Capitolo 3: Ospite per una notte

Passarono alcune settimane, in cui Moore smise di infastidirmi. Non si parcheggiava nemmeno più vicino alla mia moto e non entrava nel campus insieme a me. Non mi guardava più alle lezioni di anatomia.

Sembrava essere tornato tutto alla normalità.

Se avessi saputo che bastava trattare male il suo amico, l'avrei fatto prima. Il suo amico non si era fatto più vedere né al campus né al pub, e questo mi fece pensare che fosse veramente grave la cosa che gli era accaduta quella sera, ma mi rifiutai di sentirmi in colpa: dopotutto mi era cascato addosso. Una persona più minuta sarebbe sicuramente caduta, al posto mio.

Inoltre, si stava avvicinando l'anniversario della morte di mamma e questo voleva dire un padre depresso, un fratello piagnone e due sorelle apatiche.

Il ventiquattro ottobre la mia vita era completamente cambiata. Il ventiquattro ottobre si era avverato il mio peggior incubo.

Se avessi potuto sradicare i momenti più brutti della mia vita, l'avrei fatto. Diamine, avrei venduto la mia anima in cambio.

Era vero: nessuno era mai veramente preparato alla morte, men che meno quella della propria madre all'età di cinquantacinque anni. Avevano fatto molti film sul cancro, ma nessuno era mai stato in grado di far vedere effettivamente quello che procurava una malattia del genere.

Ricordavo di aver amato un libro in particolare, che raccontava di due ragazzi con il cancro che si innamoravano... fino a quando non mi ero ritrovata davanti a quella che era la vera malattia. Nessuno era mai veramente preparato ad una malattia del genere.

A volte pensavo che non fossero mai realmente preparati neanche i dottori.

E non lo pensavo perché ero una di quelle persone che non si fidava di nessuno, men che meno dei dottori. Sì, effettivamente non mi fidavo di nessuno, ma la questione era un'altra: avevo visto più dottori del reparto oncologico ricoverare mia madre più e più volte perché non erano stati in grado di capire che cosa le facesse venire la febbre a quaranta. Esattamente come non erano stati in grado di comunicarmi tutti i rischi dell'avere una malata terminale a casa, perché semplicemente per loro non era terminale.

C'era una profonda differenza nell'avere il malato a casa e vivere la malattia giorno e notte? Sicuramente. Eppure io ero riuscita a capire e dare una tempistica alla vita di mia mamma... una tempistica quasi esatta, mentre loro le avevano dato almeno un altro anno.

Due settimane dopo la loro dichiarazione era morta.

La mia risposta a quella dichiarazione? Ricordavo bene di avergli detto: - Davvero? Io pensavo non superasse il mese.

C'era qualcosa di estremamente cattivo nel dare una speranza del genere. C'era qualcosa di veramente sbagliato nel comunicare a tua mamma che potrà vivere un altro anno, per poi assistere alla sua morte due settimane dopo.

Sarei morta insieme alle mie domande: aveva sofferto? Aveva capito che stava per morire? Quando era entrata in quello strano stato di incoscienza, ci sentiva parlare? Mi aveva sentito dirle che l'amavo? Mi aveva sentita singhiozzare?

Per tutta la sua malattia ero stata un fantasma.

Non me lo sarei mai perdonato.

Forse neanche lei mi aveva perdonato.

***

Non ero una di quelle ragazze fissate con la morte. Erano semplicemente determinati periodi della mia vita, in cui sentivo la morte avvicinarsi a me: erano gli anniversari i miei avversari.

Mia sorella D aveva Daniel e Ryan al suo fianco. Io... io non avevo nessuno. Mio padre provava ad avvicinarsi ancora di più in questo periodo; tuttavia, questo mi rendeva ancora più nervosa. Non lo sentivo più molto stabile, quindi il suo tentare di essere qualcuno che non era più mi creava solo disagio e nervosismo, nonostante la consapevolezza delle sue buone intenzioni.

