Capitolo XXXI: Soggiorno a Barlyth
Capitolo XXXI: Soggiorno a Bârlyth
Il mattino seguente, Parànel le portò l'invito di Aryon a fare colazione con lui. Incerta se si trattasse di pura cortesia o di un altro modo per tenerla d'occhio, Nerwen seguì l'ancella, che la condusse fino ad un terrazzo rivolto verso la città; il principe l'attendeva affacciato alla balaustra, le cui colonnine di legno erano intagliate in forma di spirali. Sentendola sopraggiungere, si girò, ed i loro occhi si incontrarono. Ancora una volta, la Maia fu colpita dalla luce che si scorgeva nelle profondità azzurro ghiaccio dello sguardo di Aryon.
"Grazie per l'invito, Lord Aryon", gli disse in avarin. Lui le fece cenno di accomodarsi al piccolo tavolo rotondo, apparecchiato per due.
"È un piacere, Lady Nerwen", rispose nello stesso idioma, con un certo calore, "E poi, non mi piace mangiare da solo", soggiunse in Lingua Corrente, come ripensandoci, o pentendosi di un'espansività che forse non gli apparteneva, "La tua padronanza della nostra lingua diventa ogni giorno più notevole", concluse, cambiando totalmente discorso.
Nerwen sbatté le palpebre, confusa da quei repentini mutamenti di atteggiamento.
"Grazie", disse sedendosi, a replica della sua osservazione, "Ora che tutti attorno a me la parlano, sarà più facile impararla. Intendo anche approfittare della vostra biblioteca per leggerla e migliorarne ulteriormente la conoscenza."
Ci sarebbe stato un sistema assai più rapido per apprendere la lingua avarin, lo stesso che le aveva permesso di imparare il khuzdul e l'ovestron, ma esso richiedeva un rapporto di completa fiducia tra le due parti, così come lei lo aveva con Yavanna e con Gandalf; al momento, quindi, tale sistema le era precluso.
Aryon fece cenno ad un inserviente, poi tornò a rivolgersi a Nerwen:
"Se lo desideri, dopo colazione ti accompagnerò in biblioteca e darò disposizioni al Custode dei Libri di assisterti", si offrì.
Il cameriere si avvicinò con un bricco fumante e versò il liquido bollente nelle tazze dei due commensali. Se ne levò un profumo fragrante e Nerwen riconobbe il forte tè nero aromatizzato al bergamotto che era la bevanda preferita a colazione presso i Kindi, come aveva avuto modo di constatare durante i giorni di viaggio con il principe e la sua scorta.
"Ti ringrazio per la tua cortesia, Lord Aryon", disse, anche se era certa che non si trattasse di semplice gentilezza: dopotutto, il giorno prima la regina in persona gli aveva dato l'ordine diretto di occuparsene, per cui non era una sua scelta. Inoltre, era probabile che dovesse dare disposizioni al bibliotecario riguardo a cosa farle vedere e cosa no: di certo c'erano documenti che non si riteneva opportuno che una straniera visionasse, soprattutto una di cui non era stata ancora decisa l'affidabilità.
Sospirò mentalmente: doveva camminare sulle uova, ed era una cosa che detestava, perché preferiva di gran lunga poter essere franca e diretta; tuttavia non voleva correre il rischio di venir fraintesa.
"Non c'è di che", rispose il principe, "Ne approfitterò per fare delle ricerche sugli Istari, anche se dubito di trovare molte informazioni."
Il suo candore contrastava palesemente con la prudenza tipica degli Avari, e Nerwen si sentì ancor più disorientata.
"Ti potrei dire qualcosa io stessa, su di loro", considerò con calma, "ma naturalmente potresti non credermi."
Il principe stirò le labbra in un sorrisetto sarcastico, a cui lei rispose con uno di altrettanto ironico; a quel punto, Aryon sbruffò in una risata, breve ma, finalmente, davvero divertita.
"Non è facile metterti in difficoltà", considerò.
"Direi di no", confermò Nerwen placidamente, ma anche lei divertita.
Frattanto il cameriere aveva portato in tavola pane, burro, miele e composte di frutta, nonché formaggio tenero, uova sode, carne salata finemente affettata ed una strana crema bianca piuttosto consistente.
Incuriosita, la Maia la assaggiò: era fresca ed aveva un sapore acidulo, ma gradevole.
"Buona", disse, "Che cos'è?"
"Latte fermentato", rispose Aryon, "Lo chiamiamo ertan. È ottimo con il miele, ma anche con pezzetti di frutta fresca o essiccata, e con granella di frutta secca tipo noci, nocciole, mandorle e quant'altro."
