𝚠𝚑𝚊𝚝 𝚔𝚒𝚗𝚍 𝚘𝚏 𝚍𝚘𝚞𝚐𝚑
!!! avvertimento veloce c'è una battuta un po' black humor vi prego se la leggete e la trovate di cattivo gusto non lapidatemi giuro che non voglio mancare di rispetto a nessuno solo che messa in questo contesto davvero mi faceva scassare !!!
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Non riesco a concentrarmi.
So che mi ero ripromesso di aspettare almeno un giorno prima di fare qualsiasi cosa, giusto per capire se ne fossi davvero sicuro, però...
Non riesco a concentrarmi, non riesco a studiare, non riesco a pensare ad altro.
Infilo gli occhi fra le righe del mio programma e nonostante ci provi davvero, a capirci qualcosa, ogni lettera scompare trascinata via dal corso inarrestabile della mia mente e rimango là, con la faccia da cretino, a fantasticare invece di mettermi al lavoro.
È che sono così felice e così emozionato e così agitato e così...
Denki dice che non può essere un caso.
Denki dice che se Kirishima è stato ammesso anticipatamente esattamente nell'Università dove sono stato ammesso io, se punta ad un futuro che necessariamente si allinea con quello a cui punto io, allora davvero non può essere un caso.
Dice che le stelle hanno parlato.
E io so che le stelle non parlano, porca troia, sono ammassi di gas distanti anni luce, però credo di pensarla in un certo qual modo come lui.
Non credo nel destino, manco per niente, sono uno scienziato, io.
Credo nei fatti.
E i fatti dicono che non c'è assolutamente alcun motivo, ora, per cui io dovrei aspettare di capire cosa provo se praticamente sono mesi che lo so già.
'Fanculo, avrei dovuto dire di sì prima.
Ora mi ritrovo nella situazione in cui è necessario, obbligatorio che questo passo lo faccia io, perché dopo tutti i "no" che gli ho detto se non sono io mostrare un'apertura lui continuerà a pensare che per me le cose siano come sono sempre state.
È che io non sono tanto bravo a...
Farmi avanti?
Prendere l'iniziativa?
Essere coraggioso?
Che cazzo, faccio così cagare che ho passato almeno venti minuti a urlare nel mio cuscino dopo averlo invitato a venire al Festival delle Scienze con me, come pensa il mondo che io possa ora essere un uomo d'azione e dirgli "vuoi diventare il mio ragazzo da ora a quando saremo due cadaveri" come se niente fosse?
Io sono sicuro di me solo negli ambiti in cui sono certo di essere il migliore.
Interagire con gli altri, credo sia chiaro a tutti, di certo non lo è.
Però...
La mia faccia crolla in avanti sulla scrivania, sospiro così forte che penso mi sentano anche i miei genitori al piano di sotto, stringo forte con le dita i bordi della sedia su cui sono seduto.
Maledetto, maledetto Katsuki.
Se invece di etichettare come "feccia del genere umano" tutte le persone a parte Denki e Kyōka che ti abbiano anche solo parlato nella vita da quando avevi sei anni a ora, se avessi provato a, che so, comunicare con le parole e non con le bestemmie, forse oggi sapresti cosa fare. Forse sapresti come affrontare la situazione.
E invece no, invece sei un cretino maldestro che è bravissimo a disegnare circuiti ma possiede un vocabolario limitato alle parole "cazzo", "'fanculo", "no" e "Denki, sei uno scemo di merda".
Devo farmi coraggio.
Devo farlo, perché voglio che quel ragazzo sia il mio ragazzo nello specifico.
Ma come... come diavolo...
Tiro su le braccia sulla scrivania, le incrocio, ci appoggio il mento sopra e guardo lo schermo del mio computer dove ho aperto l'app dei messaggi quando mi sono reso conto che se non avessi fatto qualcosa, non sarei riuscito a studiare.
Ci sono ancora i messaggi di ieri sera.
Mi ha mandato la foto della mia corona di Re Indiscusso del Festival delle Scienze, che mi sono dimenticato di riprendere quando mi ha lasciato a casa, incastrata nella cornice di una delle foto che tiene sul comodino.
Ha scritto che l'avrebbe tenuta.
Che sarebbe stato...
Oh, ma per la miseria.
Lui lo sa che faccio cagare con queste cose.
Lui in un paio di mesi è arrivato al punto di conoscermi almeno quasi quando i miei migliori amici, sa come sono fatto, non si è fatto spaventare o respingere da nessuno dei lati più spigolosi del mio carattere e non ha mai, mai, mai detto che qualcosa di me non andasse bene.
Di che sto a preoccuparmi?
Probabilmente se gli mandassi un messaggio ben scritto, articolato, emotivamente coinvolto e dolce per chiedergli di parlarmi chiamerebbe un'ambulanza.
Quindi vada come vada, a lui piaccio così come sono, socialmente inetto, spaventato dalle relazioni interpersonali e incapace di esprimere le mie emozioni.
Cazzo, Eijirō, che gusti di merda.
Sposto le dita sulla tastiera del PC.
Prendo fiato e mi dico che vada come vada, meglio sembrare un idiota che rimanere qui fermo senza combinare niente.
[You] >> dobbiamo parlare <<
Invio e rimango a fissare le spunte grigie tutto concentrato.
Diventate blu, diventate blu, su, diventate blu, per favore, per favore, per...
Diventano blu.
Il mio cuore inizia a battere più velocemente.
Volo con lo sguardo alla scritta "online", aspetto che si trasformi in "sta scrivendo", ma non succede, non lo fa, rimane così per secondi che paiono ore.
Perché non mi risponde?
Magari sta facendo qualcosa.
Beh, se stesse facendo qualcosa non avrebbe aperto il messaggio, quindi è ovvio che non stia facendo qualcosa, quindi per quale motivo non dovrebbe...
La suoneria del mio telefono mi coglie tanto di sorpresa che per poco non cado dalla sedia.
Sobbalzo di colpo, sbatto il gomito contro la scrivania, cerco di prenderlo ma per un pelo non mi cade dalle mani, apro la chiamata con le dita che iniziano a sudare e un brivido che scende lungo la schiena.
Perché mi sta chiamando?
Cazzo, e io che avrei preferito chiedergli di vederci via messaggio per non sentirmi troppo in imbarazzo.
Guarda tu questo stronzo che...
Porto il cellulare all'orecchio.
Prima che possa dire qualsiasi cosa un fiume di parole mi inonda il cervello.
– Kat, è successo qualcosa? Ho fatto qualcosa che non dovevo? Ti sei pentito di quello che è successo al Festival e vuoi dirmi di non parlarti mai più? Dio, Kat, se ho ti ho ferito in qualsiasi modo mi spiace, giuro che non volevo, dimmi cosa è successo e proviamo a risolverlo prima di... –
Sbatto le palpebre.
Eh?
– Eijirō, di cosa stai parlando? –
Ammutolisce.
Poi prende fiato.
