𝚎𝚖𝚙𝚒𝚛𝚎

⟿ ✿ TW :: menzioncina di abilismo, niente di troppo esplicito però ecco io ve lo dico sisi

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Sbatte la porta alle nostre spalle.

Giusto il tempo di mettere piede dentro il bagno al piano di sopra e qualsiasi cosa mi stesse passando per la mente, dalla sensazione del tessuto che mi si appiccica alla pelle al fiato che mi manca per la ressa in cui mi sono dovuto di nuovo infilare, viene completamente erosa dal rumore della porta che sbatte.

Mi ritrovo spiaccicato fra il suo corpo e il legno dietro la mia schiena.

Nemmeno mi guarda, prima di baciarmi.

Non dice niente, non commenta.

Solo...

Lascio che il mio corpo si sciolga contro il suo.

Sento le sue mani sulla mia vita, sui miei fianchi, su verso la schiena e ai lati della mia cassa toracica, mi accarezza le spalle, il collo, approda coi palmi aperti sul mio viso.

Mi piace così tanto che paia perdere il controllo quando si tratta di me.

Mi piace il modo in cui mi bacia come se ne avesse non voglia, ma disperato bisogno.

Mi piace il suo sapore, anche se è mescolato con quello dell'alcol, e il rumore delle nostre labbra che s'impastano assieme.

È come se si perdesse su di me, qualche volta.

Un attimo fa stava ridendo mentre mi trascinava su per le scale e quello ancora prima pareva completamente rilassato nell'interagire con tutti gli altri, ma il secondo che siamo rimasti da soli...

Si stacca col fiatone.

Gli brillano gli occhi.

Mi bacia di nuovo e più piano su un angolo della bocca, sull'arco di cupido, a lato del naso, sulla guancia, verso lo zigomo e più in alto accanto ad un occhio, sale sulle tempie e...

– Smettila, mi fai il solletico! –

Ridacchia ma non si ferma, continua a riempirmi la faccia d'affetto, mi tiene fermo anche se cerco di divincolarmi, rido anch'io.

Cerco di spingerlo via ma è del tutto inutile, sento le sue labbra premersi sulla mia fronte e sullo spazio fra le sopracciglia, mi regge dritta la testa e mi sposta per poterne fare quel che vuole, io rido più forte, più forte ancora.

– Dai, Eijirō, giuro che mi fai davvero il solle... –

Cattura di nuovo la mia bocca con la sua, le parole che stavo tentando di dire evaporano e di nuovo non riesco a far altro che accondiscendere alla sua volontà.

Dio, se non mi sarei mai detto una persona accondiscendente.

Però che cazzo, mica è colpa mia, è colpa tua che fai tutte le cose giuste, e se sono giuste perché mai dovrei rifiutarle?

Sono indisponente, non scemo.

Respingerti sarebbe...

La sua fronte atterra sulla mia spalla, gli occhi rivolti all'interno del mio collo, il respiro che mi batte su una delle clavicole scoperte.

– Non dirlo ai miei amici, soprattutto non dirlo a Mina, ma è tutta la sera che aspettavo che rimanessimo un po' da soli. –

Istintivamente tiro su una mano contro i suoi capelli, muovo le dita piano fra le ciocche scarlatte che mi scivolano fra i polpastrelli.

– Sei un tale animale sociale che stento a crederci, Eijirō. –

Scuote la testa addosso alla mia pelle.

– No, no, credici. Piccolo Katsuki batte amici mille a zero. –

– Come se mi potessi mai permettere di chiederti di scegliere. –

– Duemila a zero. –

Lascia un altro bacio contro la mia spalla, sorrido mentre continuo ad accarezzarlo, rimaniamo un secondo solo in silenzio.

Apro la bocca per dire qualcosa, poi, per prendere fiato, ma prima che le parole possano anche solo formarmisi sulla lingua una folata d'aria fredda entra dalla finestra semi-aperta e la mia pelle ancora fradicia d'alcol rabbrividisce di riflesso.

Kirishima alza la testa.

Mi guarda.

– Oh, merda, mi sono dimenticato del bicchiere. Aspetta, chiudo la finestra, ora ti presto qualcosa da metterti prima che ti congeli. –

Si allontana da me che quasi quasi mi vien voglia di protestare.

Ma ha ragione, so che ha ragione, e freddoloso come sono non posso proprio ignorare questo fatto.

Mi dà le spalle e raggiunge la parete al fondo del bagno, gira la maniglia chiusa e l'aria smette di soffiarmi addosso, poi mi spinge piano verso il lavandino.

Quando mette le mani sull'orlo del top che porto istintivamente alzo le braccia, lascio che me lo sfili di dosso.

A vedermi apparirgli di fronte mezzo nudo, con le guance arrossate dall'imbarazzo che non riesco a non provare anche se è lui e le labbra appena più gonfie del normale, lo vedo passarmi gli occhi addosso in un modo tutto tranne che timido.

– Katsuki, secondo te non è che potremmo... –

Lo fermo prima che me lo chieda.

So che se lo dicesse per intero mi ritroverei a dire di sì.

– No, non qui. Non faremo sesso nel bagno di casa di Mirio. –

Non c'è traccia di disappunto, nel suo sguardo. Anzi, annuisce, sembra d'accordo con me.

– Sì, hai ragione. In effetti sarebbe un casino. E questo bagno è così piccolo che a malapena riesco a muovermi. –

Sposta di nuovo lo sguardo verso il mio top, in un gesto che sono sicuro sia abitudine lo piega ordinatamente fra le mani, lo appoggia a lato del lavabo.

Sbatto le palpebre.

– Però nel caso t'interessasse i miei sono fuori per il weekend, questa settimana. Vanno via per lavoro e tornano lunedì pomeriggio. –

Il suo volto dimostra subito attenzione.

– Ah sì? Casa libera, Katsuki? –

– Già. –

Tiro in avanti una mano e stringo le dita nel tessuto della sua maglietta. Lo trascino verso di me e lui si lascia trascinare.

