Capitolo 1: Missione verità

Di poche cose ero sempre stata sicura, una di quelle era sicuramente il mio amore per le moto. Per questo, non appena avevo avuto modo, mi ero trovata un lavoro per mettere da parte abbastanza soldi per poter acquistare la mia prima bambola a due ruote: una Ducati Diavel V4 nera.

Proprio con quella rara bellezza arrivai al campus, pronta ad iniziare un altro anno. Mi tolsi il casco, liberando la cascata di capelli castano scuro. Tutti mi conoscevano e sapevano benissimo che non dovevano esagerare coi commenti, dopotutto ero pur sempre la sorella di Dan.

Mi ricordai di doverlo raggiungere proprio la sera successiva, per una delle sue terribili feste.

Un rombo mi fece girare il viso, con ancora il casco in mano. Quel moccioso aveva una maledettissima macchina d'epoca, con tanto di quello che doveva essere un motore nuovo di zecca. Feci una smorfia disgustata, quando si parcheggiò proprio accanto a me.

- Dayna, buongiorno! - esclamò, come tutte le volte. Era un incubo da cui non riuscivo proprio a svegliarmi. - Dormito bene?

- Molto bene - replicai, prima di avvicinarmi all'entrata.

Mi raggiunse. - Perché non mi spieghi che cosa ha combinato Caleb? Il calcio che gli hai rifilato ieri mi è sembrato...

- Fatti i cazzi tuoi, Moore - ringhiai.

- Sono sinceramente offeso - ribatté. - Non per quello che hai appena detto, ma per il fatto che mi hai evidentemente scambiato per lui.

Continuai a camminare, entrando dentro il campus, cercai di chiudergli la porta in faccia, senza riuscirci. - Ti piacerebbe, Moore.

- No, non mi piacerebbe affatto essere scambiato per quel... coso - replicò, guardando Caleb, poco distante da noi, con un'espressione schifata. - Sai bene che è la mia brutta copia.

- Potrei pensare il contrario - azzardai.

Rise di gusto. - Ti piace pensarlo - mi disse, entrando in aula insieme a me. - Semplicemente perché sai di non potermi avere.

Alzai gli occhi al cielo. - Moore, tesoro... - mormorai, girandomi verso di lui. Feci un passo in avanti, invadendo il suo spazio. Strinse gli occhi neri, diffidente. - Mi stai seguendo da quando siamo arrivati e ieri ti sei preso un cazzotto dalla sottoscritta senza fare troppi problemi. - Gli sorrisi maliziosamente. - Se c'è qualcuno che può averti, quella sono io.

- Ne sei così convinta, tesoro? - mi chiese.

- Al cento percento - risposi.

Alzò solamente l'angolo destro delle labbra, in un sorrisino emblematico. - Dolce, molto dolce - commentò. I suoi occhi mi guardarono quasi con pena, studiando il mio viso. Alzò lentamente la mano e notai immediatamente l'anello all'indice. Mi portò indietro una ciocca di capelli, quindi mi scostai immediatamente dal suo tocco. Il suo sorriso si fece più accentuato, come se la mia intolleranza gli provocasse piacere. - Buona lezione, Dayna.

Ringhiai come un cane. - Sparisci, Moore.

- Gabriel, per le mie conquiste - disse, prima di sparire dietro tutti i banchi, prendendo posto all'ultima fila.

- Fottiti, Moore! - esclamai.

Lo sentii ridere di gusto.

Gabriel Moore era la persona più insopportabile del pianeta e aveva deciso di rendere la mia vita un incubo. Da almeno un anno ormai.

Tutto era iniziato quando, una sera, io ed il mio gruppo di amici decidemmo di raggiungere una festa in mezzo al nulla, che a quanto pareva si occupava anche di qualche gara clandestina. Io non guidavo auto, mi limitavo a montare sulla mia moto, ma il mio amico Aaron sì, e guidava anche piuttosto bene.

Per questo, aveva quasi stracciato Moore.

