.
È palesemente andato a correre.
Anche questo, illegale, cazzo. Uno la mattina dopo essersi sbronzato non va a correre, col cazzo che va a correre, se ne sta a letto a dormire e a rigirarsi nelle coperte, miseria.
Questo invece è andato a correre.
Ha quello strano bracciale col velcro che si lega al braccio per tenere il telefono, una t-shirt che non fa nulla per nascondere i muscoli e i pantaloni corti, i capelli legati, la giacca a vento legata in vita e le scarpe da corsa.
Io sono... con la sua fottuta felpa, in mutande e sfatto, invece.
Mi scorre gli occhi addosso e gli nasce un sorriso timido sulle labbra che so perfettamente cosa significa.
Mi schiarisco la voce prima che mi dica qualsiasi cosa.
– Che ci fai qui, Eijirō? –
Torna sul pianeta Terra.
– Sono andato a correre per schiarirmi le idee e... ho deciso che volevo passare a vedere... come stavi. Ti dispiace? –
Scuoto la testa.
– Perché diavolo sei andato a correre per schiariti le idee? Non potevi farti una doccia fredda? –
Al momento, confuso e rincoglionito come sono, è l'unica cosa che riesco a pensare.
China lo sguardo.
– L'alcol è ipercalorico. –
I tratti del mio volto si sciolgono, l'istinto è quello di percorrere quei pochi passi che ci separano e stringergli le braccia attorno al collo.
Non lo faccio.
Ma mi viene da farlo.
Invece annuisco, non commento e lascio perdere, perché non credo che niente che io possa dire in queste condizioni possa aiutarlo, e di certo non voglio rischiare di peggiorare le cose solo perché sono rincoglionito.
Piega la testa di lato, per parlarmi, e c'è qualcosa di preoccupato nella sua faccia, qualcosa di apprensivo e tremendamente in ansia.
Saranno gli occhi da cucciolo.
Eppure non è che sembrasse tanto un cucciolo, ieri sera, più una belva, ma non importa, non è il momento di pensarci.
– Possiamo parlare un minuto? –
E di cosa vuole parlare?
Di ieri?
Oh, no, non vorrà parlare di...
Non ho nessuna intenzione di affrontare il discorso al momento, sono serio. Ho bisogno di riprendermi e di dormire via la sbronza, sicuramente non di mettermi a disquisire dei massimi sistemi della mia vita.
Apro la bocca per dirglielo.
Ma...
Come capita sempre quando si tratta di questo stronzo di Eijirō Kirishima, la mia volontà si sgretola.
– Certo. Mi fai prendere il caffè o è urgente? –
– No, no, fai. –
– Ok. –
Mi giro di nuovo verso la cucina e mi ritrovo di fronte mia madre con due tazze piene e fumanti in mano, un sorriso più che eloquente sulle labbra e quello sguardo che odio alla "guarda che so cosa stai facendo, stronzetto" che mi fa tanto incazzare.
La fisso nel modo peggiore che posso.
Lei muove le labbra piano che credo non stia parlando ma solo mimando le parole senza dirle ad alta voce.
– Accondiscendente è una cosa che non ti avevo mai visto essere. –
– 'Fanculo, mamma. –
– 'Fanculo te, ragazzino. –
Mi passa le tazze e le prendo facendo attenzione a non scottarmi le mani.
– C'è la coperta fuori? –
– No, prendila dal divano. –
– Mmh, ok. –
Aggrotta le sopracciglia, poi mi si avvicina.
– Il tuo ragazzo non aveva i capelli neri? – mi chiede, poi, all'ultimo.
Io roteo gli occhi verso l'alto, scuoto la testa e stringo lo sguardo su di lei.
– Non è il mio ragazzo, questo. –
– No? –
– No. –
Sorride e credo stia ridendo.
– Dirò questa cosa nel discorso che farò al vostro matrimonio, sappilo. –
– Vattene a fare in culo, mamma, davvero. –
Non procede oltre, solo rimane con quel sorrisetto saccente sulle labbra, e decido di ignorarla prima che questa casa si trasformi in una scena del delitto e io in un matricida.
Mi giro verso Kirishima che non ha perso niente di quella verve preoccupata di prima.
