Capitolo XXVIII: Gli Avari

Capitolo XXVIII: Gli Avari

Trovato il ruscello, Nerwen ne risalì il corso, addentrandosi un poco tra gli alberi della foresta incombente fino a che il letto del rivo da sabbioso divenne pietroso e l'acqua quindi sufficientemente limpida da essere potabile. La Istar bevve a sazietà, sciacquandosi la bocca dal sapore della salsedine; poi si diede da fare a raccogliere legna. La accatastò sul limitare del bosco e, quando ne ebbe a sufficienza, scavò una buca poco profonda nella sabbia e vi ammonticchiò i ramoscelli più piccoli; poi, trovata dell'erba abbastanza secca da fungere da esca, si sedette e cominciò a sfregare l'uno contro l'altro due pezzi di legno, in modo da surriscaldarli finché l'esca non prendeva fuoco. Le occorsero diversi minuti, ma alla fine del fumo si levò dall'erba secca; subito lei protese la mente, attendendo la scintilla, e come questa scaturì, l'afferrò e la dilatò, facendole appiccare il fuoco all'esca, che poi gettò sul mucchietto di rametti ed altra erba secca che aveva preparato. Dopo pochi minuti, un fuoco vivace ardeva nella buca.

Sollevata, Nerwen tornò sulla riva del ruscello, si spogliò e lavò via la salsedine dal corpo e dai capelli, che districò come poté pettinandoli con le dita, e poi asciugò col proprio potere. Ispezionò la ferita al fianco: era perfettamente rimarginata in una cicatrice rossa lunga una decina di centimetri. Col tempo sarebbe sbiadita, ma le sarebbe rimasto lo sfregio, a perenne ricordo dell'attacco a tradimento di Dolimavi, almeno finché non fosse tornata in Valinor ed avesse riacquistato i suoi pieni poteri di Maia - il che non era affatto certo.

Il ferimento ed il conseguente dolore che aveva provato era stata un'esperienza critica, per lei. La sua mente aveva faticato ad accettare l'accaduto e, ottenebrata dalla sofferenza fisica, aveva tardato a reagire. Per la prima volta dacché era giunta nella Terra di Mezzo, si era trovata a confronto con qualcosa di totalmente inconcepibile, per un'Aini; a nulla le era servita la consapevolezza che sarebbe potuto accadere in ogni momento perché, come recitava un antico proverbio, tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare. Nel suo caso, alla lettera, dato che tra Aman ed Ennor c'era Belegaer.

Aveva ricevuto una lezione molto sonora, che d'ora in avanti avrebbe sempre tenuto presente.

Riscuotendosi dalle sue considerazioni, immerse in acqua anche gli indumenti per risciacquarli, strizzandoli poi quanto più possibile. Prima di tornare al fuoco, se li rimise: in Valinor non c'erano particolari problemi a farsi vedere nudi in determinate situazioni, come a fare il bagno in mare, o in un lago o fiume, oppure alle terme; ma lì nella Terra di Mezzo le usanze erano diverse e, anche se era piuttosto sicura che non ci fosse nessuno nei dintorni, non voleva correre il rischio di farsi trovare svestita, pertanto asciugò a turno un indumento alla volta, cominciando dalla camicia.

Quando ebbe terminato, il sole era ormai basso sull'orizzonte; Nerwen raccolse dell'altra legna per poter tenere il fuoco acceso tutta la notte: non faceva freddo, alla fine di maggio in quella contrada così a meridione, ma in riva al mare c'era sempre molta umidità, e lei non aveva una coperta per difendersene.

Si sedette, pensando al da farsi.

