Un anno prima - Partiremo da dove ci siamo fermati

Shiali
(Brughiera inglese)

21 marzo, anno sedici, era sei
(Epoca umana 2016 d.C.)

Combattere.
Combattere è ciò per cui siamo stati creati.
Combattere è ciò per cui viviamo. Combattere è ciò che ci tiene in vita.

Lottiamo dal primo dei nostri respiri, nel momento stesso in cui apriamo le palpebre, a ogni pulsazione dei nostri cuori.
Tutto perché quella non sia l'ultima volta.

La vita ci insegna a combattere una guerra senza fine tra duellanti che giungono da ogni dove: nessuna tregua; nessun alleato; nessun passo falso concesso.

Il problema è che non sempre gli avversari da affrontare sono di fronte a noi: gli sfidanti peggiori sono i parassiti; le lotte più logoranti non si consumano sul campo di battaglia, ma nei meandri dell'anima.

Allora combattere non sfianca più il fisico, corrode la nostra stessa essenza, frantuma lo spirito, annienta la volontà.
Lottando, scopriamo di essere noi il veleno più letale.
[...]

Quasi istintivamente, Moth interruppe la sua scrittura e, dall'alto della sua capanna sul pino più vecchio di Shiali, lanciò un'occhiata al mondo fuori dalla minuscola finestra.

Il prato era ricresciuto florido nei punti in cui il fuoco lo aveva bruciato, ma gli alberi più giovani mostravano ancora le evidenti ferite della notte più lunga di tutte.

Immerso nel caldo arancio del tramonto il ruscello scorreva lamentoso tra le argentee pareti ricciose e riempiva l'aria del primo giorno di primavera di accecanti riflessi dorati.

Gli insetti volavano placidi tra le correnti d'aria, ignorando che l'Equilibrio non fosse mai stato così prossimo alla rottura e che l'unica persona in grado di tenerne insieme i frammenti cercava ancora di recuperare quelli di se stessa.

Era da quando Moth aveva memoria che la giovane Kimad Naar non muoveva un muscolo dal suo giaciglio d'erba: sembrava fredda e inanimata come quella lapide che contemplava da giorni e giorni; spenta come quella pietra nera conficcata nel suolo nel punto in cui sua madre era morta; nel punto in cui la sua metà umana era spirata.

Gli occhi del vecchio ibrido si riempiono di quella scena che pareva essere condannata a durare in eterno, straziandogli l'animo.

Alla fine, però, al veleno ci si abitua e da terra ci si rialza.

Non si può abbandonare il gioco alla prima caduta, anche se sembra di essere sprofondati nel tartaro più profondo; non si può avere paura delle scelte che ci hanno buttato giù, perché sono le stesse che ci riporteranno sulla cima.

Perché , allora, Eifir ha smesso di combattere?
Perché ha smesso di vivere?

Perché la ferita che Wueiru ha lasciato nel suo cuore doveva essere così maledettamemte profonda non potersi più rimarginare?

Ma non c'è più tempo per contemplare la vita fluire nel ruscello; non c'è tempo per guarire.

Con Wueiru a piede libero non ci si possono più permettere tentennamenti; non ci si può più concedere di avere timore dei propri poteri.

Perché la fioca possibilità di un futuro brilli ancora, non deve esserci passato; non deve esserci rimpianto; non deve esserci esitazione.

Una nuova battaglia ha inizio non appena una si conclude.

[...]

Un ruggito scosse impovvisamente l'aria, strappando violentemente Moth dai suoi pensieri.

《Cosa è stato?》incuriosito, il vecchio ibrido si alzó dal tavolo della sua capanna e si precipitò tra i rami del grande pino.

Ancora una volta, quel ruggito squarciò il silenzio, guidando gli occhi di Moth tra le frasche, in direzione del sole morente.

Stagliato nella volta color essonite, spruzzata da scintillanti nubi di zaffiro e ametista, un possente stormo di draghi alati solcava la volta in direzioni delle terre ad Ovest.

Creature maestose; esseri leggiadri che solcavano l'aria come fossero stati assolutamente privi di peso.
Disposti in formazione compatta e con le ali mebranose a un soffio le una dalle altre, si muovevano, seguendo le correnti in un'unica armoniosa danza.

《Cosa sono quelli, Moth?》una flebile voce, roca e spenta arrivò debolmente alle orecchie appuntite di Moth che quasi cadde dal ramo dove si era arrampicato.

Non poteva crederci: Eifir si era finalmente alzata dal suo cuscino d'erba, ridestata dalla migrazione delle creature.

《Draghi!》gli occhi di rubino del maestro scesero lungo il rugoso tronco e andarono in cerca delle pepite dorate della ragazzina nascosta sotto la volta chioma,《Sono draghi, cucciola!》

Il volto emaciato di Eifir parve accendersi di una luce fioca: alzò lo sguardo al cielo e, insieme a esso, il suo ruggito solcò rapidamente l'aria tiepida del tramonto.

Qualche istante dopo, lo stormo intonò l'ennesimo richiamo.

《Hanno risposto al mio saluto!》la ragazzina sorrise, rendendo il debole bagliore del suo viso più luminoso che mai, 《Mi hanno risposto, Moth!》

Eifir seguì le sagome delle creature  finché non scomparvero nel caldo colore del cielo, senza accorgersi che Moth fosse rapidamente sgusciato dentro la sua capanna.

Il vecchio ibrido, con gli occhi ancora pieni di quella luce sbocciata come un astro o sul viso della Kimad Naar, cancellò l'ultima frase scritta sul suo diario e ne formulò una nuova.

Una nuova vita ha inizio dove un'altra si è interrotta. Devi solo sentirne il richiamo.

Moth, ultimo Cavaliere dell'Ordine

"Hoashi de Mothil Unaar"
(Il tomo del padre dei Moth)

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