– Prendi la coperta, idiota. Usciamo. –
– Usciamo? –
Annuisco senza elaborare, perché non ho voglia di farlo, perché sarebbe inutile e fargli vedere cosa intendo è sicuramente più facile.
Sta un attimo fermo, all'inizio, poi, quando capisce che mi rivolgo alla coperta di pile tanto spessa da pesare un quintale appoggiata sul divano, obbedisce e basta.
La carica con le braccia, torna a guardarmi.
Esco senza sprecare ulteriore tempo.
Mi segue, credo, non ne ho idea, non sento.
Vado verso la porta di casa, la apro e non la tengo nella consapevolezza che Kirishima è perfettamente in grado di reggersi la porta da solo, mi dirigo di lato sul patio di casa mia, verso la panca di vimini che c'è dietro la staccionata che divide l'area della casa dal giardino.
Mi siedo, incrocio le gambe, lo cerco.
Era dietro di me.
Mi sorride piano, prima di sedersi come me, e passa un secondo interminabile in cui non so se dargli una tazza o chiedergli di mettermi prima la coperta o appoggiare il caffè da qualche parte e...
Ho il cervello molto confuso.
Grazie al cielo qua pare ci sia uno che se le è schiarite, le idee, quindi...
Mi appoggia una parte della coperta sulle gambe con delicatezza, come se scottassi, cercando in tutti modi di evitare di toccarmi, poi allunga una mano per farsi passare una delle tazze e la prende per sé, ringrazia velocemente e prende un sorso.
Io rimango...
Non dico deluso, però stranito.
Niente mano che sistema i capelli? Niente carezza sul viso? Niente commento carino o cosa dolce? Non ci stiamo nemmeno toccando con le gambe, miseria, che cos'è che sta...
Sbuffo ad alta voce, prendo la coperta e la stiro dalla sua parte, gliela caccio sopra le gambe senza dire una parola e a differenza sua ci indugio, sulle sue cosce, perché sono solide e mi piacciono e perché voglio sistemargli per bene il pile addosso.
Poi mi sposto dalla sua parte e giro la faccia verso di lui.
Lui guarda il caffè, non me.
Davvero, sembra preoccupato.
Sembra...
– Kirishima, che cosa sei venuto a dir... –
– Mi dispiace. Tantissimo. Mi sento una merda, mi dispiace. So che non puoi accettare le mie scuse e che quello che ho fatto è imperdonabile, però volevo dirtelo lo stesso. Mi spiace. Non avrei dovuto farlo. –
La mia faccia si rilassa in qualcosa che vaga fra lo stupore e la confusione.
Si sta scusando.
Per cosa si sta scusando?
Si è... pentito?
Era ubriaco e non avrebbe voluto farlo?
Mi sembrava piuttosto convinto, ieri sera, ma forse sono solo io che mi sono sognato tutta la sua sicurezza, forse l'alcol gli fa venire in mente idee strane, forse...
– Non volevo in alcun modo forzarti a fare qualcosa del genere. Ero sbronzo ma avrei dovuto rendermi conto che anche tu lo eri parecchio e che forse sarebbe stato meglio... –
– Forzarmi? –
Smette di parlare.
Gli tremano le labbra, lo sguardo rimane fisso e distante da me, ha la mascella così stretta che temo possa fargli persino male.
– Non è consenso se non sei nelle condizioni fisiche di darlo, Katsuki. –
– Anche tu eri sbronzo. –
– Sì, ma io... –
Mi sporgo dalla sua parte, afferro la sua maglietta con una mano e la tiro, come per attirare la sua attenzione.
Non mi guarda.
Non lo fa.
Ma ammutolisce.
– "Ma tu" cosa, Eijirō? Tu sei più grosso di me e quindi se siamo in due sbronzi sei tu il colpevole? Tu pensi che io sia il tipo da farmi fare quelle cose contro la mia volontà senza provare nemmeno ad oppormi? –
Non risponde.
– È stata una stronzata? Probabilmente sì. Probabilmente è stata la più grande stronzata che io abbia mai fatto nella mia vita. Ma nessuno mi ha obbligato, Eijirō. –
Deglutisce la saliva in silenzio, continua a non dire una parola.
Inizio a... infastidirmi.
Inizio ad infastidirmi.