Doveva anzitutto andare a Gaerlonn, dove certamente quel lestofante di Corch si sarebbe recato, se non altro per vendere le proprie mercanzie - tra le quali ora c'erano anche Thilgiloth e Thalion - ed acquistare quelle offerte dagli Elfi. Per raggiungere la città portuale, le sarebbe bastato seguire la costa in direzione est, ma non sapeva esattamente a che distanza si trovava, quindi non aveva idea di quanto tempo ci avrebbe messo a raggiungerla, a piedi. Quello comunque era un problema secondario: la difficoltà maggiore sarebbe stata anzitutto l'acqua, e poi il cibo. Non aveva una borraccia, per cui poteva solo sperare di incontrare altri ruscelli lungo la strada; per il cibo, nel bosco poteva trovare bacche, funghi, erbe commestibili, radici, tuberi e ghiande, ma non sarebbero state un grande nutrimento, soprattutto dovendo camminare molto. Non le rimaneva che sperare che lungo la costa ci fossero villaggi di pescatori dove, in cambio di qualche prestazione taumaturgica, le avrebbero dato delle vettovaglie, e magari una cavalcatura per accelerare il viaggio. Sapeva, da conversazioni tra marinai che aveva colto per caso, che Corch si fermava mediamente una decina di giorni in porto, prima di salpare nuovamente alla volta di Gobelamon, e voleva arrivare in tempo per incontrarlo e recuperare i propri averi. In che modo, avrebbe visto una volta arrivata.

Lo stomaco le diede un brontolio: a mezzogiorno non aveva ingoiato che poche cucchiaiate di zuppa, e adesso aveva fame. Non poteva farci molto, però: era tardi per mettersi adesso alla ricerca di qualcosa di commestibile, perché tra poco sarebbe stato troppo buio, sotto agli alberi. Meglio rimandare al giorno dopo.

Calad si agitò all'improvviso. Cogliendo il suo nervosismo, Nerwen balzò in piedi allarmata, voltandosi verso la foresta. Da dietro i tronchi sbucarono una ventina di Elfi con gli archi tesi e le frecce puntate su di lei. Erano tutti abbigliati in colori mimetici - varie tonalità di verde e di marrone - ed i loro capelli erano bruni o corvini, quasi tutti portati corti o appena lunghi sul collo, diversamente dagli Elfi delle terre occidentali.

Avari, pensò Nerwen. Coloro che avevano rifiutato di intraprendere il Grande Viaggio, come veniva chiamata la migrazione degli Eldar - o Quendi, come a quel tempo avevano chiamato se stessi - da Cuiviénen, il luogo in cui si erano risvegliati. Naturalmente si era aspettata di incontrarli, prima o poi; ma non certo a quel modo.

Intimorita dagli archi, Calad volò via ed andò ad appollaiarsi su di un ramo a poca distanza.

Si fece avanti un Elfo molto alto che, al contrario dagli altri, non era armato di arco, ma portava una spada ed era interamente vestito di nero. I suoi occhi, di un azzurro così chiaro da sfumare nel grigio, erano glaciali e la trapassarono da parte a parte. C'era in essi una luminosità abbagliante, assai simile a quella che si poteva vedere negli occhi di coloro che vivevano in Aman; ma com'era possibile, per un Avar che mai aveva visto le Terre Imperiture?, si chiese Nerwen, confusa.

"Ferma dove sei", le ordinò perentoriamente in Lingua Corrente. La sua voce baritonale le fece scorrere un brivido lungo la schiena, come se l'avesse riconosciuta; ma era sicura di non averla mai udita.

Poi, con un tuffo al cuore, capì chi era costui: era l'Elfo che aveva scorto con la sua Seconda Vista, il giorno in cui aveva guardato nello Specchio di Galadriel, i cui occhi le ricordavano Thorin.

L'Avar nerovestito si avvicinò a grandi passi a Nerwen.

"Chi sei?", le domandò sgarbatamente, "E che cosa ci fai qui?"

La Istar cercò di mettersi più dritta e piantò gli occhi in quelli dell'interlocutore; il suo atteggiamento imperioso non era per nulla sminuito dal fatto che lui sfiorasse il metro e novanta, mentre lei era di quasi trenta centimetri più bassa. Nello sguardo dell'Elfo brillava un baluginio d'acciaio, freddo e duro; ma, al contrario che con Corch, Nerwen non provò una sensazione di diffidenza, al contrario: qualcosa le disse, nel profondo dell'animo, che si trovava di fronte ad una persona onorevole.

