Capitolo 17 - L'inzio di una lunga storia

La giovane preside aveva terribilmente ragione: nessuno poteva minimamente immaginare cosa le fosse successo solo pochi anni prima o quali orribili scheletri nascondesse nel suo armadio; il suo passato era stato un susseguirsi frenetico di azioni e scelte sbagliate, che avrebbe rimpianto per sempre; una catena infinita di rinunce e sacrifici che avevano plasmato ogni aspetto della sua maschera.

~Passato I~

Due anni prima, settembre

Quella ragazza che, un giorno avrebbe assunto il nome di Eifir, era cresciuta come un'umana non diversa dalle tante altre che conosceva: aveva lunghi capelli color carbone, grandi occhi neri profondi come due pozzi infiniti; niente squame, corna, ali o artigli; nessuna responsabilità, nessun peso gravoso da dover sostenere senza poter ricevere il minimo aiuto; solo il suo piccolo e luminoso mondo, compreso tra le mura della classe e gli sconfinati campi della sua città.

Come per il suo aspetto, neanche il suo carattere era comparabile con quello di Eifir: non era ancora diventata fredda ed inquietantemente inespressiva e impassibile e la sua voce non era dovuta divenire autoritaria e tagliente come una lama; era una persona gioiosa, estroversa, con un indole selvaggia, avventurosa ed incontenibile, che rimaneva stupita e affascinata anche dall'insetto più insignificante, dall'albero più scheletrico o dal vento più leggero.

Non viveva neanche molto diversamente da qualsiasi altro ragazzo ordinario: aveva una piccola casa a due piani, circondata da uno striminzito e smorto giardino, nella quale viveva con i suoi genitori adottivi.
Era stata presa in affidamento da quella famiglia quando era appena nata, in seguito alla morte della sua vera madre, di cui non le avevano mai raccontato nulla.
Non sapeva niente di chi fosse quella donna, di chi era stata in vita, di dove fosse vissuta o del perché fosse morta.
I suoi genitori, di cui il nome, ora, a stento riusciva a ricordare, diventavano sempre furiosi quando la ragazza voleva che le venisse raccontato qualcosa del suo passato e si dileguavano infetta, lasciandola con mille domande per la testa.

Non le era mai stato fatto mancare nulla da quella famiglia, ma sentiva che nessuno si era mai davvero affezionati a lei: i genitori erano sempre di distanti, mai troppo affettuosi e spesso stavano via per giornate intere a causa del loro lavoro.
Così, lei passava ore e ore, distesa sul letto o nell'erba o sulla calda corteccia degli alberi, quando scappava nel bosco e nella campagna, a fantasticare sui i suoi genitori reali, scordandosi della fredda solitudine della sua casa.

All'epoca, quando tutto era ancora "normale", frequentava il primo anno del liceo della sua città.
Era un'ottima studentessa, anche se, mettersi a disegnare e fantasticare erano attività preferibili al prestare orecchio alle noiose lezioni.
In classe era amica di tutti, per i suoi modi gentili e la sua visione sempre a colori della vita.
Con un ragazzo in particolare, poi, aveva stretto un rapporto speciale, che in breve si trasformò in qualcosa di più di una banale amicizia.
Le piaceva davvero molto, ma, nonostante anche lui sembrasse contraccambiare in qualche modo quel sentimento, lei non avrebbe mai avuto il coraggio di dichiararsi e rischiare di rovinare ogni cosa.
Chiunque, però, avrebbe potuto notare che tra i due era nato in legame che li avrebbe uniti in eterno e che sarebbe sopravvissuto a tutto.

Comunque, a dire il vero, qualcosa di Eifir quell'ignara ragazzina ce lo aveva: la magia.
Fin dalla sua nascita succedeva, infatti, che, a volte, questa si manifestasse in modo lieve, quasi invisibile: quando le capitava di essere triste, la natura sembrava incupirsi con lei e splendere quando era euforica; se desiderava ardentemente che il vento soffiasse o che una nuvola coprisse il Sole, quel piccolo capriccio si realizzava; ogni tanto le pareva di poter comprendere gli animali e di farsi capire da loro e sua volta.
Aveva anche un strana cicatrice sulla spalla sinistra da quando era nata: era piccola e sbiadita, dalla bizzarra forma di un fiore a otto petali e i suoi genitori non volevano mai che lei andasse in giro con quel braccio scoperto.

