Capitolo XXXIII: Partenza precipitosa
Capitolo XXXIII: Partenza precipitosa
Poco dopo l'una, durante la pausa tra una danza e l'altra, Eliénna Dhillel annunciò che si sarebbe ritirata, ma invitò tutti a proseguire a loro piacimento con la festa. Nerwen pensò di ritirarsi anche lei: si era stancata di aspettare; quell'ostinato principe Avar poteva impiegarci giorni, a capire che erano compagni per la vita, ma per quella sera lei ne aveva abbastanza. Pertanto, non appena la regina fu uscita, prese congedo da Myranna ed Aryon, che stavano per apprestarsi ad eseguire la danza seguente.
"Non sarebbe male se anch'io mi ritirassi", annunciò il principe nerovestito, "Domattina dovrei alzarmi abbastanza presto. Ti spiace continuare a ballare con Lorgil?", domandò, rivolto alla nipote.
"Per niente", rispose lei graziosamente, "Vai pure, zio Aryon. Buonanotte, Lady Nerwen", concluse, facendole un cenno di saluto. Si allontanò in cerca del fratello.
"Ti accompagno", disse Aryon. Il cuore di Nerwen saltò un battito: che avesse infine capito e stesse cercando un'occasione per stare soli, in modo da esternarle i suoi sentimenti? Sentì improvvisamente molto caldo, poi, altrettanto di repente, freddo.
"Va bene", accettò, cercando di mantenere ferma la voce. Santi Valar, non si era mai, mai sentita così emozionata alla prospettiva di appartarsi con qualcuno. Era questo, dunque, l'effetto che faceva l'amore della vita? Adesso finalmente poteva capire interamente i sentimenti di Melian per Thingol, di Lúthien per Beren, o di Galadriel per Celeborn... Era una sensazione di pienezza, di gioia, di gratitudine, di meraviglia, qualcosa che le dava una forza ed un'energia tali per cui sarebbe stata capace di sfidare l'Oscuro Nemico in persona... e vincere.
Proprio come aveva fatto la figlia di sua sorella, che aveva affrontato Morgoth e lo aveva vinto.
Aryon, del tutto ignaro della bufera di emozioni che stava imperversando nel cuore di Nerwen, le porse il braccio, che lei accettò.
Salirono la più vicina scala che conduceva al piano superiore; una volta lì, Aryon l'accompagnò alla rampa della torre che ospitava la sua camera, e senza fermarsi continuò, salendo assieme a lei. A quel punto Nerwen fu certa che il principe aveva capito e si stava accingendo a dichiararlo apertamente, per poi magari proporle di trascorrere la notte assieme. Il pensiero le fece seccare la gola per l'emozione.
Arrivati davanti alla porta della camera di Nerwen, Aryon si arrestò; lei si girò a guardarlo, colma di aspettativa.
"È stata una magnifica serata", le disse il principe.
"Già", concordò lei, incapace di mettere insieme una frase più lunga. Gli occhi chiarissimi di Aryon luccicavano come gioielli nella luce incerta dell'unica lampada che illuminava il pianerottolo; la Maia sentì le ginocchia che le si tramutavano in gelatina.
Aryon era indeciso: poteva farle una proposta? Era proprio per quello che l'aveva accompagnata fin lì: l'aveva sentita molto vicina, prima, su quella panchina del giardino... ma poi si era come improvvisamente allontanata. Non sapeva proprio cosa pensare.
Forse si era sbagliato, concluse.
"Buona notte, Nerwen", mormorò, chinandosi leggermente per sfiorarle le mano con le labbra; poi si voltò ed imboccò le scale.
Nerwen rimase di sale. Per lunghi istanti non fu neppure in grado di respirare o di formulare un pensiero compiuto; istupidita, ammutolita, guardò Aryon allontanarsi.
Aryon scese con calma i primi due gradini; d'un tratto, gli parve di ricevere un pugno nello stomaco e gli mancò il fiato. Boccheggiò in cerca d'aria, mentre nel cervello gli esplodeva un'istantanea, assoluta certezza.
Nerwen la Verde era la sua compagna per la vita.
Drizzò la schiena come pungolato da una spada e si girò di scatto a guardare la Istar, gli occhi sbarrati per lo sbigottimento. Lei lo stava fissando, immota; l'espressione smarrita dipinta sul suo bel viso lo colpì al cuore come una stilettata.