"Il mio nome è Nerwen la Verde", si presentò in tono fermo, "e sono naufragata qui. Ero a bordo di una nave, ma sono stata assalita dall'equipaggio e costretta a gettarmi a mare per salvarmi la vita. Ho raggiunto la riva a nuoto. Non so neanche dove mi trovo. Se ho violato il vostro territorio, non l'ho fatto volontariamente."

L'Elfo si fermò di fronte a lei, sovrastandola con la sua considerevole statura; la Maia non si fece intimidire e continuò a fissarlo dritto in faccia.

"Vuoi farmi credere che sei arrivata qui a nuoto da una nave al largo?", le domandò lui con voce bassa e pericolosa, "C'è una corrente contraria molto forte, non ce l'avresti mai fatta... Dì la verità, piuttosto: sei una spia dorwiniana, e ti hanno scaricato qui con una scialuppa. Ho indovinato?"

"Per niente", ribatté Nerwen, seccamente, "Come puoi ben vedere, non ho con me nulla, né una bisaccia né un borsello: se fossi arrivata con una scialuppa, avrei quantomeno del bagaglio, non credi?"

L'Avar si accigliò e si guardò attorno, constatando che le cose stavano effettivamente come diceva la giovane donna - invero molto bella - che gli stava davanti. Tuttavia, la naturale diffidenza della sua gente, combinata con quella impostagli dal suo compito specifico, non gli consentì di fidarsi della sua parola, sebbene i suoi occhi - bruni ed incantevoli, doveva ammetterlo - gli paressero sinceri. Inoltre il suo aspetto arruffato deponeva a favore di ciò che affermava, per quanto poco verosimile fosse.

Si voltò ed ordinò qualcosa ai suoi in una lingua che Nerwen non riconobbe, sebbene suonasse molto simile al sindarin. Un'Elfa fece cenno ad alcuni compagni, che si dispersero per frugare nei dintorni, evidentemente alla ricerca di indizi che potessero avallare o smentire le affermazioni della straniera.

Nerwen incrociò le braccia, corrucciata.

"Posso sapere con chi ho il dubbio piacere di parlare?", domandò, senza curarsi di nascondere la propria irritazione. L'Elfo la squadrò con un cipiglio poco rassicurante, ma si accorse subito che lei non era affatto impressionata; ne fu sorpreso, perché solitamente il suo aspetto cupo e la sua notevole statura erano sufficienti ad intimorire chiunque. Perplesso, si domandò chi diamine fosse costei: sembrava in tutto e per tutto una donna della razza degli Uomini, ma c'era qualcosa di insolito, in lei, che non riusciva a definire. E perché ogni tanto la sua figura si sdoppiava, come se fosse lì ed allo stesso tempo non lo fosse? Inoltre, cosa voleva mai dire con Nerwen la Verde?

"Sono Aryon Morvacor, Prima Spada della Regina di Eryn Rhûn, mia sorella Eliénna Dhillel, Alta Sovrana delle Sei Tribù degli Avari", rispose fieramente. E lo era: fiero di essere quello che era, ossia il primo paladino della sua regina, nonché sorella maggiore; ma, ancora una volta, la misteriosa straniera non diede segno d'esser rimasta colpita.

"Non era certo questo il benvenuto che mi attendevo, venendo a Eryn Rhûn", dichiarò invece in tono di deplorazione. Aryon si strinse nelle spalle:

"Se fossi arrivata apertamente, invece che di nascosto, sarebbe stato diverso."

"Io non sono arrivata di nascosto!", si inalberò lei, cominciando a sentirsi davvero infastidita, "Ti ho detto che sono stata costretta a buttarmi a mare da una nave, ed è solo per grazia dei Valar che sono arrivata sana e salva a riva!"

In quella, sopraggiunse l'Elfa che aveva guidato la perlustrazione, e gli disse qualcosa scuotendo la testa; Nerwen intuì che gli stava riferendo i risultati della ricerca.

"Non hanno trovato niente, vero?", fece, in tono trionfante. Lui la guatò accigliato, senza proferir parola, "Beh, per forza!", sbottò allora lei, allargando le braccia in un gesto esasperato, "Perché non c'è niente da trovare!"