Sorrido appena.

– Io sono stato a casa tua, mi sembra più che corretto invitarti da me, no? Sempre se vuoi venire. Possiamo passare il weekend a fare i compiti di matematica arretrati. –

– Con tutto il rispetto del mondo, Kat, che si fotta la matematica. –

– Ma come? E cos'altro vorresti fare a casa mia da soli, scusami? –

– Ho qualche proposta. –

Ho il collo stirato indietro perché i miei occhi e i suoi rimangano a contatto, lui si china e sorride, mi sposta via una ciocca di capelli dal viso.

– Però se te le dicessi finiremmo a fare sesso nel bagno di Mirio, Kat. E abbiamo concordato che non sia una buona idea. –

No, non lo è.

Non saremmo completamente da soli e so che non riuscirei a lasciarmi andare se non lo fossimo. È Denki, l'esperto delle cose dove e quando capita senza pensieri, io faccio più fatica, ho bisogno di più sicurezza.

Certo però, dire che non mi tenti sarebbe un'orribile menzogna.

Forse un po' più avanti in questa cosa potresti anche convincermi ad essere meno paranoico, lo sai?

Lo bacio e basta, poi sospiro e lascio andare la sua maglietta.

Lui torna a squadrarmi per controllare che sia intero.

Grazie al cielo i pantaloni sono usciti praticamente indenni dal drink che mi sono versato addosso, a parte qualche piccola goccia che sta sparendo non c'è praticamente nulla di visibile, e la mia pelle, ora, libera dal tessuto, sta iniziando ad asciugarsi anche lei.

Mi tasto il petto, la pancia, la pelle inizia a seccarsi.

– Menomale che l'alcol evapora in fretta. – dico ad alta voce, gli occhi fissi a guardare le chiazze umide che si diradano.

– Dalla pelle sì, ma la maglia non dà cenno di volerlo fare. –

– Non avevi detto che mi avresti prestato qualcosa tu? –

– Sì, giusto, arrivo. –

Si guarda dall'alto e poi mi rivolge un'espressione interrogativa.

– Vuoi la felpa o la maglietta? –

– La felpa. –

– Perfetto. –

Facendo attenzione a non sbattere da tutte le parti la lascia scivolare via dalle braccia che compaiono nude sotto al tessuto, le fisso solo per un attimo prima che mi senta chiedere di allungare una mano.

Lo faccio, lascio che mi aiuti a mettermela.

Mi fisso le mani quando sento il calore ricominciare ad espandermisi addosso.

Questa è più grande dell'altra, se possibile. Non mi escono le mani dalle maniche nemmeno di un millimetro, e sono sicuro che l'orlo inferiore batta contro le ginocchia.

Mi concedo di guardare il mio riflesso nello specchio e quando mi vedo, mi giro di spalle per poter rimirare la scritta.

– Non la riavrai mai più. Mettiti l'anima in pace, non la riavrai mai, mai, mai più. – borbotto, mentre i miei occhi scorrono sulle lettere che compongono il suo nome.

– Non avevo nessun dubbio, a riguardo. In effetti stavo iniziando a chiedermi quando me l'avresti chiesta, è un po' che mi aspettavo che me la rubassi. –

– Sapevi che la volevo? –

– Mi guardi in modo diverso quando ce l'ho addosso, sai che mi accorgo di queste cose quando si tratta di te. –

Me la sistemo sulle spalle, i bottoni sono aperti ma è talmente larga che la striscia di pelle che mi s'intravede occupa giusto qualche centimetro, mi giro tutto fiero con le mie mani infagottate nei polsini e l'espressione da cretino innamorato.

– Allora, come mi sta? –

– Come ti sta? Oh, Katsuki. –

Si avvicina di nuovo per stirare qualche piega con le dita.

– Sei adorabile. Sembri minuscolo e sembri carino e una parte di me si dice molto soddisfatta di vederti col mio nome scritto addosso. Non so se ti preferissi prima con quel triangolo di tessuto che osi chiamare top o adesso a navigare dentro i miei vestiti. –

– Beh, dai, prima ero più sexy. Ora sembro un po' un cretino. –

– Ma che dici, non sono per niente d'accordo. Tu sei sexy anche quando arrivi la mattina mezzo addormentato con la sciarpa tirata su fino agli occhi e i guanti coi fiocchi di neve. –

Lo spingo indietro, mi viene da ridere.

– 'Fanculo, ti ho detto che non erano i miei guanti, i miei erano a lavare, e non è colpa mia se ho freddo al naso, ok? –

– Tu hai freddo ovunque, Kat, secondo me è un problema serio. –

– Sei tu che sei un termosifone coi piedi, che cazzo vuoi da me? –

Un sorriso divertito gli spunta sul viso, piega il capo.

– E pensare che è solo novembre, poi a gennaio come fai? Ti porti dietro la stufetta? –

Lo indico.

– Tu sarai la stufetta, stronzo. –

– Io? –

– E se no a che cazzo ti serve tutto quel calore corporeo? –

Stringe l'interno di una guancia fra i denti, annuisce.

– Sì, in effetti hai ragione. Mi sembra logico. Sì, sono d'accordo, io sarò la stufetta. –

– Ecco, bravo. –

Incrocio le braccia al petto e per quanto l'effetto che vorrei dare è quello di qualcuno che ha appena vinto una battaglia, il fatto che le maniche della felpa di Kirishima penzolino oltre le mie mani probabilmente mi rovina ogni mio sforzo.

Eijirō si piega, mi bacia la fronte, poi mi accarezza i capelli.

Mi sono reso conto che negli ultimi giorni non ha più paura di toccarmi vicino all'orecchio su cui porto l'apparecchio acustico. Ricordo che i primi tempi lo evitava come la peste, era sempre estremamente cauto, ora si fa molti meno problemi e anzi se sente di averlo spostato lo rimette a posto come se neanche ci stesse pensando.

Mi fa venire le ginocchia molli, questa cosa.

