𝚑𝚊𝚟𝚎 𝚢𝚘𝚞 𝚋𝚎𝚎𝚗 𝚜𝚙𝚎𝚗𝚍𝚒𝚗𝚐
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– E quindi ti sei dichiarato così, gratuito, diretto, l'hai guardato in faccia e gliel'hai detto? –
Annuisco.
– Esatto. Non ce l'ho fatta più e ho deciso che tanto valeva non trattenersi. Alla fine è andata bene, non me ne pento. –
– E bravo il mio genietto che non si fa spaventare da niente. Ci seppellirai tutti, 'Suki, non ho dubbi. –
Ridacchio piano, stringo le mani fra loro coperte dal tessuto spesso dei guanti, – i miei, non quelli coi fiocchi di neve di mia madre che tanto fanno ridere Kirishima – tiro su i talloni sulla panca e infilo il viso fra le ginocchia.
Kyōka rimette l'oggetto che ha fra le mani stretto al polso, girandolo due volte su se stesso.
Non ho mai capito se fosse un bracciale o meno, so soltanto che sembra una serpentina di plastica viola, e che lo porta sempre con sé, è solita giocarci mentre parla, come se fosse un gesto di riflesso per tenere impegnate le mani.
Si guarda distrattamente le unghie dipinte di nero.
È struccata, oggi, ma non credo di averla mai vista senza smalto dalle medie ad oggi, ho iniziato a pensare ad un certo punto che fossero proprio le sue dita, ad essere fatte così.
– Il bastardo? Che fine ha fatto dopo che Mina ha trascinato via Kirishima? –
– Dovresti chiedere a Denki. –
– Glielo chiederei, se ci fosse. Ma ci sei solo tu, quindi sputa il rospo. –
Un raggio di Sole mi colpisce gli occhi, quando sposto il viso, quindi indietreggio di nuovo per non dover stringere gli occhi.
Non c'è una nuvola in cielo nonostante faccia un freddo incomprensibile, e quando siamo arrivati, mezz'ora fa, dove siamo, è per questo stesso motivo che al mio allucinato chiedergli "ma che cazzo fai in maniche corte" Eijirō ha risposto che tanto faceva caldo.
Sì, caldo.
Faranno cinque gradi.
Caldo.
Cretino.
– Denki gli ha tirato un calcio nelle palle. Poi gli ha versato il drink addosso. E poi ha continuato a urlargli che l'avrebbe fatto a pezzi finché Shinso non l'ha portato via di peso. Credo che se non ci fosse stato Hitoshi, Shindō avrebbe fatto davvero una brutta fine. –
– Se lo sarebbe meritato. Non doveva manco pensarla, una cosa del genere. –
– Sì, credo che tu abbia ragione. –
Mi strizza delicatamente una spalla, poi mi si fa più vicina, mentre il tono delle nostre voci defluisce nell'aria entrambi portiamo naturalmente lo sguardo di fronte a noi, osservando il principale motivo per cui siamo qui.
Siamo sugli spalti del campo della scuola a guardare la squadra di football e quella delle cheerleader che si allenano. Me l'ha proposto lei, e la cosa all'inizio non mi sembrava appropriata, non volevo disturbare Eijirō con la mia presenza, ma poi mi ha fatto notare che è pieno di gente che ci viene per vederli sudare e commentarli, e allora ho deciso che dimostrare la mia superiorità era sicuramente più importante.
Mi sono portato da studiare, comunque.
Non ho ancora aperto il libro, ma non è perché il mio ragazzo è in maglietta a maniche corte che suda e sorride a qualche metro da me, è perché la mia migliore amica vuole i dettagli, e per legge sono obbligato a darglieli.
Non che mi serva, poi, studiare.
Ho dato gli ultimi test del semestre stamattina, e so di aver preso il massimo dei voti anche se le graduatorie non sono ancora uscite.
L'unica preoccupazione che ho in merito è riguardo al voto di matematica di Kirishima. E il voto di... di tutto di Denki.
Non posso comunque farci nulla, ora come ora, quindi cerco di non pensarci.
– Poi dopo che vi siete dichiarati cos'avete fatto? Sesso pazzo in macchina? Nei cespugli? In un vicolo buio dietro casa di Mirio? –
– Ma che sesso pazzo, Eijirō ha continuato a piangere per quaranta minuti, io mi stavo ghiacciando il culo e la festa si era un po' calmata dopo tutto il casino, siamo andati a casa e mi sono messo nel mio lettino a dormire. –
– Sei davvero una nonna. –
– Non sono una nonna, ero stanco! –
– Nonnina. –
Ride, mi guarda alzarle il medio di fronte alla faccia, sporge un pezzettino di lingua dalle labbra.
Ricomincio a parlare un pochino in imbarazzo, non saprei nemmeno dire io perché.
– Stasera, il sesso pazzo. Viene da me dopo la partita e ho casa libera. –
Kyōka alza un paio di volte le sopracciglia.
– Ah sì? –
– Già. –
Mi squadra.
– Stai attento, eh, che già sei sordo ci manca pure che diventi paraplegico. Per carità, ti sfrutterei male per prendere l'ascensore della scuola senza vergognarmi, però la carrozzina non ci entra nel bagagliaio della macchina di Denki. –
– Naah, mi comprerei una di quelle sedie a rotelle fichissime col motore e ci metterei tipo dei razzi sotto, altro che macchina di Denki, a centotrenta in autostrada ci vado da solo. –
– Mi porteresti? –
Piego la testa.