Ora fu Aryon ad incrociare le braccia, mentre continuava a scrutarla; la sua espressione era sempre torva, ma nei suoi occhi chiari era comparsa dell'incertezza.

"Dimmi di nuovo chi sei", la esortò.

"Te l'ho detto: mi chiamo Nerwen la Verde."

"Sì, ma che significa la Verde? Non conosco questo titolo."

Questo ebbe il potere di sorprendere l'Aini. Non conoscevano gli Istari? Vero che gli Stregoni operavano quasi esclusivamente nell'ovest della Terra di Mezzo, ma Gandalf era giunto fin nel Dorwinion, che era poco lontano dalla Foresta Orientale, e fino a pochi decenni prima questi due regni erano in stretti rapporti commerciali; inoltre, due Istari si erano recati a est, e poteva ben essere che fossero passati di lì: ma erano scomparsi molti e molti anni addietro, ricordò.

"Appartengo all'Ordine degli Istari", spiegò, anche se non pensava che questo avrebbe chiarito le cose.

Ad Aryon occorsero alcuni istanti per riconoscere il termine - pronunciato diversamente che nella sua lingua - ma quando capì, piegò le labbra in un sorriso ironico.

"Gli Stregoni sono una fola, buona tutt'al più per i bambini", dichiarò. Nerwen strinse gli occhi; Aryon pensò che aveva un'aria pericolosa, e si chiese come potesse mai essere, considerando quant'era minuta.

"Ma davvero?", fece lei. Il suo tono glaciale fece rizzare i capelli sulla nuca dell'Avar.

"Certo", insistette comunque, "Sono soltanto una leggenda."

"La vedi quella falchetta?", domandò allora la Maia, indicando Calad con un cenno della testa. Aryon le gettò un'occhiata ed annuì, senza capire.

"Calad, vieni qui", disse a voce e mentalmente. La rapace si lanciò dal ramo dove si era rifugiata all'arrivo degli Elfi ed andò a posarsi sul braccio teso di Nerwen, facendo molta attenzione a non graffiarla con gli artigli.

Aryon fece spallucce:

"È solo un rapace ben addestrato", dismise la dimostrazione. Nerwen stirò le labbra in un sorriso sarcastico che faceva il paio con quello dell'Elfo.

"Calad, vola e fai un cerchio prima in una direzione, poi nell'altra", esortò la sua amica pennuta. Comprendendo il motivo della sua richiesta, la falchetta tornò a sollevarsi in volo e fece come le era stato domandato, per poi tornare a posarsi sul ramo da cui era partita.

Aryon sbatté rapidamente le palpebre, senza riuscire a nascondere la propria sorpresa.

"Notevole", ammise, "ma non mi hai convinto del tutto: potrebbe essere ancora frutto di un ottimo addestramento."

Il cipiglio di Nerwen si accentuò.

"Hai ragione, Lord Aryon", concordò con riluttanza, "Allora, guarda quell'albero", lo invitò poi, indicando un acero. L'Avar si girò a mezzo, in tempo per vedere il ramo più basso muoversi e mollare uno scappellotto all'arciere vicino al suo tronco.

Con un'esclamazione tra lo spaventato e l'indignato, il malcapitato balzò via, si girò e puntò l'arco; ma poi, rendendosi conto che non c'era nessuno, lo abbassò, l'espressione confusa. L'acero mosse un altro ramo e provò a colpire nuovamente l'Elfo, che però se n'accorse e si allontanò con un salto, fuori dalla portata delle fronde.

"Posso fare di meglio", annunciò Nerwen, e gli alberi - altri aceri, e poi lecci, olmi, frassini, ornielli e roverelle - mossero i rami all'unisono, spostandoli verso gli Avari più a portata di tiro. Tutti gli arcieri arretrarono precipitosamente, sbigottiti.

Gli occhi di Aryon erano sbarrati per lo sbalordimento; tornò a voltarsi verso Nerwen.

"Questa è magia!", esclamò. Lei annuì:

"Esatto: la magia degli Istari", confermò, poi tornò ad incrociare le braccia con atteggiamento di sfida, "Ti ho convinto?"

