CAPITOLO 2 - Troppo presto per dirsi addio
Grandi poteri stanno per smuoversi dai loro nascondigli; poteri capaci di edificare mondi e mandare universi in frantumi con un solo cenno del capo.
L'Equilibrio affronta la sua prova più grande questa notte. Sempre più fragile, sempre più prossimo alla rottura...
La luna brillava incontrastata nella volta livida, scoccando le sue frecce di luce argentata sul piccolo bosco che ancora resisteva all'avanzata dei grattacieli di Silverfields.
Accarezzata dagli sprazzi lattescenti che filtravano attraverso l'intrico di rami e foglie, un'esile ombra si aggirava per l'oscuro dedalo di tronchi, trascinando pesantemente i piedi al suolo.
Non ho il potere per impedire che accada l'inevitabile; che vada tutto in frantumi ancor prima che il tuo destino e quello dei tuoi fratelli - celati troppo a lungo nell'ombra - si compia.
Ma tu puoi, cucciola mia!
Thean solia theashir sove cos Shui shuir: Thean ricostruisce sempre ciò che Shui ha distrutto.
Sotto lunghe ciocche color della giada, un paio di occhi dorati, rossi e gonfi e di pianto, leggevano i sinuosi caratteri di inchiostro della lettera.
Ma adesso ascolta attentamente, bambina: c'è una shiaku oltre il bosco, nella radura; è da lì che noi Miksta arrivammo a Silverfields, ormai quindici anni fa, e da lì stesso tu tornerai a casa.
A questo punto, le nostre strade si separano: ho ancora troppi conti in sospeso per venire via con te, ma ho fiducia che - anche da sola - saprai tenere i cocci di questo mondo uniti.
Se Shaa lo permetterà, la prossima volta che ci rivedremo sarà in mezzo al nostro popolo.
Lo zio Moth.
L'ombra si fermò: sentiva le gambe deboli; le ginocchia tremare; la testa stranamente pesante.
All'improvviso, le orecchie adunche fischiarono; un sibilo acuto e terribilmente doloroso, al pari di una lama affondata in profondità nel cranio, esplose con prorompenza nella sua testa.
In un batter di ciglia, il terreno si fece tremendamente vicino; le sporgenti radici degli alberi si ribaltarono, prendendo il posto della chiome, e l'ombra si trovò riversa al suolo come una foglia spazzata da un vento troppo forte.
"Hai combinato un disastro, Eifir."
Sotto le iridescenti squame corvine che ricoprivano le guancia dell'ibrida, il freddo e umido terreno vibrava, seguendo il ritmo delle ali dei pipistrelli, del ronzare degli insetti e dello strisciare tra le sterpaglie secche di chissà quali altre creature.
Ma lei non poteva sentire la melodiosa voce del bosco.
Non poteva sentire neanche i suoi stessi pensieri.
"Lo hai deluso per l'ennesima volta."
Quel maligno sibilo, trasformatosi in limpide e cristalline parole, rimbombava tra le lunghe corna che adornavano il capo di Eifir, inghiottendo ogni altro suono.
<<Non è stata colpa mia.>>
Distesa languidamente al suolo, l'ibrida lanciò un rotto ruggito al cielo e, nel disperato tentativo di mettere tutto a tacere, portò le mani alle orecchie, serrandole intorno alla testa con tutta la forza che aveva in corpo.
<<Non credevo...>>
"Cosa non credevi?" Il sibilo tuonò violento nella testa di Eifir, facendola contorcere su se stessa e rubandogli il fiato dalla gola. "Non credevi che sarebbe morto qualcun altro? Pensavi che non ci sarebbero state altre vittime?"
<<Basta!>> ringhiò l'ibrida serrando le zanne e facendole stridere le une contro la altre. <<Sta' zitto!>>
"La piccola Eifir, la grande Kimad Naar, vuole sentirsi dire che è tutto normale." I serafici sibili della voce crebbero di intensità. "Vuole sentirsi dire che andrà tutto bene. Povera illusa!"
<<Chiudi la bocca!>>
Una delle mani dell'ibrida si sollevò lentamente dall'orecchio, lasciando cadere al suolo la lettera dello zio, ormai ridotta a un misero mucchio di brandelli di carta.
A fatica, l'arto tremante giunse fino al cinturone che fasciava il fianco di Eifir.
Le dita iniziarono così a vagare lungo le cuciture e i contorni dei borsetti, ma sembravano non obbedire agli ordini che l'ibrida imponeva loro: si muovevano a scatti, contraendosi e distendendosi come fossero impazzite.
