𝚑𝚎 𝚕𝚘𝚘𝚔𝚜
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Guardo il QR code di conferma sullo schermo del mio telefono.
Mi tremano le mani, il mio respiro è veloce, breve, frettoloso, mi batte forte il cuore.
Devo farmi coraggio.
Devo riuscirci.
Devo...
Io devo...
Chiudo la schermata coi biglietti, raggiungo la rubrica, guardo i contatti preferiti presentarsi di fronte ai miei occhi e poco sotto, fra quelli che il cellulare, bastardo, chiama "contattati di recente", il nome è là che mi guarda.
Serro le palpebre.
Prendo un gran fiato, a pieni polmoni, cercando di riempire il diaframma poco alla volta e di controllare il tremore del mio corpo.
Premo il polpastrello sul nome.
Affianco il cellulare all'orecchio.
Lo lascio squillare.
I miei mi hanno comprato i biglietti per il Festival delle Scienze di Odaiba tre mesi fa. Sono là, fermi e perfetti che mi guardano, da quasi novanta giorni.
Sarei dovuto andare con... sì, sarei dovuto andare con Shindō, quello era il piano. Lui è uno scienziato, un informatico, pur sempre uno scienziato, e per quanto fosse chiaro e manifesto il suo disinteresse per quello che interessava a me, comunque era il mio ragazzo e credevo che...
Non ci sentiamo da due settimane.
Gliene avevo parlato, ma credo che se lo sia dimenticato come si è dimenticato della maggior parte delle cose che gli ho detto.
E io voglio davvero andare al...
Avrei dovuto invitare Denki o Jirō, vero? Uno dei due avrebbe sicuramente avuto un attimo per venire al Festival con me, ne sono sicuro, per cui per quale dannatissimo motivo sto...
È che si va in due.
Si va in due e quindi avrei dovuto scegliere fra uno dei miei amici e non posso scegliere fra i miei amici perché voglio loro bene in egual misura e...
No, stronzate, lo sappiamo tutti che sono stronzate.
La verità è che voglio così.
Voglio che sia così.
Voglio...
Io voglio...
– Kat, ciao! Come mai chiami a quest'ora? Non riesci a dormire? –
Voglio andare al Festival delle Scienze con Kirishima.
Quello che è successo la settimana scorsa ha abbattuto quasi completamente la mia muraglia. Erano giorni, mesi che minava alle fondamenta, ma quel giorno, quelle parole, quel momento mi hanno... annientato.
Ho paura, ora, come ho avuto paura prima.
Ma sento quello che voglio.
Non c'è niente ad attutire il suono dei miei pensieri, ci sono loro e basta, che compaiono e rimbalzano nel mio cervello cercando disperatamente d'attirare la mia attenzione.
Avrei rinunciato al Festival pur di non andare con lui, venti, trenta giorni fa.
Ora mi rendo conto che l'avrei fatto per non ammettere a me stesso che sarebbe stato un sogno farlo, e mi rendo conto che se voglio, ogni tanto, ogni tanto posso.
– No, è che... domani devi andare a scuola? –
– In che senso? Certo che devo andare a scuola, che domanda è? –
– Devi andare per... forza? –
– Kat, non ti sto capendo. –
Mi mordo l'interno della bocca, impasto le mie mani fra di loro e guardo verso il basso, fra le mie coperte arruffate e confuse nel buio.
A quest'ora di norma starei già dormendo, di solito. So che lui è sveglio perché preferisce studiare la notte, ma per me è tardi e ho sonno. Però non sono riuscito a prendere coraggio prima e ora l'ho preso, il coraggio, ma forse è tardi e forse invece non vuole e forse...
– VienialFestivaldelleScienzeconme. – dico, tutto attaccato, senza respirare.
Più in fretta lo faccio meno ci devo pensare, no?
Devo solo...
– Devo venire dove con te? –
– No, non devi. Non devi, non... –
– Katsuki. –
Sento la mia faccia diventare viola e il mio fato spezzarsi. Forse la mia tattica di dire tutto velocemente non è stata l'idea migliore, forse sono sembrato troppo autoritario, forse...
– Katsuki, cosa c'è? Non farti venire il panico, so che ti stai facendo venire il panico. Dimmi cosa c'è, sai che puoi dirmelo, senza panico. –
– È che... –
– Puoi dirmelo, sono solo io, Kat, solo io. –
– Stronzo. –
– Era questo che volevi dirmi? –
– No, è che... –
Non è "solo" lui. È "addirittura" lui, perché per quanta confidenza ci sia fra noi, per quanti baci, per quanti segreti, per quante parole dette sottovoce e per quante lacrime ci scambiamo, io non posso proprio fare a meno di sentire la stessa, solita ansia di essere la versione più fragile di me, quella timida, quella intimorita.
Prendo fiato di nuovo.
– Domani e dopodomani c'è il Festival delle Scienze ad Odaiba. I miei mi hanno comprato i biglietti per andare ma sono due e pensavo che... se ti va... sarebbe carino se... –
– Mi stai chiedendo di venire al Festival con te? –
– Se non hai da fare a scuola e se non devi allenarti e se puoi rimanere fuori casa e se... –
– Miseria, Katsuki. –
Il mio cuore si ferma.
Sta per dire...