Aryon aggrottò la fronte: non gli piaceva ammettere d'essersi sbagliato, ma sarebbe stato disonorevole non farlo.

"Sembra di sì", borbottò tra i denti. Il suo tono, più basso di un'ottava, fece scorrere uno strano brivido lungo la spina dorsale di Nerwen. "Tuttavia", proseguì il principe Avar, fissandola nuovamente con sguardo duro, "ciò ancora non dimostra che tu non sia una spia."

L'Aini sbuffò, spazientita.

"Sei davvero ostinato, Lord Aryon!", esclamò, "Non ti ho appena dimostrato il mio potere sugli animali e sui vegetali? Come credi che sia riuscita a superare a nuoto la corrente, che tu stesso hai detto essere invalicabile? Te lo dico io, come ho fatto: mi ha aiutata una delfina, che mi ha portata fin quasi a riva!", fece un passo avanti, ritrovandosi praticamente a ridosso dell'altissimo Avar, i pugni serrati e lo sguardo fiammeggiante, "Ti faccio inoltre notare che avrei potuto comandare agli alberi di colpire i tuoi arcieri molto più forte, in modo da neutralizzarli, e invece non l'ho fatto. Secondo te, che cosa significa??"

Gli occhi azzurri di Aryon rivelarono perplessità, sebbene il suo volto rimanesse impassibile.

"Può significare due cose: o sei incredibilmente furba..."

"...oppure sono sincera!", concluse lei di getto, quasi gridando dalla frustrazione. Per l'elmo di Tulkas, costui ha la testa più dura d'un mulo!, pensò esasperata.

Il principe Avar esitò, poi annuì adagio.

"Non sono ancora sicuro di potermi fidare di te, Lady Nerwen," disse lentamente, come ponderando bene le proprie parole; Nerwen notò con soddisfazione che l'aveva apostrofata col titolo di cortesia dovuto alle dame di rango, "Mi hai dimostrato di essere in possesso di un notevole potere, ma continuo a pensare che gli Stregoni siano soltanto una leggenda. Tuttavia, ti darò un'opportunità: ti porterò a Bârlyth da donna libera, non da prigioniera; ma attenta: se cercherai di fuggire, o se farai qualsiasi altra cosa che mi induca a pensare che mi stai ingannando, ti legherò mani e piedi."

"Non cercherò di fuggire", garantì la Istar, sostenuta, "né di ingannarti in alcun modo. Ma prima di venire con te, devo recarmi a Gaerlonn per recuperare i miei cavalli ed i miei averi."

Aryon aprì bocca per dire che non se ne parlava neanche, quando lo stomaco di Nerwen brontolò rumorosamente. Inarcò le sopracciglia, sorpreso, e lei si strinse nelle spalle:

"Non mangio da stamattina", spiegò.

Questo piccolo particolare deponeva decisamente a favore della veridicità della sua storia; ma Aryon preferì rimanere comunque ancora sulle sue.

"Di Gaerlonn parleremo dopo", disse quindi, sforzandosi di apparire leggermente più amichevole, "Frattanto, poiché dobbiamo ancora cenare tutti, ti invito a unirti a noi: non voglio che tu giudichi male l'ospitalità dei Kindi."

Nerwen accolse con sollievo il suo sottile cambio di atteggiamento verso di lei, incompleto ma pur sempre indice di un inizio.

"Accetto con piacere", rispose, "Invero... con molto piacere", soggiunse, con una smorfia ironica, "Ho una fame da lupo."

Anche le labbra di Aryon si arricciarono in un mezzo sorriso, lasciando intravedere una dentatura candida e perfetta; fu solo un attimo, poi il suo volto tornò di pietra. Il principe si voltò e lanciò degli ordini ai suoi arcieri, che abbassarono gli archi e sparirono tra gli alberi, per tornare poco dopo con sacche e zaini. Si diedero subito da fare attorno al fuoco acceso da Nerwen, ingrandendolo e tirando fuori il necessario per cucinare.