La vita di quella ragazza, quindi, non sarebbe potuta andare meglio, nonostante quelle piccole avvisaglie sul suo avverso futuro: le pareva l'esistenza perfetta, calda e luminosa come il sole estivo del primo pomeriggio.
Tutto, però, sarebbe cambiato in un attimo e una turbolenta e inclemente tempesta avrebbe portato con sé un lungo e rigido inverno.

Il destino iniziò a mettere in moto i suoi sadici meccanismi una sera di inizio settembre: il cielo cominciava a tingersi di un tenue cobalto, rigato dall'ultima luce magenta del Sole morente; Venere aveva fatto la sua solitaria comparsa nella volta limpida, mentre la Luna nuova rimaneva timidamente celata; le ombre avevano avvolto ogni cosa nel loro velo argentato e i pipistrelli volavano in coppie, cavalcando la brezza che odorava di bosco.

La ragazzina camminava lungo il marciapiede deserto che conduceva alla sua casa, isola rispetto al resto della città.
Era stremata: veniva da una lunga mattina di gioco, tra gli alberi al limite del bosco ed esausta, guardava pigramente per terra, poi alzava sognante il volto verso l'alto, mettendo piano uno stivaletto nero dietro l'atro, con le mani nelle tasche della felpa leggera e il cappuccio sulla testa, pensando a quel ragazzo, che le faceva battere il cuore.

Arrivò a casa, senza neanche fare caso alla strada, che avrebbe potuto fare ad occhi chiusi, ma stranamente vi trovò le luci accese.
Si fermò di scatto sul marciapiede e si mise attentamente ad osservare la sua abitazione: anche la macchina dei suoi genitori era lì, ma che ci facevano loro e casa?
Perché non erano ancora a lavoro, come tutti gli altri giorni?

