1. Fantascienza
Correva l'anno 2879 quando a Daphne Mortner, scossa da un brutto presentimento, cadde un bicchiere di cristallo di mano.
«Ehi, tutto okay?». L'uomo col cilindro seduto accanto a lei si affrettò a soccorrerla. Dopo tutti gli anni della sua lunga vita, ancora si stupiva della volgarità degli uomini, desiderosi solo di una bella donna che aprisse le gambe per loro.
«Non sono affari tuoi» rispose Daphne con un tono acido, sciogliendosi dalla presa del ragazzo.
«Sono un dottore, le potrei dare una mano.» disse galantemente baciandole il dorso della mano inguantata di velluto.
Il ragazzo la osservava con uno sguardo seducente. Quegli occhi marroni circondati da lunghe ciglia dicevano solo una cosa che Daphne aveva già visto e rivisto.
«So cavarmela da sola da prima che tu nascessi, ragazzino.» affermò altezzosa Daphne rimettendosi gli occhiali da aviatore sulla chioma castana.
«Ooooh» esclamò insistente. «A me non sembra così vecchia, Miss. È sicura di quel che dice?» ridacchiò il ragazzo passandosi una mano sul gilet nero. Un ticchettio acuto attirò l'attenzione di entrambi. Daphne lo riconobbe immediatamente, si trattava del suo Teleologramma, e il suono non proveniva dal borsino di pelle allacciato alla sua cintura.
Proveniva dalla giacchetta marrone appesa al braccio piegato del ragazzo col cilindro.
Entrambi si fissarono negli occhi sgranati dell'altro , entrambi raggelati dall'attimo. Mentre la musichetta e il chiacchiericcio del locale facevano da sottofondo.
Poi si scatenò il pandemonio.
Il ragazzo saltò su un tavolo buttando a terra le bottiglie di alcool dei clienti. Lo slancio fece barcollare il tavolino tondo che portò il ragazzo a scivolare addosso ad alcune persone.
«Scusi. Scusi.» borbottava sbattendo da un cliente all'altro.
«Fermo! Tu!» ringhiò Daphne rincorrendo il ladro. Spinse via con sgarbo coloro che le intralciavano la strada e prese a seguirlo.
Il ragazzo spalancò le porte di legno e si fiondò all'esterno, facendole sbattere strategicamente addosso alla ragazza.
La galanteria era ormai d'altri tempi.
Un basso ringhio la fece infuriare ancora di più. Spinse con il palmo della mano le porte per fiondarsi all'esterno. Si guardò a destra e a sinistra prima di notare il ladro correre via con una mano sul cilindro e l'altra a tenere la giacca.
In men che non si dica Daphne tirò fuori le sue pistole a canna lunga di piombo, una per mano. Le dita si strinsero affusolate attorno al manico di legno levigato. Prese la mira e iniziò a sparare. Ogni colpo dava il contraccolpo, ma ormai lei era abituata ad usare le gemelle. Non controllava nemmeno di centrare il ladro, il quale, saltava da una parte all'altra, piegato in due, nel disperato tentativo di non venire preso.
I colpi trovavano vasi in ceramica, assi di ferro che sostenevano grandi balconi, spaccavano porte di legno intagliato e alzavano polvere dalla strada. Mentre gente popolana strillava per rifugiarsi da qualche parte, purché lontani dalla mora.
Daphne imprecò e rimise le gemelle sulla cintura, per poi inseguire il ladro. L'avrebbe sicuramente preso. Conosceva quel villaggio a memoria, l'aveva visto nascere, per l'amore del cielo! Se non lo conosceva lei, chi lo faceva?
Voltò in un vicolo, scavalcando sacchi d'immondizia e arrampicandosi agilmente sulle travi, oltre i muri e i cancelli e infine sbucò nel vicolo della Via Lattea, chiamato così dalla bellezza dei lampioni che illuminavano la notte.
Il ladro era proprio lì che svoltava l'angolo e quando la vide, imprecò e fece dietrofront. Daphne si apprestò a seguirlo, ma quello tirò fuori dal taschino un oggetto e lo lanciò dietro di sé. Una pallina di metallo cadde a terra e rotolò per alcuni istanti. Otto aste spuntarono facendo zampettare velocemente l'oggetto verso Daphne.
Quando le fu abbastanza vicino, quello esplose in una luce accecante.
Daphne si portò le mani davanti al volto per coprirsi.
Quando la luce svanì del ladro di Teleologrammi non c'era più traccia. E nemmeno del suo Teleologramma.