Il fatto che ci abbia preso confidenza, che io glielo abbia permesso e che lui ne abbia avuto coraggio. È comunque un altro tipo d'intimità, condividere la routine che riguarda qualcosa di così privato e personale come una disabilità o una malattia.

Spiaccico la faccia contro il suo petto e lo circondo con le braccia, mi appoggia le labbra sulla testa mentre lo strizzo nel tentativo, probabilmente, di imprimergli il calco della mia testa addosso.

Ah, miseria, mi divertivo di là, ma non me ne voglio andare più adesso.

Voglio rimanere qui in un posto dove non c'è casino, dove devo seguire il filo del discorso di una sola persona, dove mi sento al calduccio e al sicuro invece che costantemente pungolato dal ricordo che ci sono tantissime persone in questa casa.

Se quantomeno fossimo all'aperto gli chiederei di tirarmi su come ha fatto al Festival.

Là sì che mi ero sentito a mio agio.

E poi credo che in fondo mi si confaccia proprio una statura così esagerata.

– Che c'è, Kat, tutto bene? –

Mugugno contro la sua maglietta.

– Sì, sì, sto bene. Non ho voglia di scendere. –

– Non ti diverti là? Non ti senti a tuo agio? –

– No, è che sto meglio qui. –

Il suo petto si muove mentre una risata sottile gli scivola via dalle labbra, reciproca l'abbraccio, affonda la faccia fra i miei capelli.

– Anche io sto meglio qui. Però mica scompariamo, alla fine possiamo sempre rifarlo quando la festa sarà finita. –

– Lo so, ma io voglio stare così ora. –

– Mmh, allora immagino che potremmo restarci ancora un pochino. –

Lo stringo più forte, lui stringe più forte me. Lo sento inspirare, mugugnare di soddisfazione, strofinare il naso fra le mie ciocche chiare.

– Comunque ora che lo so per certo devo dire che la tua reputazione a scuola è una gran stronzata. –

– La mia reputazione a scuola? Ho una reputazione a scuola? –

– Già, così pare. –

– E perché mai tu la dovresti conoscere? Sarai mica andato in giro a chiedere di me alle persone? –

– L'ho fatto, ovviamente l'ho fatto, tutta la prima settimana di scuola. Alla descrizione "bassino, biondo cenere, bello, con gli occhiali" sbiancavano tutti. Fai davvero paura alle persone, quelli che non mi urlavano "scappa" mi dicevano "buona fortuna". –

Eh, vorrei biasimarli, ma in effetti...

Non è che sia proprio una persona piacevole, con le persone che non conosco.

– Però erano tutte stronzate. È vero che sei intelligente ed è vero che sei pericoloso, questo è innegabile, però il resto proprio non c'azzecca niente. –

– Sono pericoloso? –

– Sì, Kat, sveglio come sei probabilmente potresti far sparire una persona e nessuno si renderebbe nemmeno conto di nulla. –

– Mmh, sì, potrebbe darsi. Certo mi servirebbe una mano, ma ci sono sempre Denki e Kyōka per quello. –

– Chiameresti loro e non me? –

Pigio la faccia ancora più a fondo contro di lui.

– Per occultare un cadavere? Tutta la vita, Eijirō. Io sarò anche pericoloso perché sono sveglio, ma quei due sono pericolosi perché sono pazzi. Sarebbero una garanzia. –

– Me lo ricorderò dovessi mai farti un torto. –

– Se mi dovessi fare un torto preparati al peggio. Ti va bene che sei la persona più gentile del mondo, perché altrimenti a quest'ora staresti sette metri sotto terra a parlare con le radici degli alberi. –

Sento le sue labbra fra i miei capelli, una delle mani che mi accarezza pacificamente la schiena.

– Sono così contento che tu abbia degli amici che ti vogliono bene, lo sai? Anche quella è un'altra cosa falsa che dicono di te in giro, che sembra che tu non abbia idea di cosa significhi averne. Non è affatto vero, magari non saranno tanti ma si vede lontano un chilometro che il rapporto che hai con loro è strettissimo. –

– Lo è. Denki e 'Yōka sono l'unica cosa della mia vita che non mi ha mai messo ansia. Anche quando eravamo piccoli. –

– È tanto che vi conoscete? –

– Da quando facevamo l'asilo. Abbiamo fondato il nostro trio di disadattati dentro il castello di plastica che c'era in cortile. –

– Perché di "disadattati"? –

Sospiro piano, parlarne non mi disturba e so che non disturba i miei amici, quindi non mi faccio troppi problemi.

– Eravamo tutti e tre nella categoria "bambini con bisogni educativi speciali", io sono mezzo sordo, Denki è ADHD e Kyōka è autistica. Gli altri non ci volevano e allora ci siamo trovati fra noi. All'inizio mi faceva incazzare questa cosa, ma poi mi sono accorto che alla fine dei conti mi è andata meglio di quanto avrei potuto sperare. –

Annuisce appena.

– Io e Mina ci siamo conosciuti in ricovero, è una merda, però alla fine ne vale la pena. Capisco cosa intendi. –

Mi sciolgo piano per poterlo guardare in faccia, quando china il capo sorrido prima di baciarlo, mi godo a pieno la sensazione.

Mi bacia come se mi stesse abbracciando.

Non riesco a descriverlo a me stesso, quanto il modo in cui le sue labbra e le mie si muovano mi ricordi l'atto di essere stretto al suo corpo più che quello di essere effettivamente baciato.

Quando ci stacchiamo la serenità nel mio petto è tale che non riesco ad ostinarmi a rimanere qui.

Sto così bene che smette d'importarmi il resto.

Sto così bene che possiamo anche uscire, mi sentirò comunque come se ti stessi prendendo cura di me anche se darai una parte della tua attenzione ad altre persone.

– Scendiamo? – chiedo.

– Ok. – risponde.

Mi bacia di nuovo, mi prende la mano e apre la porta.

