capitolo dodici⚘
Norha🩰
Avevo quattordici anni, quando scoprì di essere incinta, quattro mesi dopo avrei compiuto quindici anni, come molti dicevano compreso Thomas, il mio ragazzo dell'epoca, ero piccola, a quell'età si dovrebbe ancora giocare con le bambole, fantasticare sul futuro, arrabbiarsi per un rossetto della mac edizione speciale, non trovato, è non pensare a come crescere un bambino se ancora tu stessa non sei cresciuta, no, se ancora hai molto da imparare dalla vita.
Invece io ero lì in quella farmacia per prendere un test di gravidanza, da sola. Non avevo avuto un ritardo, ma è vero quando si dice, che una donna certe cose le sente, infatti io mi sentivo diversa, sentivo che qualcosa dentro di me stava cambiando, dentro di me lo sapevo, ne ero certa.
Anche per questo, quando vidi due lineette comparire sul test, non fu sorpresa, i miei dubbi si stavano concretizzando, mi rimaneva solo la paura, non sapevo cosa fare, arrivò subito dopo però, la decisione di prendermi le mie responsabilità, l'avrei tenuto.
Sapevo benissimo a cosa sarei andata incontro, o forse col senno di poi, avendo vissuto tutto, non sapevo davvero, le conseguenze le avrei dovute affrontare tutte dopo. Aspettai solo due giorni, prima di raccontarlo a Thomas, pensavo che non sarebbe stato felice, almeno non subito, ma, mai mi sarei aspettata che scappasse, che non si prendesse le sue responsabilità, le cose si fanno in due, e di certo non mi sono ingravidata da sola.
Quando mi disse che di questa mia scelta, quella di portare la gravidanza avanti, non ne voleva fare parte, pensai che fosse la rabbia del momento, il panico gli si leggeva negli occhi, quella sensazione, mi fece pensare che mi avrebbe chiesto scusa, che sarebbe tornato da me, da noi. Per tutto il tragitto a piedi, quando mi cacciò dalla sua auto, pensai che avrebbe girato, che mi avrebbe raggiunto, abbracciata e rassicurata, anche io avevo paura. Ogni auto che si avvicina, pensavo fosse lui.
Dirlo alla mia famiglia, era il tasto più dolente, anche lì non andò bene, mio padre non ne fu felice, come giusto che sia. Passarono giorni, settimane, la speranza che mi chiamasse c'era sempre, tutte le volte che mi arrivava un messaggio, o che suonavano alla porta speravo sempre fosse lui, non mento che per tutta la gravidanza, speravo si facesse vivo, gli avevo lasciato tutto il tempo, per abituarsi alla situazione. L'ultima volta che ci sperai fu il giorno che nacque Jordan.
Anche lì sarei stata disposta a perdonarlo, anche se non lo meritava, ma niente, nè un messaggio, nè una chiamata, non riuscivo a capire, anche io ero nel panico, ma c'ero, ero lì per mio figlio, anima e corpo. Ora ripensandoci, sono felice che lui non ci fosse, perché non meritava di vivere quella gioia, il primo pianto di Jordan, la sua prima espressione, il suo primo sguardo al mondo, l'ho vissuto e visto solo io, e queste cose le custodisco gelosamente nel mio cuore.
Ormai mi ero abituata all'idea, che mio figlio non avrebbe avuto un vero padre, sono stata io sua madre e suo padre, lo sto crescendo io, io mi sono presa carico dei suoi mali, dei suoi brutti sogni, di non fargli mancare niente, di farlo sentire amato per entrambi, ho messo la mia carriera in secondo piano, e di questo non me ne pento, non c'è stato un giorno, in cui mi sia pentita.
Del resto tutti hanno dei giorni no, io non ne sono esonerata, sì, ho pianto di notte per la stanchezza, perché non ho mai chiesto aiuto a nessuno, ho pianto per paura di non essere in grado di essere una buona madre, ho pianto quando si è fatto male per la prima volta, siamo io e lui contro il mondo, insomma mai mi sarei aspettata, che chiamando quel numero, fosse lui.
