capitolo 1



Era il 21 luglio.

Avevo da pochi giorni finito gli esami di maturità. I miei genitori mi avevano detto che, visti gli ottimi risultati ottenuti, potevo decidere dove andare in vacanza.

Non era uno ragazza pretenziosa, anzi.

Avevo 17 anni, occhi verdi e lunghi capelli castani che mi ricadevano fin sotto le spalle, non mi piacevo granché perché avevo qualche chiletto in più (ero alta 1.60 cm per 64 kg), ma con un dolcissimo carattere che faceva sognare chi mi stava vicino. La mia amica di sempre, Ginevra, mi ricordava spesso quant'ero speciale, ma in risposta mi limitavo ad aggrottare la fronte e a cambiare discorso.

Il pensiero del viaggio mi emozionava. Dopotutto potevo scegliere qualsiasi destinazione: Parigi, Madrid, Berlino, ma vivevo a Trapani, una bella città sul mare che d'estate pullula di turisti, e volevo starmene tranquilla, non immergermi nel caos più totale. Pensando e ripensando, mi venne in mente la nonna. Viveva sui monti della Sila, a Moccone, un paesino pieno di baite e boschi, la meta ideale dei turisti soprattutto d'inverno, per via della neve, delle piste da sci e delle montagne innevate. Ma, anche al contrario, di chi vuole riposare d'estate. Al centro del paese c'è una piccola fontana da dove sgorga l'acqua più buona e fresca del mondo, che scende direttamente dai monti.

I miei genitori stentarono a credere che la loro figlia volesse andare proprio là, ma comunque furono contenti perché almeno non ero sola ed ero sicuramente in buone mani, quindi acconsentirono a lasciarmi partire.

La partenza era programmata per il giorno 26 luglio, quindi mandai subito un messaggio a Ginevra: "Il 26 si parteeeeeee...urràààà".

La risposta non tardò ad arrivare:

-"Davveroooooooo...dove vai?"

-"Moccone, dalla nonna!!!!!!!!"

-"-.-", fu la risposta di Ginevra che non credeva come una ragazza potesse voler andare su quelle montagne perse nel nulla.

Cominciai a preparare le valigie e a metterci dentro ogni cosa. Dovevo portarmi anche qualcosa di pesante, perché là anche d'estate spesso faceva freddo. Poi iniziai a scegliere dei libri, a prendere il mio portatile, la chiavetta internet... insomma sembrava che stessi traslocando!

La sera del 25 andai a casa di Ginevra per salutarla, e la mia amica non perse occasione per rinnovare il suo appello a farmi restare lì con lei. Si inventò di tutto pur di convincermi: "andiamo al mare, alle sagre" e tanto altro, ma le dissi che volevo riposare, ne avevo bisogno. Così la mia amica fece un sospiro, e si arrese dicendomi: - Fatti sentire, manda un'email ogni tanto.

Scoppiai a ridere e le dissi: - Vedi che lì funziona sia internet che il telefono, non vado mica nel deserto!

Scoppiammo a ridere entrambe, salutandoci con la promessa di sentirci spesso.

Arrivò il giorno della partenza, la sveglia suonò alle 5, feci una doccia veloce e insieme ai miei genitori iniziai a caricare i bagagli in macchina.

Arrivati all'autostazione, aspettammo il pullman che ci avrebbe portati a Palermo. Dopo un viaggio di circa due ore, alle 8.30, ero già alla stazione. Aspettai l'orario della partenza facendo colazione e leggendo qualche giornale. Quando il treno arrivò, un ragazzo molto gentile mi aiutò a portare i bagagli sul vagone. Appena fui salita, mi andai a sedere nel posto che mi era stato assegnato. Nemmeno a farlo apposta, nel mio stesso scompartimento, mi raggiunge il ragazzo che mi aveva aiutata poco prima. Diventai un po' rossa per la vergogna perché lui mi fissava con un sorrisino, abbassai lo sguardo e mi misi le cuffiette per evitare che quel ragazzo, all'apparenza sfrontato, pensasse chissachè. Arrivati a Messina si era fatta l'ora di pranzo, così presi un panino e, proprio in quel momento, mi accorsi che il ragazzo mi stava guardando, o meglio, stava guardando il mio panino. Presi coraggio e chiesi al ragazzo se ne volesse la metà, dopotutto lui era stato gentile prima, pensai. Lui fece "no" con un cenno del capo e poi disse:

- Almeno mi hai rivolto la parola.

E sorrise, arrossii nuovamente e continuai a mangiare.