Nerwen aggiunse un cucchiaino di miele, lo mescolò e tornò ad assaggiarlo; il sapore acidulo era scomparso, sostituito dal dolce del miele. Annuì: Aryon aveva ragione, era delizioso.
Il principe prese un boccone di pane e formaggio e masticò pensierosamente, scrutando di sottecchi la sua ospite. Non riusciva a decidersi come sentirsi nei suoi confronti: la naturale diffidenza della sua gente verso tutti gi stranieri si scontrava con l'attrazione che provava per lei, attrazione che però non sapeva spiegarsi, perché mai prima d'ora aveva avuto il minimo interesse per un'esponente della razza degli Uomini.
Ancora una volta, la vide sdoppiarsi, in quello strano effetto che non riusciva a capire. Se lo avesse notato soltanto lui, avrebbe pensato di aver le traveggole, ma lo aveva osservato anche Eliénna.
Avendo finito di servire, il servitore si ritirò con discrezione, così Aryon decise di affrontare il discorso apertamente.
"Lady Nerwen, spiegami perché ti vedo come se tu fossi qui e allo stesso tempo come se fossi anche... altrove."
Lei alzò di scatto gli occhi dal piatto e lo fissò, genuinamente stupefatta: Aryon aveva la doppia vista elfica, ma pareva non sapere che cosa fosse. Era una dote posseduta da tutti gli Ainur e gli Eldar di Valinor - che camminavano sia nel mondo visibile che in quello invisibile - ed era diffusa anche tra gli Elfi della Terra di Mezzo che erano di discendenza valinoreana, ma non tra coloro nati e sempre vissuti al di qua di Belegaer come gli Avari; era quindi assai strano che il principe avesse questo talento.
Non poteva rivelargli la sua vera provenienza, però era opportuno che gli fornisse una spiegazione plausibile.
Posò la forchetta e lo guardò fisso.
"Hai la doppia vista degli Eldar", spiegò, lentamente, "Si tratta della capacità di vedere le cose sia sul piano visibile che sul piano invisibile. Tutti gli abitanti di Valinor - Valar, Maiar, Alti Elfi - possono essere visti in questo modo, perché esistono su entrambi i piani. Anche gli Istari: per questo tu mi vedi su tutti e due."
Non era necessario specificare che gli Stregoni, in realtà, erano Maiar diminuiti.
Anche Aryon posò la forchetta, sentendosi come folgorato: all'improvviso, tutti i suoi dubbi su Nerwen erano scomparsi, ed ebbe la certezza che lei diceva la verità: gli Stregoni esistevano veramente, e lei era un membro del loro Ordine.
"Vedevo così anche mio padre", le rivelò. La Maia ebbe un sussulto di sorpresa:
"Tuo padre era un Istar?", domandò, pensando che potesse trattarsi di uno dei due Stregoni Blu scomparsi all'est tanto tempo prima; questo tuttavia avrebbe reso assurda la convinzione degli Avari che essi fossero una favola buona tutt'al più per i bambini.
Infatti Aryon rispose negativamente:
"No, faceva parte della schiera di Oromë, quando venne a Cuiviénen con l'invito dei Valar. Lì conobbe mia madre, Lauriell, e se ne innamorò, ricambiato. Per amor suo, rimase sulla Sponda di Qua, finché lei non venne uccisa da un coboldo di ghiaccio sulle Montagne Rosse, all'inizio della Seconda Era. Allora sembrò che, nonostante mia sorella e me, i suoi figli, la vita per lui avesse perso ogni significato. Ci salutò e se ne andò, con l'intenzione di varcare il Grande Mare e tornare a Valinor", il suo sguardo si fece lontano, velandosi di malinconia, inaspettata data l'inflessibilità di carattere finora dimostrata, "Da allora, non ne abbiamo più saputo nulla."
Via via che parlava, Nerwen si era tesa sempre di più, ma aveva cercato in ogni modo di non darlo a vedere.
"Hai detto che era del seguito di Oromë il Cacciatore", considerò sottovoce, "Dunque era un Maia..."
Ecco come si spiegava la doppia vista da Alto Elfo di Aryon, nonché la straordinaria luce che splendeva negli occhi suoi e di sua sorella Eliénna: erano per metà Ainur. Come lo era stata Lúthien.
"Sì, è esatto", confermò il principe, "Si chiamava - o si chiama - Galadhost."
Nerwen annuì per indicare che aveva capito. Non conosceva quel nome, neppure nella versione in valarin, che era Aldarosto. Era evidente che Aryon avrebbe voluto sapere che fine aveva fatto il padre, e così certamente anche Eliénna. Forse poteva contattare Yavanna e chiederle se ne sapeva qualcosa.