– Del tuo messaggio...? –
– Ma ti ho solo scritto che dobbiamo parlare. Perché stai reagendo così? –
– Beh, scritto così, senza neanche una faccina, senza neanche dirmi di cosa sembra uno di quei messaggi che le persone ti scrivono per lasciarti, Kat. Non lo era? –
Io non capisco.
Ok, non era un messaggio caloroso e pieno di affetto, però a me sembrava un messaggio normale. Insomma, è chiaro, è coinciso, è diretto, non vedo cosa ci sia di tanto interpretabile.
Sento le mie guance farsi viola e parlo prima di potermene vergognare troppo.
– In realtà volevo chiederti di uscire. Non volevo... lasciarti. –
– Volevi chiedermi di uscire? –
Lo sento, dall'altra parte della cornetta, scoppiare a ridere.
Perché cazzo ride?
Fa ridere?
Insomma, meglio sentirlo ridere che sentirlo tutto ansioso come prima, però...
– Insomma, ecco... sì. –
– Dio, Kat, ti adoro. Te l'ho mai detto che ti adoro? Ti adoro. –
Il mio sangue si fa più caldo, l'imbarazzo mi si spande sul collo, sul retro della nuca.
Ok che non sto capendo una sega di quello che è successo negli ultimi cinque minuti, ok che credo di aver sbagliato qualcosa ma non so cosa, ma se questo è il risultato, allora...
– Quando? – chiede, poi, interrompendo le mie speculazioni.
Cerco di fare chiarezza nella mia testa piena solo di "ti adoro", "te l'ho mai detto che ti adoro", "Dio, Kat, ti adoro" a ripetizione.
– Oggi? Se sei libero. –
– Oggi... oh, miseria, oggi mi sa di no. Ho allenamento fino a stasera e poi Mirio ha invitato la squadra ad una festa e ho detto che sarei andato. –
– Mirio? –
– Sì, il vecchio quarterback della squadra. Non lo conosci? –
– Certo che lo conosco, cazzo, io e Denki gli abbiamo fangirlato dietro tutto l'anno scorso. Credevo che non lo conoscessi tu. –
Ride di nuovo, il suono è così dolce che vorrei rimanere ad ascoltarlo per ore.
– Vorrei poter fare il geloso ma io morivo dietro al suo ragazzo, quindi considero pari queste nostre cotte adolescenziali. –
Il suo ragazzo?
Ah, è vero.
Me l'aveva detto Denki.
Kirishima viene dalla stessa scuola di Osaka da cui viene il ragazzo di Mirio.
Dev'essere così che si conoscono.
Avevo rimosso questa informazione.
– Comunque non importa, possiamo fare domani. – dico, tornando al nostro argomento principale.
– Lo so, però... mi spiace non avere tempo oggi. Non ci siamo neanche visti a scuola, morirei per avere un'ora libera da passare con te, cazzo, mi manchi. –
– Guarda che ci siamo visti ieri. –
– E allora? Mi manchi lo stesso. –
Lascio salire le gambe sulla sedia, schiaccio le ginocchia fra me e il bordo della scrivania, nascondo il rossore della mia faccia anche se sono da solo.
– Se vuoi posso chiedere a Mirio se puoi venire anche tu alla festa stasera. –
– Che festa è? –
– Una festa in casa, credo ci saranno anche un sacco dei suoi compagni nuovi dell'Università. –
Mi mordo l'interno della bocca.
Non mi piacciono le feste, e so che Kirishima starebbe con me e che non sarei solo però non conoscerei nessuno e...
– Chiedi se può venire anche Denki? –
– Hai paura di rimanere da solo? –
– No, ma se c'è anche lui sono più tranquillo. –
Dopotutto ha detto che Mirio ha invitato tutta la squadra di football di quest'anno, quindi ci sarà anche Shinso, invitare Denki non mi sembra neanche poi tanto fuori di testa.
– Gli ho scritto, quando mi risponde ti faccio sapere. Però se mi dice di no usciamo domani, intesi? Non più tardi di domani. –
– Ok, va bene, va bene. Domani al massimo. –
– Domani. –
Qualsiasi espressione la mia faccia stesse facendo, la sento piano piano trasformarsi in un sorriso che nessuno può vedere ma che sono più che certo Eijirō conosca a memoria.
– Comunque mi manchi un po' anche tu. –
– Solo un po'? –
– Solo un po'. –
Ridacchia, lo sento prendere fiato con calma, abbassare il tono della voce.
– Magari salto l'allenamento e vengo a trovarti, che dici, è una cattiva idea? Non credo di potercela fare. –
– Non fare lo scemo, guarda che ci vediamo presto. –
– Sì ma presto non è adesso e io voglio vederti adesso e mi verrà un attacco di cuore se non ti vedo adesso. Cadrò a terra morto stecchito e sulla mia lapide ci sarà scritto che è tutta colpa tua. –
– Come potrebbe essere colpa mia? Sei tu che hai da fare, mica io! –
– Hai ragione, cazzo, è tutta colpa mia. –
Ridiamo insieme, sento il mio sorriso aprirsi di più, la tensione sciogliersi dalle mie spalle poco alla volta.
– Se vuoi vedermi ti mando una foto. – mi azzardo a dire, un po' intimidito dalla mia stessa proposta ma ugualmente deciso a metterla in pratica.
– Una foto? Come quella dell'altra volta? Se mi mandi una foto come quella dell'altra volta passerò l'allenamento dei bagni dello spogliatoio e non avremmo risolto niente. –
– Non come quella dell'altra volta, una normale! –
– Una normale? –
Dio, se quella foto del culo non m'inseguirà finché campo.
– Una normale. Della mia faccia. Solo se la vuoi, eh, se non la vuoi no. –
– Certo che la voglio, scherzi? –
– Ok, allora te la mando. Però prima chiudo la chiamata, quindi... ciao, Eijirō, ci vediamo domani. O stasera. Impegnati all'allenamento. –
– Ciao, Kat, fai il bravo. –
– Io faccio sempre il bravo. –
– Ho un paio di aneddoti che dimostrano tutto il contrario. –
La chiamata si stacca, la sua voce s'interrompe e io rimango col sorriso stampato in faccia e le guance rosse a guardare lo schermo, un po' più accaldato di prima, un po' più in imbarazzo ma molto meno ansioso all'idea di dirgli quel che gli devo dire.
Dio, le mie paranoie sono frutto solo della mia mente, non hanno davvero alcun senso.
Parlare con lui è la cosa più facile che esista.
Mi sistemo gli occhiali sul ponte del naso – ho bandito le foto senza occhiali dopo avergli mandato quell'infame ritratto che sono piuttosto sicuro rimarrà tra le prime tre cose più idiote che io abbia mai fatto – e apro la telecamera verso di me.
Non ci metto molto, mi faccio una foto e via.
Nascondo la faccia quando di risposta mi arriva un'infinita sequela di complimenti.
Sorrido però, quando, qualche istante dopo, la fila dei suoi messaggi si conclude con "Mirio ha detto che non c'è problema", perché anche se magari non riuscirò a dirgli quel che devo in mezzo a tutte le persone, sono comunque più che felice all'idea di rivederlo il più presto possibile.