Attonito, travolto, rimase altrettanto immobile, gli occhi bloccati in quelli di lei. Eliénna gli aveva descritto la sensazione che aveva provato quando aveva riconosciuto in Kalivon il suo compagno per la vita, ed anche i suoi pochi amici intimi avevano fatto lo stesso, ma niente, niente lo aveva preparato al ciclone emotivo che lo stava investendo e che gli stava letteralmente mozzando il fiato.
Per lunghi, interminabili istanti, i due rimasero a divorarsi con gli occhi senza muovere un muscolo, senza parlare, finanche senza respirare.
Poi Nerwen, comprendendo infine che anche ad Aryon si era palesato il loro fatidico legame, schiuse le labbra in un accenno di sorriso. Quel piccolo movimento riscosse Aryon dalla sua paralisi; con pochi passi delle sue lunghe gambe, il principe annullò la distanza tra di loro e le prese il volto tra le mani.
"Tu...", bisbigliò in tono incredulo, "Sei tu..."
Lei lottò contro il nodo che le chiudeva la gola e riuscì a sospirare:
"Sì..."
Quella semplice sillaba appena udibile gli fece schizzare il cuore in gola.
"Benedetta Vána...", mormorò in un sussurro strozzato, invocando il nome della sposa di Oromë. Seguendo l'istinto, serrò le braccia attorno a Nerwen, chinò il capo e posò le labbra su quelle di lei.
Nerwen sentì una vibrazione dentro di sé, come se lei fosse stata un'arpa dalla quale la mano sapiente di un musicista aveva appena tratto un celestiale accordo; in tutta la sua lunghissima vita, mai aveva provato qualcosa di neanche lontanamente paragonabile, e la sensazione la scosse profondamente, tanto nel corpo quanto nell'anima. Mosse le braccia e le avvolse attorno a lui.
Le labbra di Aryon premevano contro le sue con decisione, ma allo stesso tempo con gentilezza; la mente svuotata di pensieri coerenti, Nerwen schiuse la bocca, chiamandolo ad approfondire il bacio. Il principe raccolse prontamente il suo invito e le loro lingue si sfiorarono, toccandosi ed accarezzandosi, avanzando e ritraendosi in una danza dolce ed eccitante assieme.
Si baciarono a lungo, interrompendosi per brevi attimi a prendere fiato solo per poi ricominciare in modo ancor più ardente. La passione crebbe e dilagò dentro di loro come un incendio, fino a diventare incontenibile. Barcollarono verso la porta della camera, vi sbatterono contro; Aryon premette Nerwen contro l'uscio chiuso, stringendosi addosso a lei. Per lo scudo di Oromë, com'era morbido il suo corpo, e deliziosa la sua bocca...!
Incapace di trattenersi, sollevò una mano lungo il fianco di lei fino a sfiorarle il lato di un seno. La sentì emettere un mugolio di approvazione e perse la testa. Brancicò in cerca della maniglia, la trovò, la girò ed aprì la porta. Stringendola ulteriormente contro di sé, la sollevò e la portò dentro, chiudendo con un calcio. Due lampade si accesero automaticamente, spandendo la loro morbida luce dorata nella camera.
Nerwen non era più capace di pensare, come se avesse smarrito il lume della ragione. Per quanto la riguardava, tutta Eä poteva essere scomparsa ed erano rimasti solo loro due, avvinti in quell'abbraccio sensuale.
Aryon la depose nuovamente a terra e staccò la bocca da quella di lei, solo per chinarsi a baciarle il collo; lei gettò la testa all'indietro, offrendogli accesso alla tenera pelle della gola, che lui si affrettò a gustare con la punta della lingua e trovò squisita come vaniglia. La sentì boccheggiare, ed allora si chinò ulteriormente, sfiorandole il petto con le labbra, giù fino a dove, sopra la scollatura, si gonfiavano le morbide rotondità del seno.
Nerwen fu percorsa da un lungo, caldo brivido. Le labbra, le braccia, il corpo di Aryon erano così giusti, così perfetti, come se fossero stati creati apposta per lei; ed invero era così, essendo lui il suo compagno per la vita. Così come lei era stata creata apposta per lui... Si aggrappò alle sue spalle ed emise un sospiro colmo di desiderio, non soltanto fisico, ma anche dell'anima e del cuore.
Aryon cercò i lacci sulla schiena dell'abito, disfacendoli; una volta sufficientemente allargato, le fece scivolare l'indumento dalle spalle, lasciandola con la sola camiciola di sottile velo di seta. Attraverso la stoffa quasi trasparente erano visibili le areole scure che coronavano i seni, con al centro i capezzoli duri ed eretti; ne prese uno tra le labbra, suggendo delicatamente.