Durante la traghettata il ragazzo scese dal treno, devo ammettere che la presenza di quel ragazzo mi metteva sicurezza, pensai. Stavamo per arrivare ed eccolo che era tornato al suo posto, mi allungò una mano con un bicchiere dicendomi:

- Non sapevo se bevevi il caffè e soprattutto se lo prendevi amaro o dolce... ho optato per portartelo amaro con la bustina dello zucchero.

- Lo prendo dolce grazie, ma non dovevi disturbarti.

Finalmente stavamo parlando, e non era così male come pensavo. Parlammo del più e del meno. Il tempo cominciò a scorrere più velocemente mentre parlavo con il mio compagno di viaggio. Nel frattempo messaggiavo con Ginevra, che mi chiedeva se fosse carino e ogni tanto parlavo con i miei. Ad un tratto sentii la voce che annunciava che stavamo arrivando a Paola (un paese sulla costa cosentina), iniziai a prepararmi, e il ragazzo (perché non sapevo il suo nome) si offrì ancora di aiutarmi, e mentre spostava le mia valigie, mi guardò e mi disse:

- Ah comunque io sono Luca. - Dopodiché allungò una mano.

Spontaneamente gli sorrisi, allungando la mano e dissi:

- Io sono Stasy, piacere Luca, sei stato davvero tanto gentile.

Luca mi guardò e mi disse: - Spero di rivederti, io vado a Roma per lavoro.

Lo salutai e scesi dal treno. Ad aspettarmi c'era mia nonna tutta sorridente e il signor Pasquale.

Pasquale era il vicino della nonna da una vita, anche lui come nonna era rimasto vedovo e si aiutavano a vicenda. Lei rammendava qualcosa per lui e lui la accompagnava quando serviva, era un uomo all'apparenza burbero ma con un cuore buono in fondo... molto in fondo.

Per arrivare ci mettemmo due ore, il signor Pasquale non era quel che si poteva definire "veloce a guidare", ma ormai eravamo a casa.

Si era fatta ormai sera, ebbi appena il tempo di sistemare le mie cose nell'armadio e fare una doccia, cenai e poi dritta dritta filai nel mio morbido letto. Proprio morbido non era, ma dalla stanchezza avrei dormito anche su un sasso. Accesi la tv, ma giusto per tenermi compagnia e, come sospettavo, dopo poco dormivo già profondamente.

Fui svegliata dal rumore di un motore che si stava fermando, mi resi conto che la tv era ancora accesa e andai a spegnerla, poi spostai la tendina della mia finestra per guardare giù da dove provenivano i rumori. Vidi un grosso macchinone, anche se non ne distinguevo il tipo, e alcune persone che stavano scaricando i bagagli dall'auto. Strano, pensai, oltre me chi può scegliere Moccone come meta di vacanze estive? Tornata a letto la mia mente cominciò a fantasticare su chi potessero essere quei nuovi vicini.

Quella mattina mi alzai soddisfatta della dormita, quando andai in cucina trovai un biglietto della nonna vicino a dei biscotti e al pentolino del latte da scaldare, il quale recitava: "sono andata al minimarket, torno presto".

Feci un gran sorriso a pensare a come mia nonna era felice di avermi lì con lei, poi ripensai a ciò che era successo quella notte. Con la tazza del latte caldo scappai sul balcone incuriosita di riuscire a vedere qualcosa. E in effetti qualcosa vidi o meglio, qualcuno. Appena affacciata al piano di sotto, vidi la figura di un ragazzo di cui riuscivo appena a vedere la forma e il colore dei capelli, neri e lucidi. Poi sentii anche una voce femminile che lo chiamava "Riccardo". Beh sicuramente era la fidanzata perché non sembrava così grande da essere sposato.

Quando mia nonna tornò dalla spesa, le chiesi subito se avesse visto chi stesse al piano sotto al nostro. Mi disse che li aveva conosciuti la stessa mattina, e che si chiamano Elio e Lucia Rossi e che erano venuti per staccare la spina dal lavoro di avvocati che facevano a Roma.

E Riccardo? Mi chiesi.

Subito la nonna sembrò leggermi la mente e aggiunse:

- Ah con loro ci sono i due figli, Federica che ha la tua età e Riccardo di qualche anno più grande.

I figli... la mia mente sembrava uno di quei cartoni animati in cui il protagonista si sbatte un martello sulla testa per la sciocchezza che ha pensato.

Beh, almeno potevo essere amica di Federica, chissà se era simpatica e, se Ginevra fosse stata lì con me, chissà se mi avesse suggerito di diventare amica di Riccardo.