Di nuovo, la Maia notò che l'idioma usato da Aryon era molto simile al sindarin, tanto che riusciva a coglierne il senso, sebbene gli accenti tonici e la pronuncia delle vocali fossero insoliti, e l'intonazione cantilenata suonasse bizzarra alle sue orecchie.

Un Elfo portò una stuoia, che stese a terra; Aryon la indicò:

"Vogliamo accomodarci, mentre preparano la cena?"

Si sedettero a gambe incrociate; Nerwen notò che il tappetino era di buona fattura, di robusta paglia intrecciata strettamente, tinta di un colore verde muschio.

"Chi sono i Kindi?", domandò. Aryon la guardò, stupito, poi annuì, come rispondendo a se stesso.

"Hai appena dimostrato di non essere dorwiniana", considerò, una tenue traccia di divertimento nella voce, "Se tu fossi una dei nostri poco amati vicini, conosceresti tutte e sei tribù degli Avari: Kindi - la mia gente - Penni, Cuind, Hwenti, Windan e Kinn-lai. Qui in Eryn Rhûn vivono i Kindi, mentre i Cuind preferiscono il mare e quindi risiedono lungo le coste, compresa Gaerlonn. Gli Hwenti e i Windan dimorano nelle pianure oltre la foresta, mentre i Kinn-lai abitano sulle Montagne Rosse."

Quest'ultimo nome - Montagne Rosse - fece rizzare le orecchie a Nerwen. Doveva essere l'imponente catena montuosa che aveva visto nello Specchio di Galadriel.

"La vostra lingua assomiglia molto al sindarin", osservò, parlando d'altro, "tanto che ho intuito quel che hai ordinato ai tuoi."

"Certo, dopotutto deriviamo dalla stessa stirpe, quella dei Teleri", rispose Aryon, "Noi siamo i discendenti di coloro che non hanno avuto desiderio di seguire Oromë Aldaron a Valinor, e che hanno preferito rimanere laddove si erano svegliati, sulle rive di Cuiviénen. Per questo ci hanno chiamato Avari, i Riluttanti."

"Conosco la storia", assentì lei, attenta a non dire di più per non rivelare la sua vera natura. Più che conoscere la storia, infatti, lei la ricordava: era stata presente, quando Oromë aveva riferito ai Valar il rifiuto di una parte dei Quendi di trasferirsi nel Reame Benedetto.

"Tu parli sindarin, dunque?", le domandò Aryon, cambiando discorso.

"Sì, è così", confermò Nerwen, "Penso pertanto che non avrò particolari difficoltà ad apprendere la tua lingua."

"Meglio così, perché pochi di noi parlano l'ovestron, tranne che a Gaerlonn", la informò il principe, "Ora però, Lady Nerwen, dimmi quali affari ti portano a Eryn Rhûn: puoi rifiutarti di rispondere a me, ma dovrai farlo alla regina, che non ama affatto gli ospiti indesiderati nel suo regno."

Il suo tono era imperioso, tuttavia non scortese: era evidente che diffidava ancora di lei, ma almeno non la vedeva più come una nemica.

"Sto cercando le Entesse", rispose semplicemente, dato che non c'era nulla da nascondere in ciò; ma Aryon la guardò senza capire.

"Chi sarebbero?", domandò.

"Le femmine degli Onodrim", spiegò allora lei, usando il termine sindarin. Il principe Avar fece un mezzo sorriso sarcastico:

"Pochi minuti fa avrei detto che si tratta di favole per bambini, ma mi hai appena dimostrato che una di quelle che ritenevo favole forse non lo è, per cui non lo dirò."

Nerwen si sentì divertita: la sua affermazione autoironica glielo aveva reso decisamente più simpatico di prima.

"Mi spiace, ma non sappiamo di Onodrim nel nostro territorio", continuò Aryon, "Né qui nella foresta, né nelle pianure o sulle montagne."

"Infatti sono solo di passaggio", gli rivelò la Istar, "In realtà penso che possano trovarsi oltre le Montagne Rosse."