E c'era anche un'altra cosa: l'imprevista rivelazione del principe palesava che qualcosa lo aveva convinto che, dopotutto, poteva fidarsi di lei. Il fatto che riuscisse a vederla con la doppia vista elfica, e la spiegazione che lei ne aveva dato, gli aveva fatto cambiare idea su di lei. Pertanto, meritava di essere contraccambiato.
"Avevo visto qualcosa di insolito, in te e in tua sorella la regina", gli svelò quindi, "Ora ne comprendo la natura: siete figli di un Maia", al suo sguardo sorpreso, sorrise lievemente, "Gli Istari non solo possono essere visti camminare sia nel mondo visibile che in quello invisibile, ma possono anche vedere in entrambi i mondi."
Il principe annuì adagio.
"Mi sembra logico", commentò, poi corrugò la fronte, perplesso, "Dunque anch'io cammino nei due mondi?"
"No, né tu né tua sorella", rispose Nerwen - neppure Lúthien, se per questo - aggiunse mentalmente, "ma siete Ainur per metà, e nei vostri occhi c'è la stessa luminosità che si vede negli occhi degli abitanti di Valinor."
Lui tornò a guardarla con aperta meraviglia:
"Hai visto un valinoreano?!"
La Istar si trattenne appena in tempo dal mordersi un labbro, cosa che avrebbe fatto capire al principe che aveva parlato troppo; ma nel trovarsi di fronte al figlio di un suo simile, si era rilassata, e la sua ansia di guadagnarsi la sua considerazione aveva fatto il resto. Così, la frase le era sfuggita senza che pensasse alle implicazioni in essa contenute.
Pensò rapidamente ad una spiegazione convincente che la traesse d'impaccio.
"Ogni Istar è seguace di un Vala in particolare", rispose lentamente, "Io, ad esempio, sono discepola di Yavanna Kementári. In quanto tale, ho avuto l'onore di vederla, e i suoi occhi erano luminosi come i tuoi e quelli della regina Eliénna."
Non le piaceva ricorrere a mezze verità, per non parlare di bugie vere e proprie; ma quando non poteva essere completamente sincera, e tuttavia mostrare troppa reticenza era controproducente, si doveva rassegnare a farlo.
"Kementári...", mormorò Aryon, affascinato, "Non poteva che essere la Regina della Terra, dati i tuoi poteri su piante e animali", ripescò la forchetta dal piatto e ricominciò a mangiare, "Dimmi, hai mai visto Valinor? O altri Valar?"
Nerwen fece una smorfia dispiaciuta:
"Mi rendo conto che forse ho appena cominciato a conquistare la tua fiducia, Lord Aryon, ma purtroppo non sono libera di parlare di ciò al di fuori dell'Ordine degli Stregoni", mormorò, sinceramente dolente. Questa volta, piuttosto che mezze verità, preferì tacere del tutto. Con altri forse non le sarebbe importato di mentire, ma voleva veramente assicurarsi la stima di questo ombroso principe degli Avari. Come pure di sua sorella, naturalmente.
"Ma certo", disse lui, senza parere particolarmente offeso, o sospettoso, "capisco. È solo che... beh, sono molto curioso: dopotutto, Valinor è la terra d'origine di mio padre, ma non ho mai avuto la possibilità di vederla - né probabilmente l'avrò mai. E quindi, se trovassi qualcuno che ci è stato, lo subisserei con una valanga di domande. Te ne sei appena salvata!", concluse con un tocco di umorismo.
Anche lei sorrise, senza più aggiungere nulla. D'ora in avanti, doveva stare molto attenta a come parlava: sebbene si trovasse davanti ad un Elfo dal rango paragonabile solamente a quello di sua nipote Lúthien, che aveva creduto unico ed irripetibile, non le era consentito rivelarsi interamente. Non era più come con Círdan, Elrond ed i suoi figli, o Galadriel e Celeborn, che la conoscevano fin da prima che diventasse una Istar e pertanto sapevano qual era la sua vera natura...
Consumata la colazione, Aryon condusse Nerwen alla biblioteca di palazzo, cinque o sei ampie e luminose stanze che occupavano gran parte dell'ala meridionale dell'edificio, al pianterreno.
"È la più grande e completa raccolta di libri e pergamene di tutte le Sei Tribù", le disse con orgoglio, mentre entravano, "Contiene documenti antichissimi, originali o copie: saggi, racconti, miti, leggende, saghe, poesie, canzoni, e naturalmente libri di storia, geografia, medicina, insomma tutto lo scibile degli Avari."
"Eccellente", dichiarò Nerwen con apprezzamento.