Annuisco.
– Sì, ti porterei. –
– Perfetto, allora fatti scopare come vuoi, se proprio perdi l'uso delle gambe almeno devo fare meno strada per andare a scuola. –
– Vero. –
Ridiamo entrambi, i bordi delle sue labbra si alzano piano, così i miei, mi appoggia la fronte contro una tempia, io le stringo un ginocchio con la mano.
Amo Denki.
Ma qualche volta chiacchierare con qualcuno che non pensa veloce quanto lui è più rilassante.
Torniamo a guardare il campo.
Kirishima sta parlando con Sero, sono entrambi di profilo e non riesco a leggere le loro labbra. Uno strato di sudore gli fa scintillare la pelle, sembra che la crocchia dei suoi capelli stia per sciogliersi e se ne accorge anche lui, si lega i capelli mentre chiacchiera.
Mi batte il cuore tanto forte quando lo guardo che inizio a credere che amare qualcuno possa essere fisicamente sconveniente.
Potrei diventare tachicardico.
E se mi venisse un infarto?
Non abbiamo avuto tanto modo di parlare, stamattina, coi test di mezzo eravamo tutti e due troppo di fretta per esibirci in qualsiasi effusione lui abbia inventato per farmi arrossire di fronte a tutta la scuola, ma mi ha baciato prima di scappare in classe, e mi ha scritto di fare del mio meglio prima che le verifiche iniziassero, e quando gli ho chiesto se sarei potuto venire qui ha risposto un "ti prego sì" a caratteri cubitali che mi ha fatto sorridere.
Sono molto, molto innamorato.
Di lui quanto dei modi apparentemente piccoli e rapidi con cui si prende cura di me anche quando la vita è così frenetica da rendergli difficile farlo.
Sorrido fra me e me, sposto lo sguardo verso l'oggetto dell'interesse di 'Yōka, Momo Yaoyorozu ha addosso una felpa la cui zip continua a scendere, la gonna è cortissima, i leggins che porta per non sentire freddo non nascondono affatto la forma delle sue gambe.
Do un colpetto col gomito alla mia migliore amica.
– E tu invece, cos'è che hai fatto ieri? –
– Ho rischiato di morire asfissiata. Ed è stato bellissimo. –
– Elabora, detta così potrebbe essere un sacco di cose. –
– Si è seduta sulla mia faccia. –
Aggrotto le sopracciglia, passo dal guardare Momo al guardare Kyōka, il mio cervello tenta di elaborare la scena.
Momo sarà alta quanto, un metro e ottanta? Ed è tutta forme morbide e muscoli.
Jirō è uno scricciolo.
Com'è possibile che...
– Lo so cosa stai pensando e lo pensava anche lei. Mi ha detto "ma Kyōka, ma io peso troppo, potrei farti male". E allora io le ho risposto "tu non pesi troppo, donna, siediti e basta. Se mi uccidi sarò morta felice." Stavo per rimanerci, ma come puoi ben vedere, sono sopravvissuta e non vedo l'ora di rifarlo. –
Sbatto un paio di volte le palpebre, tutta la matematica e la fisica del mio cervello non riescono a spiegare il fenomeno, e allora le faccio tacere, che certe cose non possono essere spiegate.
– Denki ti direbbe qualcosa tipo "slay". –
– Denki mi definirebbe il grande re della vagina, urlerebbe "viva le tette", si metterebbe a fumare una sigaretta bestemmiando perché non trova l'accendino e poi attaccherebbe a parlare del matrimonio di Kourtney Kardashian in Italia. –
– Sì, hai ragione tu. –
– Lo so. –
Indica Momo con un gesto del capo.
– Stasera vado io da lei, comunque. Se riesco a prendere coraggio le chiedo se possiamo uscire solo noi due, se possiamo essere... esclusive, sai. –
– Non lo siete già? –
– Non ne abbiamo ancora parlato. –
– Ma se state sempre insieme, cos'è che fate tutto il tempo, invece di parlare? –
– Sai già la risposta a questa domanda, non farmela dire. –
– Sì, non avrei dovuto chiedere. –
Guardo con lei i capelli scuri che volteggiano nell'aria, l'espressione seria con cui si rivolge a Mina, il sorriso a qualcosa che quella le dice, forse una battuta, forse uno scherzo.
– È la donna perfetta, Katsuki. Lo so che te lo dico da quando facevamo il primo ma è la donna perfetta. Ascolta i Black Sabbath e le piace l'Opera lirica, ha delle tette enormi, è super alta e se ho fame mi cucina da mangiare anche alle quattro di notte. Io la voglio sposare, cazzo. –
– Non sono bravo a indovinare queste cose ma scommetto che anche lei voglia la stessa cosa da te. Ti guarda come... –
Come io guardo Eijirō.
– ...come Denki guarda Shinso. –
Mi vergogno, un pochino. Non di essere innamorato, non di guardare il mio ragazzo in brodo di giuggiole, non di essere debolissimo ai capelli rossi e al sorriso solare, forse solo di dimostrare una debolezza.