Lui aggrottò la fronte:

"Dicono che siano invalicabili. Almeno, la mia gente non è mai riuscita a trovare un passo accessibile, e la catena montuosa è talmente lunga che non sappiamo neppure dove termina."

Nerwen ne fu scoraggiata: se neppure coloro che abitavano le montagne sapevano come superarle, il suo viaggio sarebbe stato molto più difficile, perché comportava dover esplorare territorio ignoto - inutile infatti cercare dove già avevano cercato gli Avari, che abitavano il luogo da migliaia d'anni - e questo naturalmente significava prolungare il viaggio di chissà quanto, nel tempo come nello spazio.

"Beh, da qualche parte un valico ci deve essere", disse, "Tutte le catene montuose ne hanno: questa non può essere diversa dalle altre."

Sotto il tono di sfida, Aryon colse la delusione nella sua voce e, suo malgrado, simpatizzò con lei, sentendosi dispiaciuto.

"Probabilmente hai ragione", la consolò, "Sono dolente di non poter esserti utile", aggiunse formalmente ma con sincerità. Se ne chiese il motivo: dopotutto, che cosa mai gli poteva importare, delle difficoltà di una sconosciuta che era arrivata non invitata nel suo paese? Forse non era una spia, ma aveva dichiarato una missione talmente assurda da apparirgli del tutto incredibile. Era vero infatti che non l'aveva detto, ma continuava comunque a pensare che gli Onodrim fossero una favola per bambini, né più né meno degli Stregoni. Il fatto che lei gli avesse dimostrato che questi ultimi potevano non esserlo - non ne era infatti ancora proprio del tutto convinto - non comportava che potevano esserlo anche dei mitici alberi deambulanti e parlanti.

Arrivò un Elfo con due ciotole di zuppa di carne e verdure con pane; le presero e si misero a mangiare. Nerwen divorò la sua porzione in quattro e quattr'otto

"Gustoso", si complimentò, posando la ciotola vuota. Aryon era ancora a metà e la guardò inarcando un sopracciglio.

"Avevi davvero molta fame", commentò con umorismo ironico, poi fece cenno all'Elfo di portare un altro piatto. Nerwen ignorò il suo sarcasmo ed accettò la seconda ciotola, che consumò più lentamente.

Finito di mangiare, Aryon le porse una fiasca.

"Vino del Dorwinion", disse, "Possiamo non amare i nostri vicini, ma ciò non ci impedisce certamente di amare il loro vino."

Che strano personaggio, pensò Nerwen: prima ironizzava sul suo appetito, ed ora le offriva da bere una bevanda pregiata. Prese la fiasca, ringraziandolo con un breve cenno del capo: se lui non faceva nulla per sembrare troppo cortese, neanche lei era tenuta. Bevve, poi gliela ripassò, ed Aryon prese a sua volta un sorso, poi richiuse la borraccia e guardò il cielo ormai completamente buio: le stelle erano velate da leggere nubi.

"Dormiremo qui", decise, rivolto a Nerwen, "Domattina ripartiremo. A mezza giornata di marcia abbiamo un avamposto, dove troveremo dei cavalli: ne prenderemo alcuni, e ti accompagneremo a Gaerlonn."

Lei lo studiò attentamente:

"Devo ringraziarti per la premura, o si tratta di una precauzione perché temi che io non mantenga la mia parola e fugga?"

"Entrambe le cose", rispose il principe, bruscamente, "Se devi attraversare il territorio delle Sei Tribù, è meglio che tu abbia un salvacondotto della regina Eliénna, perché gli stranieri non invitati non sono i benvenuti, da noi; pertanto, finché non avrai un documento, avrai me. Inoltre, la prudenza non è mai troppa: come ho detto, sono disposto a darti un'opportunità, ma non voglio correre rischi."

Nerwen ponderò la cosa e decise che dopotutto non poteva biasimarlo, se doveva obbedire agli ordini, che riguardavano evidentemente di provvedere alla sicurezza del suo paese.

"D'accordo. Quanto tempo ci impiegheremo, per arrivare a Gaerlonn?"

"Dall'avamposto, sono due giorni a cavallo."