Sta per...
– Certo che ci vengo con te, scemo. Che domande, come se potessi dire di no. Certo, certo che vengo. –
– Ci vieni? –
– Ovviamente. –
– Anche se non capisci niente di Scienza? –
– Guarda che non sono così idiota. –
– Lo sei. –
– Ok, lo sono, ma... –
Ride piano, mi accodo anch'io, il mio nervosismo si sgretola poco a poco al sentire la sua voce piegarsi e arrotolarsi in quel suono così piacevole.
– Non mi perderei per niente al mondo una cosa del genere, Kat. Hai idea di che prospettiva sia per me quella di vederti un giorno intero super sorridente perché stiamo guardando qualcosa che ti piace? –
– Sei un ruffiano. –
– Lo sono, ma sono un ruffiano con un cuore e Katsuki che sorride ne fa parte al cento per cento. –
Sento il ponte del mio naso scaldarsi, chino lo sguardo, mi mordo l'interno della bocca.
È ancora più affettuoso da quel giorno a casa sua.
Maledetto lui, mi sto abituando.
Mi sto...
– Certo, devo chiedere alle mamme ma secondo me non c'è nessun problema. A che ora devo essere alla fermata del treno? –
– Oh, ecco, a proposito di quello... –
È buio.
Nessuno mi vede.
Nessuno mi sente.
Nessuno...
– Mi chiedevo se ti andasse di andare... in macchina. –
– In macchina? –
– Ovviamente pago io la benzina e... –
– Ti fidi a salire in macchina con me? –
Deglutisco la saliva.
– Ti ho fatto toccare il mio apparecchio acustico, vuol dire che... mi fido di te più degli altri. Quindi sì, Ei, mi... mi fido. Però mi prometti che guidi piano e io scelgo la musica e... –
– Sarà il giorno più bello della mia vita. Ho la pelle d'oca e non siamo nemmeno là, già lo so, sarà il giorno più bello della mia vita. Non so come ringraziarti per avermi invitato, non so cosa dire. –
La brutalità della franchezza con cui lo dice mi spiazza e mi fa arrossire ancora di più. Credo qualcuno potrebbe cuocerci un uovo, sulle mie guance, ora.
– Due giorni. – lo correggo, perché non so che altro dire.
– Due giorni? –
– Due. Sono due giorni. Dormiamo là, se non è un problema. –
– Oh, miseria, due... –
Già.
Due...
– Domani mattina alle sette qui davanti. Ti voglio sveglio per guidare. Porta una maglietta in più che la uso per dormire. Intesi? – sputo fuori con una certezza che non ho, pregando di poter mettere fine a questa conversazione per dedicarmi al mio cervello che implora di mettere in piedi scena dopo scena tutto il film mentale in attesa di domani.
– I... intesi. Una mia ma... –
– Una tua maglietta. Sono più larghe, sono più comode, mi piace l'odore. Ora vado a dormire. Notte, Ei. –
– No... notte, Kat. – balbetta, come se non capisse nemmeno lui cosa stia dicendo, un po' preso dalla fretta e dalla confusione.
– Ci vediamo domani. –
Stacco la chiamata.
Mi giro sul letto.
Urlo nel cuscino fino a finire l'aria, la faccia viola, il corpo che trema, all'idea che per la prima volta nella mia vita sono effettivamente riuscito ad invitare qualcuno a... uscire con me.
La mattina dopo, quando esco di casa alle sette meno tre minuti, puntualissimo come solo io so essere, mi stupisce dire che... non c'è ansia dentro di me.
È strano, so che è strano, ma...
Sono rincoglionito dalla sveglia così presto, ho dormito forse un po' meno del solito, ho freddo perché fa un freddo cane qui fuori e mi infastidisce vivere in un pianeta su cui incombe il riscaldamento globale quando questo cazzo di globo non è nemmeno riscaldato, però...
Non ho ansia.
Non sto male.
Non mi mangio le mani in attesa che il mondo mi cada addosso.
Sono emozionato, che è diverso, sono impaziente, trepidante.
Non vedo l'ora.
Credo di essere approdato ad un punto della mia vita dove nemmeno più le emozioni negative mi separano dalla gioia che mi provoca la consapevolezza di essere assieme a Kirishima.
Stringo gli occhi dietro le lenti appannate dei miei occhiali e cerco con lo sguardo un barlume della sua presenza.
Lo noto dopo un attimo.
Appoggiato sulla carrozzeria del pick-up che qualche giorno fa ho visto sul suo vialetto – qualcuno deve dirmi che problema hanno le lesbiche coi pick-up perché io giuro che non ho ancora capito quest'ossessione – con le braccia conserte, i capelli sciolti, un labbro fra i denti.
Lo guardo, prima di avvicinarmi.
Mi prendo un momento per guardarlo.
Miseria.
È proprio bello, cazzo.
È proprio, proprio bello.
E ha la giacca del football sopra la felpa, quella con scritto "Kirishima 20" dietro, che mi viene coscientemente in mente di voler rubare non appena gliela vedo addosso.
Non so come tornerò da questi due giorni.
So soltanto che il mio cervello mi sta urlando "guarda che potrebbe essere tuo" e che si sta anche rispondendo da solo "in fondo non lo è sempre stato".