Noto con piacere che un po' di calca si è dissipata, le persone rimangono tante ma meno di quante non fossero prima, mi viene da ridere quando Kirishima cerca di tenermi per il braccio e fallisce ingannato dalla sua stessa felpa. Ci riprova, con le sopracciglia aggrottate per l'impegno, e quando becca il mio polso mi trascina piano verso le scale.

Sento dal piano di sopra la voce di Denki, a guardarli però oltre ai capelli viola di Hitoshi non noto molto, mi reggo con la mano libera sul corrimano mentre imbocchiamo gli scalini, procediamo velocemente ma senza troppa fretta.

Eijirō si gira a guardarmi, gli sorrido, mi sembra di avere bolle di sapone nella trachea che esplodono una ad una lasciandomi la sensazione di scoppiettare, gli avvolgo un fianco, mette la mano sopra la mia, la discesa è un po' come viene.

Ci arrestiamo giusto un attimo quando le scale girano, evitiamo le persone, quando ricominciamo a scendere inizio a vedere più gente, di riflesso mi spiaccico contro la schiena di Kirishima.

Manca uno scalino, ne manca solo uno, quando una persona che sale mi costringe a farmi di lato di colpo, io mi aggrappo forte contro la maglietta bianca di Eijirō di fronte a me e anche lui perde per un secondo l'equilibrio finendo contro due ragazzi che si stavano baciando proprio all'ingresso delle scale.

Reagisce prima di me.

Si rimette dritto in piedi, controlla che io sia intero e poi china la testa piano.

– Scusate, non mi ero reso conto che stavo cadendo, non volevo interrompervi. –

Faccio capolino con la testa oltre il suo corpo.

Lei è di spalle, ha i capelli chiari, biondi, simili ai miei, legati in una coda alta. Sorride e basta, lascia perdere.

Lui...

Lui è...

– Katsuki? –

Oh, Cristo.

Mi si sgancia la mascella.

– Shindō? –

Rimango là per un attimo imbambolato a fissarlo.

È lui.

Chiaramente lui.

Capelli neri, solita giacca di pelle, soliti anelli fra le dita. Ha le mani incastrate contro la cintura della gonna di lei, il viso arrossato, è palese che si stessero baciando fino ad un secondo fa, l'espressione sul suo viso è speculare alla mia, incredula, stupita, confusa.

Se devo essere sincero, senza farmene volere troppo, io mi ero dimenticato che lui esistesse. Fino a questo esatto istante, io avevo completamente rimosso la sua esistenza dalla mia vita.

Dopo la festa, quella in cui mi sono appartato con Kirishima, non ci siamo più sentiti di striscio. Gli ho scritto che dovevamo parlare, qualche giorno dopo, ma il messaggio è ancora là, visualizzato senza risposta.

Ho supposto dopo essermi reso conto che aveva tutta l'intenzione di ghostarmi che quella fosse una chiusura pulita ad una relazione che di relazione non aveva nulla.

Poche ore dopo, mi ero scordato anche di esserci stato assieme.

Sento Kirishima irrigidirsi, però non dice nulla, sta fermo.

Lui lo sa com'è finita fra noi, gliel'ho detto ieri mentre mi riportava a casa.

Sa che non c'è più nulla e che anche quel che c'era stato era comunque praticamente niente.

Però...

A vedere il mio... ex, suppongo, avvinghiato ad una ragazza, la sensazione che m'invade per prima è puro sollievo.

Sento il mio corpo rilassarsi, la mia mente farsi più chiara, quel poco ch'era rimasto di non detto fra noi smette di infastidirmi, mi viene naturale sorridere.

Allora avevo ragione.

Nonostante non ne avessimo mai discusso avevamo chiuso.

Io ho tutto il diritto di amare un'altra persona, non ti sto facendo un torto, eravamo di comune accordo non più quello che credevamo di essere.

Parla prima che io possa anche solo pensare di farlo.

– Katsuki, non è come pensi, giuro che non è come pensi, io stavo soltanto... –

Scuoto la testa.

Supero Kirishima e mi metto di fronte a lui, continuo a sorridergli e scuoto la testa.

– No, non c'è bisogno, davvero. Non ti preoccupare. – dico, nella più completa tranquillità.

Lui aggrotta le sopracciglia.

– Non è che ti stessi tradendo, è che... insomma... non so come dire, io... –

– Davvero, Shindō, non c'è nessun problema. Puoi stare con chi ti pare. Non m'interessa cosa fai, non sono affari miei. Divertiti, scusa se ti siamo venuti addosso, anzi. –

La ragazza guarda me e lui, poi indietreggia, non so se confusa o cos'altro.

– È solo che non abbiamo avuto modo di parlarne e stasera ho bevuto un po' e... –

Dato che non dà cenno di voler smettere, convinto probabilmente di dovermi ancora qualcosa, faccio il primo passo. Alzo un braccio e gli stringo la mano sulla spalla, sorrido in un modo che probabilmente lui non ha mai avuto occasione di vedere.

– Shindō, va tutto bene. Non c'è nessun problema. Non ti sentire in colpa. Anche a me interessa un'altra persona, ora. Sapevamo che la nostra relazione non era fatta per durare, non c'è nulla di male se ognuno fa quello che meglio crede, adesso. –

Per un secondo pare rilassarsi.

Mi guarda negli occhi e si rilassa.

Quando ritraggo la mano, però, e si accorge che sto indietreggiando per andarmene, quella che compare nel suo volto è rabbia.

– In che senso a te interessa un'altra persona? Ti fai qualcun altro, Katsuki? Così, senza dire niente? –

Istintivamente, perdo il sorriso.

Sento la mia testa arretrare sulla difensiva.

– In che senso "senza dire niente"? Sei tu che sei scomparso, sono passate quasi tre settimane, cosa dovevo fare? Aspettare che mi mandassi un segno dal cielo? Sono andato avanti, come hai fatto tu. –

– Bel modo di andare avanti, tuffarti nel letto di qualcun altro. –

Stringo lo sguardo.