"Solo un po'?"
No, Eijirō, non mi manchi "solo un po'".
Mi manchi troppo perché sia normale.
Inizio ad avere dei dubbi sulle mie scelte di vita parecchie ore dopo, mentre osservo Denki parcheggiare la macchina di sua madre nel cortile di una casa che prima non avevo mai visto.
Ok, non è la prima volta che vado ad una festa, certo non sono mai stato ad una che fosse piena di universitari come questa pare essere, ma non è tanto quello il problema.
Sono i cazzo di vestiti che mi sono deciso di mettere addosso.
Porca puttana.
Era davvero necessario?
È stata davvero una scelta intelligente?
Non le conosco nemmeno, queste persone, con Mirio ci avrò parlato bene o male cinque volte in quattro anni che siamo andati nella stessa scuola, Shinso e Kirishima a parte non sono esattamente in confidenza con nessuno della squadra di football.
Perché cazzo la mia testa mi ha detto che fosse una buona idea?
Come cazzo ho fatto a non rendermi conto di quanto fosse fuori da ogni grazia di Dio presentarmi... così?
E pensare che mi è pure parsa una scelta sensata, mentre cercavo fra i miei vestiti qualcosa da mettermi.
Già il fatto che fossero cose che Denki aveva lasciato a casa mia avrebbe dovuto farmi capire che non stavo andando nella giusta direzione.
Ed eppure...
Questa maglietta di merda – che poi è un altro crop-top perché dubito che Denki possieda cose da mettersi addosso che non siano striminzite come il suo cervello – è la patetica imitazione di una calza a rete, cazzo.
Mi si vede letteralmente tutto.
Tutto, tutto tutto tuttissimo tutto.
Se uno guarda bene vede anche la mia cazzo di anima oltre i buchi larghi di questa schifezza.
E ok che i pantaloni sono lunghi, ma se sono strappati praticamente su tutte le cosce allora tanto valeva che venissi in mutande.
Mi sono anche truccato, cazzo.
Mi sono anche messo là di fronte allo specchio a truccarmi.
Com'è possibile che non me ne sia reso conto?
Sono un cretino, un idiota, un bastardo con la scatola cranica vuota e nessun pensiero coerente, sono...
– Ok, ce l'ho fatta. Porca puttana se i parcheggi ad S non sono un girone dell'inferno pensato appositamente per me. –
Alzo lo sguardo verso Denki.
– Secondo te sono vestito troppo poco? –
– 'Suki, ma mi hai visto? –
Deglutisco la saliva, cerco di farmi strada fra l'agitazione per studiarlo da vicino.
Ok, la mia maglia è più trasparente, ma il body che ha messo è così sgambato che il tessuto sui fianchi si riconnette più o meno sotto le ascelle.
Sono anche piuttosto sicuro che gli si veda mezzo culo quando cammina, dal modo in cui i pantaloncini gli si aggrappano disperatamente alle cosce.
Scuote la testa.
– Non esiste "troppo poco". Finché non sei in giro come mamma t'ha fatto sei fin troppo coperto. Smettila di fare il gay remissivo che ascolta Mitski e inizia a fare il gay pazzo che ascolta Kesha. –
– Ma io sono un gay remissivo che ascolta Mitski, Denki. –
Stringe lo sguardo, aggrotta la fronte.
– Guarda che ti ho visto che canticchiavi "Tik Tok" quando l'ho messa prima. Chi vuoi prendere in giro? –
Lascio andare un respiro carico d'ansia, mi guardo le cosce dall'alto, le mie spalle cadono giù, quasi sfinite.
– Ma se poi qualcuno mi dice qualcosa? –
– Se qualcuno ti dice qualcosa lo faccio a pezzi e poi lo butto nel cestino dell'umido. Non ti preoccupare. –
– Dici che vado bene? –
– Dico che se non avessi tirato fuori il tuo bel lato A ti avrei riportato a casa e ti avrei fatto cambiare a forza. –
– Se lo dici tu. –
Lo osservo sporgersi dalla mia parte, far scattare il gancio della cintura di sicurezza, farmi cenno con la mano di scendere.
Sempre terrorizzato ma consapevole che tanto, ormai, non posso scappare, mi costringo ad aprire la portiera e ad abbassare un piede alla volta fuori dalla macchina.
Mi sentivo meno insicuro l'ultima volta che siamo andati ad una festa.
Forse perché nonostante quel top fosse cortissimo era comunque opaco, forse perché potevo comunque dare la colpa a Denki per com'ero vestito, forse perché comunque ero al liceo.
Però dall'altra, a ragion veduta, ora...
Ora non devo andare da qualcuno e far finta di essere felice di starci. Ora posso godermi la sensazione di essere vestito poco rimirandomi negli occhi della persona giusta. Ora non mi darà le spalle andandosene perché ho fatto un casino mettendo qualcuno fra noi.
È vero, che sono a disagio.
Però è un disagio che ne vale più la pena.
Aspetto che Denki scenda dal posto del guidatore, mi sistemo l'orlo dei pantaloni, sempre a vita bassa, comunque, perché a vita alta non ne possiedo, e do un'occhiata più decisa alla casa.
È enorme.
Essendo un po' fuori città immagino che possa essere una casa di campagna, o qualcosa del genere, perché davvero, sarà alta tre piani e ha il giardino di fronte che sarà quattro volte il mio, le luci sul retro mi fanno credere che si estenda anche là.
La fila di macchine parcheggiate ai bordi del marciapiede è bella lunga, gli invitati devono essere parecchi, e nonostante il casino che si sente arrivare dall'interno ci sono persone sparse ovunque anche davanti, a chiacchierare fra loro o a fumare quelle che ho seri dubbi possano essere sigarette.
Miseriaccia, ma in che situazione mi sono infilato?
Qualche mese fa tremavo fra gli spalti di una partita di football e ora credo di poter sopravvivere in mezzo a questo marasma di sconosciuti ubriachi?
Katsuki, sei proprio un deficiente.
Mi aggrappo al braccio di Denki quando me lo offre, ha i tacchi ed è persino più comodo del solito, spalmo metà del mio corpo contro il suo e cerco disperatamente di sparirgli addosso.
– C'è qualcosa che non va? –
– C'è un sacco di gente, non lo so se ce la faccio a entrare. Ci sono davvero... –
– Chiedo a 'Toshi di venirci a prendere? –
Sento l'ansia farsi un fiocco sulla mia trachea mentre mi spingo con lo sguardo verso la porta d'ingresso aperta.
Non si vede nemmeno l'interno della casa, si vedono solo persone e persone e persone e...
– Gli ho scritto, ha risposto che arrivano subito. –
– "Arrivano"? –
– Dice che il tuo bel ragazzone si lagna da un quarto d'ora che siamo in ritardo. –
Il mio...
Sì, sì, è vero, non devo dimenticarmene, devo pensarci, al motivo per cui sono qui.