Che poi Kyōka lo sa benissimo.
Preferisco solo non dirlo.
Sorride, la mia migliore amica, la patina sognante che le si apre di fronte allo sguardo è una che conosco bene, cerca la mano con la mia, la stringe, rimaniamo qualche istante in silenzio. Poi a quanto pare qualcuno grida "pausa" dal campo, e mi ritrovo in fretta e furia e risistemarle la frangia perché nonostante non le serva è mio compito supportarla anche nei suoi complessi, che sono stupidi, a parer mio, ma che non è giusto che io sminuisca.
Si alza, dopo avermi ringraziato, corre verso le transenne verso sinistra.
Io so di dover andare a destra.
Ci vado guardando Kirishima e Mina venire dalla mia parte a braccetto.
Eijirō parla talmente forte che anche da lontano, riesco a sentirlo chiaramente come riesce a farlo tutto l'ammasso di gente che c'è qui.
– Oh, Mina, lo sai chi è quello? Quello biondo, là, che viene verso di noi. –
Lei risponde con lo stesso identico tono di voce.
– Chi è? Dimmi, Ei, chi è? –
– Quello è il mio ragazzo. –
Alza ancora più la voce.
– Katsuki Bakugō, futuro premio Nobel per... boh, tutto tranne la Pace, il mio ragazzo. Il mio fidanzato. Futuro marito. Padre dei miei figli. Amore della mia vita. Dolce piccolo pasticcino al carame... –
Gli arrivo addosso che ho la faccia completamente viola.
Gli stringo la maglietta umida con la mano, lo tiro giù, cerco di guardarlo male anche se non ne sono chiaramente in grado.
– Sei un cretino e devi smettere di urlare, Eijirō. –
– Non smetto di urlare finché tutti non sanno che stiamo insieme. –
Sorride, appoggia la fronte contro la mia, ho la faccia bollente dall'imbarazzo, un po' quello di essere al centro dell'attenzione, un po' quello di sentirmi dire cose carine che ancora non ho imparato a metabolizzare.
Mi sporgo di un centimetro.
Ci diamo un bacetto veloce.
– Ti amo anche se non lo sanno tutti. – mormoro.
E lui, che nei miei piani avrebbe dovuto rispondere la stessa cosa, invece ride, tira su la testa, alza la voce tanto che sono sicuro lo sentano anche fuori dal campo.
– Ha detto che mi ama, è ufficiale. Ora nessu... –
Gli tiro un pugno.
Ridendo, gli tiro un pugno.
E ride anche lui, ride anche Mina poco distante, e quando lo trascino verso gli spalti si lascia trascinare, al grido di "stai zitto coglione" al quale prontamente risponde, ora con un tono più normale "scusa amore ma ho tutto il diritto di vantarmi".
Si siede sulla panchina di fronte alle seggioline di plastica, quella dove ha lasciato la felpa e la borraccia, beve prima lui, quando la sua amica lo raggiunge le offre l'acqua e lei la prende. Entrambi stanno là, a riprendere fiato, di fronte a me in piedi che li guardo.
Per un attimo io fisso loro e loro fissano me.
Cuccioli smarriti, anche se sono entrambi fisicamente molto più grossi e forti di me.
Capisco quando con la coda dell'occhio vedo Iida tirare fuori una mela e passarla a Sero, che questi due cretini devono mangiare e mi stanno guardando come se mi stessero pregando di aiutarli perché sono in difficoltà.
Non è la prima volta con Eijirō, tutti i lunedì mi guarda in questo modo quando pranziamo sul tetto, mentalmente mi appunto che se questa è la reazione allora vuol dire che non mangia in mezzo all'allenamento e che devo riorganizzare i miei impegni perché lo faccia.
Mina non l'avevo mai vista così.
Ma non siamo in confidenza.
So che anche lei ha questo problema solo da ieri, da quando Kirishima ha parlato di "ricovero".
Però non sento disagio a prenderne atto, mi lusinga che si fidi, e mi fa piacere che qualcuno che conosce e ama e protegge così tanto il mio ragazzo mostri un segno di apertura anche a me.
Sospiro.
– Fatemi spazio. –
Sorridono e si separano fra di loro, lasciando un pochino di posto perché io mi sieda, nessuno dei due dà cenno di muoversi, chiamo io Iida con un gesto della mano.
– Serve da mangiare anche qui per questi due testoni. – gli dico, sapendo che cosa mi aspetta.
– Oh, no, Kat, io non ho fame, ho mangiato tanto a pranzo e non mi sento... –
– Che carino che ti preoccupi però non serve che... –
Iida rimane con le due mele prese dalla bustina in mano, mi guarda senza capire.
– Una, dammene una. Iniziamo così. Hai un coltello? –
Il rappresentante degli studenti annuisce, io ignoro il coro di scuse che mi vengono propinate facendo assolutamente finta di non sentire niente, prendo la mela, il coltello, mi metto a gambe incrociate.
Basta uno sguardo perché Eijirō e Mina ammutoliscano.
Pianto gli occhi sui loro.
Respiro profondamente.
Inizio a sbucciare la mela con calma.
– Allora, stasera a che ora è la partita? – chiedo, cambiando argomento completamente.