Mi avvicino prima di perdermi nei miei pensieri.
Sbadiglio dietro una mano e scuoto la testa come fanno i gatti, mi schiarisco la voce e...
Mi vede, mi guarda, mi sorride e mi tocca. Tutto questo in un lasso di tempo che alla mia mente rincoglionita sembra un nanosecondo.
Mi nota, mi scorre gli occhi addosso, il suo viso si apre in un sorriso di quelli da togliere il fiato, che intonato con la luce morbida della mattina presto sembra davvero il Sole che sorge.
Mi raggiunge in un secondo, appoggia entrambe le mani sul mio viso, mi piega indietro la testa.
Io non lo so come tornerò da questi due giorni.
So solo, quando invece di parlare, invece di dire qualsiasi cosa, Kirishima preme le labbra sulle mie, che non sono nemmeno iniziati e già vorrei che non finissero mai.
Mi piace come lo fa.
La delicatezza, la calma, la devozione.
Mi piace che sembri qualcosa di intimo e di familiare, di quotidiano.
Mi piace che mi faccia male il collo da quanto l'ho piegato indietro.
Mi piace...
Mi piace lui.
Mi piace tanto.
Tanto che per una volta non mi capita di pensare sia troppo.
– Ciao, Kat. – mormora, ad un centimetro dalle mie labbra, le mani ancora ferme sulle mie guance.
Sorrido, non mi faccio problemi a farlo, non più.
– Ciao anche a te. –
– Hai preso tutto? Possiamo andare? –
– Mh-mh, sì. Però... –
Sporgo il collo dalla sua parte. Quando si rende conto di quello che sto facendo sorride, sorride contro di me, i tratti del suo volto si ammorbidiscono, le sue labbra tornano sulle mie.
Ricambia.
Sento il mio corpo sciogliersi, il tepore e la confusione del mattino avvolgermi, il mio cuore battere forte.
È piacevole, confortevole. Non sa di quelle cose veloci e aggressive dalle quali esci sfinito, soddisfatto ma distrutto, sa di quelle lente, pigre, dense come il miele, che ti fanno sentire caldo dentro e ti rilassano da tutte le tensioni.
Ce la farò dopo questi due giorni a tornare alla mia quotidianità di adesso?
So la risposta.
E so anche che saperla non mi fa male come mi avrebbe fatto un mese fa.
Scivola via da me con calma passandomi le mani sul viso, fra i capelli, sul collo e sulle spalle, come se, nonostante sappia di dover fare il giro della macchina per salire, proprio non gli vada nemmeno di pensarci.
Gli brillano gli occhi.
Ho il cuore stretto in una morsa così serrata che quasi mi fa male.
– Ora possiamo andare? –
– Ora sì. –
Annuisce.
– Ok. –
– Ok. – ripeto, prima di vederlo scomparire per un attimo oltre la lamiera di metallo.
La macchina è palesemente di una delle mamme di Kirishima. Me ne rendo conto quando salgo, perché c'è un braccialetto di quelli di gomma incastrato sullo specchietto retrovisore con la bandiera della comunità lesbica e un portachiavi con una foto di un piccolo Kirishima senza i denti davanti e coi capelli neri. Mi siedo con calma sul sedile del passeggero, metto lo zaino dietro, sento Eijirō entrare al mio fianco.
Si tira indietro i capelli, poi sfila un elastico dal polso e li lega, si allaccia la cintura, gira il volto verso di me.
– Ti sei legato? –
– Eh? –
– Legati, è pericoloso. Ti serve una mano? –
Una mano per...
Ah, ho capito, mi ero distratto un attimo. È mattina presto, pietà, per la miseria.
– Arri... –
Prima che possa fare qualsiasi cosa, sganciando prima la sua, si avvicina e invade completamente il mio spazio personale, prende la cintura e me l'allaccia. Torna dalla sua parte e rifà la stessa cosa, poi gira le chiavi nel quadro.
Io sono... troppo rincoglionito, troppo...
– Credo che qua qualcuno abbia bisogno di dormire. – dice, prima di appoggiarsi al mio sedile e guardare indietro per fare retromarcia.
Io...
Incastro le braccia conserte, il mio labbro sporge in un broncio.
– Non ho bisogno di dormire. –
– No? –
Esce dal parcheggio, ma prima di partire si ferma nella strada vuota per sporgersi verso di me.
– Sono sveglissimo. Sono... –
– Adorabile tutto insonnolito e davvero la cosa più carina del mondo. Però sono due ore e mezza per arrivare e non sarebbe una cattiva idea se dormissi, no? –
Sbatto le ciglia.
– Ma non vuoi che ti faccia compagnia mentre guidi? –
– Voglio che tu mi dia un bacio e che tu dorma. –
Chino lo sguardo e sento il mio viso diventare più scuro. Poi però mi avvicino, anche se ancora con le braccia incrociate.
Dura un secondo.
Solo un secondo.
Quello dopo sono con la testa attaccata al finestrino che mi metto comodo.
– Svegliami un po' prima di scendere, però, non voglio essere rincoglionito prima di entrare. – borbotto, guardandolo con la coda dell'occhio sistemare le mani sul volante.
Annuisce.
– Sarà fatto. –
Ha l'espressione contenta, il viso allegro, spensierato com'è spensierato di solito, gli occhi luminosi.