A volte, era semplicemente troppo tardi.

Quella sera non solo ero più stanca, ma ero anche andata a trovare D e Daniel. Mio fratello aveva organizzato una piccola rimpatriata, o almeno così l'aveva definita. Avrei dovuto capire che stava minimizzando solamente sentendo il luogo della festa: a casa del loro amico Ben.

Quello non ci andava mai alla leggera.

Infatti, la casa pullulava di gente. Ero sempre pronta a fare festa e conoscere gente, anche con tutta la stanchezza che mi schiacciava.

Dan mi abbracciò, già leggermente ubriaco. Poco lontano da lui c'era Callie, la fidanzata dai lunghi capelli rossi, che era anche la grande amica di Deitra. Le due infatti stavano ridacchiando. Ci salutammo velocemente e poi andai a prendere qualcosa da bere.

Ben stava ballando in modo alquanto ridicolo, sotto gli occhi di una bellissima bionda, che doveva essere la vecchia fiamma di Ryan, il nostro amico d'infanzia. Fu proprio lui ad abbracciare la bionda, dandole un bacio sulla tempia.

Dall'altra parte del salotto, gli occhi di Deitra furono immediatamente catturati da quella scena. Nonostante l'aria da brava ragazza, forse mia sorella era una delle ragazze più gelose al mondo. Tentava di non dare troppo nell'occhio, soprattutto perché Ryan era uno dei ragazzi meno gelosi al mondo. E come tale, odiava anche le scenate di gelosia.

Deitra e Ryan erano una delle coppie più strane, eppure col tempo sembravano più simili di quanto avessimo mai potuto pensare. Mia sorella aveva sempre avuto una cotta per Ryan, sin da quando aveva avuto dodici anni. Ryan, d'altro canto, aveva realizzato l'esistenza di mia sorella solamente un anno fa, quando si era trasferita nel suo stesso campus. O almeno questa era la storia raccontata dalla maggior parte della gente che li conosceva, ma in realtà gli amici più vicini erano a conoscenza di un'altra storia.

Ben sbottò a ridere e finì addosso a Ryan, che mollò la presa sulla bionda.

Mia sorella smise di torturarsi le mani, ma i suoi occhi restarono fissi sulla bionda.

Deitra non era matta, sapevo che poco dopo il fidanzamento di mia sorella e Ryan, era successo qualcosa tra lui e la bionda, ma nessuno mi aveva mai dato abbastanza notizie per potermi fare un'idea.

Nonostante questo, era chiaro come il sole che Ryan era completamente innamorato di Deitra. Anche se il signorino era sempre stato bravissimo a nascondere le sue emozioni ed i suoi sentimenti, era ormai palese il suo modo di tenere sempre d'occhio mia sorella, o il modo che aveva di non allontanarsi troppo da lei quando c'era.

Erano una coppia molto equilibrata: davano spazio a tutti gli amici e non stavano sempre insieme come due cozze, però era comunque ancora strano vederli così innamorati l'uno dell'altra.

Era in occasioni come queste che mi rendevo conto che forse, non scappando come avevano fatto loro, ero rimasta indietro.

Ed era in occasioni come queste che mi rendevo conto di essermi distaccata troppo da loro, proprio perché per tanto tempo li avevo accusati di essere scappati.

Non esagerai a bere, proprio perché mi aspettava un viaggio di due ore per tornare a casa. Mia sorella Deitra mi aveva proposto di restare a dormire da lei (come tutte le altre volte), ma avevo rifiutato.

Come tutte le altre volte.

La guardai. Gli occhi molto più scuri dei miei sembravano sempre intenti a captare le informazioni, anche le più inutili, il corpo snello ma piccolo era sempre un po' troppo rigido e le labbra strette in un sorriso di circostanza. Lei ci definiva le due parti della stessa medaglia, e aveva ragione.