A Nerwen parve d'incendiarsi.
"Oh, Aryon..."!, gemette, e suonò come un'invocazione. Desiderosa di dargli piacere tanto quanto gliene stava dando lui, abbassò una mano e toccò l'evidenza della sua virilità. Fu la volta di Aryon di mandare un lamento deliziato. Si raddrizzò e tornò ad impadronirsi delle labbra di Nerwen per un altro bacio infuocato; lei gli passò le mani dietro la schiena, accarezzandolo. Lui la prese per i fianchi e se la strinse addosso; per tutta risposta, lei gli si strofinò contro, facendolo gemere ancora per il piacere. Le prese nuovamente il volto tra le mani, e nel farlo, le sue dita sfiorarono le orecchie di lei.
Orecchie dal padiglione tondeggiante.
Da Umana.
Gli parve che la terra gli franasse sotto ai piedi e si irrigidì. Con un ansito, si strappò dalle sue labbra morbide e la fissò, incredulo. Senza capire, Nerwen aprì gli occhi e lo guardò.
"Che cosa...?", borbogliò.
"Non... non è possibile", ansimò il principe, "Tu sei della razza degli Uomini, io degli Eldar! Come può essere che sia tu la mia compagna della vita?"
Fece un passo indietro, lasciandola. Nerwen barcollò per un istante, disorientata: ma che cosa stava dicendo, Aryon?
"Co... cosa?", balbettò.
Aryon si passò una mano tra i capelli, dilaniato dal dubbio.
"Sono il figlio di un Maia", considerò sottovoce, "Non posso credere che il mio destino sia unito a quello di un'Umana, una mortale..."
Nerwen sbatté gli occhi, mentre il principe faceva un altro passo indietro. La stava respingendo!, pensò, incredula. Come poteva rifiutare il proprio destino?
Poi, come uno schiaffo in piena faccia, fu colpita dalle ragioni che lui stava adducendo.
La stava respingendo perché la credeva della razza degli Uomini. Inferiore. Indegna.
Dolore e rabbia divamparono nel suo animo, mescolandosi in un turbine dilaniante.
"Vuoi dire che non sono abbastanza, per te?!", esclamò, la voce tremante in egual misura per la collera e le lacrime.
"Non... ", cominciò Aryon, ma Nerwen era troppo sconvolta per lasciarlo parlare:
"Vuoi dire che se io fossi l'ultima delle pescivendole del mercato, ma un'Elfa, andrei bene, mentre perché sono un'Umana, benché una Istar, allora invece no?!", proruppe, "Non ti facevo così superbo! Sei presuntuoso, arrogante, cocciuto, spregevole... e odioso! Vattene! Fuori di qui!"
Si tolse una scarpa e gliela tirò contro. Colto di sorpresa, Aryon sollevò le braccia per deflettere l'oggetto contundente; quando vide che lei si stava levando anche l'altra scarpa, arretrò di tre passi.
"Calmati!", esclamò, "Non avrei mai dovuto..."
"Non avresti mai dovuto neanche guardarmi!", urlò Nerwen fuori si sé, lanciando la seconda scarpa, che lo centrò ad una gamba, "Vai via!!"
Aryon rimase a fissarla per un lungo istante; voleva dirle qualcosa, qualcosa che alleviasse la pena che le scorgeva sul volto, mischiata alla collera, e che gli stava straziando il cuore, ma non riuscì a pensare a niente di sufficientemente valido. Così, rinunciò; girò sui tacchi, raggiunse la porta ed uscì, chiudendosi l'uscio alle spalle.
Le gambe di Nerwen cedettero; cadde in ginocchio e scoppiò in lacrime. Profondi singulti le squassarono il petto mentre si piegava su se stessa.
Dopo millenni di vana attesa, oramai rassegnata a rimanere senza un compagno, oltre ogni speranza l'aveva invece trovato, solo per vedersi rifiutare da lui perché la credeva inferiore e perciò indegna. Se solo avesse saputo chi lei era realmente... se solo lei avesse potuto dirglielo...
Eppure, c'era di peggio: mai avrebbe creduto che lui potesse essere tanto meschino, tanto sdegnoso. Volente o nolente, loro due erano compagni per la vita, ma questo evidentemente non gli bastava per accettare la loro apparente diversità di stirpe. Le sovvenne l'Elfo di cui la sorgente nel Bosco Cet aveva cantato, narrandone l'amore per la donna umana a lei ed a Thorin. A quell'Elfo non era importato, anzi era stato proprio lui ad insistere perché stessero assieme, scegliendo di vivere gli anni che gli erano concessi assieme a lei, piuttosto della solitudine.