Si avvicinò loro un Elfo dall'aspetto gracile ed in qualche modo polveroso, forse perché i suoi abiti erano grigi e spiegazzati; i suoi occhi, ugualmente grigi, erano però molto vivi e presenti, smentendo il suo aspetto sciatto.
"Lady Nerwen, ti presento Teithir, il Custode dei Libri", disse Aryon, "Mastro Teithir, questa è Lady Nerwen, e ha il permesso della regina di consultare tutti gli incartamenti esposti, di qualsiasi argomento."
La parola esposti rafforzò in Nerwen la convinzione d'aver ragione: c'erano documenti - evidentemente nascosti - che non le sarebbe stato consentito vedere.
Teithir le rivolse un inchino:
"Benvenuta, mia signora", le disse, "Che tipo di documenti desideri consultare?"
"Per cominciare, mappe della regione tra qui e le Montagne Rosse", rispose subito lei, "e delle Montagne Rosse stesse."
Venne invitata a sedersi ad un tavolo, mentre Teithir avrebbe cercato le carte richieste. Aryon si congedò da lei:
"Ti lascio nelle mani migliori, Lady Nerwen."
L'Aini si sentì stranamente dispiaciuta.
"Avevi detto che volevi trovare notizie degli Istari...", gli rammentò. Lui fece il mezzo sorriso che gli era tipico:
"Penso d'aver trovato una fonte più documentata di qualsiasi libro", dichiarò, "Quando vorrai, me ne parlerai tu stessa, almeno nella misura in cui ti è consentito."
"Ne sarò felice, Lord Aryon", accettò prontamente Nerwen. Il principe le rivolse un cenno di saluto e se ne andò.
Sedendosi al tavolo che le era stato indicato, Nerwen rifletté: quella era stata una dichiarazione di fiducia, oppure era solo un altro modo per interrogarla? No, decise, era la prima: dopotutto, Aryon aveva stabilito che poteva crederle, almeno in una certa misura. Ciò ovviamente non implicava che doveva rivelarle segreti di Stato: del resto, neppure Elrond, Círdan o i Signori dei Galadhrim lo avevano fatto. I documenti che le erano stati interdetti dovevano essere certamente di questo tipo.
Mentre si allontanava dalla biblioteca per andare ad attendere ai suoi doveri, i pensieri di Aryon indugiavano su Nerwen. Stava cominciando a pensare che forse ci si poteva veramente fidare di lei, e questo lo faceva sentire sollevato. La ragione di quel sollievo era sicuramente la sua attrazione verso di lei, ma non poteva farsi condizionare da essa e doveva cercare invece di raggiungere un giudizio obiettivo. Però gli sarebbe piaciuto davvero che lei si rivelasse degna di fiducia...
Trascorsero alcuni giorni, che Nerwen passò in gran parte rintanata in biblioteca a studiare e mandare a memoria mappe, e a leggere di molti argomenti, in particolare la storia, i miti e le leggende degli Avari, alla ricerca di notizie che potessero far pensare agli Ent o alle Entesse. Si documentò anche su quello che era un territorio quasi del tutto sconosciuto agli abitanti delle terre più occidentali. Venne così a sapere che le Montagne Rosse, conosciute anche come Orocarni o Monti dell'Est, si estendevano per una lunghezza pressoché sterminata, partendo dall'estremo nord della Terra di Mezzo e giungendo fino al Grande Mare Orientale. Era certamente la catena montuosa più lunga di Ennor; da essa nascevano molti fiumi che attraversavano le pianure oltre la Foresta Orientale, tra cui uno denominato Rinnen, che giungeva fino al Mare di Rhûn ed attraversava il regno dei Kindi, usato come via di comunicazione tra quest'ultimo ed il regno dei Kinn-lai, gli Avari che vivevano sulle pendici degli Orocarni; quello stesso corso d'acqua fungeva da frontiera tra i territori degli Hwenti e dei Windan. Le Montagne Rosse erano ricche di metalli pregiati - oro, argento, rame, platino - e di pietre preziose, in particolare rubini e smeraldi; per questo motivo, fin dalla Prima Era vi si erano stabilite quattro delle Sette Case dei Nani, precisamente le stirpi dei Barbedure, dei Pugniferro, dei Piediroccia e dei Chiomenere; erano stanziati rispettivamente nell'estremo nord, nel centro-nord, nel centro-sud e nell'estremo sud degli Orocarni. Gli Avari Kinn-lai vivevano più o meno al centro esatto della catena montuosa, tra i Pugniferro ed i Piediroccia, ed intrattenevano con i Nani solo rapporti strettamente commerciali.