Mi viene voglia di toccarlo.
Mi viene voglia di...
– La macchina ha il cambio manuale? –
Aggrotta le sopracciglia.
– Automatico, perché? –
Mi batto due volte la coscia.
– Metti la mano qui. –
Alza un angolo della bocca.
– Non è più sicuro che io guidi con tutte e due le mani sul volante, Katsuki? –
– No, è più sicuro che tu la metta qui. –
– Dove l'hai letto? –
– Sul manuale per prepararsi alla scuola guida. –
Ridacchia quando apre le dita sulla mia gamba. Ridacchia ma lo fa, mi accarezza piano e stringe tentativamente la carne della mia coscia un paio di volte, prima di lasciare la mano là dov'è.
– Davvero? –
– Non l'ho nemmeno mai comprato il manuale per prepararsi alla scuola guida. –
Sorride di nuovo, riporta lo sguardo alla strada.
So che sta per partire.
Io dovrei chiudere gli occhi.
Li chiudo, li chiudo, ma...
– Eijirō? –
– Dimmi. –
Mi accoccolo meglio, lo sento muovere il pollice sul tessuto dei miei jeans.
– Facciamo che per questi due giorni sei il mio ragazzo, ti va? –
La stretta diventa più forte improvvisamente, io mi ritrovo a sorridere fra me e me.
– Scusami? –
– Sei il mio ragazzo finché non torniamo. Poi quando torniamo vediamo, ma per questi due giorni facciamo che... stiamo insieme. Se non ti dà fastidio, ovviamente. –
– Oh, cazzo. Per due giorni io e te... –
– Se non vuoi no. È solo un'idea, come ti pare. –
Sporgo il viso quanto basta per intravedere il suo viso, risollevo le palpebre così pesanti da sembrarmi di metallo.
Faccio appena in tempo per vederlo... annuire.
Convintissimo.
Davvero, davvero convinto.
Davvero...
– Sì, sì, certo che mi va. Mi va, mi va. –
– Ok, allora... –
– Stiamo insieme. Da ora stiamo insieme. –
La gioia che queste poche parole mi provocano non è inimmaginabile, di più. È naturale, spontanea ma egualmente frizzante, mi fa sentire strano, emozionato, direi.
Sì, stiamo insieme.
Che bello, sentirlo.
Mi piace un sacco.
Mi piace...
– Quindi posso fare tutte le cose che farei se stessimo insieme, se stiamo insieme. Posso fare tutte le cose che... –
– Puoi fare quello che ti pare. –
Sorride a trentadue denti.
– Questo è un sogno e, Kat, ti prego di non svegliarmi. È un sogno, davvero un sogno. –
– Non è un sogno, scemo, è la realtà. –
– No, è un sogno. Tu che mi dici che stiamo assieme, anche se solo per due giorni, è decisamente un sogno. –
Rido piano del modo in cui parla, felice e sorpreso e un milione di altre cose.
Mi sento come pare sentirsi lui.
Su un altro pianeta, in un mondo completamente diverso dal nostro, molto più bello, molto più piacevole.
Sono felice di averti chiesto di venire con me.
Felicissimo.
Non avrei potuto chiedere di meglio.
Non esiste al mondo, di meglio.
Meglio di...
– Io te lo dico per correttezza, se non partiamo entro quaranta secondi io ti tiro su e ti spoglio qui. Hai detto che posso fare quello che voglio e voglio che tu sappia che al momento l'unica cosa che voglio fare è... –
– Ti sto fermando? –
Serra la mandibola, mi guarda dritto in faccia come se le sue iridi potessero pungere le mie, lo vedo chiudere gli occhi e respirare.
– Merda, merda, merda. Non sono pronto. Non sarò mai pronto. –
– A cosa? –
– A te, cazzo, a te. Non hai la minima idea di cosa io stia provando in questo momento. –
Mi riservo di sorridergli e appoggiare una mano sopra sua sulla mia coscia.
– Credo di averne un'idea perfetta, invece. –
– Fidati, non ce l'hai. –
– Certo che ce l'ho. –
Fissa per un attimo le nostre mani una sull'altra.
Poi mi stringe di nuovo la coscia.
– Ok, partiamo. Partiamo o non partiamo più. –
Ridacchio.
– Come vuoi, ragazzone, ripeto che io non ti sto fermando dal fare nulla. –
– Cazzo, Kat, sarai la mia fine. –
Chiude gli occhi, mi stringe più forte, più forte ancora, in un gesto palesemente affettuoso ma anche dannatamente possessivo.
Poi espira l'aria che aveva nei polmoni.
Si rigira dalla parte giusta.
– Dormi, ti voglio bello sveglio per quando arriviamo. – sentenzia, e sento la macchina riprendere vita sotto al mio corpo e spostarsi.
– Non ero adorabile così insonnolito? –
– Lo sei molto di più quando sai quel che dici e il tuo meraviglioso cervello funziona. –
– Se lo dici tu. –
Mi acciambello una volta ancora contro la portiera.
– Comunque non l'ho detto perché ho sonno, l'ho detto perché lo penso, quel discorso sull'essere il mio fidanzato. –
– Sicuro? –
– Sicurissimo. –
Imbocca la strada principale piano, con calma.