Adocchiai un ragazzo dai capelli ricci e gli occhi chiari. In effetti, avevo proprio bisogno... di una distrazione. Non mi avvicinai a lui, ma gli passai davanti per prepararmi un drink. Alzai lo sguardo e lo beccai a guardarmi, quindi gli sorrisi per pochi secondi e poi tornai al mio drink.

- Tu devi essere la sorella di Daniel - se ne uscì il ragazzo, che si era avvicinato in pochi secondi.

Annuii, senza guardarlo in faccia. Ero abituata add essere riconosciuta come la sorella di Dan: mio fratello era in grado di conoscere venti persone a serata ed era anche in grado di mantenere i contatti.

- Come mai questa decisione di stare lontana da loro?

Solitamente i ragazzi si facevano gli affari loro. - Sono loro ad essere andati lontani - replicai freddamente, nella speranza di fargli capire che non stava utilizzando la tattica giusta per portarmi via.

- Vivi a due ore da qua, giusto? - chiese.

- Esattamente.

- E che cosa studi?

Più sul generale: poteva quasi riprendersi. - Veterinaria.

- Oh! - esclamò. - Interessante!

Non ebbi bisogno di alzare lo sguardo su di lui per capire che stava mentendo, ma era carino il suo modo di mentire per portarmi a letto. Alzai lo sguardo su di lui, sorseggiando il mio drink. - Come conosci Daniel? - chiesi. La mia era una domanda per uno scopo preciso: volevo sapere se mio fratello gli avrebbe permesso di farsi la sua sorellina o meno.

- Gioco nella squadra insieme a Justin - replicò il riccio, indicando il capellone, a pochi passi da noi, che aveva fatto perdere la pazienza a Ryan, tempo fa, quando lo aveva trovato a flirtare spudoratamente con mia sorella D. Se D e lui non avessero avuto una mezza-storia, probabilmente ci avrei provato io con Justin. Nonostante questo, era chiaro a me ed anche a Ryan, il modo che aveva ancora Justin di guardare mia sorella, di tanto in tanto.

Non mi sembrava innamorato, ma... qualcosa provava ancora.

Fu proprio Ryan a scoccare un'occhiata di fuoco a Justin, quando lo beccò a guardare D ridere, mentre Callie le ballava addosso.

In famiglia forse ero stata l'unica a credere alla reale bellezza di mia sorella D. Tutti l'avevano sempre vista come la sorella tutta cervello. Io ero sempre stata "la sorella bella". Ma avevo aspettato, convinta che prima o poi la mia sorellina avrebbe avuto il suo momento. Ed era arrivato sul serio: nonostante la sua lieve goffaggine, ormai D era proprio una bella ragazza. Il suo punto forte erano sempre stati i grandi occhi scuri, ma poi aveva tolto l'apparecchio fisso, poi aveva iniziato a correre... Non ero scioccata, stavo aspettando la sua rivincita da anni, eppure mi si fermava il cuore quando la vedevo ridere in quel modo, così genuino, che mi spingeva quasi a chiuderla dentro una stanza per proteggerla da tutti.

Ma per quello, mi ricordai, era troppo tardi.

E lo sapevamo tutti.

Quello che aveva dovuto subire, quello che aveva dovuto sopportare... andava ben oltre ogni mia capacità di rimanere lucida. Quando il suo ex fidanzato si era suicidato, pur di ammazzare quel figlio di puttana del suo migliore amico, ero stata una codarda: ero scappata dalla stanza, pur di non dare la notizia a mia sorella, che stava ancora soffrendo come un cane per quello che quel figlio di puttana aveva cercato di farle.

Mi resi conto solo in quel momento che il riccio non aveva mai smesso di parlare. Ben presto, capii che non aveva mai smesso di parlare di baseball. Una fortuna che non me ne fregasse un cazzo di quello sport.

Dan posò un braccio sulle spalle del riccio, facendolo irrigidire. - Ti devo tagliare il cazzo, Hugo?