Se si comporta così sembra davvero che se ne penta.
Perché se ne pente? Perché non ne è valsa la pena? Perché appena è tornato in sé si è reso conto del fatto che non voleva poi così tanto farlo? Perché ha deciso che invischiarsi con me è inutile?
Perché diavolo...
– Se sei venuto qui per dirmi che non avresti voluto farlo, fallo chiaramente. Sono stanco, rincoglionito e mi fa male la testa, non ho tempo di stare qui ad ascoltare le tue scuse, Eijirō. –
A questo punto, a questo punto si gira.
Di scatto.
Occhi nei miei, sopracciglia che s'incontrano fra di loro a metà strada, lo sguardo più serio che gli abbia mai visto in faccia.
– Tu credi che sia venuto qui per questo? Per dirti che non volevo farlo? –
– Non è quello che stai facendo? –
– No, sono venuto qui a chiederti scusa per essermi approfittato del fatto che fossi ubriaco per fare qualcosa che voglio fare da mesi, Katsuki. –
Sbatto le palpebre.
Quindi non se ne...
– Volevo fare tutto quello che abbiamo fatto. Volevo farlo da sobrio. Voglio farlo da sobrio. Voglio farlo con te sobrio che sai quello che stai facendo. –
– Chi cazzo ti ha detto che per me sia diverso? –
China lo sguardo, poi sorride un sorriso un po' amaro, piega la testa.
– Beh, il fatto che tu abbia un ragazzo, Katsuki. Direi che è un deterrente abbastanza palese, non credi? –
Apro la bocca per parlare ma nessuna parola esce fuori.
Rimango con le labbra separate, nel mattino freddo e frizzante che mi intorpidisce la pelle, a fissare Eijirō che dice la verità e che contemporaneamente dice una grande stronzata.
Cosa gli rispondo?
Non è che abbia torto, è che...
– No, Kat, per quanto faccia schifo, per quanto sia disgustoso da parte mia, non me ne pento e non lo farò mai. Non mi pento di niente, niente di quello che abbiamo fatto ieri, niente di quello che abbiamo fatto prima. Nulla. Però il fatto che non me ne penta è un problema e sono qui per dirti che lo so e che hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me. –
Lo dice come se lo pensasse.
Io credo che lo pensi.
Mi... fido del fatto che lo pensi.
E il fatto che lo pensi mi fa sentire...
– Senti, Eijirō, sono troppo rincoglionito per questa roba, quindi ti dico quel che penso e te lo fai andare bene, ok? –
Solleva le sopracciglia come se non si aspettasse quello che ho appena detto.
Poi... annuisce.
– Ok. –
Prendo fiato.
– La roba fisica non è il problema, Kirishima. Baciarci, toccarci, tutto quello che abbiamo fatto ieri, non è il problema che ho col dirti che voglio stare con te. Quella roba io l'ho sempre voluta fare con te, credo che su quello siamo... compatibili. –
– Compatibili? –
– Molto più che compatibili. –
Credo tenti di nascondere un sorrisetto ma credo anche che non ce la faccia molto bene.
– Il problema è emotivo. È una questione emotiva, per me. La fisicità non c'entra. E poi... –
Chino lo sguardo un attimo, poi lo riporto su di lui.
– Ascoltami bene, ok? Ascoltami bene. –
– Ti ascolto. –
– Perfetto. –
Mi sporgo piano dalla sua parte.
– So che non è giusto, so che è uno schifo e che sono una persona di merda a dirlo, perché ci sto tecnicamente assieme, ma... tu e Shindō siete su due piani completamente diversi, Eijirō. Se tu fossi come lui, ora staremmo assieme perché non me ne fregherebbe un cazzo di te. Tu non sei come lui. Io non sto con te perché non sei come lui. Non sto con te perché tu sei molto... più di lui, ok? –
– Non stai con me perché sono meglio? È questo che stai dicendo? –
– So quanto sembra idiota ma sì, Eijirō, questo è il punto. –
Sbatte le palpebre un paio di volte.
All'inizio sembra confuso, ma poi... gli si scaldano le guance.
