Capitolo 6: Strani movimenti


Non ero sempre stata così fredda e indisponibile. Mi ricordavo i bei tempi, durante i quali adoravo pensare alla mia futura famiglia: un marito adorabile e dei figli. Ma erano ricordi di una bambina di dodici anni, innamorata di qualcosa che non esisteva.

Non sapevo bene in che cosa credere. Non era che non avessi conosciuto l'amore, perché quello di mio padre e mia madre lo era stato. Forse era stato il tempo a dirmi quella che era la verità: l'amore portava dietro un bagaglio molto più pesante della felicità. Erano le esperienze passate, erano le esperienze future. Mio padre non era più stato lo stesso dopo la malattia di mia madre.

Avevo smesso di romanticizzare l'amore ancora prima, ma quello che l'amore aveva fatto a mio padre era stata l'ultima conferma.

Non volevo. Cercavo di tenermi lontana dai legami coi ragazzi da quando ne avevo memoria. Lo sapevo, che in realtà era solo vigliaccheria. Lo sapevo, che prima o poi ci sarei cascata proprio come mia sorella, mio fratello e i miei genitori.

L'amore sembrava soffocarmi, in un abbraccio tra i miei familiari e conoscenti. Sembrava in grado di influenzare, come un virus. Per questo, cercavo di stare lontana anche da quelle che erano le relazioni altrui. Cercavo di vedere il meno possibile i miei familiari, mentre i miei amici non erano mai stati un problema: Jazzy non aveva mai avuto una relazione, Aaron pensava troppo alla sua macchina e la mia coinquilina era troppo presa da sé stessa per amare qualcun altro.

Osservai in silenzio Moore. Era lui il mio problema. In pochi giorni mi aveva parlato più volte lui dell'amore (della sua famiglia, dei suoi amici) che Aaron in anni di amicizia.

L'amore influenzava. Lo aveva sempre fatto.

Ma il mio obiettivo di fargli ammettere quello che aveva combinato alla macchina di Aaron si era fatto sempre più importante e adesso che avevamo un cucciolo in comunione non potevo di certo tirarmi indietro. Moore era fin troppo genuino, a volte. Non aveva idea delle mie reali intenzioni.

In realtà, volevo veramente bene a Tate, ma mi serviva anche come punto debole.

Tuttavia, mentre guardavo Moore, mi chiesi se tutto questo non mi avrebbe portato più vicino a lui. Lo strano balzo che il mio cuore aveva fatto, qualche sera prima, quando si era avvicinato a me, mi preoccupava parecchio.

Non ero abituata a strani movimenti interni. In realtà, mi era successo solamente all'età di dodici anni, con Ryan, l'attuale fidanzato di mia sorella, nonché migliore amico di mio fratello. Ma ero piccola e romantica, cosa che non ero più da tempo. E Ryan era un paranoico fissato con la precisione, esattamente come mia sorella Deitra.

C'era stato un periodo, durante l'adolescenza, in cui mia madre era venuta da me per farmi un discorso su mia sorella. Completamente diversa da me, D era sempre stata quella più debole della famiglia. Col tempo era diventata una donna forte ed indipendente, ma tutt'ora si doveva trascinare la vecchia immagine di bambina goffa e debole. E, proprio a causa della sua debolezza e timidezza, mia mamma tendeva a proteggerla dal mondo. Dove non arrivava lei, dovevo arrivare io. Ben presto, all'età di sedici anni, tutti se n'erano usciti con la classica frase: "tua sorella è invidiosa di te". Ma io non lo avevo mai visto così. E nemmeno D.

Ad oggi, passati ormai anni, mi ritrovai ad essere invidiosa della vita che mia sorella si era costruita senza di me: un fidanzato perfetto, un lavoro perfetto e una carriera universitaria nella media. D ormai urlava DONNA da tutti i pori e tutti non potevano fare altro che notarlo.

Io urlavo donna solamente dal punto di vista fisico, ma non potevo ringraziarmi per avere un bel fisico e un viso adorabile: quello, era merito dei miei genitori.

Dal mio canto, non stavo creando niente. Non ero eccellente al campus, di certo non spiccavo d'intelligenza tra gli altri studenti, e ancora meno nel mio lavoro che non c'entrava niente col mio futuro.

Se mia sorella nel tempo era riuscita a costruirsi un castello... il mio era piuttosto una casa a cui probabilmente mancavano pezzi necessari per renderla tale: con ogni probabilità mi ero dimenticata di costruire un tetto, e non ero nemmeno sicura di avere un pavimento così decente.

Ma, dopotutto, non ero mai stata la più intelligente della famiglia.

Mi andava bene?

No.