Roteai gli occhi. Ora che non poteva più proteggere nostra sorella dai ragazzi, toccava a me la rottura. - Oh, Dan, ti prego... - bofonchiai. - Non hai di meglio da fare?

- No, proprio no - rispose Dan, senza smettere di guardare Hugo il riccio.

- Oh, guarda! - esclamai, indicando un punto dietro di lui. - Ma quella non è Callie? Sbaglio, o le si vedono gli slip?

Mio fratello sbiancò e si girò immediatamente. Dan aveva molte qualità, ma la furbizia non era di certo tra queste.

Afferrai la mano di Hugo e lo portai via.

Lo sentii ridacchiare e fare qualche commento sarcastico sul modo che aveva mio fratello di esprimere il suo affetto nei miei confronti. Uscimmo dalla casa, dato che la porta era aperta e dava al lungo corridoio aperto. - Dove mi stai portando? - chiese divertito.

Forse si aspettava una signorina, forse si aspettava più qualcuno simile a mia sorella, visto i racconti del suo amico Justin.

Si sbagliava.

Odiavo i convenevoli, odiavo le conversazioni inutili e odiavo ancora di più fare finta di essere interessata. Non lo ero. Affatto.

Per questo, mi girai verso di lui e, senza troppe cerimonie, lo baciai. Se non fosse stato così bello, probabilmente nemmeno lo avrei baciato: era diventato tutto così noioso...

Forzai le sue labbra, cogliendolo di sorpresa, per fare in modo che mi accogliesse. Era un po' troppo rigido, forse lo avevo spaventato. Quindi mi allontanai ed aprii gli occhi. Lui fece altrettanto, lentamente. Aveva le gote leggermente arrossate.

Dio mio, era forse uno di quelli timidi?

- Ascolta, Hugo... sei un bel ragazzo, ma non sono interessata a conoscerti - gli dissi. Strabuzzò gli occhi. - Sono sicura che sei un ragazzo d'oro - mentii. - Ma non sono in cerca dell'anima gemella.

- Quindi... stai cercando qualcuno che ti ospiti per la notte? - scherzò Hugo.

- Solo se abiti vicino - replicai sorridendogli.

- In realtà, abito a quindici minuti da qua, ma... ho un coinquilino molto noioso - replicò.

La stava facendo troppo complicata. Era un bel ragazzo, ma non avrei supplicato per averlo.

Gli sorrisi falsamente e tornai dentro casa.

Questa volta fu lui ad afferrarmi da dietro, per tirarmi indietro e baciarmi. Fu inaspettatamente bello. Mi strinse a lui, infilando la lingua tra le mie labbra semiaperte. Risposi stringendomi a lui.

Gli morsi il labbro inferiore, facendolo sussultare, per poi succhiarlo intensamente. Lo sentii irrigidirsi, per poi spingersi contro di me.

Be', era facile allora.

- Hai la macchina? - gli chiesi. Annuì, febbricitante, mentre abbassavo le mani dal suo petto ai suoi addominali. - Bene. Andiamo?

***

A poca distanza dal parcheggio del comprensorio dove si stava svolgendo la festa, io e Hugo ci eravamo fermati e lui aveva abbassato lo schienale del suo sedile.

Non era tra i miei posti preferiti, la macchina. Ma non avevamo molta altra scelta.

Hugo si muoveva sotto di me, insofferente, mentre la mia bocca era intenta a farlo soffrire ulteriormente, mentre mordicchiavo e succhiavo la pelle del collo già un po' madida di sudore. Aveva un buon profumo ed il corpo possente di chi si faceva in quattro in palestra.

Come al solito, ero capitata proprio bene. Gli tolsi la maglietta, per esplorare meglio i suoi bellissimi muscoli. Buttò la testa indietro, quando la mia mano destra si infilò dentro i suoi boxer. Sorrisi quando lo sentii sussultare.

Non aveva bisogno di altro incoraggiamento.