– Allora preparati, non posso dirti altro. –
– A cosa? –
Mi rivolge giusto uno sguardo.
– A pregarmi dopo questi due giorni di rimanere il tuo ragazzo per sempre. –
Schiaccia il piede sull'acceleratore, la velocità aumenta e la mia risata si mescola con la sua.
– Vedremo. – borbotto.
Poi richiudo gli occhi, già mezzo addormentato, invaso da una sensazione così calda e piacevole che penso per un attimo vorrei durasse per sempre.
Potrebbe.
Non sarebbe male se succedesse.
Non sarebbe affatto male.
Ovviamente non mi sveglia, come gli avevo chiesto, un po' prima di arrivare, mi sveglia quando siamo già là, nel parcheggio di fronte all'ingresso.
Sento, nel torpore del mio sonno, la portiera su cui sono appoggiato muoversi lentamente e apro gli occhi con calma.
Mi sento rincoglionito dall'aver dormito sodo per due ore e mezza, quando lo faccio, è vero, ma mi sento anche riposato e rendermi conto che non ha fatto come gli avevo chiesto ma di testa sua non riesce a darmi fastidio, quando mi ritrovo la sua faccia davanti.
– Buongiorno, principessa. Dormito bene? –
Sbatto le palpebre.
La prima cosa che mi viene da fare è piazzarmi una mano di fronte alla faccia e sbadigliare, poi stiracchiare le braccia, scuotere la testa per abituarmi all'aria fredda che entra dalla portiera aperta e strofinarmi forte gli occhi.
– Perché non mi hai svegliato prima? – è la prima cosa che riesco a dire, con la voce un po' più bassa per il sonno.
Alza le spalle.
– Ci ho provato. –
– Davvero? –
– Giuro. Mi hai detto di non romperti il cazzo. –
Aggrotto le sopracciglia.
– Potrei averlo fatto, sì. È plausibile. –
Ridacchia.
– Già. –
Mi slaccia la cintura prima che possa farlo io, mi accarezza i capelli.
– Vuoi che ti vada a prendere un caffè o qualcosa? –
– No, lo prendiamo dentro insieme. –
– Ok. –
Avvicina il viso al mio.
– Andiamo? –
– Arrivo. –
Mi appoggio su una delle sue spalle, lui sta fermo e non si scosta, stiro le gambe e l'attimo dopo sono a terra, in piedi, in mezzo al parcheggio.
– Dammi un secondo che mi abituo a essere sveglio. –
– Tutto il tempo che vuoi, Kat. –
Chiudo gli occhi e mi lascio cadere verso di lui.
È il mio ragazzo, no? Quindi che c'è di male se io...
Gli atterro con la faccia sullo sterno, apro le braccia e gliele chiudo attorno alla vita, mugugno un verso che somiglia ad uno sbadiglio nascosto contro di lui.
Kirishima non dice niente.
Ricambia senza dire niente.
Mi bacia fra i capelli senza dire niente.
Per la miseria, gli ho detto che stavamo insieme due ore fa, come fa ad essersi già abitua...
Beh, forse è perché lo facevamo anche prima, di toccarci sempre. Forse è perché è bravo in queste cose. Forse è solo perché è sulla mia stessa lunghezza d'onda.
– Hai freddo? –
– Un po', ora mi abituo. –
– Ti sei vestito abbastanza? –
Ridacchio.
– Sembri mia madre. –
– Guarda che è un complimento, tua madre è un esempio di vita. –
Strofino la faccia contro la sua felpa, alzo piano lo sguardo.
– Ho messo la canottiera, una t-shirt, una maglietta termica, un maglione e la felpa sopra. Direi che mi sono vestito abbastanza, no? –
Sposta le mani sul mio collo.
– Direi di sì. –
Si china e la punta del suo naso sfiora la mia.
– Te l'ho già detto quanto sei adorabile stamattina? Sei adorabile. Sei così carino che mi fa male il cuore, Katsuki. –
– Mi fai troppi complimenti. –
– Stronzate, mi sto anche trattenendo. –
Mi fissa le labbra prima di baciarmi. Lo fa sempre, e mi fa venire le farfalle nello stomaco.
Quando ci stacchiamo mi sento più sveglio ma con le ginocchia più molli.
– Cosa andiamo a vedere oggi? C'è qualcosa che t'interessa in particolare? –
– Oh, un sacco di cose. Devo comprare anche un po' di cose. –
– Cosa? –
– Ti interessa davvero? –
Annuisce.
– Certo che mi interessa. Il fatto che non ci capisca niente non vuol dire che non possa interessarmi. –
Apro le mani sulle sue guance.
È ridicolo quanto sembrino piccole.
– Allora ti spiego tutto io. –
– Non vedo l'ora. –
– Vieni qui, Eijirō. –
Apro le labbra, questa volta, e le ginocchia molli diventano ginocchia tremolanti, il cuore pare esplodermi dentro la cassa toracica, la sensazione di emozione sottopelle frizza contro il mio corpo.
Sono definitivamente sveglio quando ci separiamo piano, sveglio abbastanza per star su sulle mie gambe e per allontanarmi.
Credo però che la sensazione che io gli stia lontano non gli piaccia, almeno quanto non piace a me, quindi ci mette un paio di secondi a raggiungere la mia mano con la sua e ad incastrare le nostre dita insieme.