– Alle nove. –
– Passi a prendermi? –
Incido un primo spicchio, lo passo ad Eijirō, ha la mano un po' incerta ma prima di rispondere prende un morso.
Gli batto la guancia con una mano un paio di volte.
– Bravo. –
Gli brillano gli occhi.
– Noi dobbiamo andare là un po' prima, se non ti scoccia aspettare ti passo a prendere volentieri. –
– Per me è solo meglio, se posso sedermi prima che arrivi tutta la gente. –
Taglio il secondo spicchio, lo passo a Mina.
– Anche voi cheerleader dovete andare un po' prima? – dico, osservandola studiare il frutto con circospezione.
– Sì, più o meno alla stessa ora. –
Mangia.
Batto la guancia anche a lei.
– Brava. –
Lei rimane un po' ferma, con la mandibola immobile, quasi stupita. Poi inizia a masticare e sorride, le dita più sicure nel tenere il cibo, l'espressione meno spaventata.
Guarda Eijirō, annuisce.
– Avevi ragione, è un angelo. Mi pento di tutte le volte che ti ho preso in giro perché facevi il sottone, avevi ragione tu. –
– Io te l'avevo detto, sei tu che non ti sei fidata. L'ha mandato il cielo. –
– Sì, il cielo, sono d'accordo. –
Le mie guance si scaldano un po', taglio gli spicchi sorridendo fra me e me.
– Al primo che finisce la sua metà di mela gli do un abbraccio e gli dico che sono molto fiero di lui. – dichiaro, ridacchiando.
Per un secondo sento silenzio.
Poi Mina mi stringe il braccio con una serietà in volto mai vista.
– Dammi la merda di mela, Katsuki. Dammela. La finisco tutta. Dammi la... –
– Zitta, stronza, è il mio fidanzato, la mela la dà a me. Metti giù le mani. Che cazzo tocchi? Dammi la mela, amore, dammi... –
Rido più forte.
Ricomincio a passare il coltello nella frutta.
Insicuri cronici.
È quasi illegale, che siano così adorabili.
– Metà per uno, e dovete masticare il boccone almeno trenta volte prima di mandare giù perché se no poi vi viene mal di pancia. –
– 'Fanculo il mal di pancia. –
– No, niente 'fanculo il mal di pancia. –
Kirishima abbassa le sopracciglia verso la sua amica, poi si appiccica a me che nonostante mi lamenti del fatto che sia tutto sudato sto pur sempre sorridendo.
– Ti amo, Kat, lo sai? Ti amo tantissimo. Se bellissimo, oggi, e ti amo davvero un sacco, e... –
– Ho detto trenta e trenta saranno. Piantala di cercare di corrompermi. –
– Per favore? –
– No. –
– Per favorino? –
– Kiri, sei patetico. Che c'è, hai paura di non riuscire a vincere secondo le regole? Te la fai sotto, perdente? – lo incalza Mina, che allo stesso modo in cui ha fatto lui mi si spiaccica addosso.
Abbassa il tono della voce, mi parla all'orecchio.
– Se mi fai vincere questa roba ti dico tutto quello che Kirishima mi ha detto di te da quando vi conoscete. Tutto. Ogni parola. Anche le cose imbarazzanti. –
La proposta mi alletta, e per quanto sia ferreo nelle mie regole, mi concedo un barlume di curiosità.
– Sul serio? Ha detto cose imbarazzanti? Tipo? –
– Ti ha fatto l'armocromia per decidere la palette del vostro matrimonio. E nel portafogli ha un fogliettino con un esercizio di matematica che gli hai risolto perché dice che lo guarda prima di andare a dormire e si sente subito meglio. –
Spalanco gli occhi.
Giro la testa di centottanta gradi.
– Davvero, Eijirō? –
Quello punta la sua migliore amica con una mano, l'espressione offesa e divertita contemporaneamente.
– Ma che fai, mi sputtani così? Per poter vincere e abbracciare il mio ragazzo? Lo sai cosa sei tu? Sei una puttana. Sei una brutta puttana. –
– Mi stai dando della puttana solo perché sono nera. Sei un razzista. Sentiti una merda. –
– E tu stai cercando di farmi fare la figura del cretino solo perché mi piacciono gli uomini. Omofoba. Che c'è di male se ho dei sentimenti romantici per un maschio? –
Si prendono le mani a vicenda, la loro voce si alza, io vengo praticamente strizzato fra i loro corpi e per poco la mela non mi scappa via dalle mani.
Li blocco.
Metto le mani una sul mio ragazzo, una su Mina, li spingo indietro più forte che posso.
– Vi abbraccio tutti e due, ok? Tutti e due. Basta, smettetela, se vi saltate addosso mi manca l'aria. –
Improvvisamente si fermano, non si allontanano ma rimangono immobili.
Parla lei, per prima.
– E mi dici che sei fiero di me? –
– Sì, sì, te lo dico. –
Le porgo uno spicchio di mela, lei guarda il frutto, poi me.
Lo prende.
Sorride.
– Ok, allora. –
Porgo il successivo a Kirishima.
Anche lui fa la stessa cosa.
Prima però mi bacia un secondo sulle labbra, e mentre mangia mi strizza forte verso di sé.
Non dice molto, mi sussurra solo un "grazie".
E di che.