Finalmente raggiunsero il fodero adagiato sulla coscia sinistra della ragazza e incontrarono un freddo corpo di metallo.
"Vuoi essere consolata, ma per cosa?
Per aver lasciato che un innocente morisse? Per aver aggiunto un ennesimo cadavere alla tua collezione?"
La mano di Eifir si strinse intorno all'elsa del pugnale e lo estrasse dal fodero in una sola, fluida contrazione del braccio.
<<Ti ho detto di stare zitto!>>
L'ibrida fece scivolare le dita lungo la guardia a crociera della stiletta, finché non raggiunsero il profilo affilato della lama a doppio taglio.
Chiuse gli occhi e strinse la mano intorno al metallo con forza.
Un brivido le corse lungo il braccio, risalendo la spina dorsale, mentre un rivolo di sangue gelido imbrattava la lama del pugnale.
<<T-theashir...>> Eifir cercò di pronunciare un incantesimo, ma l'aria era come incastonata sul fondo della sua gola.
"Non osare!" La voce che imperversava nella sua testa cacciò un urlo tanto feroce che eclissò finché il bruciante dolore del taglio alla mano.
<<Theashir leykia!>>
Ignorando l'atroce sofferenza, un sussurro venne fuori dalla labbra di Eifir: debole, appena percettibile, ma fermo e deciso.
Poco alla volta, il sangue che macchiava la corta lama del pugnale emise un flebile bagliore rossastro.
La voce urlò ancora, ma le sue grida si spensero in un gemito, simile a quello di un animale ferito.
Rapida, la fiamma scarlatta risalì lungo l'elsa della stiletta, gentilmente avvolta da uno scuro corpo serpentiforme, e si insinuò tra le fauci spalancate del rettile di metallo, illuminando il piccolo granato che vi era incastonato.
Quando il brillio cremisi si spense, la voce del bosco giunse melodiosa e tranquilla alle orecchie di Eifir e, insieme a essa, il caotico fluire dei suoi pensieri.
Riscossa dai leggeri e gioiosi sussulti del suolo sotto la sua pelle ambrata, l'ibrida si alzò lentamente dallo scricchiolante tappeto di foglie.
Ancora stordita, i suoi occhi dorati studiarono lo scuro ambiente circostante. Poi, lo sguardo le scivolò sui propri vestiti, sporchi di terra umida e ancora macchiati da grandi chiazze di sangue rappreso; un sangue che odorava in maniera diversa dal suo; un sangue di un rosso differente dal suo; un sangue che non era il suo.
Eifir provò a cacciarle indietro, ma un nuovo fiume di lacrime iniziò a solcare il viso, seguendo le sottili e pallide scanalature tra una squama e l'altra.
Non avrebbe mai potuto lavare via quelle macchie, cancellare quei segni indelebili; far dimenticare a lei e al mondo l'onta che stava lasciano alle sue spalle.
Ormai doveva andare via. Doveva tornare a casa.
Una scossa ridiede vigore ai muscoli di Eifir: mise a posto il pugnale e, asciugatasi gli occhi con il corso della mano, iniziò correre con tutta la foga che aveva nelle gambe.
I nodosi fusti delle piante sembravano susseguirsi fino all'infinito, come migliaia di lunghi artigli d'ombra, pronti ad agguantare l'ibrida e trattenerla per sempre nel loro scheletrico abbraccio.
Ma lei non poteva fermarsi; non poteva più voltarsi indietro; poteva solo e continuare a correre il più lontano possibile da tutto.
Il più lontano possibile da tutti.
Quando la luna giunse all'apice della sua lenta scalata del cielo, Eifir abbandonò la sicurezza del fitto bosco e fece il suo ingresso in una piccola radura cinta da tetri e alti alberi.
Esausta, si incamminò verso il centro di quella landa piatta e mortalmente statica, guardando i fili d'erba argentati schiacciati sotto i suoi stessi passi.
Uno strano odore riempiva l'aria: odore di muschio e terra bagnata; odore quasi impercettibile di magia.
Quella era doveva essere la shiaku, il portale.
L'ibrida si fermò nel bel mezzo della radura e chiuse gli occhi.
<<Boesi...>> il sibilante e rotto suono di un nuovo incantesimo strisciò fuori dalle sue labbra. <<Kair sus muy!>>
Lentamente, la melodiosa voce del bosco sembrò spegnersi e il silenzio divenne sovrano di quella distesa di nulla; presto, anche il tiepido vento estivo smise di soffiare e di increspare il lucente mare d'erba.
Protetta dalla ritrovata quiete, Eifir riaprì le palpebre estrasse nuovamente il pugnale dalla cintola.