– Guarda che sei tu che sei stato appena beccato con un'altra persona, non fare l'ipocrita. Palesemente nessuno dei due era soddisfatto, non vedo perché farla tanto lunga. –

Sbatte le palpebre, stringe la mascella.

Non riesco a capire perché sia tanto incazzato.

Lo capirei se sapesse cos'è successo mentre stavamo insieme, ma tutto quel che sa è quello che è successo dopo che lui ha deciso di volatilizzarsi, quindi la sua logica proprio non riesco ad afferrarla.

Dal suo punto di vista è lui che ha lasciato me.

È lui che non mi vuole.

Quindi perché ora comportarsi come se...

– Chi è che ti scopi ora, eh? Chi è che non vedevi tanto l'ora di farti che il secondo che ho smesso di starti dietro ci sei dovuto correre addosso? Il tuo amico biondo? Oppure... –

Sembra rendersi conto solo ora di chi mi stia davvero alle spalle.

Lo vede e lo riconosce, quando mi rivolge di nuovo lo sguardo pare ancora più incazzato.

– Sul serio? Il cretino del football? Quello che non sa fare matematica? Dio, pensavo che ti piacessero intelligenti, non buoni solo a lanciare una palla, Katsuki. –

Il secondo che insulta Kirishima, è il secondo che decido di andarmene.

L'esatto istante.

Ok, stai facendo una scenata del cazzo, Shindō, e in nome del rispetto che ammetto di non averti portato avevo tutta l'intenzione di tentare un approccio civile, ma se devi fare l'amante tradito dopo esserti fatto beccare a baciare un'altra persona e dopo avermi mollato col visualizzato per un mese, se ti permetti di insultare Eijirō quando lui fra tutti non aveva alcun dovere nei tuoi confronti, allora per me puoi fotterti.

'Fanculo, stai dove stai.

Non dovevo perderci manco un minuto con uno come te.

Cretino io che ho pensato per un attimo che mi piacessi.

Prendo la mano di Kirishima, ancora zitto e in silenzio ma con lo sguardo assassino puntato verso il mio ex, e lo strattono verso il salotto.

– Andiamo, non ho niente da dirgli. –

– Kat, sei sicuro di... –

– Andiamo. – ripeto.

Muovo un passo e Eijirō lo fa con me.

Shindō probabilmente non approva.

– Ho perso solo tempo con te, cazzo, troppo lavoro per niente. –

Le dita strette alle mie stringono più forte.

Continuo a camminare.

– Giusto perché sei carino, guarda, ma non so come io abbia potuto pensare che ci fosse più di quello. –

Mi sento tirare indietro ma non demordo, ho già detto quello che dovevo dire, non ho davvero nient'altro da rispondere.

– Sei molto più stupido di quanto tu non dia a vedere. Fai tutta questa scena per cui ti senti il più intelligente del mondo ma alla fine sei solo quello, un ragazzino stupido. –

Kirishima si ferma.

Non si muove.

Io lo tiro in avanti con tutta la forza che possiedo.

– Perché non ti giri? Che c'è, non mi senti? –

Mi sembra che qualsiasi cosa ci circondi diventi improvvisamente silenzio.

– Ah, è vero, errore mio, c'è anche quello che tutto il resto non bastava. Non sei solo stupido, sei pure sordo. –

Mi congelo.

I muscoli delle gambe si fermano, le dita si aprono, un brivido mi sale su dalla schiena.

La sensazione è la stessa di sempre, la stessa che provo ogni volta che qualcuno fa la cosa che ha fatto lui.

Per un attimo mi sento debole.

Mi sento vulnerabile.

Mi sento ferito.

Però mentre il ghiaccio mi si spande dentro, mentre attendo quel momento in cui sentirmelo dire farà così male che non riuscirò a trattenere le lacrime, mi rendo conto che quella ferita che conosco così bene, ora, non riesce più a sanguinare come ha sempre fatto.

Non è bello, è comunque uno schifo, ma è...

C'è chi mi ama anche se sono sordo, Shindō, c'è chi mi ama e lo fa fregandosene che io lo sia perché probabilmente lo farebbe anche se fossi un extraterrestre, c'è chi mi fa sentire al sicuro in un mondo di stronzi come te che non vedono l'ora di farmi sentire una merda per qualcosa che non posso controllare.

Io di te non me ne faccio niente.

Non credo nemmeno che tu riesca poi tanto a farmi arrabbia...

Quando sento il tonfo, il torpore del mio corpo si dirada e torno sul pianeta Terra.

Mi giro di scatto e quel che vedo è qualcosa che ancora non avevo preso in considerazione.

Shindō è al muro, testa contro l'intonaco, che cerca di non tremare, trattenuto per il colletto della maglietta da un Kirishima molto, molto incazzato. Ogni singolo muscolo del suo corpo è teso, l'espressione è simile a quella che ha fatto quando il poverino delle gare sportive mi ha tirato una gomitata in fronte, solo molto più seria, lo guarda dall'alto come se lo vedesse già cadavere.

Quando parla mi rendo conto che anche la sua voce è diversa.

Non è come quella che ha usato con me quando era arrabbiato, perché anche in quell'occasione io sentivo e vedevo l'affetto sotto qualsiasi cosa provasse.

Ora di affetto non ce n'è un grammo.

C'è solo...

Furia.

– Cosa cazzo hai appena detto? –

Mi sento incastrato a metà e non riesco a reagire.

Vorrei intromettermi, perché Shindō non merita l'attenzione di Kirishima e non merita di vederlo arrabbiato, ma mi sento paralizzato e non faccio nulla.

Guardo con gli occhi sbarrati.

– Ho detto che è sordo. Perché, non è sordo? –

Le dita di Eijirō si stringono sulla sua maglietta, lo spinge più forte contro il muro, le sopracciglia del mio ex si piegano in una smorfia di dolore.