Mi alzò la gonna di jeans grigia e mi portò vicino a lui. Lo fermai. - Il preservativo? - gli chiesi.

Si fermò, per un attimo. Mi guardò, un po' sorpreso che avessi la lucidità mentale che evidentemente lui non aveva più da un pezzo. Ma col cazzo che mi sarei fatta venire delle malattie sessualmente trasmettibili per un giocatore di calcio del campus.

Afferrò il portafogli ed estrasse il preservativo. Gli sorrisi e lo baciai profondamente, mentre lo aiutavo. Lo strinsi un po' e lo sentii mugolare.

Senza troppe cerimonie, mi scostai gli slip e lo accolsi. Mi fermai un attimo, leggermente scomoda, e appoggiai le mani sulle sue possenti spalle.

- Oh, cazzo... - commentò il riccio.

Iniziai a muovermi, sopra di lui, mentre trovavo una posizione più comoda.

No, decisamente la macchina non era tra i miei posti preferiti.

Mi mossi lentamente, sentendo il mio piacere crescere alla stessa lentezza. Volevo prendermela con comodo, senza troppa fretta, nonostante fossimo in un posto così esposto.

- Ti prego... - sussurrò lui. - Dobbiamo sbrigarci.

- Perché mai? - chiesi io, leccandogli il lobo dell'orecchio.

Fremette. - Potrebbero vederci.

Ridacchiai. - L'hai mai fatto?

Lo feci uscire ed entrare nuovamente. Sussultò. - Che cosa? - chiese, stringendomi i fianchi.

- Con altra gente presente.

- No... - sussurrò, portando le mani suoi miei seni.

- È molto eccitante - mormorai, strusciandomi contro di lui. Sentii una scarica, proprio mentre lui ne approfittava per succhiarmi un capezzolo ormai libero dal reggiseno.

Gemetti ed aumentai leggermente il ritmo. Sentii le sue cosce irrigidirsi.

No. Troppo presto.

Mi allontanai leggermente, riprendendo il controllo, mentre iniziava a capire quello che mi piaceva di più. Insinuò una mano tra noi, e l'altra si fermò sul mio seno.

Lo baciai intensamente, muovendomi con sicurezza su di lui. Gli tirai i capelli, portando le labbra sul suo collo, mordendolo e succhiandolo.

Aumentammo il ritmo, muovendoci insieme, ma il suo modo di mugolare mi dava leggermente fastidio, portandomi sempre un po' lontano da quello che era il mio piacere.

Eppure solitamente mi piaceva sentirli.

Strano.

Lo lasciai prendere il controllo, quindi mise le mani sui miei fianchi e mi guidò, aumentando la velocità. Mi mossi con più convinzione, e gli portai la mano sul mio seno, richiedendo attenzioni che mi diede. Alzai gli occhi su di lui e lo vidi perso nel momento, nel suo piacere.

Era bello, con le labbra piene semichiuse, le guance rosse dall'eccitazione, gli occhi chiari persi ed i capelli ricci e selvaggi. Sgranò gli occhi e si irrigidì, per poi mormorare un: - Oh, cazzo...

Gli tappai la bocca e mi mossi velocemente, per poi sentire i brividi attraversarmi la spina dorsale e scoppiare. Hugo buttò la testa indietro e venne, poco dopo di me.

***

Tornai alla festa, senza più rivolgere la parola a Hugo.

Mi affiancai a D, la quale si girò verso di me e disse: - Dov'eri finita? Ti ho cercata ovunque. Pensavo te ne fossi andata senza salutare.

- Ero uscita per una boccata d'aria - mentii. D non era la tipa che giudicava, ma non mi piaceva mai raccontarle queste cose, un po' perché era mia sorella e un po' perché l'unica volta che aveva tentato di avere una botta e via era finita per averci qualcosa di significativo. Il soggetto in questione, tra parentesi, era sempre Justin.