Giuro che per me, questo, è solo un piacere.
Col culo sulle seggioline di plastica del campo dov'ero questo pomeriggio e dove ora sono di nuovo, sempre Kyōka da una parte e ora anche Denki dall'altra, mi torna in mente la cosa che avevo pensato l'ultima volta che sono venuto a vedere Eijirō.
Questi sedili di merda sono scomodi.
Sono duri, la plastica mi fa venire male alla schiena, e non scaldano nemmeno un pochino.
Certo, compresso fra i miei amici che sanno benissimo quanto io sia sensibile alle temperature non sto esattamente crepando, però che cazzo, stavolta l'ho portata la felpa, e comunque sto per ghiacciarmi il culo.
Io devo fare sesso, stasera, non voglio farlo col culo ghiacciato.
La prossima volta mi metterò le calzamaglie sotto i jeans, la situazione potrebbe essere davvero drammatica.
Tengo gli occhi incollati alla partita, non ne capisco niente, continuo a non capirne niente, ma lui si gira se fa punto come quella volta mesi fa in cui pretendevo di dire che non fossimo fatti per stare assieme, e mi sorride, e io mi sento sempre più impaziente. Non so se stiano vincendo, Denki dice di sì ma è Denki, sperare che abbia cognizione di causa è un terno al lotto, però Kirishima mi sembra contento, e sono contento anch'io.
Mi ha chiesto di mettere la sua felpa, quando mi ha accompagnato a casa dopo l'allenamento.
All'inizio non volevo.
Mi sembrava cliché, mi sembrava imbarazzante.
Ma ho ceduto, e l'espressione che ha fatto quando è venuto a riprendermi, poco più di due ore dopo, ne è totalmente valsa la pena.
Denki, quando mi ha visto, ha detto che non era giusto, che anche lui voleva la felpa di Shinso, che stavano insieme da più tempo ed era assolutamente ingiusto che non l'avesse.
Shinso gliel'ha offerta.
Denki l'ha sgridato dicendogli che se non fosse stata la versione crop lui non l'avrebbe voluta.
Kyōka alterna lucidità e bava, chiacchiera mentre i ragazzi giocano, scherza e comunica, e poi c'è l'intermezzo delle cheerleader e giurerei di vedere le sue pupille ballonzolare a ritmo della divisa che stringe il petto di Momo che salta, si agita, fa quello che deve fare.
Siamo un trio di disadattati.
Però, a fronte di tutto, siamo tre disadattati felici.
– Dopodomani c'è la giornata delle attività scolastiche. Quest'anno prendo la presidenza del club LGBTQIA+, e voi dovete venire con me allo stand a dare i volantini a quelli del primo anno. Vi ho fatto delle magliette. –
Stringo Denki con la destra.
– Che magliette? –
– Magliette normali con delle scritte. Tipo slogan per la comunità. –
– Sulla mia che c'è scritto? – chiede Kyōka.
– "Donne". –
Mi giro.
Lo guardo.
– E sulla mia? –
– Beh, "uomini". –
Questa cosa non ha alcun senso.
Non è uno slogan.
È idiota.
Ma...
– Sulla mia c'è scritto "donne e uomini", su quella di Hitoshi "tutto". Kirishima viene? Perché ne faccio una "tutto" anche per lui, se viene. –
Schiocco la lingua.
– Non so se venga e se viene gliela fai con scritto "Katsuki". –
– Ma tu non sei mica il suo orientamento sessuale. –
– Certo che sono il suo orientamento sessuale. –
Gli ultimi minuti dell'ultimo quarto della partita si svolgono di fronte a noi e nonostante tutte le persone sugli spalti urlino o siano elettrizzate o in ansia per l'esito finale, io che sono qui per il mio ragazzo e non per il gioco che ripeto, non capisco, mi sento piuttosto rilassato.
– Comunque il preside ha detto che ci dà i crediti per le attività extracurricolari se riusciamo a far diventare il club un po' più di cinque persone che si fumano le canne sul tetto facendosi le unghie. –
– Non dirlo come se fosse colpa mia, l'idea della manicure per legare l'anno scorso è stata tua, Denki. –
– Sì, e le canne pure. – si accoda 'Yōka.
– Infatti non capisco cosa ci sia di male sulle persone che si fanno le unghie e le canne. Però il preside ha detto che non va bene. –
– Ma guarda un po'. –
Kirishima si asciuga il sudore, si gira verso di me, agita una mano per salutarmi. Alzo il braccio di rimando, sorrido senza farmi problemi, il mio petto si scalda.
– Forse pensavo che dovremmo fare un cineforum? Che so, ci lasciamo dare un'aula la sera e guardiamo un film tutti assieme? – propone la nostra amica.
– Sì, così possiamo guardare tutte le serie rilevanti per la comunità. Tipo RuPaul's Drag Race. –
– Quello non è rilevante. –
– Certo che è rilevante! La mia personalità deriva da lì, senza sarei un eterosessuale schifoso che dice "not all men" e ha dovuto smettere di giocare a calcio perché si è infortunato al ginocchio. –
Io e 'Yōka ci giriamo.
– Non metterci l'immagine di fronte agli occhi, fa schifo. – gli dico.
– Mi viene da vomitare. – si accoda lei.
Denki ci guarda.