– Quindi no, il fatto che io abbia un ragazzo non implica che ieri non volessi fare quello che ho fatto. E tornassi indietro lo rifarei. Quindi non venire a chiedermi scusa per questo perché mi fai solo sentire un coglione. –
– Ti faccio sentire un coglione? –
– Certo che mi fai sentire un coglione, cretino. –
Ridacchia piano, annuisce.
– Allora scuse non accettate? –
– Te le puoi mettere nel culo, le tue scuse. –
– Ricevuto. –
Sento i bordi delle mie labbra tirarsi su in un sorriso e così fanno i suoi, qui, nel patio di casa mia, al freddo, la mattina dopo una sbronza colossale e coi postumi ancora addosso.
Ci guardiamo, in silenzio, in una strada che ancora non si è svegliata, in un momento che scorre via in un attimo, ma che credo ricorderò, forse quasi più di tutto quello che è successo poche ore fa in uno sgabuzzino vicino alla palestra della scuola.
Me le mette, le mani addosso, poi.
Quando è sicuro che non ci sia niente che non vada, questo enorme coglione apprensivo che mi tratta molto meglio di quanto meriterei, mi mette le mani addosso.
Mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, appoggia il palmo aperto sulla mia guancia, rimane fermo con la pelle a contatto con la mia.
Di rimando mi appoggio sulla sua mano.
Chiudo gli occhi e mi appoggio, perché mi fa troppo male la testa per far finta che non mi piaccia e mi piace, Dio quanto mi piace, che mi tocchi così.
Mi godo per un istante il calore della sua pelle.
Poi ricomincio a guardarlo.
E quando lo guardo mi viene naturale dirgli...
– Sei la prima persona che mi tratta come se fossi delicato, Eijirō, lo sai? –
Non so da dove mi esca, da qualche recondito angolo del cervello, probabilmente. Suona come qualcosa che sapevo, ma che non sapevo allo stesso tempo, una sensazione senza nome che ora ne assume uno.
Sbatte le palpebre.
– In che senso? –
– Sei la prima persona a cui non faccio paura. Ho imparato a fare paura a tutti perché odiavo che mi vedessero fragile, ma con te non ci riesco. Sei... la prima persona. –
– Sono sicuro che anche i tuoi amici lo sappiano. –
– Sì che lo sanno, ma è diverso. –
Aggrotta le sopracciglia.
– Come? –
Istintivamente, mi sposto piano dalla sua parte.
– Loro hanno visto tutto, sono come mia madre, c'erano quando ero piccolo, sanno come sono fatto. Tu non dovresti saperlo. E invece... lo sai. E sembra che io sia delicato ai tuoi occhi, e questa cosa è strana. –
– Non è che sembra, lo sei. –
– Eh? –
Muove le gambe sotto la coperta, le nostre ginocchia si sfiorano.
– Sei delicato. Dentro, sei... delicato. Le tue emozioni, il tuo modo di pensare. Non debole, solo... delicato. –
– Io non sono delicato. –
– Lo sei. Ed è una cosa che mi piace tanto di te. –
Piega la testa, dopo averlo detto, e sento le mie guance scaldarsi per il solo modo in cui mi guarda.
– Tutto mi piace tanto di te. Mi piaci da morire. Mi sorprendi ogni giorno con un altro lato di te e mi sorprendo ogni giorno da solo a rendermi conto di quanto ogni cosa mi piaccia. Tu sei... la sbandata più grande che mi sia preso in tutta la mia vita, Katsuki. La più grande. –
Le mie emozioni si raggrumano, si addensano, poi si sciolgono dentro al mio cervello.
Sono troppo stanco, troppo poco in forma per metterle ognuna al loro posto, e risultano in qualcosa che non comprendo, ma che forse somiglia un pelino all'emozione.
Sì, credo sia emozione.
Sono... emozionato.
Perché...
Stringo le labbra fra di loro e guardo verso il basso, sento il mio viso arrossarsi.
Se non fosse qui di fronte a me caccerei un urletto dalla gola.
Cerco di riprendermi ma credo di mentire a dire di farcela, mi limito a... tirare su la faccia viola verso di lui e a stringere una mano nel tessuto della sua maglietta portandola verso di me.
– Vieni qui. – borbotto, e mi sorride, quando glielo dico.