- Una boccata d'aria di più di quaranta minuti - rispose D, lanciandomi un'occhiata, con un sorrisino. - Doveva proprio essere asfissiante questo luogo.

Ricambiai il sorriso. - Molto.

Non fece altre domande. Mia sorella sapeva sempre quando non era il caso indagare ulteriormente, semplicemente perché l'altra persona non ne voleva parlare. Il fatto era che non c'era niente da dire, perché non era successo niente di significativo. Mi sarei dimenticata di Hugo, esattamente come avevo fatto con gli altri prima di lui.

Non ero alla ricerca di niente di memorabile.

Solamente distrazioni.

Da quella che era la mia vita.

Ryan si avvicinò a noi e mi diede un bacio sulla tempia, stringendomi leggermente a lui. - Ci sei mancata queste settimane - se ne uscì. - Prossima volta veniamo noi a trovarti.

Annuii, non troppo interessata. C'era poco da scoprire sulla mia vita a casa.

- Come va... emh... - iniziò mia sorella. Lanciò un'occhiata a Ryan e continuò: - Come va con quel ragazzo che ha distrutto la macchina di Aaron?

Digrignai i denti e mia sorella alzò le sopracciglia, interessata. - Non sono ancora riuscita a fargli vuotare il sacco.

- Mai pensato che potrebbe non essere stato lui? - propose Ryan.

Sbuffai. - Non può essere stato nessun altro - ringhiai. Ed era vero. Nessuno in quel patetico giro di macchine si muoveva senza Moore e l'unico che poteva essere contrario alla presenza di Aaron poteva essere solamente Moore, dato che gli altri tendevano semplicemente a perdere in presenza del deficiente.

- Fossi in te, non ne sarei tanto sicura - tentò nuovamente D.

- Perché non conosci il giro in cui si è cacciato Aaron - borbottai. - Fidati, forse non l'ha fatto direttamente, forse ha utilizzato qualcun altro, ma è opera sua.

D strinse le labbra, affatto convinta. - Stai attenta, ok?

- A cosa? - le chiesi, confusa.

- Solo... stai attenta - ripeté. - Non voglio che ti faccia male.

Ridacchiai. - Sei la sorellina minore, dovrei essere io a dirti queste cose - la presi in giro.

- Penso che D sia più matura di te e Dan messi insieme - stette al gioco Ryan. Lo osservai darmi una spallata, con un sorrisino. Mi ricordai di quando, alcuni anni fa, esattamente come mia sorella D, anche io provavo qualcosa per il migliore amico di nostro fratello. Al contrario di D, però, la mia era stata veramente solamente una cotta passeggera, dovuta alla presenza costante di Ryan nella nostra vita.

- Ecco perché si è innamorata di te allora - lo presi in giro. - Perché è noiosa quasi quanto te.

Ryan buttò la testa indietro e rise di gusto. Ma da una parte lo pensavo veramente: quei due andavano d'accordo perché avevano un senso del dovere e di controllo al di fuori di ogni aspettativa. A volte, mi chiedevo veramente se fossero una di quelle coppie che prima di scopare si mettevano a piegare i vestiti. - Forse hai ragione - disse Ryan.

- No, che non ha ragione! - esclamò D, indignata. - Io e Ryan non siamo noiosi!

- Fate la vita di due quarantenni - borbottai. - Vi siete mai chiesti che cosa farete quando avrete realmente quarant'anni?

Mia sorella non sembrò stare al gioco, al contrario di Ryan. Anzi, D alzò il mento, sulla difensiva, e sgranò gli occhi, come faceva ogni volta che veniva ferita.

- Probabilmente saremo già in pensione - rispose Ryan.

D si mordicchiò il labbro, sovrappensiero.

- I vostri bambini saranno ancora più noiosi di voi, entreranno in pensione al secondo anno di vita - continuai. Ryan ridacchiò, ma mia sorella diventò bianca come un lenzuolo.

Sorrisi, soddisfatta.

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