Era stato proprio Aaron a vincere, quella sera, e ad entrare in quel giro non proprio bello.

Io non ero mai stata una fan delle gare, men che meno dei pazzoidi che si andavano a schiantare pur di avere un po' di adrenalina in più. Per questo avevo sempre cercato di dissuadere il mio amico a continuare su quella strada, ma Aaron era sempre stato più cocciuto di me ed ancora non ero riuscita nel mio intento.

Comunque, il giorno dopo la gara, la macchina di Aaron era stata danneggiata. Non poteva essere stata una coincidenza, pertanto io ed Aaron eravamo andati da Moore per... be', non esattamente con buone intenzioni, ma la sua risposta era stata una semplice risata.

Moore rideva.

Nella vita, non faceva altro.

Non prendeva niente sul serio, neanche un danno di 3.000 dollari.

Se fossi stata una cattiva persona, probabilmente avrei messo fuori gioco il suo motore nuovo di zecca, ma... era pur sempre un peccato rovinare un gioiello del genere. Ed avevo sempre amato le belle cose, subito dopo i bei ragazzi.

E sì, sicuramente Moore faceva parte di quella categoria, coi suoi capelli scuri, gli occhi tendenti a quello che sembrava a volte il grigio ed altre volte il nero, il naso leggermente pronunciato, gli zigomi alti e la mascella squadrata. Per non parlare delle labbra carnose sempre tirate in un sorrisino spocchioso.

Nonostante questo, tutte le volte che vedevo la sua faccia perfetta mi venivano in mente solo tutti i soldi che Aaron aveva dovuto mettere di tasca propria, per risolvere un danno che poteva essere evitato tranquillamente.

In fin dei conti, non mi dispiaceva affatto averlo scambiato per quel cretino di Caleb.

Si meritava quel cazzotto.

E molti altri.

Girai il viso, in aula, e lo beccai a scarabocchiare sul suo quaderno, con quel suo solito sorrisino arrogante. Strinsi i denti e sentii l'odio caricare le mie vene. Probabilmente nemmeno stava ascoltando la lezione.

Diedi una gomitata ad Aaron e gli sussurrai: - Possibile che ancora non abbia trovato il modo per incolpare quell'imbecille di Moore?

Aaron scosse la testa. - Il coglione è stato furbo, ha distrutto la mia macchina proprio in un posto senza telecamere - ringhiò. - Ma stasera gliela farò vedere.

Alzai gli occhi al cielo. - Non è così che gliela faremo pagare - borbottai.

- Hai un'idea migliore? - chiese.

Sospirai a tornai a guardarlo. Questa volta si accorse di me ed alzò gli occhi grigi su di me. Il suo sorrisino si fece più ampio. Scrisse qualcosa sul foglio, continuando a fissarmi, e poi alzò il quaderno verso di me. C'era scritto: "Chi è che può avere chi?".

Mostrai i denti, furiosa, e questo gli fece spuntare addirittura la fossetta.

- In realtà, sì - replicai, a bassa voce.

Aaron ridacchiò scuotendo la testa. - Già ti ho capito - replicò. - E la mia risposta è: no. Non useremo il suo debole nei tuoi confronti per fargliela pagare.

- Perché no? - chiesi sorridendo maliziosamente. - Pensaci. Potrei farlo parlare e poi spaccargli il cuoricino.

- Non mi piace - borbottò. - Non ho intenzione di vederti vicino a lui solo perché mi ha distrutto la macchina. - Fece una smorfia disgustata. - Potrebbe addirittura volerti portare a letto. Che cosa faresti, a quel punto?

Feci spallucce. - Non è così brutto da farmi dire di no - risposi tranquillamente. - Sarebbe solamente l'ennesimo deficiente dal fisico perfetto.

Scosse la testa. - Non mi piace.

Non risposi. Tornai a guardare il mio nemico e lui se ne accorse subito, alzò lo sguardo dal suo quaderno, con la penna in mano, ed inclinò il viso verso destra. Mimai con le labbra "fottiti, Moore".