Quando non era sepolta tra libri e pergamene, Nerwen passeggiava per il parco circostante la reggia, spesso in compagnia di Calad; qui un paio di volte incontrò Myranna, intenta a catalogare i vegetali dei giardini come parte della sua formazione di guaritrice, e fu lieta di fornirle la propria consulenza. La giovane principessa dei Kindi era già ben disposta verso di lei, e la sua considerazione crebbe ulteriormente dopo che la sua conoscenza di erbe, piante e fiori si fu notevolmente accresciuta grazie agli insegnamenti di Nerwen.
I pasti avevano assunto un regime uniforme fin dal primo giorno: consumava la colazione sul terrazzo, a volte da sola, a volte in compagnia di Aryon, a cui ogni tanto si univa anche Eliénna, nel dichiarato intento di conoscerla meglio per poter esprimere un giudizio equo - rifiutava infatti l'influenza del fratello, ormai convinto dell'affidabilità della Istar - mentre il pranzo le veniva servito in camera da Parànel; a cena invece era invitata fissa al desco famigliare della regina, dove trovava anche Lorgil e Myranna, e naturalmente Aryon. Dopo cena, in luogo del Salone del Fuoco in uso presso gli Elfi delle aree più occidentali della Terra di Mezzo, c'era spesso - ma non sempre - un intrattenimento particolare chiamato atrabes. Veniva proposto un argomento, del quale i partecipanti, seduti in cerchio su comodi divani, parlavano a turno, esponendo le loro opinioni mentre bevevano una deliziosa bevanda a base di vino annacquato ed aromatizzato con spezie da una grande coppa comune, il cui possesso dava il diritto alla parola. Ci si poteva anche semplicemente sedere al di fuori del cerchio per ascoltare - in tal caso però non si poteva intervenire nella discussione - cosa che Nerwen fece spesso per meglio conoscere il popolo che la ospitava. Ne concluse che la visione di rusticità ed arretratezza che gli Elfi occidentali avevano dei loro fratelli Avari era del tutto errata, perché pur avendo usi e costumi leggermente diversi ed una mentalità estremamente diffidente verso il resto del mondo, essi erano altamente raffinati, colti e civili.
Una decina di giorni dopo il suo arrivo a Bârlyth, Nerwen era in biblioteca e stava leggendo una dettagliata descrizione degli Orocarni nel territorio dei Kinn-lai, esposta in uno stile noiosissimo; dopo un'ora abbondante, non potendone più della pedanteria dell'autore, posò il libro e si stiracchiò come un gatto, con un enorme sbadiglio che quasi le slogò la mascella. Sollevando lo sguardo affaticato, scorse Aryon che la stava guardando, gli occhi chiari baluginanti di divertimento e l'ombra di un sorriso sulle labbra.
"Ops!", fece Nerwen, mettendosi la mano davanti alla bocca, sebbene fosse ormai di gran lunga troppo tardi, "Temo che tu mi abbia visto le tonsille...", scherzò. Le venne da ridere alle sue stesse parole; cercò di trattenersi, ma i suoi sforzi furono del tutto vani, e pochi istanti dopo scoppiò in una risata irrefrenabile che la fece piegare su se stessa: santi Valar, le tonsille! Da dove le era mai venuta, quell'immagine??
Il suo inaspettato motto di spirito colse Aryon di sorpresa; vedere la solitamente composta Istar sbellicarsi dalle risate gli strappò uno dei suoi infrequenti sorrisi pieni, che parevano tanto più smaglianti proprio per la loro rarità.
"Temo che non saprei distinguere una tonsilla dall'ugola", rispose sullo stesso tono scherzoso. Nerwen rise ancora, poi lentamente si calmò:
"Perdonami, Lord Aryon", disse, asciugandosi gli angoli degli occhi, inumiditi dalle lacrime causate dal suo attacco d'ilarità, "ma mi stavo annoiando a morte... Solitamente non sbadiglio a quel modo in faccia alla gente...", le venne un altro scoppio di risa, più contenuto stavolta, e nuovamente lo scontroso principe sorrise divertito, "Scusami", ripeté.
"Non c'è nulla da scusare, Lady Nerwen", affermò Aryon, agitando una mano con fare noncurante. La Maia fece un respiro profondo e si ricompose definitivamente, poi lo guardò incuriosita:
"Cosa posso fare per te, Lord Aryon?"
Lui parve riflettere un attimo.
"Anzitutto, potremmo cominciare col mettere da parte le formalità e chiamarci semplicemente per nome", rispose, "Se sei d'accordo, naturalmente", aggiunse, incerto di quale fosse l'etichetta richiesta per una Istar.
"Sì che sono d'accordo", lo rassicurò Nerwen, che non aveva mai amato l'uso eccessivo dei titoli, tranne che nelle occasioni ufficiali.