Non sono qui perché sono cretino.
Non sono qui perché sono un masochista idiota che vuole sottoporsi alla ressa e alla calca per il gusto di farsi venire un bell'attacco di panico in mezzo alle persone.
Sono qui per lui.
Sono qui perché voglio vederlo, perché mi manca, perché devo dirgli delle cose e perché sono perfettamente consapevole che troverà un modo per non farmi sentire a disagio nonostante il contesto sia quanto di più distante alla mia comfort zone.
A questo mi devo aggrappare.
A questo e a Denki, che comunque, è sempre un punto di riferimento.
Cerco di imporre alle mie gambe di rimanere dritte, stringo il mio migliore amico con più decisione, calmo il mio respiro.
Non sono da solo, non sono in pericolo, non sono chissà dove.
Sono con loro.
Non ha senso che mi agiti, perché mi fido ciecamente del fatto che se ci sono loro, allora mi è permesso star bene e divertirmi.
Cerco il viso di Denki con lo sguardo.
Mi sorride dietro gli occhiali da sole lilla che gli occupano metà faccia.
– Kyōka dice che siamo due puttane di merda perché siamo ad una festa senza di lei. –
– Si è offesa? –
– No, ha scritto che l'avrebbe fatto se non fosse con la testa sulle tette di Momo al momento. –
– Oh, gli ordigni nucleari ci hanno salvato. –
– Già. Inaspettato, vista la storia del nostro paese. –
Ridacchio, Denki lo fa con me.
– Che poi mica ho capito come sono rimaste fra loro, quelle due. So che sono uscite insieme un paio di volte ma più di quello poco e niente. –
– Sono lesbiche, 'Suki, usciranno senza impegno per un paio di settimane e poi andranno direttamente a convivere. Lo sai come sono fatte. –
– Sì, forse hai ragione, ho chiesto ad Eijirō come si fossero conosciute le sue mamme e la storia era praticamente questa. –
Fa spallucce.
Il modo in cui piega la testa fa scintillare i glitter che si è spalmato sul corpo.
– In realtà se devo spezzare una lancia in loro favore anche Shinso me l'ha chiesto, di vivere insieme per l'Università l'anno prossimo. –
– Davvero? Perché non me l'hai detto? –
– Perché gli ho risposto di no. –
Sento le mie sopracciglia aggrottarsi in un'espressione confusa.
– Gli hai detto di no? –
– Certo che gli ho detto di no. Lo amo, Dio, lo amo sul serio, ma abbiamo diciotto anni e stiamo insieme da meno di sei mesi. Vivere assieme è un grande passo, la relazione dev'essere ben più che collaudata. –
– Beh, sì, è vero, però... –
– È per questo che verrò a vivere con te. –
M'interrompo a metà frase.
– Verrai a vivere con me? –
– Ovviamente. Credevi che ti avrei lasciato andare via da solo? Credevi che avrei permesso a qualche sconosciuto pezzente schifoso verme di vivere assieme al mio Katsuki? Sono mesi che ne parlo con tua madre, abbiamo deciso che questa è la scelta giusta. –
Sbatto le palpebre.
– Oh. Beh, ecco... va bene? Non credo tu abbia bisogno del mio permesso ma... –
– No, non ne ho bisogno. –
– Nel caso te l'avrei dato. –
Si china e mi bacia una guancia, io non so nemmeno se sorridere perché sono ancora un po' confuso più che dall'idea di vivere insieme, che senza mentire avevo preso in considerazione più volte anche io, dalla naturalezza della sua decisione.
– Ora togliti dalla faccia quell'espressione da pesce lesso, che c'è qualcuno che ti cerca. –
Qualcuno che mi...
Ok, ok, un attimo.
Inspira, espira, inspira...
Che cazzo, ma questi stronzi tutti assieme devono arrivare, ho bisogno di un attimo, di un secondo, mi dovete dare tregua perché se mi dite le cose tutti insieme non capisco e...
Riprendo il filo dei miei pensieri in un attimo, molto più in fretta di quanto anche io mi sarei aspettato da me stesso, bacio Denki perché per me è come mia madre, se non gli do un bacio sulla guancia prima di uscire di casa poi mi sento la faccia strana tutto il giorno, stiro la schiena e torno dov'ero prima che il mio migliore amico si auto-eleggesse mio coinquilino e, suppongo, anima gemella a lungo termine.
Faccio appena in tempo a rimettere lo sguardo sull'ingresso della casa che vedo qualcuno spostare, letteralmente spostare come se fossero dei mobili, tutte le persone che m'impedivano di vedere chiaramente il corridoio all'interno.
C'erano un paio di ragazzi a fare da barriera ma nel giro di un secondo non ci sono più, presi e messi da qualche altra parte da un paio di mani che hanno tutta l'intenzione di farsi strada.
Eijirō esce col fiatone.
Sembra che abbia corso.
Spunta fuori dal casino coi capelli legati un po' come viene, ad occhio e croce ancora umidi dalla doccia, la felpa quella col suo nome scritto sopra che hanno tutti i giocatori della squadra aperta su una maglietta bianca normalissima, le mani sulle ginocchia e le gambe piegate nel tentativo di riprendere fiato.
Non sembrava così stanco nemmeno dopo aver fatto sesso due sere fa.
Che ha fatto, si è buttato giù dalle scale?
Faccio un passo dalla sua parte quasi senza accorgermene.
Lui alza la testa.
I suoi occhi incontrano i miei e...
– Gesù Cristo in Croce, ora crepo sul serio. – gli leggo dalle labbra, prima di vederlo spiaccicare la schiena sul muro, piantarsi una mano in faccia e rimanere là, fermo, come un cretino che ha appena visto qualcosa a cui non può proprio credere.
La sua reazione mi fa...
Ridere.
Mi lusinga anche, mi fa perdere ogni grammo di ansia provassi nei confronti di quello che mi sono messo, però prima di provare qualsiasi altra cosa scoppio semplicemente a ridere, dannatamente divertito da quanto scioccato sembri all'idea che davvero mi sono presentato così.
Che scemo, che è.
È proprio scemo.
Proprio...
Mi avvicino che le mie gambe hanno smesso di tremare e l'agitazione è evaporata tutta nel giro di un istante, copro la distanza che ci separa come se quasi mi offendesse vederlo così da lontano.
Vedo Shinso passarmi vicino con la coda dell'occhio ma non me ne curo.
Al momento m'importa solo...
Solo del metro e novantacinque di muscoli e stupidità che pare starsi prendendo a schiaffi da solo nel tentativo di tornare alla realtà.
Sta dicendo qualcosa.
Non riesco a capire finché non mi avvicino abbastanza da poterlo sentire.
Sta dicendo...
– Maledetto ubriacone, Eijirō, sei un maledetto ubriacone, non devi bere che poi vedi le cose e sembri pazzo, devi mollare la bottiglia e... –
Rido di nuovo.
Mi fermo di fronte a lui con le braccia conserte al petto, la bocca piegata nel solito broncio, gli occhi rivolti dalla sua parte.