– Esatto. Quindi grazie, RuPaul's Drag Race. –
Torno alla partita.
Kirishima placca uno della squadra avversaria.
Lo butta a terra, la sua schiena si strofina contro l'erba, lo intravedo sorridergli, prima di alzarsi mollandolo lì, dolorante.
Miseria, provo persino un po' d'invidia.
Non che voglia essere ferito o buttato a terra in quel modo, però... non è che essere sovrastato fisicamente poi mi dispiaccia tanto, questo credo sia univocamente chiaro, ormai.
Mi piace averlo addosso.
Stasera, se tutto va bene, l'avrò addosso per un bel po' di tempo.
Non vedo l'ora.
– Magari un club del libro? Invece del cineforum facciamo la stessa cosa ma leggendo? – riprova Kyōka.
– Denki non sa leggere. –
– Ah, è vero, me n'ero dimenticata. –
Attendo qualche istante.
Ci mette un secondo a metabolizzare.
Poi mi colpisce forte una spalla.
– Oh, cafone di merda, guarda che so leggere! Ok, leggo solo schifezze, questo te lo concedo, ma io so assolutamente leggere. Scrivo pure, alla faccia vostra. –
– E cos'è che scriveresti? Gli omegaverse coi tentacoli? –
– E se anche fosse? –
Guardo il mio migliore amico.
– Se lo fai davvero voglio leggerli. –
– No, non lo faccio davvero, e la cosa che hai appena detto la dice più lunga su di te che su di me. –
Lo mando a fare in culo, lui ridacchia, poi mi bacia una guancia, mi abbraccia le spalle, io mi rannicchio contro di lui.
Kyōka è un po' meno fisica, le fa piacere il contatto e lo esprime quando lei stessa lo sceglie, ma la casualità di stare appiccicati, non è una cosa che la mette a suo agio.
Denki è di colla, però.
E io un po' pure.
La folla attorno a noi alza la voce, urlano più forte.
A rigor di logica suppongo manchi molto poco.
Il gioco sembra confusionario.
Corrono tutti da tutte le parti.
Quando riesco a concentrarmi a sufficienza per rendermi conto di quale sia Kirishima, che fra le persone ammassate di certo non è facile leggere il numero e fisicamente da qui si somigliano tutti, gli spalti esplodono in un boato.
Hitoshi è a terra, Kirishima gli si getta addosso.
Sero, l'unico riconoscibile perché l'unico un po' più sottile, si butta steso sul prato.
L'allenatore esulta.
Suppongo abbiano vinto.
Li guardo col cuore che batte forte, contento del fatto che lo sia lui, contento che si stia divertendo, consapevole che la giornata è stata lunga e ci ha tenuti lontani, ma che ora si avvicina il momento in cui avremo tempo per noi due e basta.
Stringo Denki che cambia discorso sei volte con Kyōka che invece si lamenta del casino, tengo lo sguardo incollato di fronte a me, seguo i dettagli.
Si stringono fra loro.
Si scoprono i volti.
Sorridono, ridono, parlano di cose che non capisco.
Kirishima indica qualcosa, Hitoshi annuisce, Kirishima indica me, le labbra di Hitoshi dicono "Denki". Momo li raggiunge, Kyōka ammutolisce, Denki dice "Hitoshi", Kirishima viene verso di me.
Non aspetto.
Aspetto da ieri e ora non riesco più a farlo.
Mi sciolgo dai miei amici, mi incastro sulla transenna, le salto sopra e quando scendo, invece di atterrare a terra, atterro dov'è che vorrei essere da probabilmente tutta l'intera giornata.
Mi stringe forte.
Mi tiene su dai fianchi e mi stringe forte, ride, rido anch'io, il resto del mondo sfuma in confronto a tutto quello che accade rinchiuso fra i soli nostri corpi.
Sono tutte cose che sono già successe, quelle che stiamo condividendo oggi. Vederti che ti alleni, aiutarti a mangiare, venire ad una tua partita, farmi stringere da te nel marasma delle cose che succedono.
Però ora prendono il verso giusto.
Non sono com'erano, acerbe e timide e incerte, non sento lo stomaco che si stringe d'invidia quando Denki e Hitoshi si amano e io sostengo di non meritarmi la stessa cosa, non guardo le tue spalle allontanarsi mentre credo che alla fine non mi vorrai tanto quanto voglio te, non chiamo qualcuno a cui non importa di me, non cerco scuse.
Se avessi capito prima quanto sarebbe stato facile amarti, non avrei temuto di vacillare per te.
Ma anche se ci ho messo così tanto, anche se ti ho detto un'infinita sequela di ingiustissimi "no", anche se mi sono allontanato, tu sei rimasto qui.
Rimarrai qui.
Questa è la prima emozione che provo nella vita a non farmi sentire come se non riuscissi a capirla.
Tende il collo verso di me, come posso mi aggiusto per poter fare lo stesso, di fronte a tutti, perché è così che dev'essere, le mie labbra si aprono contro le sue.
Ho diciott'anni e mi diverto, non temo le persone che si alzano e urlano, non temo la folla, perché so che sei qui e che se correrò a cercarti, tu ci sarai.
Ho pianto la prima volta che ci siamo baciati su un campo da football.