Lui si avvicinò e posò le mani sul tavolo, piegandosi leggermente verso di lei. Guardandolo da sotto in su, ancora una volta Nerwen constatò quant'era alto: non tanto quanto Celeborn, ma dato il fisico più robusto, sembrava più imponente.
"Mi chiedevo se potevamo fare quella famosa chiacchierata sugli Istari", le disse il principe, "Temevo di disturbarti nelle tue ricerche, ma hai appena detto che ti stai annoiando, così forse invece ti sto offrendo una distrazione..."
"Che accetto volentieri", lo interruppe lei vivacemente, alzandosi, "Quel trattato è notevole, ma terribilmente barboso nell'esposizione: mi occorre una pausa. Quindi, la tua proposta viene a proposito", lanciò un'occhiata fuori dalla finestra, da cui si scorgeva il giardino illuminato dal sole pomeridiano di metà giugno, "Usciamo?"
Poco dopo, camminavano lungo uno dei vialetti del parco; faceva caldo, ma a Nerwen il caldo piaceva. Sollevò il viso verso il sole, chiudendo gli occhi per godere meglio della sua carezza sulla pelle e salutando mentalmente Arien, la sua cocchiera.
Aryon notò il suo gesto e per qualche motivo gli piacque.
"Ami il sole, vero?", le domandò.
"Moltissimo", confermò lei, "Amo la luce e il calore, siano essi quelli del sole estivo oppure del fuoco nel caminetto d'inverno."
È una creatura di luce, saettò per la mente del principe, del tutto ignaro di quanto vera e calzante fosse quella definizione.
Udirono un kek kek kek sopra le loro teste; sollevando lo sguardo, videro Calad planare verso di loro. Nerwen non aveva il guanto da falconiere, così la rapace si limitò a girar loro attorno.
Buongiorno a te e al tuo accompagnatore, disse.
"Buongiorno, amica mia", disse Nerwen, "Calad ti saluta", aggiunse poi, rivolta ad Aryon. Il principe sollevò un sopracciglio: ancora non riusciva ad abituarsi al fatto che qualcuno parlasse tanto disinvoltamente con un animale.
"Ah... dille che contraccambio il saluto", disse, vagamente impacciato. La cosa lo indispettì: per i baffi di Oromë, la Prima Spada della Regina dei Kindi non era mai in imbarazzo! Poi pensò che era davvero da sciocco prendersela per una stupidaggine del genere e, con una scrollata di spalle, dimenticò il proprio fastidio.
Si sedettero su una panchina all'ombra di un acero, mentre Calad volteggiava via, intenta alle sue cose.
"Che cosa vuoi sapere, dunque?", chiese Nerwen.
Aryon andò subito al sodo:
"Che cosa sono, di preciso, gli Istari?"
Nerwen si era preparata la risposta, così non esitò:
"Detto sinteticamente, sono persone dotate di doni particolari, che hanno messo al servizio della lotta contro la malvagità di Sauron."
Aryon accennò il segno di scongiuro che la sua gente faceva sempre quando udiva quel nome nefasto; poi si frenò, ricordando quanto Nerwen giorni prima aveva puntualizzato - peraltro giustamente - a lui ed a sua sorella: che evitare di citarlo non avrebbe tenuto lontano né lui, né le forze del Male.
"Quali sono questi doni?", indagò, "Tu ad esempio parli con piante ed animali, ma i tuoi colleghi?"
"Su questo non mi è permesso essere del tutto esauriente", lo avvertì lei, "ma ti dirò ciò che è di dominio pubblico. Uno di loro - Radagast il Bruno - come me parla con gli animali, in particolare gli uccelli, e come me è un profondo conoscitore delle piante e delle loro virtù. Saruman il Bianco, il capo del nostro Ordine, possiede il potere della persuasione, essendo molto saggio ed un grande sapiente, inoltre è altamente versato in meccanica ed ingegneria. Gandalf il Grigio, infine, può suggerire sogni e visioni, e svelare ciò che è nascosto, oltre ad essere un formidabile combattente."
"Siete solamente in quattro, dunque?", domandò Aryon, meravigliato: per qualche motivo, era convinto che gli Istari fossero molti di più.
"In realtà ce ne sono altri due, gli Stregoni Blu", rispose Nerwen, "ma sono scomparsi tanto tempo fa nell'est del mondo. Forse sono passati anche di qui...", suggerì, speranzosa: se avesse ritrovato Alatar e Pallando, poteva interrogarli riguardo alle Entesse.