La ragazzina riprese lentamente a camminare, senza pensarci troppo.
《Ora mi conceranno le feste...》disse, ridacchiando.
《Non vogliono che stia fuori a quest'ora, poi con i vestiti tutti sporchi di terra...dovrò inventarmi una scusa convincente!》
Arrivò al cancello di casa, sorridendo, lo aprì senza fare rumore, percorse rapidamente un breve tratto di giardino, levandosi il cappuccio dalla testa, e giunse sotto il piccolo portico che prevedeva l'entrata.
Prese un bel respiro, si diede la carica facendo una veloce corsetta sul posto, poi infilò la chiava nella serratura, la girò e aprì la porta più rumorosamente del solito.
《Ciaaao....》disse con voce colpevole, attirando l'attenzione dei genitori.
I suoi erano nel salone, che si trovava proprio difronte alla porta, e si stavano dando un gran da fare, mettendo i loro oggetti in dei grandi scatoloni di cartone.
《Ti sembra questa ora di tornare!》la rimproverò una donna alta e dai capelli bruni, che indossava ancora la divisa del lavoro.
《Scusa ma...》
《Guarda come sei conciata! Ma si può sapere cosa ha fatto fino ad ora!?
Non dirmi che sei andata nel bosco!》
《Nossignora!》rispose la ragazza.
Le avevano sempre proibito di andare in quel posto, così come non le permettevano di andare in un parco o semplicemente di stare troppo nel giardino di casa: sembrava che i suoi genitori avessero una vera e propria aversione, una paura del tutto irrazionale per il contatto con la natura che, per lei, invece, era indispensabile.
Quel mondo la chiamava a gran voce e lei, non potendosi sottrarre a quell'irresistibile richiamo, scappava di casa ogni volta che ne aveva la possibilità.
《Ero da un amica a rivedere i compiti delle vacanze e il suo cane mi è saltato sopra mentre stavo andando via...》disse la ragazza, cercando di essere convincente.
《Sentiamo... quali compiti avresti fatto senza cartella!?》la riproverò uno smilzo uomo occhialuto.
Lei, rendendosi conto di aver fatto un buco nell'acqua, sfoderò la faccia più stupita e preoccupata che poteva.
《Oh No! Il mio zaino! L'ho dimenticato a casa sua! Corro a riprenderlo, non abita lontano da qui!》disse, spalancando di nuovo la porta.
《Ferma, ferma!》le risposero in coro i due genitori, che quel giorno sembravano più freddi e paranoici del solito.
《Non importa adesso! Piuttosto vai in camera tua e comincia ad impacchettare la tua roba!》disse la donna.
《Perché?》chiese lei, confusa da quelle parole.
Qualcosa non stava quadrando quella sera, nell'aria incredibilmente elettrica c'era qualcosa di diverso, che la fece preoccupare.
《Non fare domande e sbrigati, non abbiamo tempo da perdere.》Le risposero i genitori.
La ragazza squadrò bene i due uomini e poi osservò la casa, cercando di darsi qualche risposta da sola.
《Ci stiamo trasferendo?!》esclamò con sgomento e il silenzio dei genitori glielo confermò.
Alla ragazza crollò il suo piccolo mondo sulle spalle: andare via avrebbe significato abbandonare tutto, rinunciare ad ogni singola cosa che la rendesse felice; non poteva dire addio ai suoi amici, alle campagne, al bosco, a lui.
A pensarci le veniva da piangere, ma rigettò indietro le lacrime, sfoderò lo sguardo più determinato che poteva e si preparò a combattere contro i suoi genitori.
《Perché?》chiese con voce severa.
《Ti abbiamo detto di non fare domande!》disse il signore occhialuto, guardano il suo orologio da polso.
《Sbrigati, va' in camera tua e fa' come ti abbiamo detto!》
《No! Io non mi voglio trasferire!》
《Non fare storie e sbrigati!》disse la donna con nervosismo.
《NO! Io voglio rimanere qui! Non possiamo andare via così, da un momento all'altro!》disse la ragazza battendo un piede per terra.
《Ti vuoi muovere!》urlò la donna, mettendosi in piedi, ma riuscendo a stento a reggersi sulle due gambe che tremavano come una foglia.
《Non abbiamo tempo!》
《Non abbiamo tempo per cosa!? Mi volete spigare cosa diavolo sta succedendo in questa casa?》urlò la ragazza, cercando istintivamente di sovrastare la voce della madre.
Improvvisamente, il vento iniziò a soffiare con violenza, come se fosse arrabbiato.
Il rumore sempre più forte della corrente d'aria sembrò allarmare ulteriormente la donna.
《Calmati, calmati tesoro...》disse la signora, avvicinandosi alla ragazza e cercando di parlare in tono gentile.
Lei guardò fisso negli occhi il genitore: la donna sorrideva in modo falso e nervoso quasi convulso, mentre continuava a tremare e tremare.
Quell'espressione fece crescere in lei ancora di più quella preoccupazione, quel timore che a breve sarebbe successo qualcosa di orrendo, adesso, però non voleva, non poteva assolutamente aspettare ancora, doveva sapere, ciò che le stavano nascondendo.
《Ti spiegheremo tutto, ma ora per l'amor del cielo sbrighiamoci. DOBBIAMO ANDARE VIA!》
La ragazza si allontanò di scatto e puntò bene i piedi per terra, si mise in punta di piedi e gonfiò il petto d'aria.
《Non mi schiodo da qui se non mi dite esattamente quello che sta succedendo! CROLLASSE IL MONDO IO NON MI MUOVO, FINCHÉ NON MI DIRETE LA VERITÀ!!!》disse arrabbiata, leggermente spaventata e soprattutto molto, molto confusa.
《Tesoro dai...》