– Apri bene le orecchie. Mi serve una serie di resistori E-12, un amplificatore TL082 e se troviamo qualche generatore da banco sarebbe fichissimo. Se vedi una di queste tre cose dimmelo subito, ok? –
– Ricevuto. –
– E non mi lasciare da solo che non so quanta gente ci sia ma se ce n'è tanta poi mi viene l'ansia. –
– Non l'avrei fatto in ogni caso. –
Prendo gli occhiali dalla tasca della felpa in cui li avevo messi per dormire, li inforco.
– Ok, allora possiamo andare. –
– Perfetto. –
Faccio un passo e poi ne faccio un altro, ma lui non si muove.
Mi giro a guardarlo, il braccio teso verso il suo.
– Perché non... –
– Tu non ti rendi conto di cosa cazzo mi fai, Kat, non è vero? –
Spalanco gli occhi.
– Eh? –
– Non hai idea di come mi sento quando sono con te? –
– Ei, non sto cape... –
– Sono così felice che non so nemmeno come dirlo. –
La mia faccia si scalda.
Apro la bocca per parlare ma non ne esce nulla.
Non capisco cosa c'entri ora e perché lo stia dicendo ora e...
– Grazie di avermi portato. Grazie di esserti fidato di me. Grazie di... –
– Se inizi così mi metto a piangere. –
Il suo sorriso si trasforma in una risata.
– No, no, non piangere. –
– Sto per farlo, quindi smetti di essere la persona più dolce del mondo per un secondo e vieni con me a questo maledetto Festival. –
Piega il capo.
– Non posso dire al mio ragazzo quello che penso di lui? –
– Puoi dirglielo, ma dopo che avremo comprato le mie resistenze e il mio generatore. –
– Mmh, non mi sembra onesto. –
– E dai. –
– Allora... –
Cammino verso l'ingresso all'indietro, trascinandolo col braccio. So che è lui a decidere di muoversi, se avesse scelto di rimanere fermo non credo sarei riuscito a spostarlo di un millimetro. Ride anche lui.
– Andiamo, Ei, andiamo, dai, andiamo! –
– Ma io voglio dirti... –
– Non sei emozionato che forse potremo vedere un circuito digitale? –
– Sono emozionato a poter vedere te. –
– Un vero circuito digitale, Eijirō, uno vero! –
Lo tiro forte e lui si spiaccica contro di me.
Mi avvolge il corpo con le braccia e l'attimo dopo io sto avvolgendo le mie attorno al suo collo.
Mi metto sulle punte dei piedi, lui si china.
Tutta la vita.
Vorrei questo tutta la vita.
Merda.
Cazzo.
Porca troia.
Sono davvero cotto come un cretino.
Il Festival è una figata. Davvero, so che potrei esprimere il mio pensiero in tanti altri modi più articolati ed eleganti, ma non c'è altro che mi venga in mente.
È una figata.
È proprio, cazzo, proprio una figata.
Il mio cervello sembra espandersi, esplodere, ogni secondo che passo a girarmi attorno.
C'è uno stand di intelligenza artificiale in cui abbiamo passato quaranta minuti a guardare un informatico programmare l'interfaccia di comunicazione per un servizio di assistenza clienti, uno sulle ricerche che stanno facendo in America per la fusione nucleare, uno sulla criomicroscopia.
Mi sento un bambino al lunapark.
Sono tutto eccitato che giro come una trottola fra un banchetto e l'altro e mi sento così stimolato intellettualmente che potrei morire qui.
Quanto mi piace la scienza.
È così...
Facile, per me.
Immediata.
E se è difficile è composta in se stessa di tanti blocchi facili che si possono risalire e che ti fanno sentire sveglio e competente e...
– Generacoso a ore tre. C'è il cartello. –
Mi giro di colpo.
– Dove? –
– Là. –
– Andiamo, andiamo, corri! –
Sento le dita di Kirishima stringersi più forte fra le mie, faccio appena in tempo a vedere la sua espressione che mi pare di sentirmi estirpare via il braccio dal corpo mentre mi trascina, correndo come gli avevo chiesto, verso uno stand a qualche metro da me.
Lui è perfetto.
È perfetto.
È...
Il ragazzo perfetto.
Mi ha tenuto la mano tutto il tempo. Ogni volta che ci siamo infilati fra le persone per passare è rimasto dietro di me a farmi sentire al sicuro nonostante ci fossero anche gli altri, ha ascoltato ogni cosa dicessi con attenzione, mi ha anche fatto delle domande.
È perfetto.
È divertente.
È...
Mi piazza di fronte alla scrivania dello stand prima di se stesso, poi appoggia le mani sulle mie spalle e indica di fronte a sé.
– Guarda, c'è il cartello. Ce l'hanno. –
Leggo le parole sul foglio di fronte a me.
"Generatori da banco per misurazioni usati".
Sento la mia faccia sorridere da sola.
– Sì, è vero. È quello là, guarda. –
Mi rivolgo ad un generatore da banco chiaramente usato ma pur sempre in ottime condizioni esposto fra i vari strumenti e Kirishima segue il mio sguardo.