Sta parlando da dieci minuti, e io non riesco a dire nulla.
Finalmente riesco a proferire parola.
"Perché?" È solo quello riesco a dire.
Sento un gran respiro provenire dall'altro capo del telefono.
"Lo so che sei arrabbiata, che mi odi, ma voglio conoscere mio figlio."
"Tuo figlio?" Urlo, senza nemmeno pensare a cosa dire.
"Tu, non hai il diritto, ti presenti dopo tre anni, e pretendi di conoscere mio figlio, MIO FIGLIO." Enfatizzo su l'ultima parola, arrabbiata e fuori di me, scoppio a piangere.
"Norha, ti prego. So di non avere nessun diritto, non vengo qui con la pretesa, ma con la speranza di poter far parte della vita di Jordan, lo so, lo so che sono arrivato troppo tardi a questa conclusione, ma ci sono arrivato, voglio conoscerlo, non voglio che quando cresca abbia una brutta impressione di me, che mi ricordi come il bastardo che non l'ha voluto."
"Non puoi arrivare nella sua vita così, io non ti permetterò di fargli del male, lui non ti conosce e non lo farà mai."
Con decisione vado per staccare la chiamata, ma lui continua imperterrito a parlare.
"Ti prego, dammi una possibilità, una sola, fammelo vedere. Non devi digli che sono suo padre, non subito almeno, ma ti prego, sono stanco di vederlo solo in foto, o da lontano in disparte."
"Da lontano?" Chiedo.
"A volte, dalle foto vedevo dove eravate, vi raggiungevo di nascosto e stavo in disparte a fissarlo, ha i miei occhi, i tuoi capelli, le tue fossette, è un bambino intelligente"
"Tu non sai nulla di lui, avresti potuto sapere di più, se solo ti fossi preso il carico di essere un buon padre, ma hai scelto la strada più facile, ci hai messo tre anni a prendere una decisione, ora tocca a me, pensare se fartelo vedere o meno, è più no che si, voglio che tu lo sappia." Chiudo la chiamata, perché vedo arrivare mia mamma con in braccio Jo.
Lo prendo in braccio e lo tengo stretto, come se da un momento all'altro, qualcuno me lo potesse portare via.
I miei occhi pieni di lacrime non passano inosservati da mia madre e mio fratello che sta entrando con mio padre nella depandace, ottimo momento per fare un riunione di famiglia. Metto giù Jordan che corre a giocare, e racconto l'accaduto ai mie genitori e a Ryan.
Gli occhi di mio padre e di mio fratello si riempiono di rabbia, invece mia mamma ha un'espressione che non riesco a decifrare.
"Lui non si avvicinerà a mio nipote." Dice mio padre seguito da mio fratello.
"Mamma? Tu che ne pensi?"
Mi guarda dritta negli occhi, mi accarezza la faccia asciugandomi una lacrima, mi accenna a malapena un sorriso pieno di dolcezza.
"È una tua decisione, ma ricordati che è sempre suo padre, non abbiamo la possibilità di scegliere quello che vorremmo, so che non è quello che avresti voluto per tuo figlio, ma Jordan, ha il diritto di avere un vero padre nella sua vita, tesoro."
"Ci penserò" è l'unica cosa che riesco a dirle.
Erano venuti per un motivo preciso, mi danno un regalo, lo apro e dentro trovo, un borsone nuovo di zecca nero, con al centro il mio nome e delle scarpette rosa disegnate, è bellissimo, mi commuovo, al pensiero di mio padre e mia madre che cercano un regalo per me. Aprendolo trovo delle nuove scarpette per la danza classica, con un biglietto dentro
"Da domani realizza ogni tuo desiderio, mamma e papà."
Li ringrazio con un abbraccio, e proseguo la mia giornata da mamma.
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