– Che fai, non mi saluti? Cos'è, prima arrivi tutto trafelato e poi mi ignori? –
Mi guarda.
La sua mano rimane a mezz'aria, poco distante dalla sua stessa faccia.
Lo vedo scorrere con lo sguardo sul mio viso, sulle mie labbra, sul collo e poi verso il petto e...
Si gira.
Mi dà le spalle e pianta la fronte sui mattoni grezzi dell'ingresso.
– Perdonami padre perché ho pecca... –
– Eijirō... stai davvero pregando? –
– ... sono un uomo fragile e debole, oppresso dalle tentazioni, sedotto da... –
– Eijirō, smettila! –
Gli schiaffo una mano sulla schiena, prendo la felpa e lo tiro indietro, rido così forte che mi fa male la pancia.
Dio, quanti te esistono al mondo, sei davvero una miriade di persone nel corpo di una sola.
Meno di quarantotto ore fa mi dicevi cose che m'imbarazza persino pensare e ora...
– No, Katsuki, tu non capisci, non capisci. Dillo, che vuoi uccidermi, mi guardi e mi dici "Eijirō io voglio ucciderti" e almeno sii onesto perché... –
– Che c'è, non ti piaccio? –
– Non mi piaci? –
Gira la faccia per metà, mi lancia uno sguardo di cui si pente l'attimo dopo, emette un verso che sembra un lamento.
– Mi costringerai ad andare in giro tutta la sera cercando di pensare a cadaveri e animali morti, Katsuki, vedi tu se non mi piaci. –
– E perché dovresti andare in giro tutta la sera a... –
Seguo la linea dei suoi occhi.
Conduce esattamente alla cintu...
Oh.
Ho capito.
Ho...
Rido, per l'ennesima volta, rido.
– Sul serio? Miseria, mi hai già visto nudo, peggio di quello non potrà essere, no? –
– Ecco, ora mi stai facendo pensare a te nudo, vaffanculo, Katsuki, ti odio. –
– Non farla tanto lunga, dai, contieniti un pochino, sei grande abbastanza per farlo. –
Mi guarda di nuovo.
Spalanca gli occhi.
– Contenermi? Io? Con te? Ti pare una cosa possibile? –
– Non lo è? –
– Ma ti guardi allo specchio ogni tanto? –
Chino lo sguardo per dare un'occhiata dall'alto a questo top che pare essere chissà quanto un crimine alla sua sanità mentale.
Ok, è trasparente, ed è tutto fatto come una rete che non fa altro che stringere quelle che Denki si ostina a chiamare "bocce", ma...
– Mi sta così bene? –
– Troppo. Troppo troppissimo. Non so se voglio rimanere a guardarti finché non sarò morto o farti le peggio cose con quello addosso. Entrambe le prospettive non fanno niente per migliorare il mio... problema. –
– Lo sai che puoi fare tutte e due le cose, se vuoi, Eijirō. Non martoriarti, se vuoi... puoi, sai com'è. –
Emette un altro lamento.
– Ora ci rimango, ora ci rimango, davvero, ora muoio e... –
Appoggio anche l'altra mano sulla sua schiena.
Le apro tutte e due, le lascio scendere piano verso i fianchi, sento tutti i muscoli uno per uno sotto i polpastrelli che scorrono sul tessuto della felpa.
Quando arrivo all'altezza dei jeans lo lascio andare, gli prendo le mani, lo tiro verso di me.
Sembra respirare con più calma, smette di dire qualsiasi cosa stesse blaterando, tiene gli occhi socchiusi, come se si stesse concentrando solo sulle mie dita.
Si fa girare dalla mia parte e rimettere con la schiena sul muro.
Non si agita, quando inizio a tirarlo più giù, verso di me.
Trema, forse, ma non si agita.
Riapre gli occhi con cautela.
Mi fermo con le mani intrecciate alle sue ad un centimetro dalla mia vita. Scorro sui polsi, sbatto le ciglia nella sua direzione, sorrido giusto un pochino.
– Vuoi toccarmi? –
Vedo una delle sue guance scomparire verso l'interno morsa dai denti.
Annuisce.
Appoggio le sue dita su di me.
All'inizio sta fermo.
Poi stringe.
Poi abbassa la testa, appoggia la fronte sulla mia, respira la mia stessa aria e lascia che qualsiasi cosa l'avesse preso prima, defluisca in favore di una versione un po' più autoritaria, un po' più matura e un po' più controllata di sé.
– Te l'ho mai detto che prima o poi mi farai impazzire, Kat? –
Stringo le labbra e faccio "sì" con la testa.
– Un paio di volte. –
– E che sei la cosa più bella che io abbia mai visto? –
– Anche. –
– E che... –
Lo interrompo.
Mi spingo su sulle punte dei piedi e lo interrompo, le sue labbra toccano le mie e nonostante l'ultima volta che mi abbia baciato sia stata ieri sera comunque mi sembra di tornare a casa dopo esser stato via per decenni.
Lascio che mi apra la bocca con la sua, che il sapore dell'alcol che ha bevuto si mescoli al mio e che mi stringa forte la vita.
Mi godo la sensazione che qualche settimana fa cercavo così disperatamente negli occhi di un altro, quella che invidiavo a Denki e Shinso, quella che non credevo nemmeno di poter sperare.
Mi sento amato da te, Kirishima.
Mi sento così amato.
E mi sento anche così felice.
Si stacca piano, poi mi bacia di nuovo, questa volta senza la passione, senza l'intensità, solo con dolcezza.
Non riesco a non sorridere.
Mi è fisicamente impossibile.
– Ti senti più tranquillo, ora? –
– Assolutamente no. –
– Zero? –
Scuote il capo, sale con le mani sui lati del mio corpo, approda sul mio viso.
Dio, quanto vorrei potertelo dire adesso.
Vorrei farlo.
Potrei farlo.
Potrei...
– Shinso e Denki stanno entrando. Andiamo anche noi? –
Ok, va bene, ho capito.
Non è il momento.
Lo sarà, perché voglio che succeda, ma se non deve essere adesso per me va bene comunque. Alla fine non è che qualcuno mi strapperà quest'emozione dal corpo, non è che l'amore che provo per te scomparirà da un giorno all'altro, quindi va bene, posso aspettare.
– Solo se mi stai vicino. C'è troppa gente là dentro. –
– Ti sarei stato vicino anche se non me l'avessi chiesto, Kat. –
Sorrido fra me e me.
– Lo so. –
Mi concedo di baciarlo l'ultima volta, prima che il suo corpo che un attimo fa tremava ma ora, nell'intento di aiutarmi in questo, sembra diventare improvvisamente molto più solido, mi trascini verso l'ingresso.
Non è piacevole.
Nonostante ci sia lui, non è piacevole dovermi far spazio fra i corpi delle persone che minacciano di schiacciarmi.
È però sopportabile, che per me, è l'equivalente di un letterale miracolo.