Un ombra nera oscurò, improvvisamente, uno dei lampioni che illuminavano la strada fuori dalla casa, troncando la frase della donna e distruggendo la spavalderia della ragazza.
《Sento cielo!》urlò l'uomo, mentre la signora fece cadere il vaso che aveva tra le mani e che si ruppe in mille pezzi
《Santo cielo! È arrivato!》
《Chi è arrivato?》chiese la ragazzina, mentre la rabbia veniva soffocata dal crescente terrore.
《Zitta, zitta non fare rumore! Lasciate tutto qui! Corriamo alla macchina!》disse l'uomo sottovoce e corse verso la porta, afferrando le chiavi, la moglie e la figlia adottiva.
《In fretta! Non c'è più tempo! Sarà qui in pochi secondi!》
《Ma chi!》urlò la ragazza.
《Zitta!》
L'uomo spalancò con rabbia la porta, ma la trovò sbarrata da una grande scura figura: era alta possente, dal corpo avvolto in un lungo mantello di ispida pelliccia marrone e la faccia celata da un grande cappuccio, dal quale filtravano solo due penetranti occhi rossi.
《Dannazione!》disse l'uomo con i denti serrati.
Indietreggiarono tutti di qualche passo, mentre la donna lanciò un urlò, che venne subito soffocato dal marito.
La ragazza, guardava fissa l'uomo incappucciato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quelli occhi che sembravano lucenti e infuocati rubini incastonati nel suo volto.
Non era mai stata così spaventata: il vento iniziò a ruggire con più violenza che mai, sferzando le finestre e facendole tremare, mentre le luci di casa a cominciarono lampeggiare.
《Che vuoi dai noi?! Va' via di qui!》disse il signore occhialuto alla losca figura, cercando di sembrare minaccioso.
《Sai esattamente perché sono venuto qui!》rispose l'uomo incappucciato, con una voce troppo serena, quasi beffarda e fece qualche pesante passo dentro casa.
《Sono qui per lei!》disse schietto, indicando la ragazza, con un possente braccio dal colorito vagamente verdognolo.
Lei deglutì rumorosamente e indietreggiò ancora: sudava freddo e improvvisamente, l'aria sembrava essere diventata terribilmente ghiacciata e allo stesso tempo insopportabilmente rovente.
《Va' a nasconderti!》le urlò la donna, ma lei non si mosse, pietrificata da quei grandi occhi rossi.
《A che serve nascondersi ancora, mia cara? Non sei stanca di vivere rintanata nel tuo ufficio, cercando in ogni modo di segregare Eifir e tenerla lontana da me?》
Disse la scura figura, richiudendo la porta, e facendo qualche altro passo dentro casa.
《Eifir?!》sussurrò la ragazza.
《Va al diavolo! Mostro!》urlò la donna.
《So io quello che è bene per lei e non azzardarti mai più a pronunciare quel nome! In questa casa Eifir non è nessuno.》
La ragazza, sentiva di star per svenire: avrebbe voluto svegliarsi da quell'incubo, ma era tutto reale; le gambe erano rigide come blocchi di pesante marmo, il cuore esplodeva e la testa era in preda ad un dilaniante marasma di pensieri, dubbi e paure; un parte di lei avrebbe voluto correre via e scappare il più lontano possibile, l'altra rimanere per sapere cosa diavolo le stesse succedendo.
《BAAASTA!!!》urlò lei, vincendo per un secondo il terrore.
Tutti quanti si paralizzarono, assordati da quel grido terribilmente simile ad un ruggito, autoritario severo e violento.
《Ditemi ora cosa sta succedendo! Subito o chiamo la polizia.》
《Tesoro zitta...corri a nasconderti!》urlò la donna.
《Basta scappare! È da una vita che mi nascondete qualcosa, ora è il momento di sapere.
Prima di tutto, chi è Eifir?》chiese terrorizzata la ragazza, quasi urlando.
L'uomo incappucciato rimase allibito e alquanto stordito da quelle parole, come se non volesse credere a quello che aveva appena sentito e fece qualche passo indietro.
《Ma...ma...come chi è?》disse, ridendo.
《Eifir sei tu!》
La ragazza rimase interdetta.
《Zitto!》urlò l'uomo occhialuto.
《Non è quello il suo nome! Va via da questa casa e LASCIA IN PACE NOSTRA FIGLIA!》
《Non è vostra!》gli rispose la mostruosa figura, con un tono freddo e sibilante.
《Dopo quello che avete fatto non meritate il compito di crescerla.