A quanto pareva, Aryon era di un'altra pasta.
Nerwen si era innamorata di lui senza rendersene conto e, malgrado la sua presunzione, arroganza, cocciutaggine, spregevolezza, non poteva fare a meno di amarlo. Perché, le piacesse o no, lui era il suo compagno per la vita. Allo stesso modo, anche Aryon non poteva fare a meno di amarla, eppure aveva respinto quell'amore. L'Aini non capiva come questo potesse essere possibile. Non aveva mai sentito che fosse successo.
Disorientata, sfiduciata, amareggiata, Nerwen si alzò e, vacillando, andò verso il letto, dove si lasciò cadere. Non ebbe né la forza né la voglia di cambiarsi per la notte o di spegnere le lampade. Affondando il volto nel cuscino, pianse fino ad addormentarsi.
Aryon raggiunse le proprie stanze, però non aveva un filo di sonno. Provò ugualmente a coricarsi, ma non chiuse occhio, agitato da emozioni e sensazioni del tutto sconosciute e sconvolgenti.
Nerwen era una donna della razza degli Uomini, certo; ma era anche una Istar. Se ciò che si diceva degli Stregoni valeva anche per lei, era dotata di una vita molto più lunga di quella riservata agli Uomini. Ciò non di meno, era mortale, e questo significava che ad un certo punto lei sarebbe andata in un luogo in cui lui non avrebbe potuto seguirla. Nessuno infatti conosceva il fato riservato alle anime degli Uomini, che non soggiornavano nelle Aule di Mandos in attesa di essere reincarnate, così come facevano quelle degli Eldar. D'altro canto, neppure l'appartenenza alla razza degli Elfi era garanzia di un'eternità insieme, perché anche gli Elfi potevano venir uccisi, così com'era accaduto a suo cognato Kalivon; però era possibile che le loro anime si ritrovassero nelle Aule d'Attesa, e si diceva che, rinascendo, coloro che si erano molto amati si riunivano, anche se non era possibile stabilirlo con certezza, perché quando ci si reincarnava, non si rammentavano le vite precedenti. Tuttavia questa ipotesi costituiva se non altro una speranza, mentre invece, avendo a che fare con gli Uomini, essa veniva meno, e quindi lui avrebbe finito per perderla per sempre, prima o poi.
Nerwen aveva torto: non la considerava inferiore o indegna. L'amava, non poteva negarlo, né poteva farne a meno, dato che lei era la sua compagna per la vita; ma di fronte alla certezza della sofferenza per la perdita, si trovava ad esitare. Sua sorella era quasi morta di consunzione, dopo l'uccisione di Kalivon, e se era sopravvissuta era stato soltanto per l'amore dei suoi figli; mentre suo padre, perduta la moglie, aveva scelto di tornare a Valinor in cerca di sollievo, e con la speranza di rivederla, un giorno, qualora si fosse reincarnata colà. Lui non voleva affrontare quel dolore, aggravato dalla disperazione di sapere che non c'era alcuna possibilità di ritrovare Nerwen.
Insonne, si rigirò nel letto fino alle prime luci dell'alba; poi si alzò, si vestì e si diresse a passo di carica alle scuderie, dove bardò personalmente il suo stallone nero, Allakos. Poi gli salì in groppa e si diresse fuori città. Aveva degli impegni, e dopo averli espletati, si sarebbe preso alcuni giorni lontano da palazzo - e da Nerwen - per riflettere e giungere ad una decisione.
Il mattino seguente, Nerwen disertò il terrazzo dove usava consumare la colazione con Aryon ed Eliénna, chiedendo a Parànel di portarle da mangiare in camera: a costo di sembrare una codarda, non se la sentiva di affrontare Aryon.
Durante la mattinata, la regina la mandò a chiamare. L'Aini scese immediatamente, domandandosi cosa rispondere nel caso Eliénna le avesse chiesto come mai non si era presentata a colazione; non aveva infatti pensato a darsi indisposta.
La regina l'attendeva nel suo studio, la stessa stanza in cui l'aveva ricevuta il giorno il cui era arrivata a Bârlyth; era seduta alla sua scrivania di mogano e la invitò ad accomodarsi, diversamente dalla prima volta quando l'aveva lasciata in piedi per tutto il tempo. Nerwen prese quindi posto sulla sedia imbottita accanto alla scrivania.