– Così in mezzo al vicinato, Kat? –
– Non intendo quello, idiota, intendo solo che ti devi... –
– Avvicinarmi così? –
Si sposta seduto al mio fianco, io verso di lui, poi prende fra le mani la mia tazza quando gliela passo e rimane immobile a farmi fare quel che desidero.
E quel che desidero, ora come ora, stanco, sfinito ed emozionato, è un po' di calore, un po' di affetto, un po' di qualcuno che posso far finta non mi piaccia quanto mi pare ma che in realtà è per me un sacco di cose importanti racchiuse in una sola persona.
Quindi mi sposto su di lui.
Faccio leva sulle braccia indolenzite e gli atterro addosso, seduto sulle sue cosce, la nuca che batte sul suo sterno, il suo odore addosso.
S'irrigidisce, ma non fa nulla per fermarmi.
Io ho le guance davvero scure ma sono deciso in quello che sto facendo, quindi sistemo la coperta fin sopra le mie spalle, mi accoccolo contro di lui e riprendo la mia tazza.
– Se parli devi farlo all'orecchio, altrimenti non ti sento. – borbotto, mentre porto il bordo di ceramica alle labbra solo per inspirare l'odore del caffè.
Si china per rispondere come gli ho detto, e facendolo indugia col naso fra i miei capelli per un attimo.
Ha la voce sia timida che sicura di sé, e non saprei spiegare come questo sia possibile, ma giuro che lo è.
– Posso abbracciarti? –
– Secondo te mi sono seduto in braccio a te per sport, idiota? Non è che puoi, devi. –
– Ok, ok, agli ordini. –
Ride e nonostante non lo senta percepisco il suo petto vibrare contro la mia schiena, poi lentamente, con dolcezza, avvolge le braccia contro le mie spalle, e mi avvolge contro di sé.
La sensazione è la solita.
Caldo, protetto, al sicuro, tranquillo, rilassato.
Un po' a casa.
Un po'...
Affonda il viso contro la corona dei miei capelli biondi, lo sento ispirare, poi baciarmi piano fra le ciocche chiare.
Anche il suo corpo si rilassa.
Ed è...
– Eijirō? –
– Dimmi. –
Gli ripasso la tazza.
– L'appoggi sul tavolino, tu che ci arrivi? –
– Certo, ma non si raffredda? –
– Lo scaldo dopo. –
– Come vuoi. –
Allunga il braccio, appoggia la tazza sulla superficie di vimini del piccolo tavolo di fronte a noi, appoggia anche la sua, poi si risistema, infila entrambe le braccia sotto la coperta e mi stringe per bene.
Mi giro un po'.
Fino ad atterrare con la tempia sul suo sterno.
Lui mi muove le dita di una mano sulla coscia scoperta dalla felpa, con calma.
Rimaniamo in silenzio.
Sto per chiudere gli occhi, quando mi parla.
– Quindi, fra noi, questo... che è successo, ieri e oggi, cosa significa? –
Sbadiglio nascondendogli la faccia addosso.
– Vai tu a capirlo. –
– Non lo sai? –
– Tu? –
Non risponde.
Le mie palpebre si appesantiscono ancora, il mio corpo raggiunge un livello di rilassamento ancora maggiore, mi lascio andare contro di lui.
– Sai cosa? –
– Cosa? –
– Ci pensiamo domani. –
Vibra come se ridacchiasse.
– Ok, allora ci pensiamo domani. Ora? –
– Ora dormo. –
– Qui? –
Chiudo gli occhi, mi lascio avvolgere dal tepore.
– Hai di meglio da fare? –
Sento le sue labbra chiudersi contro la mia fronte, le sue mani stringersi su di me, il suo corpo addolcirsi contro il mio.
Poi risponde piano, e non so se sia perché parli effettivamente piano o perché il mio cervello che si stia addormentando lo recepisca meno.
– Non c'è niente nella mia vita che potrà mai essere meglio di questo. –
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
OK SCUSATE L'ORARIO ho avuto qualche problema con l'app di wattpad che fa bordello
ECCOMI TORNATA
sto meglio? un pochino ecco sisisisi e niente spero di riuscire a riprendermi totalmente nei prossimi giorni
sono di fretta quindi ecco vi chiedo solo di dirmi se questo capitolo vi è piaciuto e vi mando un super bacio
mel :)
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