Avete tradito la mia fiducia, dannati umani.
Ricordate che lei è sempre la figlia di Eyra e va trattata come tale!》
《Chi?!》urlò la ragazza, terrorizza.
La figura si pietrificò all'istante.
《Spiegatemi cosa sta succedendo? Che centro io con tutto questo?
Chi diavolo sei tu e cosa vuoi da me?》urlò lei è pieni polmoni, riprendendo coraggio.
《Non le avete detto niente!》disse l'uomo con rabbia.
Spostò i due uomini, che gli sbarravano la strada, come se non li considerasse più neanche bestie e si diresse a grandi falcate verso la ragazza, che rimaneva inchiodata al suo posto.
Le si avvicinò sempre più lentamente e, quando le fu abbastanza vicino, si inginocchiò cautamente per terra, per poterla guardare meglio negli occhi.
La ragazza avvertì improvvisamente l'odore dell'uomo, che aveva quasi incollato difronte, e il vento smise di urlare e le luci di lampeggiare: quel profumo di fiori, di erba appena tagliata e rugiada le parve subito familiare, aveva già incontrato quell'essere prima, da qualche parte.
《Ehi Eifir, non mi riconosci?!》disse l'uomo, con un tono dolcissimo.
Lei lo guardò senza muovere un muscolo ed ansimando spaventata.
Lui si tolse lentamente il cappuccio, rivelando corti, ispidi e fitti capelli di uno scuro verde metallico, dello stesso colore della rada barba, e dai quali spuntavano due lunghe antenne da falena e orecchie appuntite e leggermente ricurve verso l'alto.
La ragazza a fece un passo indietro, sorpresa dall'aspetto assurdo e completamente innaturale di quell'essere.
《No, no! non spaventarti!》disse lui, afferrandole delicatamente una mano.
L'uomo mostrava una quarantina d'anni e aveva un volto piccolo e rotondo, degli zigomi pronunciati e un'espressione dolce e gentile.
《Allora Eifir?! Ti ricordi di me adesso?》chiese di nuovo lui.
《Vuoi smetterla di chiamarla così!》urlarono i genitori.
《Il suo vero nome è...》
《Dannati umani state zitti una buona volta!》disse stizzito lo sconosciuto, muovendo due dita e trasformando all'istante i due in rigide statue di pietra, che caddero al suolo in un grande tonfo sordo.
《Spero tu non me ne vorrai se li ho congelati per un po'.》disse, guardando con un po' di imbarazzo la faccia terrorizzata dalla ragazza.
《Ora, però, noi dobbiamo parlare!》
《Chi sei tu?》chiese lei, con l'aria che a stento usciva dai polmoni.
《Non ti ricordi proprio di me? 》
Lei continuò a guardarlo, senza muoversi, come se quell'assurdo incantesimo avesse pietrificato anche lei.
Lui abbassò il capo e sorrise.
《E come potresti ricordati di me...l'ultima volta che ti ho visto eri appena uscita dal tuo piccolo uovo nero e verde...》
《 Cosa?!》 Disse la ragazza, scostandosi dall'uomo.
《Dimmi cosa diavolo sta succedendo! Chi sei? Che ci fai qui e...e come hai fatto a fare quella magia?!》
《Eifir calmati...lascia pure che ti spieghi, che ti racconti la verità, che avrebbero dovuto raccontarti i tuoi, molto tempo fa, ma devi fidarti di me al cento per cento. Pronta?》
La ragazza annuì.
《Io sono Moth, primo membro della famiglia degli uomini-insetto, che nella mia lingua vengono chiamati...》
《Mothil....》disse la ragazza in sussurro, senza neanche rendersene conto, ma quando lo realizzò un brivido freddo le percorse la schiena.
《Noto con piacere la lingua antica non ti è estranea, mia cara!》disse Moth sorridendo.
《Lingua che...?!》chiese lei, terrorizzata
《È il modo con il mio popolo comunica.》 Le rispose lui.
《E...e Perché la conosco anche io!?》urlò la ragazza, mentre mille parole in lingua antica affioravano evanescenti nella sua testa, offuscando ogni altro pensiero.
《Perché tu fai parte del mio stesso popolo!》rispose Moth, cercando di sorridere e sembrare il più calmo possibile per non traumatizzare troppo la ragazza, già evidentemente sconvolta.
《E sono venuto perché tu conoscessi finalmente chi sei davvero!》
《Io...io sono come te?!》disse lei, facendo un passo indietro.
Come poteva non essere umana: non aveva ali o antenne o la pelle verdastra, come Moth.