– L'abbiamo trovato? –
– Tu l'hai trovato. Ed è lui. –
Appoggio le mani sul bordo della scrivania e mi avvicino alla persona che c'è dietro.
Apro la bocca per parlare, ma...
– Scusi, il generatore da banco quanto viene? Ne ha altri oltre a quello là? –
Mi giro immediatamente.
Chi è questo pezzo di merda?
Non lo conosco.
Chi diavolo...
Ha la mia età, probabilmente, non è tanto più alto di me. Ha i capelli scuri e gli occhiali e la mano puntata verso il mio, mio generatore da banco.
– Ho solo questo. Dovrebbe costare... –
– Pezzo di merda, c'ero prima io. Che cazzo fai? – sbotto senza pensarci due volte verso il tizio che si è appena infilato a rovinare il mio meraviglioso acquisto.
Si accorge di me.
– Scusami? –
– C'ero prima io. Vattene a fare in culo, quel generatore è mio. –
– Non è tuo, lo sto comprando io. –
– È mio, metti giù le tue mani luride dal mio generatore. –
Si gira verso il venditore.
– Allora, quanto viene? –
– Non ignorarmi! È mio! –
Stringo le braccia conserte, lui rivolge di nuovo a me il suo sguardo e quella che vedo nel suo sguardo è competizione, competizione che non vincerà.
– Se fosse tuo l'avresti già comprato. E invece non lo stai facendo. –
– Lo stavo per fare prima che t'infilassi come un insetto di fronte a me. –
Sbuffa.
– E sentiamo, a che ti serve? A fare bella figura col prof? Lascia le cose a chi le usa per davvero. –
A chi le usa per davvero?
Ma questo pezzente come si permette a...
– Senti, brutto figlio di puttana, vai a fare lo splendido con qualcuno che ti creda. Hai saltato la fottuta fila, c'ero prima io, ora tu ti levi dal cazzo prima che ti prenda a testate perché hai già superato ampiamente il mio limite di tolleranza per gli idioti. –
– Mi stai dando dell'idiota? –
– Ringrazia che sia solo questo. –
Sento Kirishima stringermi le spalle con le mani ma lo ignoro, non è la sua battaglia, quindi...
– Se io sono un idiota tu sei un coglione. –
– Tua madre sarà una cogliona. –
– Esattamente qualcosa che direbbe un coglione. –
Apre una mano verso il banco e mette la mano sopra il generatore.
– È mio, ok? Vai a cercartene un altro. Io lo stavo già comprando, sparisci. –
Io dovrei...
Sparire?
Io?
Quando questo misero, lurido, schifoso, imbarazzante, osceno, vergognoso, piccolo, stupido, idiota, deplorevole pezzo di merda ha saltato la fila?
Oh, non dovevi dirlo.
Non dovevi...
Kirishima si schiarisce la voce.
Il tipo di fronte a me alza lo sguardo e come se non l'avesse notato prima, lo guarda.
Quando vedo la patina di panico che gli si spande negli occhi so esattamente cosa devo fare.
Gli prendo la manica della felpa fra le mani e tiro.
– Eijirō? –
– Dimmi. –
– Questo stronzo vuole rubarmi il generatore. Gli dici qualcosa? Non mi ascolta. –
– Certo. –
Lo sento stringermi di nuovo le spalle, poi spostarmi delicatamente da un lato per superarmi. Non vedo molto oltre le sue spalle, ma noto chiaramente il collo del tizio piegarsi indietro e le sue gambe farsi meno stabili.
– C'è qualche problema? –
Non risponde.
Il tipo non risponde.
Ma non toglie la sua manaccia lercia dal mio generatore, quindi...
– No? Allora non sarà un problema se questo lo prendiamo no... –
– C'ero prima... c'ero... c'ero prima i... io, e... –
– Non c'eri prima tu. C'eravamo prima noi. –
– Non è ve... –
– Vuoi discutere con me? –
La sensazione che provo non saprei nemmeno descriverla.
È un misto di... orgoglio, fierezza, arroganza e un pizzichino di superiorità.
Vedo le gambe del tipo iniziare a tremare.
– Non voglio discutere, ma... –
– Molla il generacoso e non discuteremo. –
– Guarda che si chiama... –
– Lo decido io come si chiama. Vuoi discutere anche su questo? –
Passa un secondo interminabile di silenzio.
E dopo arriva una risposta.
Quella risposta è...
– No. Me ne... me ne vado. –
– Ecco, bravo. –
– Però c'ero... –
Mi sporgo oltre il mio ragazzo – dirlo mi rende così dannatamente felice – e caccio la testa sotto il suo braccio.
– Guarda che se continui a dire stronzate gli dico di staccarti le gambe. –
Il tipo mi guarda.
C'è frustrazione nel suo sguardo, ma più della frustrazione c'è... terrore.
Indietreggia.
Mormora un "fanculo" sottovoce, poi, prima che uno dei due, io o Eijirō, possa reagire, scompare com'era arrivato, dal nulla.
Io mi giro verso il generatore vittorioso.
– Perfetto, un problema in meno. Allora, quanto viene? –
Il tipo guarda prima me, poi Kirishima al mio fianco che si sta girando in tutta calma come se non avesse appena volontariamente spaventato a morte un povero cristiano.