La mattina scorreva tranquilla, aiutai nonna a sistemare, pranzammo, sistemai la cucina e poi mi misi sul divano cercando di leggere un po' per far passare il tempo. All'improvviso, mentre leggevo, cominciai a sentire un rumore. All'inizio non riuscivo a capire, poi... capii: era della musica che proveniva dalla casa dei nuovi vicini.

Feci cadere il libro aperto sul mio viso e mi dissi: "se questo è riposare allora sopprimetemi!".

Quindi, visto che di leggere non era il caso, mi sistemai. Misi un paio di jeans blu, una canottiera bianca e legai i capelli in una coda di cavallo, misi le scarpe da tennis e dissi a nonna che andavo a fare un giro lì intorno. Scesi le scale di corsa e, al piano di sotto, manco a farlo apposta, mi scontrai con Riccardo che stava uscendo. Quando dico che mi scontrai, non è tanto per dire: gli andai proprio addosso come una furia. Stavo balbettando delle scuse quando lui mi disse:

- Guarda dove metti i piedi, ragazzina.

Mi guardò per un attimo con quegli occhi di ghiaccio che mi lasciarono per un attimo incantata, ma non mi fecero stare zitta, e infatti, risposi d'impulso:

- Ragazzina a me? Ha parlato l'uomo vissuto!

Lo guardai e senza dire altro continuai a scendere le scale. Vidi con la coda dell'occhio che sorrideva, forse si prendeva gioco di me.

Uscita fuori dal portone mi chiesi come poteva essermi passato per la mente che quel grezzo, antipatico e spocchioso, potesse diventare mio amico.

Misi le cuffiette nelle orecchie e mi incamminai verso il centro del paese, per poi percorrere uno dei boschetti lì vicino. Mentre camminavo ero assorta nei miei pensieri e caddi inciampando su un grosso tronco a cui non avevo fatto caso. Mentre ero seduta per terra, qualcuno davanti a me allungò la mano, non vedevo chi fosse perché il sole mi sbatteva proprio sugli occhi.

- Ragazzina, tutte le donne cadono ai miei piedi, ma da te non me lo sarei aspettato.

Appena sentii la sua voce mi venne un forte senso di nausea per il nervosismo, tolsi subito la mano dalla sua, e mi limitai a guardarlo storto.

Mi sorrise, e pensai che forse si divertiva a prendermi in giro. Con un tono di voce più dolce del solito mi chiese se mi fossi fatta male. Feci cenno di no con il capo e mi alzai da terra. Allora Riccardo mi disse:

- Vuoi che ti accompagno a casa?

Ribadii di no col capo. Tenevo lo sguardo basso perchè i suoi occhi mi mettevano in imbarazzo, erano azzurri come il ghiaccio. Poi sentii ancora la sua voce dirmi:

- Forse abbiamo iniziato col piede sbagliato, ragazzina.

Al suono di quella parola non riuscii a trattenermi più e gli urlai contro che se voleva poteva pure andarsene al diavolo, che quella stessa ragazzina non aveva bisogno di lui e che, se non l'aveva notato, lui non era molto più grande di me. Mi girai ed ero sul punto di andarmene, quando mi sentii trattenere per un braccio, mi voltai e lui mi fissava come un ebete e disse soltanto:

- Piacere io sono Riccardo, Stasy...

Come faceva a sapere il mio nome? Forse la nonna, pensai.

Per un attimo lo guardai: era di una bellezza disarmante, fisico palestrato, capelli neri e occhi color ghiaccio, una barba di pochi giorni lo rendeva ancora più affascinante, ma oltre questo sembrava uno stronzo da far paura. Non volevo dargliela vinta e così gli diedi uno strattone, lui mi lasciò subito andare il braccio e mi limitai a dirgli:

- La ragazzina se ne va, buon proseguimento.

Sentii il suo sguardo che mi seguiva fino a quando uscii dal boschetto, e poi mi diressi a casa.

Rientrata, mia nonna mi chiese se era tutto ok. Risposi di sì anche se non era vero, non amavo discutere con le persone e soprattutto con persone che non mi conoscevano. Cenai e mi misi a letto, quella sera non accesi nemmeno la tv perché pensavo a Riccardo, a come mi prendeva in giro e a come era antipatico con me. A parte averlo urtato quel pomeriggio non gli avevo fatto nulla. Boh, chissà che aveva, certo quella situazione mi dava il magone allo stomaco. Mentre pensavo, i miei occhi cominciarono a chiudersi e scivolai tra le braccia di Morfeo.

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