《Non è possibile, devi aver sbagliato qualcosa! Guardami: non ti somiglio per niente!》disse la ragazza, cercando ancora di realizzare a pieno.
《Sono sicuro al cento per cento di non essermi sbagliato: riconoscerei la figlia di Eyra anche se nascosta tra tutti gli umani di questo mondo!》le rispose Moth, osservandole il delicato viso.
《Eyra...》la ragazza pronunciò quel nome con un misto di eccitazione e tristezza, in lungo sussurro.
《Era questo il nome di mia madre?》chiese e Moth annuì.
Improvvisamente la ragazza divenne terribilmente curiosa.
《Parlami di lei: anche lei era come te? Era un ibrido?》
《Si. Anche lei era un ibrido, che nella nostra lingua viene detto Miksta, ma non esattamente come me.
Eyra era una Jamail: era in parte drago!》le rispose Moth.
La ragazza non riusciva a credere alle sue orecchie: finalmente qualcuno che le raccontasse di sua madre; non importava se tutto sembrasse una favola, anche se fossero state solo scemenze erano certamente meglio del silenzio dei suoi genitori adottivi.
Si sedette in terra, difronte a Moth, guardandolo con gli occhi sognanti.
《Ti prego raccontami tutto della mamma!》chiese, scordandosi completamente della paura che aveva avuto prima, di tutto stupore e della confusione.
《Certo, mia cara! sarà un piacere! 》disse lui, con il suo solito tono di voce caldo e gentile.
《Eyra era la persona più dolce che io abbia mai conosciuto, sempre pronta ad aiutare e proteggere gli altri e a sacrificare se stessa, per regalare un sorriso a qualcuno!》
《E...e...come era fatta?》 chiese la ragazza, euforica.
《Era la Jamail più bella che abbia mai incontrato...》le rispose lui, guardando verso l'alto e, muovendo lentamente una mano per aria, fece fluttuare una piccola nuvola verdognola, vicino alla ragazza.
Lei osservò una figura evanescente, che lentamente prendeva forma attraverso quella foschia smeraldina: era l'immagine di una donna dal busto umano e un lungo ed elegante corpo di serpente al posto delle gambe; aveva lunghi capelli neri, rigati di un verde lucente, dello stesso colore delle squame, che le ricoprivano quasi tutto il corpo; due grandi corna scure che piegavano gentilmente verso dietro e una coppia di maestose ali di drago color carbone dai riflessi color della giada.》
Gli occhi della ragazza brillavano.
《Era bella vero?》Chiese Moth.
《Si...》rispose lei, senza riuscire a togliere gli occhi da quella figura che, però, pian piano, sparì, dissolvendosi nell'aria.
《...non avevo mai visto la mamma prima!》
《Mi dispiace molto che se ne sia andata, saresti stata davvero fortunata a conoscerla.》disse Moth, incupendosi all'improvviso.
《Come è morta?》 Chiese allora la ragazza, un po' spaventata di apprendere quella notizia, ma determinata a sapere ogni singolo dettaglio di quella storia.
《È successo così tanto tempo fa...tu eri solo un uovo piccolo ed indifeso, che si sarebbe dovuto schiudere a breve, ma sfortunatamente giunse il freddo dell'ultima era glaciale.》
《Cosa!?》urlò la ragazza, spiazzata dalla piega che aveva assunto la frase con quell'ultima assurda parola.
《Come sarebbe a dire "era glaciale"?!
Scusa, ma tu quanti anni hai? 》chiese, completamente confusa.
《Circa cento mila, anno più anno meno!》rispose Moth, troncando il fiato della ragazza, che sgranò gli occhi.
《Comunque...fammi finire di raccontare e poi ti spiegherò tutto più dettagliatamente.
Allora...il freddo spinse alcune tribù di uomini al nostro piccolo villaggio per implorare tua madre di far cessare il freddo.
Devi sapere, però, che Eyra, non era un Miksta come gli altri : lei aveva un dono, che gli era stato tramandato dal padre Neor, e che le permetteva di piegare la natura al suo volere.》
Gli occhi della ragazzina brillavano ancora di più.
《Le creature con questa abilità vengono dette Kimad Naar e hanno il compito di preservare l'Equilibrio che regola il mondo.》continuò a raccontare Moth.