Ridacchiò, scuotendo la testa, per poi tornare a scrivere appunti.

Guardai la professoressa, rendendomi conto di essere stata così distratta da Moore da non aver ascoltato una singola parola.

Avrei ucciso Moore.

Avrei ridotto il suo cuore in poltiglia.

E l'avrei obbligato a raccontare la verità sulla macchina di Aaron.

***

Non ero solita andare alle corse, ma sapevo benissimo il programma: prima corse e poi dritti al locale notturno, che distava pochi chilometri da dove decidevano di correre per fare una battaglia a dir poco inutile, probabilmente perché avevano tutti problemi di autostima.

Per questo, indossai un vestitino nero stretto, che metteva in risalto le curve, e degli stivali alti. Era quasi finita l'estate, ma c'era ancora il tipico caldo dell'estate.

Con la macchina della mia amica Jazzy ci recammo al locale, aspettando Aaron e gli altri... o meglio, l'altro: Moore. Neanche Jazzy, che conosceva a malapena Aaron, era molto convinta del mio piano, ma non mi feci scoraggiare.

Mi diressi verso il bancone, per prendere un drink a me ed alla mia amica, che già si stava dando da fare in pista. Mi tolsi i capelli da davanti al viso e sorrisi al barman, dopo dieci minuti di fila. Per un attimo, lo vidi fissarmi intensamente, poi capì che avevo richiesto due drink e si mise all'opera.

Alcune ragazze mi osservarono. Ero sicuramente tra le più alte del locale, ma sapevo anche che molte di loro mi guardavano male per la mia reputazione. Probabilmente avevo fregato loro un ragazzo, ma tendenzialmente mi limitavo a farmi solo quelli single.

Caleb, invece, si era reputato addirittura fidanzato: da poche settimane, infatti, si era messo insieme ad una ragazza più piccola, che non sapeva della mia esistenza. Per questo gli avevo rifilato un calcio. Non avevo mai voluto l'esclusività, ma non mi andava bene essere l'amante, men che meno essere vittima di una presa in giro da un soggetto del genere.

Caleb era sempre stato bravo a letto, ma non era mai stato in grado di darmi altro. Stupido come pochi, Caleb tendeva a stare in silenzio per la maggior parte del tempo, e le rare volte che apriva quella bocca invitante era solo per dire frasi come "oh, bro, che spasso" oppure "non ci posso credere, bro". Era uno strazio sentirlo parlare, per questo cercavo di farlo parlare il meno possibile.

Insomma, vero amore.

Lo intravidi proprio quella sera, ma dopotutto non era nemmeno una novità. Purtroppo, io e Caleb avevamo gli stessi giri. Il ché voleva dire, forse, che ero stupida quanto lui.

Mi girai verso la mia amica e le passai il drink. Alzò il bicchiere per poi muovere energicamente i fianchi con un sorrisino. Coi suoi capelli neri corti e gli occhi verdi smeraldo aveva una lunga fila di ammiratori, eppure lei non sembrava interessata a nessuno di loro.

Infatti, appena un ragazzo provò ad avvicinarsi, posandole le mani sui fianchi, lei lo spinse malamente via ed urlò: - Sono fidanzata!

Ma non era fidanzata.

Non l'avevo mai vista con nessuno in due anni di amicizia.

Non che fosse un problema per me. Ero semplicemente curiosa e forse un po' preoccupata.

Al terzo drink, finalmente arrivarono anche Aaron e gli altri. Dall'espressione del mio amico, potei capire che l'esito non era stato quello sperato. Infatti, d'altro canto, quel coglione di Moore entrò nel locale con una mandria di maiali, intenti ad urlare, eccitati come dei bambini delle elementari.

Quella sera aveva vinto Gabriel Moore.

Ed il mio amico aveva bisogno di supporto. Per questo, appena si avvicinò, alzai la mano per farmi notare. Non si limitò a raggiungermi, bensì afferrò il mio bicchiere e tracannò il mio drink.