Superiamo la calca iniziale in pochi secondi, ci ritroviamo dentro un salotto di dimensioni spropositate altrettanto popolato ma almeno un po' più arieggiato, lascio vagare lo sguardo attorno a me.
C'è il rappresentante degli studenti seduto su un divano a lato, Sero a fianco seduto a testa in giù con le gambe che penzolano oltre lo schienale, Shinso e Denki sembrano diretti là, chiedo a Eijirō di seguirli.
Noto i capelli rosa di Mina, la figura ben piazzata di Mirio seduto sul tappeto che chiacchiera, una palletta di arti nascosta dentro una felpa enorme appiccicata addosso a lui.
– Quello è il suo ragazzo? – chiedo, mosso da spontanea curiosità.
Eijirō annuisce.
– Ah-ah. Tamaki Amajiki. Lo vedi così ma se lo prendi nei momenti giusti sembra uno che ti taglia la gola coi denti. –
Ridacchio.
– Allora hai un tipo, eh? Bassi aggressivi con l'ansia sociale. –
Sospira.
– A quanto pare. Però, e credo di avertelo già detto, alla fine della fiera preferisco i biondi. –
Mi spinge ancora più verso di loro, quando arriviamo dalla loro parte si siede anche lui sul tappeto, vicino al tavolino, accanto ad un bicchiere di birra mezzo pieno che immagino sia il suo.
Mirio è il primo a vedermi.
Tecnicamente il secondo, perché sento lo sguardo di Denki scannerizzarmi brevemente per cercare qualsiasi segnale della mia solita agitazione nei confronti dei posti affollati, ma visto che lui mi ha già ben che salutato, non dice nulla.
– Bakugō? È lui il "tuo bel pasticcino biondo che se non arriva vado a prendere a piedi", Kiri? –
Guardo Eijirō dall'alto.
– Davvero? –
– Te l'ho detto, che mi mancavi, se tu non ci ha creduto è un problema tuo. –
Mi metto a ridere, accetto la mano che mi offre, mi siedo accanto a lui assieme agli altri.
Mina interviene prima che possa salutare.
– Certo che è lui, chi credevi che fosse? Quando ti ho detto che ha messo il ragazzone sotto scopa a chi pensavi? –
– Non lo so, ora che me lo dici però avrei dovuto capirlo. –
– Ecco, vedi. –
Sento le mie guance scurirsi un po' all'idea di essere il centro della conversazione, chino lo sguardo.
– Io non l'ho messo sotto scopa. –
– Oh, sì che l'hai fatto. Gli sei passato sopra con un bel rullo compressore e ne hai fatto un tappetino. Però, nel caso non si fosse capito, io sono super pro a questa cosa. Fallo secco, tigre. –
– Mina, così mi fai sembrare un sottone di merda, però. –
– E perché, non lo sei? –
Kirishima ride, al mio fianco, e trascinato dal sentirglielo fare mi accodo.
– Se la metti così... –
La voce di Denki falcia quelle degli altri col suo solito tono squillante.
– Sai chi mette sotto il rullo compressore chi? Io a voi, se non mi date da bere subito. Sono a questa festa da almeno dieci minuti e mi reggo ancora in piedi, è una vergogna! –
– Gattino, vuoi qualcosa da be... –
– E lo chiedi pure? Alza le tue belle chiappe, 'Toshi, e vai a prendermi qualcosa. Cazzo, e stiamo insieme per cosa, noi due? –
Shinso gli lancia un'occhiata che è tutto dire, poi come suo solito lascia perdere perché credo il suo dono più grande – e motivo principale della sua relazione con Denki – sia la pazienza, si tira su e procede a fare quanto ordinato.
Si ferma accanto a me, prima di andare verso quella che immagino sia la cucina.
– Tu vuoi qualcosa da bere, 'Suki? –
– Se c'è qualcosa che non sia birra volentieri. – rispondo.
Annuisce, procede oltre.
Vedo Eijirō bere un sorso, Denki trascinare con la forza del suo minuto corpo e dei suoi polmoni mezzi andati una poltrona per sedercisi sopra, Mina si toglie la felpa e rimane in reggiseno, probabilmente ha caldo, Iida prende qualcosa dalle labbra di Sero e se lo porta alla bocca. La nuvoletta che li avvolge risponde alla mia domanda prima ancora che possa pensarla.
Incrocio le gambe, mi lascio cadere verso la spalla di Kirishima accanto a me, una delle sue mani mi raggiunge e si assesta sull'incavo del mio collo.
Mi godo la sensazione delle sue dita sulla pelle.
– Allora, prima che molto gentilmente decidessi di prendere parte a questo simpatico raduno, cosa stavate facendo? Che siete tutti bellissimi, ma se poi vi guardo troppo Hitoshi mi fa due palle così. – attacca Denki, che ha compiuto la sua opera e ora troneggia seduto come una scimmia su una delle povere poltrone di casa di Mirio.
Mina scola un bicchiere che ha di fronte a sé.
– Giocavamo a obbligo o verità. Cioè, io, Mirio, Shinso, Sero e Iida. Kirishima scassava il cazzo perché eravate in ritardo. E Tamaki... –
– Tamaki non ama parlare in pubblico. – completa Mirio, mentre lo avvolge con un braccio e se lo schiaccia vicino.
Lo studio per qualche secondo, è l'unica persona di quelle che ci sono che non conosco, che non ho mai visto.
Non si vede molto di lui, solo le mani e il viso, che piano piano riemerge dal cappuccio della felpa solo per chinarsi immediatamente e sfuggire dagli occhi di tutti.
Ha i capelli scuri, di un nero che tende quasi al blu, gli occhi sono sottili, affilati, la pelle chiara e lattiginosa, più pallida persino della mia che sono chiaro dalla testa ai piedi.
Mi sembra impossibile vederlo come me l'ha descritto prima Eijirō.
Forse dev'essere in condizioni più favorevoli, per poterlo fare.
– Obbligo o verità come i sedicenni, davvero? Almeno ditemi che era sessuale, ve ne prego, o inizierò a pensare che le feste dell'Università sono come quelle delle medie. – ricomincia Denki, che se possibile si sta sedendo ancora peggio di prima.
Mina gli sorride a trentadue denti.
– Ovviamente era sessuale, scherzi? Conosci altri argomenti di cui parlare in gruppo che non siano il sesso? –
– Ecco, giusto, sono d'accordo con te. –
Sero indica Denki con la mano.
– Te l'ha mai detto nessuno che sei un ninfomane? –
– Tutti i giorni, perché? E comunque dopo stamattina sei l'ultimo che può parlare. –
Iida aggrotta le sopracciglia, prende un tiro e guarda il suo ragazzo.
– Stamattina? –
– Lascia perdere. –
– Come vuoi. –
Mirio si schiarisce la voce, con una mano prende un sorso di birra e con l'altra sfiora la strana collana che Tamaki porta al collo.