Aryon scosse il capo:
"Non abbiamo ricordi di Istari nelle nostre terre", dichiarò, "almeno non che io sappia. Ma dato che stai rivoltando sottosopra la nostra biblioteca, magari troverai notizie su di loro sepolte e dimenticate", concluse con una punta di umorismo. L'Aini sorrise divertita nonostante la delusione:
"Chissà, può darsi", ammise, "Se non altro, sto imparando la tua lingua, sebbene..."
Si interruppe, pensierosa: poteva chiedergli di insegnargliela nello speciale modo ainurin? Aryon si sarebbe fidato abbastanza?
"...sebbene?", la sollecitò lui, incuriosito. Nerwen lo guardò dritto negli occhi - quegli occhi chiarissimi e risplendenti della luce di Valinor pur non avendo mai visto il Reame Benedetto - e decise di fare un tentativo. Dopotutto, al massimo poteva ricevere un no per risposta.
"...sebbene ci sarebbe un modo più veloce e completo", ultimò la frase, "ma comporta da parte tua una grande fiducia in me. La domanda adesso è proprio questa: ti fidi di me?"
Aryon contraccambiò il suo sguardo diretto con uno di altrettanto diretto. La domanda di Nerwen, espressa con la franchezza che stava cominciando ad imparare esserle così tipica, lo aveva colto in contropiede.
Tanta schiettezza andava corrisposta, decise.
"Non sono ancora pronto a dire di fidarmi ciecamente di te", rispose con calma, "perché non ti conosco bene, e perciò ho ancora un lieve timore che la mia fiducia possa essere mal riposta. Tuttavia, questo è ciò che mi dice la ragione; l'istinto invece mi dice che posso fidarmi... e se vuoi saperlo, me lo ha detto fin quasi dall'inizio", soggiunse, in tono più confidenziale, "ma il mio popolo è così abituato a diffidare di tutti coloro che non sono Avari, che ci ho messo un pezzo a capirlo."
Nerwen assentì lentamente, favorevolmente colpita dalla sua ammissione.
"Ti ringrazio per la tua sincerità, Aryon", disse a bassa voce. Anche lui annuì.
"Di che cosa si tratterebbe, comunque?", si informò.
"Un'altra facoltà speciale degli Istari", rispose lei, addomesticando solo leggermente la verità, dato che in realtà tale facoltà non era soltanto degli Stregoni, ma di tutti gli Ainur, "Imparare qualcosa estraendola direttamente dalla mente di qualcuno, ovviamente col suo consenso."
"Capisco", mormorò il principe, grattandosi pensierosamente una basetta, "E chi mi garantisce che non guarderai in altre parti della mia mente per carpirne segreti?", domandò in tono quieto, per farle capire che non stava insinuando che lei volesse farlo, ma voleva soltanto saperlo.
"È qui che entra in ballo la fiducia", rispose Nerwen con semplicità disarmante. Aryon piegò leggermente la testa di lato e fece il suo caratteristico mezzo sorriso: ancora una volta, la Istar metteva le carte in tavola con totale franchezza, e questo gli piaceva.
Decise di fidarsi del proprio istinto: del resto, in passato aveva sbagliato assai raramente.
"Va bene", disse quindi. Nerwen non poté fare a meno di sorridere per la contentezza: finalmente era certa che stava conquistando la fiducia di quel severo e cocciuto principe Avar, ed in tal modo sperava di conquistare rapidamente anche quello della regina sua sorella.
"Che cosa devo fare?", chiese Aryon.
"Chiudi gli occhi e rilassati", lo istruì lei. Il principe fece come le aveva detto; un attimo dopo sentì le mani di Nerwen sulle guance, le punte delle dita posate sulle sue tempie, calde e leggere. Di colpo gli sovvenne Corch ed il trattamento che la Istar gli aveva inflitto per punirlo; fu preso da timore, ma durò solo un istante, perché subito sentì del calore in un punto del suo cervello, presumibilmente dove si situava la sua conoscenza della propria lingua madre: era una sensazione tutt'altro che fastidiosa, così si tranquillizzò. Il contatto delle dita di Nerwen contro il proprio viso era piacevole e rassicurante come una carezza affettuosa, e lui non pensò più a nulla.
Un paio di minuti dopo, Nerwen si staccò e disse in perfetto avarin:
"Grazie infinite, Aryon. Non tanto per il servizio che mi hai appena reso, ma per la fiducia che hai scelto di dimostrarmi nonostante le tue riserve."
Il principe rimase a dir poco sbalordito: la differenza tra la padronanza della lingua dimostrata prima e quella esibita adesso era stupefacente, perché se prima la parlava piuttosto bene, ma chiaramente da straniera, adesso sembrava di madrelingua almeno quanto lui.