– Quindicimila yen. – risponde, un po' interdetto ma più interessato, immagino, a vendere che a sindacare su questioni di altro genere.
– Ok, un secondo che... –
Vedo la mano di Eijirō spuntare da dietro di me, la carta di credito in mano.
Guardo come imbambolato il tipo accettarla, farlo pagare, e tirare fuori la scatola per mettere il mio generatore dentro, le labbra aperte e la mano ancora a mezz'aria alla ricerca del mio portafogli.
Ha appena...
Ma...
Io...
– Ecco a voi. Grazie mille, passate una buona giornata. –
Eijirō si sporge e prende la scatola, sorride.
– A lei. –
Poi come se nulla fosse si gira e inizia a camminare.
Io rimango... là.
E...
– Che fai, non vieni? –
– Mi hai appena comprato quindicimila yen di generatore? Dopo aver fatto lo stronzo con uno solo perché te l'ho chiesto? –
Alza le spalle.
– Ecco, insomma... sì. C'è qualcosa che non va? –
– Pe... perché? –
– Perché sei il mio ragazzo. Io le faccio queste cose per il mio ragazzo. Ti faccio i favori e ti faccio i regali. –
Guarda la scatola fra le sue braccia.
– Credevo che un regalo al tuo ragazzo fosse più una cosa tipo una collana, un gioiello, certo non un generacoso, ma a me basta che sia qualcosa che ti piace e qualcosa che usi. Anche se è un generacoso. –
– Tu sei completamente pazzo. –
– Lo sono. Tu no? –
– Io... –
Torna dalla mia parte, libera una mano e la sua per tirarmi su il mento.
Mi bacia piano.
– Questo significa stare con me, Kat. Non che ti compro generacosi ovunque, ma che faccio qualsiasi cosa sia in mio potere per farti un piacere. Non te l'aspettavi? –
Apro la bocca.
La richiudo.
La riapro.
Il mio cervello è completamente vuoto.
Dico le prime parole che mi vengono in mente senza pensarci.
– Due giorni non bastano. –
– Mh, vero? Lo pensavo anch'io. –
– Cazzo. –
Sorride, ridacchia.
– Allora, non mi hai detto se ti piace il mio regalo. Ti piace? –
Annuisco come un cretino.
– Mi pia... mi piace. –
– Sei contento? –
– Sì, sì. –
– Perfetto. Questo volevo. –
Mi bacia di nuovo ed è un po' più passionale, un po' più dolce, un po' più bello di prima. Mi sento le guance tutte rosse.
Sono io a staccarmi.
Lo spingo proprio via perché...
– Sei il miglior fidanzato che io abbia mai avuto, mi hai comprato... mi hai comprato un generatore! Lo so che sembro idiota ma è una cosa che... –
– Generacoso. –
– Non si chiama... –
– Certo che si chiama generacoso. –
Scuoto la testa mentre ridacchia, lo prendo dal colletto della maglietta.
– Non stavo parlando di questo, comunque. Ti stavo dicendo che nessuno aveva mai comprato un generato... generacoso per me prima. Sei il fidanzato migliore del mondo. –
– Lo sono? –
– Mi sta andando in cortocircuito il cervello da quanto lo sei. Giuro, mi sta andando in cortocircuito. Non so più cosa dire perché non sono abituato a dire queste cose ma mi hai comprato un generacoso e sei venuto al Festival con me e sei carino e sei dolce e sei bello e questo posto è così figo che il mio cervello è sovraccarico e... –
M'interrompe baciandomi.
Ingoio le mie parole quando le sue labbra sono sulle mie.
Le apre, la sua lingua sfiora la mia e poi la tocca con più decisione, mi sento tremare da testa a piedi di un misto di eccitazione e emozione e euforia e...
– Aspetta che arrivi stasera, prima di uscire di testa. – mormora, appena si stacca.
Stasera?
Stase...
Oh, merda.
Merda, merdissima, merda.
Stasera noi due...
Mi bacia una guancia, poi avvicina le labbra al mio orecchio.
– Aspetta che io abbia una notte in una stanza da solo con te, prima di dirmi che sono il fidanzato migliore del mondo. –
Dormiamo insieme, stasera.
Nella stessa stanza.
In un hotel.
E lui è il mio ragazzo.
E lui è...
– Sempre se sarai ancora in grado di parlare dopo. –
Mi bacia la tempia.
Si tira su.
Si gira e ricomincia a camminare mentre il cervello mi cola direttamente fuori dalle orecchie.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
ok allora
io lo so che con questa storia non faccio altro che farmi aspettare peròòòòòòòòòòò IO SPERO CHE VI SIA PIACIUTO NONOSTANTE LA MIA STUPIDITà IL MIO ESSERE RITARDATARIA PLS DITEMI CHE è CARINO O MI SPARO
no davvero ho fatto una fatica BESTIALE a scrivere questo capitolo non so perché e spero spero spero che sia uscito come volevo like non sono abituata a scrivere avvenimenti sparsi in una giornata però credevo ci stesse bene eeeeee niente
spero che vi sia piaciuta
so che sapete cosa sta per arrivare
SO CHE LO SAPETE
però vi anticipo già non so se è il prossimo capitolo prob quello ancora dopo
niente
fine
ora torno a studiare
ciao :D
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