Potevo farci qualcosa?

No, i trapianti di nuovi cervelli per stupidi non erano ancora stati inventati.

***

Mi girai di lato, dopo aver fatto sesso con un ragazzo di cui non ricordavo nemmeno il nome. E non ero nemmeno venuta. Il ragazzo era stato bravo, ma... qualcosa mi aveva bloccato. Era stato bello, ma non così bello da avere un finale.

Non ero il tipo che mentiva. Per questo il ragazzo adesso mi stava tenendo il broncio.

Guardai l'orario sul cellulare e mi misi seduta.

– Te ne vai? – chiese.

– Non prendertela. Non sono un tipo da coccole – replicai, trovando a terra i miei slip ed il mio reggiseno. Mi vestii in fretta. – Ci si vede in giro.

– Sì, certo – borbottò il ragazzo, non troppo convinto.

Non aggiunsi niente. Mi chiusi la porta della sua camera alle spalle, e tornai verso il bar.

Era già la seconda volta che mi ritrovavo ad uscire dalla casa di un ragazzo insoddisfatta. Il sesso era interessante, a prescindere dall'esito, era sempre eccitante. Ma non avevo mai avuto problemi. Di certo non ero una che si imbarazzava dal farsi vedere in preda al piacere.

Era brutto tempo e la mia moto era dal meccanico.

Aprii l'ombrello, per non bagnarmi dalla pioggerella, e mi fermai al palazzo di Moore. Era passato un mese da quando avevo trovato Tate, e oggi era giornata del primo vaccino.

Quando bussai alla porta, infatti, mi aprì immediatamente il coinquilino. Aveva gli occhi leggermente arrossati e non dal pianto. – Adesso ti fai pure di marijuana, sfigato?

–Sssh! – esclamò. – C'è il padre di Gab! Per il vaccino!

– Hai gli occhi rossi di chi si è fatto un cannone, sfigato – borbottai. – Fidati, se n'è accorto anch eil padre di Moore.

– Ssssh! Non è vero! – disse lui, incespicando un po' verso di me. – Non farti sentire!
– Sei imbarazzante – borbottai, afferrandogli l'avambraccio per tenerlo in piedi. – Vai a sdraiarti un po'. E la prossima volta che mi vieni addosso, o ti tiro un cazzotto, o mi spoglio così la fai finita di provarci con me.

–Non ci sto provando con t...

– Tu devi essere Dayna! – esclamò una voce a me sconosciuta.

Lo sfigato si sbrigò ad entrare in camera e a chiudersi dentro. Chiuse a chiave.

Mi girai verso la voce e mi ritrovai un uomo sulla cinquantina, dalla pelle non troppo chiara, con gli occhi verdi, lo stesso sorriso di Moore e i capelli leggermente brizzolati. Si avvicinò a me, con un sorriso smagliante. L'unico pensiero che mi attraversò il cervello fu: "è tutto sbagliato".

Mi strinse la mano, che non mi ero resa conto di aver alzato. – Piacere, io sono Oliver Moore.

– Come mio padre... – sussurrai, continuando a stringergli la mano.

Il signore aggrottò la fronte, con un leggero sorriso confuso. – Tuo padre si chiama Oliver Moore?

–No. Certo che no – replicai, sfilandogli la mano, come se mi fossi appena scottata. Al Signor Moore non sfuggì il mio movimento brusco. – Si chiama Oliver.

– Ah, capisco. – Continuò a studiarmi, con la fronte aggrottata. – Dimmi, il coinquilino di Gab ha una cotta per te?

– Non penso sia una domanda opportuna.

Mi sorrise. – Hai ragione. Mi piaci, non sei una che le manda a dire.

– Perché dovrei?

– Lasciala perdere, papà – borbottò Moore, uscendo dalla sua camera da letto, con un asciugamano tra le mani. – Praticamente è perennemente sulla difensiva. Il fascino Moore è completamente inutile su una come lei.

– E per "una come me" si intende "non così stupida da cadere tra le braccia di suo figlio".

Il sorriso del Signor Moore si fece ancora più ampio. – Caparbia ed intelligente – mormorò. – Fidati, non ti perdi molto, figliola.

– Non ci ho nemmeno mai provato! – esclamò Moore.

–Nemmeno io! – urlò lo sfigato da dietro la porta.

Gabriel sembrò confuso, ma questa volta il signor Moore si mise a ridere.

– Logan ci ha provato con te? Ma quando? – chiese Moore.

– Mi si butta sempre addosso – bofonchiai. – È imbarazzante.

– Non lo fa apposta...

– Oh, intendi perché non è mai lucido? – sputai, acida, scoccandogli un'occhiataccia. – Ieri era l'alcol, oggi la marijuana, domani la cocaina?