È tutto dire, che ora mi venga da ridere così forte che sono costretto a staccarmi per farlo.
– Hai visto che abbiamo vinto? Sono o non sono il giocatore più fico di tutti? Ammettilo, ti sei accaparrato il più ambito. –
– Certo che lo ammetto, ho pure il tuo nome scritto sulla schiena, se non fossi fierissimo di questa cosa credi che avrei messo la felpa? –
– Beh, magari l'hai messa perché hai freddo. –
– No, no, l'ho messa perché è la tua. –
Indietreggia sul prato, lo stringo forte con le cosce e immergo le dita fra le ciocche scarlatte e sudate, tiro indietro la sua testa, ci baciamo ancora.
– Alla fine la tua ipotesi è diventata una legge scientifica, Eijirō. – borbotto.
– La mia ipotesi? –
– Eravamo qui, quando me l'hai detta. Non te la ricordi? –
Pare confuso, forse preso e sballottato dalla partita, ma ricordarglielo non è un peso.
– L'ipotesi è che a me, un tantino solo, Kirishima piace. –
Capisce cosa intendo.
Il suo volto cambia, il sorriso si fa più malefico, più lucido.
Sa cosa intendo.
Annuisce.
– Stai ammettendo che avevo ragione? –
– Te l'ho detto ieri sera, che avevi ragione. Ma se vuoi sentirtelo dire di nuovo te lo dico. –
– Incredibile, Katsuki che dà ragione a qualcuno. Chissà dov'è finito il biondino che diventa tutto rosso e mi chiede di rimanere amici. –
Strofino il viso contro il suo, nonostante immagino sia stanco dalla partita mi regge come se non pesassi nemmeno un grammo.
Abbasso il tono della voce.
– Tu lo sapevi già, che saremmo finiti così, Eijirō? Quella sera, tu lo sapevi già? –
– No. Non lo sapevo. Però sapevo che ero disposto a tutto perché accadesse. E che aspettarti ne sarebbe valsa la pena. –
– Ne è valsa la pena? –
– Non c'è nemmeno bisogno che tu lo chieda. –
Mi lascia scendere piano, sento le mie scarpe affondare sul terriccio, le mie caviglie tendersi per mettermi sulle punte, le mie mani aggrapparsi alle sue spalle.
– Fai la doccia in fretta, non vedo l'ora di andare a casa. –
– Sarà la doccia più veloce della mia vita, lo giuro. La più veloce. –
Mi cattura le labbra con le sue.
– Ti amo, Katsuki. –
– Ti amo anch'io. –
E mi riprende in braccio, ricominciamo a ridere, io non prendo il mio cellulare per rispondere a nessuna telefonata che userò come scusa per difendermi, il mio apparecchio acustico non si scarica, il fiato non mi manca, il petto non mi si apre.
Forse è perché mi sono trovato addosso a te prima che tutto accadesse.
Perché ti ho permesso di proteggermi dall'inizio.
Perché non sono venuto da te in lacrime, ma anzi ho lasciato che difendessi il mio volto che ride senza costringermi ad ammettere cosa provo per te spinto e trattenuto dalla paura.
È tutto molto più facile, così.
È tutto molto...
Si fa la doccia in fretta.
Mi lascia passare verso l'uscita dagli spogliatoi, mi bacia prima di sparire e si fa la doccia in una manciata di minuti. Esce coi capelli pieni di sapone, rientra per sciacquarseli nel lavandino, nemmeno li asciuga, saluta tutti e mi trascina in macchina come se non ci fosse abbastanza tempo per fare tutto.
La sua impazienza cresce, così la mia, e più ci avviciniamo a casa più in fretta tamburellano le sue dita sul volante, più intensamente mi stringe la coscia, più frequentemente mi guarda con la coda dell'occhio mentre guida.
Mancano una decina di minuti, quando lo dice ad alta voce.
– Perché cazzo Mirio non ha fatto la festa di venerdì. Perché l'ha fatta di giovedì? È un crimine che abbiamo dovuto passare un giorno intero separati prima di poterne parlare di nuovo. È tutto il giorno che lo penso. –
– Non manca tanto, Eijirō, puoi resistere. Se ce la faccio io ce la fai anche tu. –
– E invece no. Invece non posso. Tu sei forte, io sono debole. Sono a tanto così dal fermare la macchina da quando siamo partiti. –
– Dai, non fare l'impaziente. –
– Non lo faccio, Kat, lo sono. –
Arrossisco e mi beo della sensazione di sentirlo parlare così.
Sì, mi piace dalla prima volta e mi piacerà sempre, rendermi conto che non sai come gestire nemmeno tu tutto quello che vuoi dirmi e farmi.
Mi fa sentire come se non fossi io ad essere nelle tue mani ma l'inverso, mi dice quanto le cose siano equilibrate anche in questo, fra noi.
– Possiamo usare questi minuti per parlare. Non vuoi parlare? –
– Non voglio parlare. –
– E allora cosa vorresti fare? –
– Spogliarti, innanzitutto. E guardarti e sapere che non è per due giorni ma è per sempre. E fare sesso. Sapendo che lo rifaremo domani mattina. E dopodomani. E quando cazzo ci andrà di farlo. –
– Manca poco. Manca poco, davvero. – dico, più a me stesso che a lui, col sangue che inizia un po' a scaldarsi.