- Oh! - esclamai. - Va bene!

- Scusami, ma quello stronzo di Moore mi ha fatto proprio incazzare stasera - ringhiò ad alta voce.

- Ti ricordi di Jazzy? L'hai già vista, una o due volte - me ne uscii io.

- Oh, sì - replicò lui, puntando gli occhi celesti sulla mia amica. Si mordicchiò il labbro inferiore, avvampando. - Ciao, come stai?

- Tutto bene, grazie! - esclamò la mia amica, continuando a ballare.

- Vi lascio un attimo da soli - replicai, prima di sparire nella calca.

Tornai dal mio barman preferito per chiedergli l'ennesimo drink, quando Caleb si affrettò a raggiungermi. Mi pagò il drink ed iniziò a parlare. Per la prima volta, lo sentii dire una frase intera senza "bro" in mezzo. - Mi dispiace, Violet. Avrei dovuto dirtelo, hai ragione. Ma mi sono infilato in questa relazione con quella ragazza solamente perché ero confuso e...

- Sei stupido, Caleb - dissi. - Per questo sei sempre confuso. È normale per te.

Non sembrò capire l'insulto. - Ma l'ho lasciata, non appena ho visto il dolore sul tuo bellissimo viso.

Sbottai a ridere. Aveva appena detto dolore? Dovevo aver sentito male. Per forza. Perché poche sere prima gli avevo tirato un calcio in mezzo alle gambe, e lui mi stava parlando di dolore? Mio?

- Non fare così - borbottò. - Se non fosse stato per i miei bro, probabilmente non avrei mai fatto una cosa del genere. Ma sai come sono fatto: mi faccio prendere dal momento e quella ragazza era davvero gentile.

Sbuffai.

Presi il drink ed andai a prendere una boccata d'aria fresca, nella speranza di sbarazzarmi di Caleb. Era il primo ragazzo con cui mi frequentavo per così tanti mesi, ma mi sembrava di essere stata chiara sulla motivazione. Non è che facessimo molte cose interessanti insieme.

Arrivata all'uscita, Caleb mi raggiunse. Roteai gli occhi, spazientita. Quindi mi avvicinai ad una macchina parcheggiata là davanti e mi appoggiai.

All'entrata, riconobbi immediatamente Moore. Stava ridendo. Come al solito.

Portò il suo drink alle labbra, mentre i suoi occhi trovavano i miei.

- Ti prego, ascoltami! - esclamò Caleb, ormai davanti a me.

Sospirai. - Caleb, ascoltami - mormorai. - Non so che cosa tu ti sia messo in testa, ma sono sempre stata chiara: non voglio una relazione con te. Non mi piaci. Sei un ragazzo attraente, sicuramente sei bravo al letto, ma di certo sapere dell'altra ragazza non mi ha addolorato.

- E allora perché quel calcio?

Feci spallucce. - Perché sei un coglione - risposi tranquillamente. - Non dovresti approfittare della bontà delle ragazzine. Ed io, mio caro, non mi faccio prendere per il culo da un coglione.

Aggrottò la fronte. - Mi sembri piuttosto gelosa.

Alzai le sopracciglia, scioccata. - Gelosa? - risi. - Tesoro, se vuoi, puoi andare anche con la prima che capita. A me non interessa. Pensavo di essere stata chiara. Semplicemente non faccio l'amante.

- Mi sembri gelosa, Violet.

A me sembrava più stupido del solito.

Tuttavia, Moore ancora mi stava osservando, con un sorrisino divertito. Per questo, afferrai Caleb per la maglietta e lo portai a me, giusto in tempo per catturare le sue labbra con le mie. Per un attimo lo sentii irrigidirsi, poi quando lo obbligai ad aprire le labbra per accogliermi si lasciò totalmente andare. Mi afferrò malamente i glutei, stringendomi a lui. Portò le sue labbra lungo il mio mento, poi il collo... Aprii gli occhi, annoiata, e caddi miseramente dentro quelli di Moore.