"Stamattina non ti sei fatta vedere, a colazione", esordì Eliénna, il volto bellissimo atteggiato ad un'espressione interrogativa, "Stai bene?"
"Sì, sto bene, ho solo dormito più a lungo del previsto", rispose Nerwen, "Chiedo scusa, maestà: non sono abituata a fare le ore piccole", aggiunse a mo' di spiegazione.
"Capisco", fece la regina, nascondendo la propria perplessità, "Hai comunque mangiato?"
"Sì, grazie: Parànel mi ha portato la colazione in camera."
"Molto bene", annuì Eliénna, liquidando la faccenda, "Anche Aryon stamattina mi ha piantata in asso: è partito prima dell'alba per le sue incombenze e mi ha lasciato detto che tornerà soltanto tra alcuni giorni..."
Nerwen si sentì delusa, e la cosa la stupì: si sarebbe infatti aspettata di sentirsi invece sollevata; ma la verità era che provava amarezza per il fatto che lui volesse evitarla. Neanche fosse un'appestata...
"Comunque", proseguì la regina, del tutto ignara dei tormenti della sua interlocutrice, "seguendo il parere di mio fratello, ho deciso di concederti il salvacondotto che ti permetterà di circolare liberamente per tutto il territorio delle Sei Tribù, senza scorta e senza limitazioni di alcun genere. Ho dato quindi disposizioni perché il mio segretario lo redigesse", indicò il foglio che giaceva sulla scrivania, "e lo stavo giusto per firmare."
"Grazie, maestà", disse Nerwen rigidamente; allo sguardo perplesso di Eliénna, cercò di darsi un tono, "Ti sono molto grata, ma soprattutto sono contenta di sapere che alla fine tu abbia accettato di credere alla mia buona fede."
La regina annuì graziosamente.
"Ritengo ancora che la tua missione sia... fantasiosa", dichiarò con tatto, "ma sono disposta a darti il beneficio del dubbio. Chissà, forse un giorno tornerai con una schiera di Entesse al seguito, e allora sarò contenta di ammettere d'essere stata in errore", soggiunse con spirito. Nerwen sorrise solo leggermente, ancora troppo di malumore per quanto accaduto la sera prima, ed anche sempre più amareggiata dal comportamento di Aryon: non solo aveva deciso di evitarla, ma aveva anche sollecitato la sorella a mandarla via.
"Posso partire subito?", domandò d'impulso. Meglio andarsene, visto che lui chiaramente non la voleva.
"Certamente", rispose la regina, senza nascondere la propria sorpresa, "ma vuoi partire senza salutare mio fratello? Mi sembrava che ci fosse della simpatia, tra di voi..."
Nerwen arrossì, senza sapere se fosse per l'imbarazzo o per la rabbia.
"Lo credevo anch'io", rispose, "ma ieri sera... ci siamo chiariti."
"Oh", fece l'altra, piuttosto sconcertata: era stata così sicura che Aryon si fosse infatuato di Nerwen e che lei lo ricambiasse... e invece no? Strano, raramente sbagliava a giudicare gli stati d'animo delle persone, in special modo di quelle che conosceva bene; e non conosceva nessuno tanto bene quanto suo fratello, tranne forse i suoi figli.
Rinunciando momentaneamente a capire la situazione, prese la penna d'oca, la intinse nell'inchiostro e firmò con uno svolazzo, poi usò la ceralacca per aggiungervi il suo sigillo, rendendo il documento ufficiale a tutti gli effetti. Infine lo porse a Nerwen perché lo leggesse; la Istar lo scorse rapidamente ed annuì, indicando d'aver capito. Allora Eliénna le diede una custodia di pelle a forma di tubo, dove avrebbe potuto conservare il salvacondotto arrotolato, e Nerwen ve lo infilò.
"Grazie, maestà", disse, alzandosi e profondendosi in un inchino, "Col tuo permesso, partirò domattina."
"Come vuoi, Lady Nerwen", rispose la regina, "D'ora in avanti, sei libera di andare e venire a tuo piacimento in tutto il mio regno."
Con un altro inchino, meno accentuato, la Maia si accomiatò e tornò nella sua camera, dove cominciò a fare i bagagli e mise al sicuro il prezioso documento che tanto s'era fatto desiderare. A mezzodì mangiucchiò qualcosa, maledicendo Aryon per la propria inappetenza - lei non aveva mai poco appetito, accidenti a lui! - e poi nel pomeriggio scese nelle scuderie ad avvisare i suoi amici kelvar che l'indomani se ne sarebbero andati.