《Eyra, però, non avrebbe mai usato la sua magia per interrompere il periodo di gelo: era convinta che, se la natura avesse preso una tale decisione, non sarebbe stato possibile alterare il corso degli eventi in un modo così drastico e si rifiutò di assecondare le scelleratezze di quegli umani.
Loro, però, non capirono le buone intenzioni di tua madre e ritornarono ancora più numerosi, intenzionati a costringerla, minacciando lei e il villaggio di morte.》
《Che successe poi?》
《L...e...e...lei...》la voce di Moth divenne improvvisamente tremante e terribilmente triste.
《Lei...si...fece uccidere. A...avrebbe potuto benissimo sconfiggerli tutti solo pen...nsandoci, ma ha preferito sacrificarsi per non fare loro del male e...e permettere al villaggio di darsi alla fuga.》
Moth si diede un forte scossone, tentando di riprendersi, da quel doloroso ricordo, che gli dilaniava il cuore ogni volta che gli ritornava alla memoria.
Nessuno sapeva quanto avesse amato Eyra, neanche lei stessa che lo aveva sempre considerato al pari di un caro fratello.
《Da allora il tuo uovo non si è più schiuso, fino a quindici anni fa quando anche l'ultima discende della famiglia di Neor, Afir, non morì .
Ricordo ancora quando sei nata: eri così piccola e carina e non stavi mi ferma; eri una vera peste!》
La ragazza cercò di andare indietro nella sua memoria, ma non ricordava nient'altro che odori di bosco e una piacevole sensazione di calore, che non aveva mai più provato durante tutta la sua vita .
《Perché te ne sei andato e mi hai portato qui?》chiese la ragazza, con una nota di tristezza e delusione nella voce.
《Prima di morire Eyra mi cedette parte dei suoi poteri e per un periodo, dopo la morte di Afir, provai a fare il suo lavoro.
Non era facile e non potevo starti dietro come avrei voluto, così, visto che gran parte dei Miksta si erano nascosti tra gli umani, decisi di affidarti per un po' alle cure di una famiglia, giusto il tempo che le cose si sistemassero.
Quelli però, non hanno più voluto che tu ritornassi a far parte di questo, mondo e ti hanno portato via.
Sono anni che ti cerco e finalmente ora ti ho ritrovato!》Disse Moth abbracciando la ragazza.
Lei, in un primo momento, si irrigidì come se fosse improvvisamente diventata di ghiaccio, ma poi, poco a poco, provò di nuovo quella strana sensazione: calore; calore di un affetto sincero, vero e puro, che riscaldava fin nel profondo.
Si crogiolò in quell'abbraccio, che non aveva mai ricevuto prima d'ora, godendosene ogni singolo istante.
《C'è un'altra cosa che volevo dirti...》disse Moth, liberandola lentamente dalla sua morsa.
《Tua madre mi ha lasciato una cosa per te, ma non posso dartela così: una volta che ne entrerai in contatto non potrai più tornare indietro.》
Mentre parlava, scostava il lungo mantello e estraeva dal logoro tascapane un pugnale, avvolto in un panno di velluto rosso fuoco.
Glielo porse e lei lo osservò: era sobrio, dalla lama sottile e lucente.
La ragazza allungò lentamente la mano e afferrò con cautela il freddo metallo, con entrambe le mani e attese qualche secondo.
《Questo è il tuo pugnale Shaanaar: prima di darti in affidamento a questi umani, con un incantesimo, trasferii tutto quello che ti rendeva una Miksta in questo oggetto, così non avresti destato sospetti.
Se ora lo attiverai, riassumerai il tuo aspetto naturale ed entrerai a far parte del mio mondo. Vuoi farlo o preferisci rimanere così come sei?》
La ragazza si mise a pensare: avrebbe voluto , riallacciare i rapporti con il mondo che era stato di sua madre, ma non voleva perdere tutto ciò che, nella sua vita di ogni giorno, dava un senso all'alzarsi la mattina.
《 È una decisione che comporterà delle irreversibili conseguenze, perché tu....》
Moth non fece in tempo a finire la frase che lei si era già tagliata con l'affilatissima lama.
Il sangue bagnò il pugnale che teneva stretto nella mano e quello si attivò.

Prima di svenire, l'unica cosa che la ragazza sentì fu una lancinante stiletta al braccio sinistro, come se la stessero marchiando a fuoco.

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