Il Teleologramma era un oggetto con la forma e le dimensioni di un orologio da taschino e con le funzioni del vecchio Smatphone, solo che non si poteva andare su Internet, dato che non esisteva più, e funzionava con chiamate ad ologramma.
Ma non era un mezzo concesso a tutti. Costava un occhio della testa, soprattutto il suo che era stato costruito dall'inventore in persona. Ergo, era troppo prezioso per venire perso. Per non parlare della cosa che aveva nascosto tra gli ingranaggi.
Daphne aveva fatto parte della Gold, il primo veliero volante mai creato. Si poteva considerare la prima piratessa dei cieli mai esistita, essendo stata l'unica donna della sua ciurma.
Durante l'assalto alla Roccaforte degli Angle Oncantus, lei e i suoi amici erano riusciti a sottrarre loro l'immortalità. E il segreto di essa si trovava in quel Teleologramma. Non poteva perderlo.
Passò in rassegna la città, chiedendo informazioni agli orfanelli che popolavano le strade. Perché loro tutto vedevano, ma nulla dicevano se non per avere qualcosa in cambio.
Finalmente trovò il ladro nella vecchia armeria di Moe.
«Daphne! Quale onore!» esclamò Moe.
«So che si trova qui. Tiralo fuori, Moe. Lo sai che non sono dotata di pazienza.» affermò la ragazza.
«Non so di chi tu stia parlando, Daphne.» mormorò l'omaccione con il grembiule. Era visibilmente agitato e le gocce di sudore alle tempie confermavano la sua ipotesi.
La ragazza avanzò di pochi passi e si affacciò al bancone, dove trovò accovacciato il ragazzo di prima.
Senza esitare si sporse e lo afferrò per la collottola della camicia, per poi trascinarlo fuori.
«Il mio Teleologramma.» ordinò.
«Wyatt, proprio lei dovevi derubare?» bisbigliò Moe disperato.
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa e le consegnò il Teleologramma.
Lei glielo strappò di mano e mollò la presa, poi si voltò, dando loro le spalle e controllò che quell'oggetto fosse ancora al suo posto.
Grazie al cielo era ancora lì.
Daphne riportò il suo sguardo truce sui due individui. Mise il Teleologramma nello spazio tra il corpetto e il seno e tirò fuori una delle gemelle. Poi puntò la canna dell'arma sulla tempia del ladro.
«Daphne, Daphne, mia dolce Daphne, ma mia cliente preferita...» intervenne Moe superando il bancone ballonzolando sulle due gambe di legno verso di lei. Appoggiò delicatamente le mani tozze su quella inguantata di lei, abbassandoglieli lentamente.
«Non vorrai mettere fine alla vita di mio nipote il giorno del suo compleanno. È giovane ed un incosciente. Garantisco io per Wyatt, non si avvicinerà più a te e al tuo Olotelegramma.» promise.
Lo sguardo di Daphne non si addolcì per nulla, ma non sparò. I due uomini la guardavano trepidanti mentre metteva via quell'ordigno malefico.
«Solo nei confronti della nostra amicizia, Moe.» disse gelida. Poi puntò lo sguardo sul giovane.
«La prossima volta ti sparo in testa, poi taglio le tue mani e le brucio.» affermò prima di uscire dal negozio.
Appena mise piede nella strada polverosa una voce la chiamò.
Era una voce conosciuta, ma che non sentiva da così tanto tempo che soltanto udirla le provocava brividi lungo tutta la schiena. Il suo corpo ricordava il suo nome sussurrato da quella voce sotto cieli stellati. Quella voce che aveva così tanto amato, ma che poi era stata costretta ad odiare.
«Marcus» disse la ragazza voltandosi.
«È da così tanto che non ci vediamo, mia diletta.».
Marcus aveva l'aspetto di un uomo nobile venticinquenne. Il volto perfettamente rasato, gli occhi azzurri incorniciati da ciglia bionde, i capelli del medesimo colore sotto un cilindro blu, decorato con un nastro di velluto nero.
In mano, aveva un lungo bastone nero con placcatura dorata all'estremità.
Gli abiti formali gli calzavano sempre a pennello. Il cappotto aveva lo stesso colore del cilindro e il bavero al collo nero era impreziosito da una spilla. Essa era formata da una pietra rossa al centro e da intrecci dorati attorno, in modo da ingabbiare il nucleo rosso. Daphne la riconobbe immediatamente.