– Non impicciarti.

– Amico di merda.

Il signor Moore si intromise, schiarendosi la voce. – Logan non sta passando un bel periodo, ma Gab sta cercando di aiutarlo come può. Ci sono momenti in cui a volte le persone vogliono soltanto autodistruggersi e nessuno può impedirglielo.

– Quindi lo lasciamo girovagare ubriaco e fatto – replicai, tagliente. – Mi sembra giusto.

– Non sai un cazzo di lui. Ti ho già detto di non trattarlo in questo modo – disse Moore, con voce bassa e rabbiosa.

– Allora! – esclamò il signor Moore. – Facciamo questo vaccino?

Il Signor Moore fu bravo sia a calmare gli animi, che a fare il vaccino alla mia Tate. Mi salutò con una stretta di mano, ma il suo sorrisino mi fece capire che sperava davvero che potesse esserci qualcosa tra me e il figlio. Gli scoccai un'occhiata di ghiaccio,per fargli capire che no, non poteva esserci niente tra me e quel coso.

Li sentii dalla camera di Moore bofonchiare alcune frasi come "fatti sentire da mamma" o "domenica vorremmo andare a pranzo fuori", oppure "buona giornata figliolo".

Quando il padre se ne andò, il mio stomaco era sottosopra dallo schifo.

O dovrei chiamarla invidia?

Forse sì.

Quindi, quando Moore tornò in camera, con Tate in braccio, gli dissi: –Immagino che tuo padre non sappia del tuo nuovo hobby.

– Che sarebbe? – mi chiese.

– Be', distruggere macchine, ovviamente.

Sospirò,ma non mi rispose.

Quindi mi alzai dal suo letto e presi il telecomando. Dovevo ammettere che per essere un uomo peloso, era piuttosto pulito: o almeno la sua camera lo era. Solitamente mi faceva schifo stare così tanto tempo in una camera di un ragazzo, perché, diciamocelo... la maggior parte delle volte la loro camera era puzzolente e le lenzuola probabilmente venivano cambiate una volta ogni tre mesi.

Probabilmente il ragazzo di poche ore fa era uno di quelle.

Feci una smorfia, ricordandomi che non mi ero fatta nemmeno una doccia.

– Almeno ti sei divertita? – chiese Moore.

– A prenderti per il culo? – chiesi. – Quello sempre.

Mi scoccò un'occhiataccia, poi afferrò il telecomando dalla mia mano e si sdraiò sul letto. Moore era diverso da tutti gli altri ragazzi con cui uscivo: sicuramente meno spocchioso, più emotivo e...diamine, era sempre stato così attraente, o era solo una questione di vicinanza?

Scossi la testa. Che diavolo mi stava passando per la testa?! Non ci stavo uscendo realmente.

E non era così attraente.

– Hai il maglioncino tutto stropicciato e i capelli sono un disastro – disse Moore, accendendo la televisione.– Tradotto: hai scopato con uno e poi ti sei presentata qua per il vaccino.

– E se anche fosse? – chiesi, sulla difensiva. – Quale sarebbe il tuo problema?

–Nessuno – disse, ma non mi sembrò così convinto. Deglutì rumorosamente, senza osare guardarmi in faccia. –Volevo solo comunicare.

– Sulla mia esperienza sessuale? – chiesi. – Qual'è stata la tua ultima scopata, Moore? Dimmi un po', ha fatto schifo?

Aggrottò la fronte e tornò a guardarmi, senza la minima traccia di divertimento. – So quello che si dice su di me – borbottò. – Ma non vado a letto con tutte quelle che respirano. Mi diverto, ma lo faccio con criterio.

– Mi stai giudicando?! – esclamai io, furiosa. – Scopo con chi voglio! Non sei nessuno per...

– Calma, tigre – mi fermò. – Non ti sto giudicando. Sono il primo a utilizzare il sesso per sfogarsi e per divertirsi... Ma non vedo questo, in te.

– E che cosa vedi? – ringhiai.

Strinse i denti, mettendo in risalto la mascella. Si mise seduto, per guardarmi meglio negli occhi. – Se devo essere sincero, vedo una persona triste, che cerca un modo per non affogare. Usi il sesso per fuggire dalle relazioni, senza però fuggire del tutto.

Ridacchiai.– E che diavolo significa?

– Che scappi, ma sai che non è quello che vorresti fare.

Sbottai a ridere. – Smettila di sparare stronzate. Mi prendo quello che voglio dalle relazioni.

– Non sono relazioni.

– Lo sono, ma non come le vedi tu – replicai.

– Sono sotterfugi.

– Sono libertà.