– Che cazzo di bisogno c'è di essere così aggressivi, poi? Dio, dovresti ringraziarmi. Tienitelo, te lo lascio, facci quello che ti pare, se a te piace così buon per te, io non so che cazzo farmene di... –

– Di cosa, eh? Di qualcuno che non è un insicuro invidioso pezzo di merda come te? –

Il suo tono di voce mi fa persino un po'... paura.

– Lo sappiamo tutti che questa scenata senza senso la stai facendo solo perché hai sempre saputo che non sei abbastanza per lui. Perché sai di essere inferiore e sei troppo stupido e arrogante per ammetterlo a te stesso. –

Temo lo stia spingendo così forte contro il muro che da un momento all'altro si ritroverà a staccarlo da terra.

– Quindi chiudi quella fogna e smetti di frignare perché ha trovato qualcosa di meglio. –

– Qualcosa di meglio? Tu saresti meglio di me? –

– Lo sono e lo sai anche tu. Sotto ogni punto di vista. –

Gli si avvicina, giusto un po' al viso.

– Tu non sei all'altezza di Katsuki e non lo sei mai stato. Usare il fatto che sia sordo per cercare di ferirlo ne è la prova. Pensi che lo nasconda, ma in realtà dimostra a tutti quanto cazzo sei patetico. –

Si sposta appena appena di lato, Eijirō, e i miei occhi si legano per un secondo a quelli di Shindō.

– Guardalo. Guarda Katsuki, guardalo bene. –

Mi sento sotto un riflettore che punta dall'alto solo me.

Sono così frastornato che mi dimentico persino di essere timido.

– Tu non ti meriterai mai niente del genere. Io sì, tu no. Perché io so come prendermi cura di lui e tu non sei mai nemmeno riuscito a capire cosa gli passasse per la testa. –

– E chi cazzo lo vuole, eh? Chi cazzo... –

– Tu lo vuoi. Ma tu sai di non poterlo avere e allora cerchi di farlo sentire una merda come ti ci senti tu. Ma non è colpa sua se sei un disperato, Shindō, non è colpa sua se sei mediocre e non ti avvicini neanche al suo livello. –

Passa la mano dalla maglietta alla sua faccia, gli stringe forte la mandibola, forte che credo gli faccia seriamente male.

– Ora non sono io che devo ringraziare te. Sei tu che devi ringraziare me. Ringraziami perché ancora respiri. La prossima volta non sarò così paziente. –

Lascia andare la mano, Shindō non cade ma si accascia contro il muro, Eijirō si gira verso di me. Lo guardo e lo vedo che mi fissa con qualcosa negli occhi che non comprendo, non dice nulla, non lo faccio io.

Fa per tornare dalla mia parte.

Probabilmente il mio ex fidanzato ha un desiderio di morte, però.

– Tu parli davvero un sacco per difendere uno che alla fine della fiera è buono solo per fare la troia. –

L'ultima lettera rotola nell'aria.

So nell'istante in cui la sento che questa cosa finirà male.

Finirà malissimo.

Finirà che...

Kirishima si gira, i muscoli del suo braccio sono tesi e so che le sue nocche atterreranno in un attimo sul naso di Shindō, socchiudo gli occhi per non guardare e provo a fare qualcosa per fermarlo ma...

Pelle scura, la prima cosa che vedo è pelle scura.

Poi la voce.

Poi un metro e ottanta di gambe che spingono indietro Eijirō dalle spalle con un'energia che io me la sogno la notte.

– Ei, ma che cazzo fai? Sei diventato coglione? Eijirō, cazzo, sta' fermo! –

– Mina, se non ti togli ti tolgo io. Levati di mezzo, levati di... –

– Non puoi, cretino, non puoi, ho sentito che ti ha fatto incazzare ma non puoi picchiare una persona a caso, non puoi! –

– A caso? Quel figlio di troia ha detto che... –

Si sente chiaro il rumore del ceffone che Mina gli molla addosso. È secco, di quelli che tiri a qualcuno per farlo rinsavire, lo prende in piena faccia.

– Non ti sei fatto il culo tutta la vita per farti denunciare da una testa di cazzo e farti rovinare il futuro così. Se ti accusano di aggressione puoi dire addio all'Università, al football e a tutto quello che speri di fare. Datti una cazzo di svegliata e vatti a fare un giro. –

Eijirō rimane fermo un istante.

La guarda.

Guarda Shindō dietro la sua spalla.

Poi guarda me.

L'istante dopo mi sta superando, diretto oltre la calca di persone che si è radunata senza che me ne accorgessi, verso la porta.

Io come lo sono da ormai quelli che credo siano minuti, rimango immobile, congelato, paralizzato dalle circostanze.

Mi sembra di non essere qui.

Di osservare la scena da fuori.

Mi sembra di...

Faccio in tempo a vedere Denki.

Faccio in tempo a vedere capelli biondi e vestiti appariscenti che la figura minuta del mio migliore amico supera quella di Mina, tira su un piede calzato in un paio di stivali che da soli pesano più di lui e lo pianta senza pietà proprio sotto la cintura di Shindō.

Gli versa il drink addosso, quando quello si piega in due.

Inizia ad urlare.

Credo che l'ammasso di muscoli che cerca di intervenire sia Hitoshi.

Io...

Io non so...

Non sono arrabbiato. Non sono arrabbiato e non sono offeso, sono deluso, certo, perché nonostante non fossimo innamorati comunque un po' di fiducia a Shindō io gliela avevo pur data, però...

Non è di lui che m'interessa.

Davvero.

Ho smesso di calcolare la sua esistenza settimane fa, non ricomincerò ora.

È Kirishima.

Lui era così arrabbiato.

Così...

Costringo le mie gambe a muoversi. Non rientro dentro me stesso ma guido per come posso il mio corpo e lo obbligo a fare la stessa strada che Eijirō ha percorso per uscire. Lo forzo dentro la calca, verso l'uscita, gli impongo di non fermarsi.

Inizio a sentire freddo, quando l'aria di fuori mi arriva addosso, e inizio a sentire le ginocchia che tremano e il cuore che batte forte e poi lo vedo di spalle e non so cosa dire e non so cosa fare e...