– Allora, vogliamo ricominciare? –
– Prima aspettiamo Hitoshi. –
– È lì, sta arrivando. –
– Ah, allora sì. –
Shinso, che era come ha detto Mirio ad un passo da noi, si china verso di me e mi lascia un bicchiere di qualcosa che profuma di frutta fra le mani, poi mi supera e lancia uno sguardo a Denki che si alza senza smettere di parlare.
Si lascia andare sulla poltrona, Denki gli si lancia addosso, riprende a bere la sua birra come se niente fosse.
– Ok, possiamo iniziare. –
– Perfetto. –
Eijirō al mio fianco stringe più forte la mia vita.
– Potete solo ripetere le regole? Prima non le ho sentite. Ero impegnato a... – inizia.
– A scassare il cazzo perché eravamo in ritardo. – completo.
Mi lancia un sorriso che è ruffiano come solo lui sa essere.
– Inizia il più giovane, sceglie una persona a cui far fare o dire qualcosa, poi tocca a quella persona scegliere. – interviene Mina, intenta a guardare dentro il suo bicchiere non so cosa e non so perché.
– E chi è il più giovane? –
– Tu, Kiri, noi siamo tutti di luglio, e Bakugō non è di aprile? –
– Aprile. – confermo.
Eijirō annuisce, si guarda attorno, poi fa quello che avrei fatto io, gioca in casa.
– Mina, amore mio, luce dei miei occhi obbligo o verità? –
Quella alza gli occhi e glieli punta addosso come se l'avesse appena investita con la macchina, sul suo viso navigano il panico, la paura, il terrore più assoluti.
– Bastardo, lo sapevo che avresti scelto me. Non vale, tu sai già tutto, non vale se... –
– Su, obbligo o verità? –
– Cazzo, ti odio. Verità. –
Guardo il suo viso piegarsi in un sorriso, si diverte, si diverte parecchio.
– Qual è la cosa più imbarazzante che ti è successa mentre facevi sesso? –
– Sesso sesso o anche tipo preliminari? –
– Qualsiasi cosa preveda due persone con pochi vestiti su una superficie orizzontale. –
Ci pensa un po' su, probabilmente rilassata all'idea che alla fine la domanda non fosse poi più di tanto oscena, si morde l'interno della bocca.
Poi risponde, le dita che tamburellano sul bicchiere di plastica in un gesto quasi involontario.
– L'estate scorsa sono andata a casa di un lontano parente nell'Hokkaidō, tipo un paesino merdosissimo sperduto fra la campagna con al massimo mille abitanti. Per grazia di Dio ho trovato un locale che non fosse un mortorio senza fine e fra una cosa e un'altra sono finita sul retro con uno dei baristi dopo la chiusura. –
Eijirō inizia a ridere, intendo che questa storia la conosca già.
– Credo di essere la prima persona nera che questo cristiano avesse mai visto in vent'anni di vita, perché ad un certo punto mi sfila i pantaloni, io mi tolgo le mutande e lui rimane lì a fissarmi fermo immobile incredulo. Alza lo sguardo e mi fa "ah, wow, non credevo che anche le vostre vagine fossero fatte così". –
Denki dall'altra parte spalanca gli occhi, la guarda sbigottito.
– Ma in che senso? –
– Cristo non ne ho idea, so soltanto che quei tre minuti buoni che è rimasto là a fissarmi tutto stupito sono stati la cosa più imbarazzante che io abbia fatto nella mia vita senza le mutande addosso. Tremendo. –
Kirishima mi supera col braccio e colpisce la spalla della sua amica.
– Io sono dell'idea che questo si aspettasse di vedere dei denti da qualche parte. Oppure che l'avessi che so, verde. –
– Ah, probabile, in effetti mi guardava come se fossi un alieno. –
– Ecco. –
Sero ride così tanto che quasi si strozza.
Iida e Mirio ridacchiano, Denki è scioccato, Shinso... Shinso è Shinso, nel suo mondo magico di cui nessuno ha comprensione.
Io sono a tanto così dall'accodarmi ma mi trattengo, perché non voglio attirare l'attenzione, soprattutto non in una conversazione che prevedere avere conoscenze nell'ambito delle vagine.
Quando si rimettono tranquilli, Mina ricomincia a parlare.
– Ora facciamo... Iida, tu, là, che sei troppo tranquillo. Obbligo o verità? –
Passa il mozzicone a Sero, si tira su giusto per far capire che ha sentito.
– Verità, ho fumato troppo poco per un obbligo. –
– Ok, verità per Iida, verità per Iida, verità per... sei mai stato beccato nell'atto? –
Cerco lo sguardo di Denki che immediatamente è sul mio.
Mutismo totale.
Noi assolutamente...
– Beccato beccato no, nel senso nessuno è mai entrato in camera mia che ero proprio nell'atto. Però l'anno scorso ero convinto che fossimo da soli a casa e sono uscito nudo dal bagno di fronte a sua nonna. –
Sero lo indica col filtro fra le dita.
– La nonna ancora ne parla. –
– Anche io ci penso ogni tanto. Giuro non è un bel ricordo. –
Lo dicono così, tranquillamente, rilassati più di chiunque qua dentro, passano al prossimo argomento come se neanche fossimo tutti impegnati a ridere più che ad ascoltarli.
– Mirio, obbligo o verità? –
– Vorrei avere il coraggio ma mi limiterò a dire verità. –
Mina urla "che noia" dal suo posto a qualche centimetro da me, lui fa spallucce, Iida ci pensa su.
– Ultimo pensiero sporco che hai avuto? –
– Tre minuti fa, – si sposta verso Tamaki che nasconde la faccia fra le mani. – mi piace davvero un sacco il suo collo. –
Di nuovo guardo Denki, lui guarda me, concordiamo silenziosamente che dodici mesi fa questa cosa ci avrebbe uccisi e sepolti entrambi.
– Ora tocca a me? Denki, vuoi aprire le danze? –
Il mio migliore amico, colto a guardarmi e a pensare strane cose, si gira immediatamente come se qualcuno l'avesse ripreso.
– Sì, sì, ci sono eccomi. Dimmi. –
– Obbligo o verità? –
– Obbligo. Io a differenza vostra non sono un cagasotto di merda. –
– Fatti qualcuno davanti a tutti. Qualcuno che non sia Hitoshi. –
Denki spalanca la bocca, Shinso s'irrigidisce, credo chiunque qui pensi esattamente la stessa cosa.
Ma che mostro.
Ma che cattiveria.
Gratuito, poi, proprio senza pietà.
Il mio amico sbatte le palpebre, balbetta qualcosa, poi prende fiato e lancia un'occhiatina al suo ragazzo.
È lui che ha affermato così coraggiosamente di non essere un "cagasotto di merda".
Ora è praticamente costretto a...
– Al diavolo, Katsuki, porta qui le tue bocce. –
Lo fisso con le braccia che mi cadono.
– Perché io? –
– Perché i veri amici si vedono nel momento del bisogno. E perché non è la prima cazzo di volta. –
Sento lo sguardo di Eijirō inchiodarmi immobile.