Il mio cuore ebbe un sussulto.

Il suo sguardo era attento, sembrava studiare minuziosamente ogni singolo movimento dei nostri corpi. Senza vergogna. Bevve lentamente il suo drink, notai il suo pomo d'Adamo muoversi su e giù ed una goccia calare oltre le labbra. La catturò con la lingua, senza staccarci gli occhi di dosso.

Maledizione, qualcosa non andava.

Perché avevo bisogno di portarmi Caleb dentro una macchina.

In quel preciso istante, notai un ragazzo di nome Harry, con cui ero stata almeno un anno prima, avvicinarsi a noi, senza darci molta importanza.

Allontanai Caleb, il quale fece un rumore strozzato. Sorrisi ad Harry. - Ciao, Harry - lo salutai. Il ragazzo dai capelli neri mi osservò, un po' confuso. Poi abbassò lo sguardo verso il mio vestitino e si fermò proprio davanti a noi. Sorrisi ancora di più, sotto gli occhi scioccati di Caleb.

- Sei sempre splendida - mormorò Harry, senza fare molto caso a Caleb.

- Grazie- replicai, prima di attirare anche lui e baciarlo, con Caleb a pochi centimetri di distanza ed il mio corpo ancora appoggiato alla macchina.

- Che cazzo?! - tuonò Caleb. - Dayna!

Trattenni una risata e mi allontanai da Harry. Come ricordavo, non era il massimo della passione. Ma era servito al mio scopo. Gli sorrisi un'ultima volta e poi mi girai verso Caleb, che era così arrabbiato da essere immobile come una statua. - Ti è bastata come spiegazione? - gli chiesi, incrociando le braccia. - Non mi piaci. Leggi il labiale: non mi piaci. Non mi piacerai mai. Ti uso solo per il sesso.

Caleb mormorò qualcosa e poi se ne andò, troppo arrabbiato per parlare.

Feci una smorfia disgustata e poi mi pulii le labbra con la mano destra. Ma almeno avevo finito. Il mio intento era quello di far capire una volta per tutte a Caleb come stavano le cose e dare un input anche a Moore, che non ci aveva mai staccato gli occhi di dosso.

Quando gli passai accanto, mi limitai a dire: - La prossima volta, portati i popcorn.

- Il mio drink ha proprio il sapore dei popcorn - replicò Moore, con un sorrisino. Mi porse il bicchiere di plastica. - Vuoi sentire?

- No.

Schioccò la lingua sul palato. - Non sai che cosa ti perdi.

Aggrottai la fronte, piuttosto confusa. Avevo appena baciato due ragazzi davanti a lui e mi stava parlando di drink popcorn?

Mi ripresi, spostando dietro la schiena i lunghi capelli castani. Feci per entrare, quando lo sentii dire: - Tutto quel teatrino, per che cosa comunque?

Girai nuovamente il viso verso di lui. Coi tacchi, quasi riuscivo ad arrivare alla sua stessa altezza. Quasi. - Quale teatrino?

- Quello di te che baci un ragazzo che evidentemente non ti piace ed un altro che ti piace ancora di meno - replicò, indicando la macchina dove ero appoggiata poco prima.

Ridacchiai. - Che cosa vuoi saperne di quello che mi piace?

Girò il liquido dentro il bicchiere con un movimento della mano. - Hai attirato Caleb come se fosse un pezzo di carne, solo perché ti diverte vedere come reagisce il suo corpo al tuo. E, diciamocelo, anche perché volevi farmi ingelosire. L'altro ragazzo è stata un'opportunità sprecata. Comunque, quel poveraccio ti attraeva ancora di meno. La tua espressione finale è stata solo l'ennesima conferma.

Gli sorrisi maliziosamente. - Per uno che non è affatto interessato a me, hai notato tante cose.