"Bene. Quella canaglia del capitano Corch - il comandante della nave da cui sono dovuta fuggire - arriverà domani, ma gli occorreranno alcuni giorni per concludere i propri affari, per cui lo beccherò di sicuro, e allora se la vedrà brutta."

Il tono di voce di Nerwen conteneva una vibrazione d'acciaio che, ancora una volta, fece rizzare i capelli sulla nuca di Aryon. Intuì che quella donna - quella Istar - nonostante l'apparenza innocua, poteva essere una nemica molto pericolosa; il pensiero lo allarmò, riattizzando la sua diffidenza. Tuttavia, aveva dichiarato di essere disposto a darle una possibilità, e non poteva rimangiarsi la parola; pertanto si sforzò di non darlo a vedere.

Chiamò con un cenno uno degli Elfi e gli diede disposizioni per trovare una stuoia ed una coperta per farne un giaciglio dove la loro ospite potesse dormire. Di nuovo, Nerwen comprese alcune parole, dalle quali ricavò il senso della frase.

"Grazie per avermi definita un'ospite", disse poi al principe. Aryon si voltò a guardarla:

"Non ho motivo di ritenerti una prigioniera, al momento", dichiarò in tono severo, sottolineando le ultime due parole, "Ti consiglio di metterti a dormire presto, domattina ci alzeremo alle prime luci dell'alba."

Nerwen sospirò mentalmente: ormai aveva capito che ci avrebbe messo del tempo, a superare la diffidenza connaturata in questo principe Avar e probabilmente in tutta la sua gente. Il suo fascino di Maia - per quanto offuscato - non stava funzionando come al solito.

Più tardi, quando tutti furono coricati - tranne due sentinelle - Calad venne a posarsi accanto a Nerwen.

Mi spiace di non essere riuscita a vederli in tempo, le disse in tono contrito, ma sono spuntati all'improvviso dagli alberi. Un attimo prima non c'era nessuno, ne sono sicura!

Sono Elfi dei boschi, considerò Nerwen, Se non vogliono farsi vedere o sentire, non puoi, semplicemente, né vederli né sentirli.

Percepì che la sua amica pennuta si tranquillizzava, seppure con difficoltà: era sempre molto compresa nel suo ruolo di sentinella, e quando le capitava di mancare, si biasimava profondamente; ma c'erano circostanze in cui la sua acutissima vista di rapace poteva fallire.

All'inizio sembravano ostili, osservò Calad, sempre riferendosi agli Avari.

Lo erano: mi credevano una spia del Dorwinion, confermò la Istar, ma gli ho dimostrato che si sbagliavano.

Allora adesso sono amici?, domandò la rapace.

Non lo direi ancora; ma, almeno, possiamo ritenere che non siano nemici. E ci aiuteranno a ritrovare Thilgiloth e Thalion.

Questo è bene, concluse la falchetta, soddisfatta. Ficcò la testa sotto l'ala e si dispose a dormire; Nerwen la imitò.

L'angolo dell'autrice:

Avevo pianificato che Nerwen arrivasse da sola a Gaerlonn, ritrovasse i suoi amici quadrupedi e poi cominciasse ad attraversare Eryn Rhûn, e nel mentre si imbattesse negli Avari e nel misterioso Elfo nerovestito; ed invece no, ancora una volta un personaggio ha voluto fare di testa sua ed è saltato fuori (letteralmente) ad incontrare la protagonista prima del previsto.

Nota per la pronuncia: nella parola Avari si accenta la prima "a", ovvero àvari, e non avàri (spilorci)... :-D)

Per chi non lo ricordasse dal mio "angolo dell'autrice" del capitolo XX "Nel giardino di Galadriel", l'attore che interpreta il principe Aryon è Richard Armitage.

Sono estremamente lusingata dal numero di persone che leggono questa storia: grazie a tutti quanti, sono emozionantissima!!! Ed un ringraziamento ancor più sentito a coloro che si prendono il tempo di lasciarmi un commento, soprattutto quando mi indicano cosa li ha particolarmente colpiti, emozionati o resi perplessi, o se mi fanno notare un errore.

Lady Angel



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top