Quando sente i passi sul selciato lo sa che sono io.

Lui mi riconosce anche se non mi vede, lo so benissimo.

Lui...

– Katsuki, non è un buon momento. Ti prego, dammi un attimo, devo solo prendere un po' d'aria e... –

– Sei ancora arrabbiato? –

Gira la testa verso di me.

– Molto, molto arrabbiato. Troppo. Faccio due passi e... –

– Prima di uscire mi hai guardato in un modo strano... tu non sei arrabbiato con me, vero? –

– Con te? –

Non so perché io glielo stia chiedendo.

Non ha il minimo senso.

Ma c'era qualcosa di così... profondo, nei suoi occhi, qualcosa di così viscerale che non riesco a spiegarmelo e non so dove cercarlo.

Sono ancora col cervello per aria.

Sono ancora confuso.

La mia mente fa fatica a metabolizzare e forse fatica persino a capire.

Per questo sono qui con le mie domande di merda.

Perché ho bisogno di... sapere.

– No, Katsuki, io non sono arrabbiato con te. Io sono arrabbiato per te. –

– Per me? –

Annuisce.

Prende fiato nell'aria fredda, mi si avvicina anche se un attimo fa pareva non volerlo fare, mi rendo conto quando inizia a chiudermi i bottoni della felpa che è un gesto di riflesso per assicurarsi che io non stia male.

– Tu sei la cosa più speciale che mi sia capitata. Da quando sei arrivato non riesco a fare a meno di pensare a come potessi vivere prima di conoscerti, Kat, da quando sei arrivato io so che c'è un posto per te nel mio cuore che sarà tuo e tuo soltanto per sempre. Per me sei più di un miracolo, sei... –

Mi sistema i vestiti addosso.

Ricomincia a parlare e la sua mandibola si stringe appena.

– Io non posso sopportare che qualcuno parli di te come ha fatto lui, lo capisci? Non posso sopportare che cerchi di rovinare la cosa più preziosa che ho. –

Mi appoggia le mani sul viso, è arrabbiato e gli si legge in faccia ma ogni gesto, ogni movimento nei miei confronti alla fine risulta sempre tremendamente delicato.

– Io so come ci si sente quando qualcuno usa le tue debolezze contro di te, Katsuki. Lo so. E so che se posso provare a sopportarlo quando lo fanno a me, se qualcuno lo fa a te io non... non ci riesco. Anche solo l'idea che tu stia male mi fa perdere la testa. Io so che quello che mi ha detto Mina è vero, ma sto faticando sul serio a rimanere qui, sto faticando. Quel bastardo non deve neanche permettersi di guardarti, cazzo, figurati parlare del fatto che tu sia sordo come se fosse un problema. Dio, lo uccido, se lo rivedo giuro che lo uccido. –

Lo sento sfiorarmi l'apparecchio acustico con le dita.

– Lui non sa un cazzo di te, Katsuki, un cazzo e comunque si permette di parlare di quello. Lui non sa come la vivi, come l'hai vissuta, cosa ha significato nella tua vita ed eppure ci ha messo un attimo a tentare di rivoltartela contro. Lui non ha la minima idea di quanta fatica tu abbia fatto a lottare contro il pregiudizio che fosse un limite e ha buttato al vento anni di impegni e di sacrifici solo perché era incazzato con te. Non riesco nemmeno a capire come gli sia passato per la testa. Io sono... –

Mi guarda negli occhi e capisco che quell'emozione che non riuscivo ad inquadrare, io non solo l'ho vista. Io l'ho vissuta. L'ho sentita sulla mia pelle l'esatto istante in cui da dietro una porta chiusa tu mi hai detto che pensavi di farmi schifo.

Sale tutto su.

Tutto quello che faticavo a capire, sale in un attimo.

C'è il dolore di sentirsi ancora una volta insultato per un limite che è un limite solo per gli altri, c'è la rabbia di essere traditi da qualcuno a cui si ha dato un po' di fiducia, c'è la paura che Kirishima faccia qualcosa che non deve, l'emozione di sentirgli dire che sono la cosa più preziosa che ha, il conforto di sapere che se anche il mondo dovesse cadere io ho qualcuno che mi proteggerà sempre.

C'è l'amore, anche.

Forse dovrei dire soprattutto.

Ce n'è tanto.

Tanto che...

– Io sono orgoglioso di te, Katsuki, per la persona che sei. Sono orgoglioso di tutto quello che hai fatto per diventare così, di tutto quello che fai e di tutto quello che farai. Potessi dire a chiunque che stiamo insieme passerei le mie cazzo di giornate a farlo, perché questo è quanto sono orgoglioso di te. –

– Ti amo, Eijirō. –

La notte mi sferza addosso una folata di vento gelido.

Le stelle brillano sopra la mia testa e la loro distesa infinita circonda la sua figura, mentre lo guardo e dico quello che non potevo fare a meno di dire.

Mi sento minuscolo, per un attimo.

Mi sento un granello di polvere.

Mi sento inerme, come mi sono sentito tutta la vita, indifeso, terrorizzato, spaventato.

Ho provato a difendermi meglio che ho potuto, da questo sentimento, ho provato ad isolarmi, a non lasciarmi schiacciare, a respingerlo. Ho provato a dirti di no, a mandarti via, ad allontanarti da me.

Sono sempre stato così fragile, io, debole a qualsiasi cambiamento che ho deciso ad un certo punto della mia vita che tutto sarebbe andato esattamente come l'avevo deciso, e che ogni variabile esterna l'avrei semplicemente eliminata dal corso degli eventi.

Tu hai rovinato tutto, no?

Hai preso la muraglia che mi ero costruito intorno e l'hai fatta a pezzi.

Hai scombussolato l'ordine perfetto di un povero ragazzino che sa di non potersi permettere di fallire perché al minimo passo falso non riuscirà a tirarsi su.

