PROLOGO - Quindici anni prima: l'inizio risiede nella fine

Neshaavri
(Foresta Amazzonica)

2 febbraio, anno ottocentoventi, ultimo giorno dell'era cinque
(Epoca umana 2002 d.C.)

Un ciclo al sorgere del sole,

non ero ancora riuscito a prendere sonno quando la terra tremò per la prima volta sotto i nostri piedi.

Quella notte, alloggiavo in uno dei villaggi in pietra della cintura - Serkte, circa dodici chilometri a sud del Castello - ed ero in attesa di ricevere notizie dalla Kimad Naar Afir, la quale avrebbe dovuto dare alla luce un bambino nell'arco di pochi cicli.

Le pareti della casa sussultarono di nuovo, gettandomi fuori dal letto.

Mi accinsi così a uscire, ma la feroce tempesta che imperversava all'esterno scoraggiò molti ibridi come me a lasciare la propria calda abitazione.

Non sapevamo ancora di star buttando al vento quei pochi istanti di quiete che avremmo rimpianto molto presto.

...

Un ciclo e un quarto al sorgere del sole,

le scosse non accennavano a sopirsi: il terreno continuava a contorcersi e convellersi come un grande animale ferito.

Non ci volle molto perché il soffitto della casa iniziasse a cedere, trave dopo trave.

Volente o nolente, mi ritrovai improvvisamente all'esterno, nel cuore della carovana di ibridi in fuga dalle macerie delle proprie abitazioni.

Fuori, l'aria era stranamente elettrica, benché non si fosse sentito il rombo di un singolo tuono durante tutta la notte; un'impercettibile foschia argentata rischiarava i contorni degli alberi, oltre i quali si poteva scorgere l'irremovibile Castello; la pioggia scrosciante, più simile a lattescenti lacrime madreperlacee, bruciava al contatto con la pelle.

Improvvisamente la terra smise di tremare e il boato di un'esplosione mise a tacere la Foresta: l'aria fremette, si tirò e si squarciò in un atroce grido di dolore, mentre fiamme argentee invadevano il cielo sopra il Castello

In meno di un secondo, un muro d'aria si abbattè contro Serkte e calò il buio.

Neshaavri
(Foresta Amazzonica)

3 febbraio, anno uno, primo giorno dell'era sei
(Epoca umana 2002 d.C.)

Sorgere del sole,

quando ripresi i sensi, ogni cosa era stata spazzata via: le nuvole giacevano sul bordo dell'orizzonte come scure carcasse; il villaggio non esisteva più, raso al suolo dall'onda d'urto.

Io ero riverso in terra, in chissà quale angolo della Foresta, coperto di cenere da capo a piedi: intorno a me, orde di ibridi scappavano gli uni sopra gli altri in un macabro coro di pianti disperati e le grida isteriche.

Cercando di recuperare la cognizione del sopra e del sotto, mi sollevai da terra e rivolsi lo sguardo verso quel fioco barbiglio che, poco tempo prima, si poteva solo intravedere oltre gli alberi: una viva e pulsante massa di argento liquido, più luminosa e accecante del sole, bruciava le pareti del Castello.

Shui - l'essenza della pura distruzione - stava inghiottendo Neshaavri .

...

Tre cicli dopo il sorgere del sole,

di quella che era stata la più prestigiosa accademia del popolo Miksta, rimaneva solo uno scheletro fatiscente e odorante di marcio, preda degli ultimi evanescenti rimasugli del feroce incendio.

Non più un urlo, un lamento o un singhiozzo venivano rivolti al cielo.

L'aria era fredda, pesante, silenziosa.

Erano morti tutti.

Shui non aveva risparmiato nessuno; studenti, professori, la Foresta stessa... chiunque si fosse trovato lì al momento dell'esplosione era semplicemente stato cancellato, ridotto in quella medesima cenere che pioveva dal cielo.

Solo il corpo di Afir - forgiato da quella stessa distruttiva essenza - era rimasto inviolato, ma nemmeno la potente Kimad Naar aveva avuto modo di combattere.

La nostra protettrice giaceva al suolo, priva di vita, mentre ancora stringeva il cadavere del figlio tra le braccia.

Era stato distrutto tutto...

Un pianto improvviso riportò alla realtà il vecchio ibrido dalle lunghe antenne di falena.

... Quasi tutto.

La sua penna corse più velocemente lungo la carta del logoro diario che, dopo tanti millenni d'uso, era diventa gialla e sottile come le sue diafane ali.

Un nuovo Kiamad Naar era comunque destinato a nascere quella notte.

Allarmato dai singhiozzi sempre più striduli, il vecchio ibrido abbandonò la sua lignea scrivania e, con un balzo, attraversò la piccola capanna arroccata sul pino più alto della brughiera inglese.

<<Cuykia, Eifir, ne alnayir.>>

L'uomo si piegò su una misera culla, circondata dai cocci dorati del grande uovo schiusosi durante la notte.

<<Suvvia, cucciola, non piangere.>>

Con gran cura, la braccia nerborute dell'uomo afferrarono un piccolo fagotto di coperte che strillava e dimenava forsennatamente.

<<Lo zio Moth è qui adesso!>>

L'ibrido si sedette nuovamente dietro la sua scrivania, dondolando la neonata creatura in grembo.

Come Thean - l'essenza della creazione - riedifica sempre ciò che Shui distrugge, una dimenticata erede della stirpe dei draghi riporterà la luce sottratta al nostro popolo.

Guarirà la ferite che lo hanno straziato.

Gli restituirà la casa che ha perduto quella notte.

Una piccola testa dalla rada chioma nera, macchiata da sporadici ciuffi verdi emerse dalla coperte e posò lo sguardo sulla penna dell'uomo, la quale compiva rapide evoluzioni sulla carta.

I suoi grandi occhi dorati, ancora gonfi e rossi di pianto, furono stregati dall'elegante oggetto di plastica e, in un acuto strepito di gioia, la bambina allungò le dita verso la scrivania.

La penna del vecchio ibrido scivolò dalle sue mani, come richiamata verso la piccola creatura da una forza invisibile.

<<Piccola birbante.>>

L'uomo accarezzò il capo della bambina e, dopo aver recuperato la penna dalle sue minuscole dita artigliate, ricominciò a scrivere.

Una nuova speranza è sbocciata per il nostro popolo, ma finché Eifir non sarà in grado di adempiere ai suoi doveri, rimanere ancora nella Foresta non è scelta cauta.

Come il camaleonte si camuffa tra le foglie di un albero, i Miksta sopravvissuti saranno costretti a nascondersi tra gli umani, in attesa di vedere la luce splendere di nuovo sul proprio popolo.

Motheyil,
ultimo Cavaliere dell'Ordine

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