Ma non fu l'unica pietra rossa che la ragazza notò. Appesi alla cintura del suo ex capitano del veliero pirata, c'erano altre sei pietre, che penzolavano come ciondoli decorativi. Le stesse pietre che lei e la ciurma della Good avevano sottratto alle Roccaforti degli Angle Oncantus un millennio prima.
«Cosa ci fai qui, Marcus?» chiese la ragazza con tono deciso.
I patti erano chiari. Ognuno avrebbe preso la propria parte del bottino e se ne sarebbe andato a rifarsi una vita. Non si sarebbero più rivisti per non rievocare gli orrori da loro causati. Dividersi e non rivedersi più, questo era il piano.
All'epoca Daphne aveva pregato Marcus di non abbandonarla, di passare le loro vite assieme, ma lui era stato categorico. Diceva che l'immortalità era un tempo troppo lungo per amarsi. Diceva che avrebbero finito per odiarsi. E lui non voleva odiarla. Così si erano divisi, lasciando Daphne con un grande bottino e una prospettiva di vita infinita. Ma sola.
Col passare degli anni, Daphne aveva capito che Marcus l'aveva solamente usata per tutto il tempo. Furiosa con lui, l'aveva cercato per anni, senza trovarlo.
Ma gli anni passati le avevano anche fatto scemare la rabbia covata nei suoi confronti. Ma non sparirono.
Così, decise di voltare pagina e vivere la sua vita eterna.
«Ma sono qui per te, mia diletta.» affermò l'uomo togliendosi il cilindro dal capo e girandoselo tra le mani. Avanzò lentamente, lasciando che i suoi stivali provocassero tonfi sul suolo, così simili ai battiti del cuore di lei.
Nonostante quei sentimenti, mai svaniti in tanti anni, le offuscassero i pensieri razionali, riuscì a percepire qualcosa di strano e sinistro nella presenza del suo vecchio capitano.
Il suo infallibile sesto senso le suggerì di fuggire in quell'istante, anche se il suo cuore voleva restare.
Nei millenni, tutti gli uomini avevano sempre accusato le donne di essere delle ingenue sentimentaliste. Avrebbero sempre scelto il cuore invece del cervello. Ma lei non era così.
«Dove le hai prese quelle?» chiese la donna accennando con il mento verso la cintura di Marcus. Intanto appoggiò entrambe le mani sul manico delle gemelle, pronta ad usarle.
«Queste? Regali da parte dei nostri vecchi compagni della Gold.» rispose con noncuranza facendo altri passi in avanti facendo dondolare i ciondoli.
Daphne vide una luce sinistra negli occhi del suo ex capitano. Una luce che le fece paura.
Senza alcun preavviso, Marcus tirò fuori una lama e gliela lanciò contro.
Il tempo sembrò essersi fermato, tranne che per la lama che le puntava dritto al cuore.
Ma mezzo secondo prima che Daphne venisse perforata, qualcuno la buttò a terra, salvandola dalla fatale fine.
«Presto, vieni con me.» disse il ladro di teleologrammi. La prese per un braccio e iniziò a trascinarla, senza dare a Daphne la possibilità di replicare.
«Non puoi fuggire da me, Daphne. Tu sei mia.» La voce di Marcus le perforò i timpani e il cuore. Così si lasciò condurre da Wyatt il ladro, senza opporre resistenza, poiché lui l'avrebbe portata lontano dal suo antico amore. Dal suo antico amore che aveva appena tentato di ucciderla.
«Dove mi stai portando?!» balbettò la ragazza confusa e addolorata.
«Al sicuro!» esclamò lui tenendosi l'altra mano sul cappello, per non perderlo.
«Conosco questo posto a memoria e per di lì c'è un...»
Vicolo cieco. Lei lo sapeva.
«Era quello che cercavo di dirti.» disse seccamente la ragazza.
Il ragazzo la ignorò e si abbassò gli occhiali da aviatore dal cappello per metterseli addosso. Sì inginocchiò a terra e spazzò via la sabbia dal terreno, rivelando uno strano avvallamento a forma di un sigillo molto familiare a Daphne.
Appena appoggiò il palmo della mano al centro di esso, la ragazza udì degli ingranaggi sbloccarsi e un passaggio segreto apparire.
«Ma io questo passaggio non lo conosco!» esclamò Daphne confusa e disorientata.
«Certo che no. L'ho fatto io. Ora seguimi se tieni alla tua vita.» disse Wyatt buttandosi nel buco precedentemente creatosi.
La ragazza si guardò indietro. Scorse l'ombra di Marcus avanzare e senza attendere oltre, si buttò anche lei nel buco.
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