Ridacchiò e bevve un sorso, solo per poi avvicinarsi a me. Senza accorgermene, trattenni il respiro. Abbassò il mento, per guardarmi negli occhi. Quella sera sembravano più neri che grigi. - Se mi vuoi, tesoro, devi solo chiedere. Quelle scene a me scaturiscono solo puro divertimento.

Strinsi gli occhi, rabbiosa. - Quello che voglio da te... - ringhiai, posando l'indice contro il suo ampio petto, - è averti il più lontano possibile da me e da Aaron.

Guardò con divertimento la mia unghia laccata di rosso sul suo petto. - Che cos'è? Una minaccia?

- Un avvertimento - ringhiai. - Stai lontano da me e dal mio amico.

- Il tuo caro Aaron si è infilato nelle mie corse, e quello che dovrebbe stare lontano sono io? - rise. Si mise indietro i capelli scuri, facendo guizzare il bicipite. - Casomai, è il tuo amico che deve iniziare a prendere le distanze.

- Quello che non ti va giù, è avere un buon avversario - replicai, furiosa. - Quel posto non è tuo.

- Oh, su questo hai ragione! - esclamò sfoggiando un sorriso pericoloso, con tanto di fossetta. - Il tuo amichetto è veramente un ottimo avversario. Mi diverto molto con lui.

- Non è un giocattolo!

- Hai ragione, tesoro. A volte me lo dimentico - rispose, avvicinando ulteriormente il viso al mio. - A proposito, ho saputo che ha dovuto spendere molti soldi per rimettere a nuovo la sua macchina.

Per un attimo vidi nero.

Bastardo.

Ringhiai come un cane e lo vidi buttare la testa indietro solo per sbottare a ridere. Lo spinsi malamente. Fece alcuni passi indietro. - Sei un fottuto bastardo! - tuonai. - Dovresti vergognarti! Schifoso, pezzo di merd-

- Wow! - esclamò lui, continuando a ridere. - Calma, tigre. Che cosa c'è, non posso ridere?

- Non quando si tratta di Aaron! - urlai.

- Quanto sei protettiva, tigre - mi prese in giro.

- Tu sai chi è stato! - lo incolpai. - Dovresti vergognarti!

- Certo che lo so - confermò, calmo. - Pensi che sia così impreparato? Per questo il tuo amichetto non dovrebbe entrare in quel giro: è evidente la sua impreparazione.

- Ti ha battuto!

Alzò gli occhi al cielo. - Solo una volta.

- Lo farà ancora.

Mi sorrise maliziosamente. - Mi piace vederlo provare.

Alzai il pugno, pronta a dargliene di santa ragione. Ma questa volta riuscì a parare il mio pugno, afferrandolo con la mano. Osservai il mio pugno chiuso nella sua mano con delusione. Non pensavo che la mia mano potesse essere così piccola rispetto alla sua. Mi fece abbassare il pugno con decisione. La pressione che stavo mettendo per riuscire a combattere la sua forza mi diede scariche di dolore lungo tutto il braccio.

- Una volta va bene - disse Moore a bassa voce, inchiodandomi coi suoi occhi scuri. - Ma due volte mi sembra un po' esagerato.

Trattenni un gemito di dolore, ma non mi arresi. Continuai ad oppormi alla sua forza, eppure... quando capii che da lì a poco non avrei più avuto la minima forza per oppormi, dissi: - Che ne dici della terza? - Così vicino a lui, fu facilissimo alzare il ginocchio, per sferrargli una ginocchiata proprio in mezzo alle gambe.

Lo vidi strabuzzare gli occhi e la sua presa sul mio pugno si sganciò immediatamente. Trasalì e subito dopo fece alcuni passi indietro, sofferente. - Porca puttana... - mormorò, la voce ridotta al nulla. - Dayna...

Sorrisi, soddisfatta. - Dì ciao ciao alle tue palle, Moore - annunciai, prima di girarmi e tornare dentro il locale a godermi il resto della serata.

Trovai Jazzy, vicino l'entrata, scosse la testa ripetutamente. - Sei proprio uguale a Daniel.

Lo ero davvero.

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