"È... incredibile! Sembri nativa di Bârlyth" affermò; poi prese coscienza del senso della frase che Nerwen gli aveva rivolto, "Come ho detto, anche se non sono ancora disposto a fidarmi incondizionatamente, credo però nell'onestà delle tue intenzioni."
Lei annuì con solennità, accettando la sua dichiarazione, che le confermava d'aver finalmente fatto breccia nel muro di circospezione e sospetto che circondava questo principe elfico di altissimo lignaggio. Muro dietro cui, a quanto pareva, si barricavano anche tutti gli altri Avari, soggiunse meditabonda; ma si accorse all'improvviso che le importava soltanto di quello oltre il quale si trovava - o si era trovato - Aryon. Ebbe un momento di smarrimento: perché mai doveva interessarle in modo diverso? Certo, conquistare la fiducia della Prima Spada dell'Alta Sovrana delle Sei Tribù degli Avari poteva spianarle la strada con tutti gli altri, inclusa la regina; ma non era per quello che le importava. No, ammise: le importava per sé stessa. Quel che non capiva era perché.
Decise di distrarsi da quei pensieri cambiando discorso:
"I miei cavalli si trovano benissimo, nelle vostre scuderie; e anche Calad è contenta di star qui."
"Sono felice di apprenderlo", commentò lui, poi assunse un'espressione pensierosa, "Se gradisci fare una cavalcata per sgranchire le zampe della tua giumenta, d'ora in avanti sei libera di farlo. Puoi esplorare un poco i dintorni di Bârlyth, se vuoi."
"Senza scorta?", domandò lei, inarcando un sopracciglio in modo canzonatorio. Aryon fece il suo tipico mezzo sorriso:
"Se così preferisci... Mi fido abbastanza di te da ritenere che non taglierai la corda e aspetterai ancora qualche giorno, finché mia sorella non deciderà se darti o meno il salvacondotto. Ho ragione?", indagò, scrutandola attentamente: dopotutto, si stava esponendo per lei, basandosi semplicemente sul proprio istinto; ma gli era entrata nella testa e non ne aveva approfittato, e questo lo induceva a fare un ulteriore passo nella direzione della fiducia. E poi, in fondo, desiderava fortemente potersi fidare di lei, perché gli piaceva, gli piaceva davvero molto.
"Hai ragione", confermò Nerwen, sostenendo il suo sguardo senza far vacillare il proprio, "Ho dato la mia parola, e non sono tipo da infrangerla."
"Ti credo", annuì allora il principe, "Informerò la guardia cittadina di lasciarti entrare ed uscire di città a tuo piacere."
"Grazie", disse lei, alzandosi, "Ora è meglio che io torni in biblioteca e finisca quel noioso trattato. Chissà, magari ora che conosco perfettamente l'avarin, potrebbe risultare meno pesante...", soggiunse con un sorriso. Aryon si alzò a sua volta ed annuì:
"Me lo auguro. Buon proseguimento di studio, allora", concluse, rivolgendole un cenno di saluto con la testa.
"A stasera", contraccambiò lei. Si lasciarono, ciascuno diretto alle proprie incombenze.
Angolo dell'autrice:
Ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia, che l'hanno messa nei loro elenchi di lettura, che hanno "followato" la sottoscritta, che commentano, votano o leggono solamente: grazie, grazie di cuore a tutti quanti!!
Curiosità varie:
- Il tè nero aromatizzato al bergamotto ovviamente è il celebre Earl Grey, il mio preferito XD
- l'ertan altro non è che lo yogurt - dal sindarin ertannen, ovvero mescolato, significato di tale parola di origine turca ;-). Si tratta di un alimento per cui vado pazza e quindi l'ho voluto inserire nella storia. Come per il cioccolato, qualcuno potrebbe obiettare che nell'Europa medievale - più o meno il corrispettivo geografico e temporale del tolkienverso - non esisteva lo yogurt, ma dato che la Turchia (dove pare sia stato ideato) è molto più vicina del continente americano da cui provengono le patate citate dal Professore, ritengo che possa ben essere possibile che gli Avari lo conoscano - tanto più che abitano una zona ad oriente della Terra di Mezzo, proprio come la penisola anatolica sta ad oriente dell'Europa.
- la forchetta ha origini antiche, essendo già in uso sia presso i Greci che presso i Romani; scomparve in Europa occidentale durante il Medioevo e fu reintrodotta dai Veneziani attraverso una principessa dell'Impero Bizantino, che nel 1003 aveva sposato il figlio di un doge.
- parlare di un argomento, seduti in cerchio e bevendo leggero vino aromatico da una coppa il cui possesso dà il diritto di parola, è un'usanza ispirata a quella del simposio in uso presso gli antichi Greci.
Lady Angel
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