Thilgiloth non nascose la propria perplessità:
Mi sembra una partenza assai frettolosa, rispetto a quelle precedenti, osservò, È successo qualcosa che ti ha infastidita?
Nerwen non si sognò neppure di tener nascosta la sua motivazione alla propria vecchia amica quadrupede e le narrò concisamente i fatti della notte prima.
Non mi ero accorta che tu fossi attratta da lui, disse la Corsiera, sconcertata, Non è stato come le altre volte...
Neppure io mi sono accorta di essere attratta da lui, spiegò Nerwen, Non in modo particolare, voglio dire. E men che meno mi sono accorta che mi stavo innamorando... Finché non ho capito che è il mio compagno per la vita. Ma lui non mi vuole... Oltretutto, la sua fuga mi fa chiaramente intendere che non vuol avere niente a che fare con me. Non capisco come sia possibile!, scosse la testa, ancora incredula di fronte a quello che le sembrava un paradosso, La decisione della regina arriva a proposito: meglio che io me ne vada. Sarà quel che deve essere, concluse con un sospiro infelice.
Thilgiloth non sapeva come consolarla: per la sua natura, non era capace di comprendere il concetto di compagno per la vita e quello che ciò implicava a livello emotivo. Sapeva solo che la sua vecchia amica era triste, e questo non le piaceva. Sentì di detestare Aryon: come osava respingere Nerwen? Chi si credeva di essere? Desiderò intensamente di poterlo prendere a zoccolate.
Volendo congedarsi come si deve da Eliénna e dai suoi figli, Nerwen si presentò a cena anche se non aveva molta fame. Il profumo dello spezzatino di vitello in umido, però, le fece venire un po' di appetito, così finì col mangiare quasi normalmente.
Myranna manifestò un certo dispiacere alla notizia della partenza di Nerwen: la straniera la incuriosiva e le sarebbe piaciuto approfondire la loro conoscenza; inoltre la sua competenza riguardo alla scienza erboristica le era stata di grande aiuto nello studio, per non parlare del suo incoraggiamento di fronte alla madre, che era piuttosto contraria alla sua scelta di diventare una guaritrice. Lorgil invece accolse l'annuncio con maggior distacco, sia perché il suo carattere era più riservato rispetto a quello della sorella, sia perché aveva avuto minori opportunità di interagire con Nerwen.
Quando si congedò, Eliénna Dhillel le rivolse il tradizionale saluto di commiato degli Avari:
"Che lo scudo di Oromë ti protegga dai pericoli, e che i fiori di Vána rendano leggero il tuo passo."
Nerwen ricambiò col suo:
"Che le stelle brillino sul tuo cammino."
Forse non erano giunte ad amarsi, ma di certo erano giunte a rispettarsi; così, la loro separazione fu forse piuttosto formale, ma sicuramente sentita.
Il mattino seguente di buonora, Nerwen usciva da Bârlyth; con un ultimo sguardo al bel palazzo di legno sulla cima della collina più alta, la Istar voltò Thilgiloth verso destra ed il Rinnen, dove la strada che fiancheggiava il fiume l'avrebbe condotta prima al porto e poi, proseguendo, fuori dalla foresta, nella vasta pianura tra Eryn Rhûn e gli Orocarni.
Nota dell'Autrice:
Argh! Avete idea di quanto sia stato difficile strappare Nerwen dalle braccia di Aryon?? Ma non poteva essere così facile: la Nostra non può certo avere chiunque voglia ai suoi piedi con un semplice schiocco di dita, anche se spesso, grazie al suo fascino, in passato è sembrato così, e sebbene si tratti del suo compagno per la vita...
Spero che l'attesa non sia stata troppo lunga; e specialmente spero che ne sia valsa la pena, anche se magari qualcuno potrebbe sentirsi deluso dal prolungarsi dell'attesa. Vedremo se Aryon deciderà di arrendersi al destino e, soprattutto, quando...
Grazie mille ai tanti lettori, ormai troppi per elencarli tutti: siete davvero la linfa del mio ego di scrittrice (mamma mia che parolona!) LOL Anche se vi limitate a leggere senza commentare, mi fa immensamente piacere vedere il contatore delle letture aumentare rapidamente non appena posto ciascun capitolo, sono lusingatissima!!! Comunque ricordate che a), non mordo e b), il vostro parere per me conta molto, per cui se me lo fate conoscere vi sarò immensamente grata.
Lady Angel
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