<<È ora di farlo.>>
L'ibrida alzò l'arma, ancora incrostata di sangue, al cielo.
La luce lunare percorse tutta la lunghezza della lama, scorrendo lungo il filo e insinuandosi elegantemente nella profonda scanalatura centrale, finché non converse nel macabro brillio sanguigno che illuminava la punta della stiletta.
<<Gliel'ho promesso!>>
Eifir esitò per qualche secondo; poi, con tutta la forza che aveva ancora in corpo, conficcò il pugnale nel suolo.
<<Shiair som ore!>> al suono di quella fredda litania, la lama si illuminò di blu. <<Shiair som er unaavri kiasek!>>
La terra tremò violentemente e una grande fenditura si aprì nel cuore della radura, facendo fremere l'aria, ma senza produrre alcun rumore.
<<Shiair som er Neshaavri!>>
In quell'istante, un'accecante luce azzurra si irradiò dalla profonda voragine, investendo le iridi dorate dell'ibrida. Il brillio crebbe e crebbe scalando rapidamente la livida volta stellata e rischiarandola come fosse stato pieno giorno.
Il terreno perse completamente consistenza sotto i piedi di Eifir; sopra e sotto, destra e sinistra persero ogni significato; turbini di scintille bluette esplodevano silenziose tutto intorno a lei, mentre il resto mondo veniva trascinato lontano.
<<Kair shiaku!>>
Pronunciato l'ultimo incantesimo, la prorompente luce si affievolì, lasciando la piccola radura di nuovo preda delle tenebre.
Come fosse stata solo una vecchia ferita, la profonda voragine si era richiusa e, al suo posto, solo una sottile cicatrice di erba bruciata era rimasta a testimoniare quel bizzarro prodigio.
Anche l'ibrida era sparita, inghiottita dall'accecante bagliore azzurro, lasciando alle sue spalle un Equilibrio ormai spezzato.
Il sole scivolava lentamente nel cielo dell'infuocata mattina seguente e galleggiava adagio sopra l'immensa distesa di grano abbandonato, stretta tra il vigoroso verde del bosco e le argentee facciate dei palazzi.
Al limite del perlaceo orizzonte, un livido fronte temporalesco incalzava inesorabilmente, pronto a inghiottire l'ardente disco dorato tra le sue fauci di vento e pioggia.
Amplificati dalla chioma della vecchia magnolia, i tuoni si facevano sempre più vicini, ma avrebbero anche potuto squarciare l'aria in brandelli, spaccare la terra a metà e smuovere tutta l'acqua degli oceani.
A Mal, seduto da solo alle pendici del grande albero, non sarebbe importato.
Niente gli sarebbe mai più importato.
La tempesta era già approdata nel suo animo; lo aveva sconvolto, straziato e devastato con una potenza tanto mostruosa che avrebbe fatto sembrare un ciclone nient'altro che una docile brezza a confronto.
"May..."
Non c'era più luce nel suo mondo, né calore né energia; non c'era più niente di tutto ciò che il suo magnifico sole dagli occhi neri gli avesse mai concesso.
Non c'era più lei.
<<May!>> urlò Mal scattando in piedi e facendo tuonare la sua voce da un capo all'altro della campagna sperando di ricevere il saluto dell'amica in risposta.
Ma non avrebbe ottenuto niente; non dopo quella notte; non dopo che qualcuno aveva fatto irruzione nella stanza della ragazzina distruggendo ogni cosa che le fosse appartenuta; non dopo che il mondo aveva deciso di cancellarla.
Non dopo che era sparita nel nulla.
Mal si accasciò mollemente al suolo lasciandosi andare alle lacrime più amare che avesse mai pianto.
<<May...>> sussurrò ancora il ragazzino, mentre le sue braccia stringevano l'unico superstite di quella tragica notte.
Il foglio.
Il ritaglio accartocciato e strappato sul quale troneggiava il disegno di un grande drago furente che non sarebbe mai stato completato.
Thashir leykia: incantesimo utilizzato per amplificare la resistenza della propria mente; letteralmente "creare forza di volontà" .
...
Boesi, kair sus muy: sortilegio che impedisce ai suoni di diffondersi; letteralmente "foresta, chiudi la bocca".
...
Shiair som er unaavri kiasek, shiair som er Neshaavri: incantesimo utilizzato per aprire un portale e indirizzarlo verso la destinazione prestabilita; letteralmente "portami all'antico castello, portami a Neshaavri".
...
Kair shiaku: incantesimo utilizzato per richiudere una shiaku; letteralmente "chiudere il portale".
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