Ed eppure mentre mi strappo il cuore fuori dal petto e ti chiedo di tenerlo fra le tue mani, mentre ti affido tutto quello su cui non riesco, neanche volendo, ad avere controllo, ogni singolo grammo di paura io possedessi mi sembra non raggiungermi più e che tu abbia rovinato qualcosa non riesco nemmeno a pensarlo.

Ogni secondo io abbia passato ad incastrarmi in un ingranaggio funzionante sfuma, e non riesco a dolermi della perdita perché so di non aver perso nulla.

Mi aspettavo mesi fa che amarti avrebbe distrutto la costruzione che avevo fatto di me stesso, mi aspettavo che offrirti il mio amore ti avrebbe reso la colonna portante di tutto quello che ero.

Non è così, Eijirō.

Non è quello che hai fatto tu.

Tu ti sei infilato fra le pieghe, fra gli spazi, tu hai stretto ogni carta nel castello che mi compone e hai solo reso la struttura più solida.

Non mi hai cambiato.

Hai solo apprezzato come fossi già.

Tu hai ascoltato ogni parola, hai capito ogni espressione, hai letto e interpretato ogni gesto del corpo. Tu ti sei infilato nella mia testa e l'hai fatto con tanta delicatezza che non mi sento violato dall'intrusione nel mio piccolo spazio personale, mi sento abbracciato e compreso e molto, molto meno solo.

Ho sempre avuto paura di cosa ne sarebbe stato di me se avessi ceduto.

Ma non ho ceduto.

Non ho perso.

Tu non mi hai sconfitto.

Tu semplicemente ti sei seduto al mio fianco e hai aspettato che capissi che qui dentro, ci potevamo stare anche in due, senza dover smontare quel che già c'era, solo aggiungendo insieme parti che s'incastrassero con tutto il resto.

Stringo le sue mani sul mio viso, le abbasso, le porto fra noi. Le sue dita e le mie s'intrecciano, lo guardo ancora negli occhi, fino in fondo.

– Ti amo tanto. Tantissimo. Sei la prima persona di cui m'innamoro e so, io lo so, che sarai anche l'ultima. Grazie di aver aspettato così tanto che riuscissi a capirlo. Grazie di non aver mai pensato che non ne valessi la pena. –

I suoi occhi sono grandi, spalancati verso di me.

Sbatte le palpebre, li vedo ricoprirsi di una patina lucida, poi una lacrima fa capolino dalle ciglia, scende sul suo viso e ticchetta verso il basso.

– Avevi ragione, quando quella sera nello sgabuzzino hai detto che ad un certo punto sarei tornato da te e avrei smesso di andarmene. Quel momento è adesso, Eijirō. Ho smesso di andarmene. Sono tornato da te e ho smesso di andarmene. –

Non singhiozza, ma le lacrime diventano sempre di più sul suo viso.

Rimane immobile, come pietrificato, ma sento il battito del suo cuore dai polsi che gli sto stringendo.

Quando lo tiro verso di me pare risvegliarsi.

Si china in un istante, mi stringe forte le braccia addosso e mi tira su, a mezz'aria, avvolgendomi in un abbraccio così serrato che quasi fa male.

Rido, perché sono felice, quando m'infila la testa nell'incavo del collo e piange più forte.

Rido e ricambio la stretta, sento dentro di me una felicità che non capisco perché mi rifiutassi di provare.

Quando mi bacia sa di sale e ancora un pochino di alcol, ma sa di lui, e mi piace come mi piace sempre.

Si stacca col viso ancora fradicio di pianto.

Appoggia la fronte contro la mia.

– Anche io, Katsuki. Anche io ti amo tanto. Dio, miseria, 'fanculo, sto provando così tante emozioni che potrei esplodere. Se non mi viene stasera un attacco di cuore non mi verrà mai più. –

Gli mordo una guancia piano, rido più forte.

– E dai, è il nostro primo giorno di relazione ufficiale, se muori come facciamo? Vedi di tenerti su, ragazzone. –

– Il nostro primo giorno di... vuoi dire che mi stai dicendo di "sì"? Stiamo insieme? Insieme insieme? Per sempre? –

– Fino a quando saremo due cadaveri, Eijirō, fino a quando non ci seppelliranno vicini. –

Mi bacia di nuovo, più intensamente, gli stringo forte il collo con le braccia e lo premo contro di me per tenermelo più vicino possibile.

Questa è la versione migliore di me.

Tu ed io siamo la versione migliore di me.

Non riesco più ad avere paura, sapendo che ci sei tu, ora, che mi stringi la mano in ogni respiro che prendo.

– Ti amo, Katsuki. Ti amo. Ti amo da un sacco, ti amo tantissimo. Giuro che farò di tutto per renderti felice e per starti vicino e per... –

Lo interrompo.

– Tu lo fai già. –

Riposo il viso contro il suo.

Mi sembra battano due cuori, dentro al mio petto.

E la sensazione è nuova ma per la prima volta nonostante sia nuova, non riesco a non provare nei suoi confronti un'enorme dose di gioia.

– Mi basta che tu rimanga come sei, Eijirō, perché tu lo fai già. –

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

NIENTE OK SCRITTA IN ANTICIPO CAUSE I WANTED IT perchè il mio cervello ha detto julia scrivi e julia ha scritto (tra l'altro ho anche pianto un po' forse è perché sono in preciclo CHI LO SA)

ALLORA AMICI AMICHE AMICX

COM'è?????

MI SONO IMPEGNATA MOLTO SISI QUINDI SPERO CHE SIA CARINO

E SONO ANCHE FELICE DI AVER FINALMENTE SILURATO SHINDO (non l'ho fatto prima cause i needed him for this particular scene quindi ecco nel caso vi steste chiedendo che fine ha fatto beh DOPO IL CALCIO NELLE PALLE DI DENKI PROB NON AVRà PIù FIGLI MA STICAZZI)

niente bom devo andare a lezione quindi scappo voi ditemi qualcosa qui su instagram su un piccione viaggiatore sulle stelle come vi pare

un bacio cuoricini

mel :D

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