– Non lo sono, se non ti rendono felice.

– E chi ti dice che io non lo sia?

Rimase in silenzio, a guardarmi negli occhi. Notai i suoi occhi grigi scuri soffermarsi lentamente su un occhio e poi su un altro, come a cercare la risposta in entrambi. Il fatto che mi spaventò di più, fu proprio quel lampo che vidi nei suoi... La sua risposta era silenziosa, ma pesante. Un macigno.

Strinse le labbra in una linea fina e si rimise sdraiato. Aprì Netflix e poi disse: – Decidi tu.

– Me ne vado.

– Non te ne vai. Oggi tocca a te dormire con Tate.

– Dormici tu, con Tate – sputai,alzandomi dal letto.

– Dayna.

Non aveva quasi mai usato una voce così autoritaria. Mi bloccai all'istante e lo guardai. Era ancora sdraiato, con Tate accanto a sé. Aveva le gambe incrociate, i pantaloncini da basket larghi neri gli stavano stranamente bene, e la maglietta nera era abbastanza attillata da farmi capire che si allenava almeno tre volte a settimana. I capelli corti e scuri erano leggermente in disordine, ma gli occhi... gli occhi erano fieri e fermi su di me.

Guardai nuovamente Tate.

Sospirai e tornai verso il letto. – The Rookie.

– Che diavolo è?

–Mettilo e vedrai.

***

– Oh, ma dai! – esclamò Moore.

– Taci! – esclamai, tirandogli un calcio.– Non ha finito di parlare.

–Questo telefilm è una stronzata.

– Tu sei una stronzata.

– Cambia.

– Cambia camera.

– È la mia camera! – esclamò indignato Moore.

– Provamelo.

– Ci vivo! Ti basta come prova?

– Anche io ci vivo – ribattei, convinta.Perché stava iniziando ad essere vero: passavo una notte sì e una no in quella camera, per stare con Tate.

Moore fece per ribattere: aprì la bocca, poi ci ripensò e la richiuse. Aggrottò la fronte, ma non aggiunse niente. Girò il viso verso la cucciola, che stava dormendo tra me e lui. I nostri corpi erano ben distaccati. Tate fece un verso adorabile, svegliandosi del tutto.

– Merda – mormorai.

–Adesso tocca a te – disse Moore, in fretta.

– Tocca sempre a me!

– Ti sto offrendo vitto e alloggio – mi ricordò.

– Non fingere che non ti convenga! Almeno riesci a dormire – rribattei.

Scrollò le spalle. - Non sto dicendo questo. Sto dicendo che mi devi un favore.

– Come se la mia semplice presenza non fosse già un favore ricambiato – borbottai, afferrando Tate per portarla a fare i bisogni. - Quando diventerà abbastanza grande da essere indipendente, dovrai trovare una scusa migliore per avermi qua.

Andai in salone e Moore ridacchiò, senza rispondere alla mia provocazione. Molto strano, pensai. Ma probabilmente era semplicemente consapevole della realtà. Non ero scema. Lo vedevo come mi guardava: era veramente interessato a me. Era in quella fase dove voleva aiutarmi, perché era abbastanza ingenuo da pensare che il suo aiuto potesse farmi cambiare idea sul suo conto.

Quando l'unica cosa che mi avrebbe fatto cambiare idea sul suo conto era un bonifico. Beneficiario? Il mio migliore amico.

Si era fatto veramente tardi, come al solito ultimamente. Infatti, quando tornai in camera di Moore, lo trovai con gli occhi chiusi e la bocca socchiusa. Sbuffai e tornai in salone, per giocare un po' con Tate, la quale non aveva la minima intenzione di dormire.

Con lei in salone, ebbi il tempo di rendermi conto di una cosa: non mi sentivo più un'estranea a casa di Moore. In realtà, ora che stavo da sola in salone, mi resi conto di sentirmi sola senza la sua presenza. Mi strinsi le gambe al petto, mentre Tate rincorreva la pallina. Mi mordicchiai il labbro inferiore, leggermente confusa e assolutamente arrabbiata.

Un conto era provare attrazione per la persona meno indicata sulla faccia della terra, e un'altra era sentirne l'assenza in casa sua, solamente perché stava dormendo.

Mi resi conto che nelle ultime settimane, a forza di stare con lui e Tate, mi ero... Maledizione, stava diventando mio amico. Tuttavia, vi era un errore di fondo: il mio migliore amico era stato maltrattato da lui e dalla sua combriccola. Avrei dovuto tenere ben a mente l'obiettivo: riuscire a fargli sputare la verità... e a portarmi il cane salvo ad un'età tale da poterla lasciare da mio padre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top