Rimaniamo qualche istante in silenzio, poi Eijirō sospira, mi strizza di nuovo la coscia.
– Però va bene parlare anche se non è quello che vorrei fare. Se stiamo zitti la mia immaginazione inizia a navigare ed è solo peggio. –
Ridacchio, incastro le dita fra le mie, guardo fuori dal finestrino.
Ci penso su giusto un secondo, prima che mi torni in mente qualcosa.
– Ti ricordi quando stavi male e sono venuto da te? –
– Sì, mi ricordo. Pure bene. –
– Quando mi hai detto di chiederti cosa stavi pensando quando ci saremmo messi assieme. –
Annuisce.
– È il momento in cui mi sono reso conto che non avrei mai trovato nessun altro nella vita che mi facesse sentire come mi fai sentire tu. In cui ho capito che sì, non era un'impressione, ero seriamente innamorato, e che qualsiasi cosa sarebbe successa fra noi non avrei mai, mai, mai smesso di farlo. –
Sorride fra sé e sé, come se il ricordo lo emozionasse.
– Ti amo e ti ho amato in tantissimi momenti, tutti, probabilmente, ma quello è stato il primo in cui mi sono sentito amato davvero anche io. Non protetto, o desiderato, o felice con te. Amato. –
– Prima non credevi che lo facessi? –
– Prima ero troppo preso dall'odiarmi che non mi passava nemmeno per l'anticamera del cervello che tu potessi fare il contrario. Ma là, quella sera, mi sarei potuto odiare con tutta la forza che possedevo, non avrebbe funzionato. Mi hai fatto sentire perfetto. –
– Tu sei perfetto. –
– Non lo so, se lo sono. Ma forse se me lo ripeti abbastanza lo imparerò. –
– Certo che lo imparerai, sono riuscito ad insegnarti le disequazioni fratte, questo è una bazzecola in confronto. –
Ridacchia, mi accarezza la coscia, porta verso di sé la mia mano e mi bacia il dorso senza staccare gli occhi dalla strada.
– Guarda che io sono una causa persa. –
– Col cazzo, non dire stronzate. Ripeto, sono un ottimo insegnante. –
– Anche questo è vero. –
Mi bacia di nuovo, lascia cadere la mia mano, si schiarisce la voce.
– A proposito di quella sera, cos'è che intendevi quando hai detto che Denki ha sempre ragione? È un po' che me lo chiedo. –
– Ah, sì, è vero. Denki ci ha profetizzati e là ho capito che la sua profezia era reale. Alla prima partita che sono venuto a vedere ha detto che tu eri l'amore della mia vita e là ho capito che era davvero così. –
– Denki ci ha profetizzati? –
– Denki profetizza tutto tranne le cose che davvero gli servirebbero. È tipo un superpotere inutile. –
– Oh, capisco. Più so cose di Denki più ho... paura di lui, credo. –
– Non dirlo a me. –
Intravedo il vialetto di casa, l'impazienza che Eijirō prova viene improvvisamente trasmessa a me, mi rendo conto che sto facendo tremare una gamba.
– E così sarei l'amore della tua vita? –
– Lo sei. –
– Questa mi è nuova. –
– Saresti qui, se non lo fossi? –
Prendo il cellulare dalla tasca con le dita che tremano, sblocco lo schermo, apro i messaggi.
Cerco la chat con mia madre.
Mi ha chiesto di scriverle quando sarei arrivato a casa.
Noi stiamo...
– Te lo chiedo prima di fermarci perché quando ci fermeremo io non riuscirò più ad aspettare nemmeno una frazione di secondo. Tu sei sicuro di voler far sesso con me? Sicuro al cento per cento? –
– Se non mi scopi il secondo che entriamo in quella cazzo di casa io mi ammazzo, Eijirō. –
[You] >> mamma sono a casa <<
[Mamma] >> Sei tornato da solo alla fine? <<
Quanto cazzo ci mette questa vecchia a scrivere i messaggi, io non riesco a capirlo.
Ma che ha, l'artrite?
[You] >> no te l'ho detto c'è il mio ragazzo <<
[You] >> e non chiedermi dell'aids che se no ti blocco <<
[Mamma] >> Kirishima? <<
Ferma la macchina.
Sgancia la cintura in un secondo.
Apre la portiera, la sbatte, so che fra qualche momento mi starà trascinando dentro casa.
Il sorriso che faccio è il più contento, il più felice che io possa pensare di fare.
[You] >> sì <<
Spengo lo schermo.
Rimetto il telefono in tasca.
L'attimo dopo, ridendo tanto da sentirmi col mal di pancia, sono a mezz'aria che vengo trascinato sul vialetto, in spalla, verso la porta.
Sì, mamma.
Kirishima.
Il mio ragazzo.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
sto andando al concerto di madame quindi scappo correndo che OVVIAMENTE sono in ritardo
lo so che mi odiate perché vi lascio il cliffhanger sulla smut ma niente non odiatemi che poi piango
se tutto va bene dovrei riuscire a prendere un ritmo regolare
(SE TUTTO VA BENE)
niente cosa dire boh spero che vi sia piaciuto ?? ditemi se vi è piaciuto ??
mancano quattro capitoli
un bacio
mel :D
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