– Non è la prima volta? –
– È una lunga storia. Una storia che non è il caso di... –
– Io e 'Suki ci baciavamo per esercitarci quando avevamo tredici anni. Se bacia bene è me che devi ringraziare, ragazzone. –
Kirishima perde qualsiasi patina di gelosia avesse in corpo e scoppia a ridere, la mia faccia assume il colore del Sole, vorrei sotterrarmi.
Ed eppure però mi alzo, mi faccio strada verso Denki e aspetto che faccia lo stesso anche lui.
Ci prova, a baciarmi a stampo e a sorridere a Mirio, ma quello scuote la testa, schiocca la lingua, non è soddisfatto.
E allora preso da questo improvviso impeto di coraggio mi schiaffa le mani sul culo, mi tira verso di sé e mi bacia come Dio comanda.
Non è che sia brutto, per carità, Denki bacia bene, è il mio migliore amico, è più goliardico che altro.
È che fa ridere.
Fa scassare.
Sentire sulla mia la faccia del mio migliore amico con cui facevo questa stronzata quando eravamo due ragazzini cretini fuori di testa e dal mondo, mi riporta là, a quei momenti, e ora, cinque anni dopo non posso fare a meno di...
Dura poco.
Ci stacchiamo perché nessuno dei due riesce a smettere di ridere.
Ci ritroviamo piegati in due aggrappati l'uno all'altro, Mina che fischia, Mirio che concede la vittoria a Denki, Eijirō più incuriosito che altro, Shinso non proprio contento.
Mi riprendo a fatica, vengo trascinato giù perché non riesco a sedermi, Denki si rimette steso con le lacrime agli occhi.
Ci vuole un'era prima che possa ricominciare a giocare.
Quando lo fa, la sua faccia non ha più un colore normale.
– Oh, Gesù, ok, ci sono, sono vivo, sono intero, eccomi. Allora, vediamo, eravamo a... Kirishima, obbligo o verità? –
Eijirō tira su la testa quando si sente chiamare, smette di tenerla rivolta verso di me, annuisce.
– Obbligo. –
– Tocca le tette di Mina e di 'Suki e dicci quali sono meglio. –
– Non sono tette, Denki, 'fanculo! –
– Zitto tu, che nessuno ti ha chiesto niente. –
– Le ho già toccate tutte e quattro. Devo rifarlo? –
– Perché, vorresti privartene? –
Alza le spalle, le sopracciglia.
– Mi piace come ragioni. –
L'attimo dopo è addosso alla sua amica che gli ficca le mani nel reggiseno senza neanche pensarci troppo. Mina ride, Eijirō pure, lei non sta ferma e per quanto ci provi il risultato è solo loro due che si rotolano, io cerco di scomparire sul posto perché non ho le tette, perché sono stato l'unico a dire che non ho le tette, perché a nessuno frega niente del fatto che le mie non siano...
Kirishima lascia andare Mina.
Passa con lo sguardo verso di me.
Io inizio a scuotere la testa ma è del tutto inutile, le sue mani sono sotto al mio top nel giro di una frazione di secondo, sento le dita sul petto e poi stringe e io fatico, giuro fatico, a tenermi dentro la voce.
Lo guardo negli occhi.
Lui reciproca la cosa.
Ad entrambi passa per la testa di tutto, davvero di tutto, tranne questo stupido gioco in cui ci siamo infilati da soli.
Mi lascia andare con più riluttanza.
Torna vittorioso seduto al suo posto.
– Mi spiace, forse se fossi parte oggettiva potrei dare un parere più onesto, ma ci sono tette e tette e quelle di Kat sono qui, – alza la mano sopra la fronte – e quelle di Mina qui. – la tira un po' più giù, solo un pelino.
La sua amica gli lancia qualcosa, forse un fazzoletto.
– Solo perché non abbiamo fatto sesso lo dici, ingrato pezzente, la magica bionda qua ha corrotto il giudice. –
– Mi hai appena chiamato "magica bionda"? –
– Beh, cosa sei, una bruna sfigata? –
Non so cosa risponderle.
Non ne ho idea.
La fisso, la fisso e...
– Kirishima, tocca a te, vai. –
– Ok, ok, allora... allora direi che tocca a Hitoshi. Hitoshi, obbligo o verità? –
– Verità. –
– C'è qualcosa di strano che ti eccita? Nel senso, qualcosa che comunemente non dovrebbe essere... –
– Le scarpe coi tacchi, i chocker, le lentiggini, i capelli biondi, i polsi sottili, le voci alte, quando qualcuno parla tutto appiccicato e non si capisce niente perché non sa manco lui cosa vuole dire, vedere qualcuno fumare, probabilmente anche vedere qualcuno piangere. –
Sbatto le palpebre verso di lui.
Cioè, in pratica Denki.
Detto in poche parole... Denki.
Tutta una liste di cose che alla fine sono...
Il mio migliore amico lo nota come l'ho notato io e come l'hanno notato tutti, fa che girarsi per dire qualcosa ma girandosi urta il tavolino con un piede.
Fa l'effetto farfalla, quel piccolo urto.
Fa il casino.
Il tavolino colpisce Kirishima che stava cercando di mettere a posto il suo bicchiere, lui sobbalza contro di me che sto cercando di bere qualsiasi cosa mi abbia portato Hitoshi, il bicchiere si rovescia, il mio top finisce fradicio di alcol in un secondo.
La prima reazione è tirare su il bicchiere ma è troppo tardi, inizio a sentirmi appiccicoso e fa freddo e...
– Oh, merda, Kat, scusa, non mi sono... –
– Non c'è problema, non importa, solo... hai un fazzoletto? Qualcuno ha un fazzoletto? –
Eijirō scuote la testa.
– No, no, andiamo su, ti do una mano. –
– Su? –
– Al bagno. –
Guardo gli altri, che come me non se l'aspettavano, Mina ha le mani nelle tasche minuscole della gonna a cercare un fazzoletto, Denki è scattato in piedi perché probabilmente se non si fosse offerto Eijirō l'avrebbe fatto lui, Shinso mi guarda, Mirio pure, Sero e Iida probabilmente stanno parlando d'altro da dieci minuti.
Mi tiro su piano sulle ginocchia.
Che cazzo, mi stavo divertendo.
Dimmi tu se dovevo...
Kirishima mi aiuta a mettermi in piedi, mi prende la mano.
Ma sì, sono solo due minuti.
Giusto il tempo di asciugarmi.
E magari anche quello di rubargli quella felpa su cui ho messo gli occhi settimane fa.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
commento rapidissimo perché io di nuovo (straaaaano) in ritardo
allora
prima di tutto NON C'è LO SMUT AL PROSSIMO CAPITOLO prima che vi facciate strane idee
poi
SPERO CHE VI SIA PIACIUTO
poi ancora
COM'è IL DIAOLOGO COLLETTIVO (sapete che sono la mia criptonite)
poi infine
CI RIVEDIAMO CON QUESTA STORIA L'OTTO DI OTTOBRE
basta
fine
non vi rubo altro tempo
un bacino
mel :D
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top