Capitolo XXIX: Gaerlonn

Capitolo XXIX: Gaerlonn

Il giorno seguente, come da programma, Nerwen venne svegliata che il cielo stava a malapena impallidendo ad oriente. Consumarono una rapida colazione a base di tè nero profumato al bergamotto e gallette assai simili a lembas, seppure non così dolci né altrettanto fragranti, e poi si incamminarono seguendo la costa, rasente agli alberi. Fecero una sola sosta a metà mattina, per mangiare qualcos'altro - frutta essiccata ed un gustoso misto già sgusciato di noci, nocciole, mandorle e pistacchi - poi ripresero la marcia. Era quasi mezzogiorno quando infine raggiunsero la meta, un torrione basso e massiccio di pietra quasi nera, posizionato su una collina in riva al mare, sul quale sventolava un lungo vessillo con un albero rosso in campo verde scuro: l'emblema dei Kindi, come le spiegò Aryon.

Si fermarono il tempo di mangiare un boccone caldo assieme alla piccola guarnigione del torrione, poi Aryon scelse sei dei suoi, tra cui l'Elfa che comandava il drappello, perché accompagnassero lui e Nerwen, e diede disposizioni affinché fossero loro preparate delle cavalcature. Finito il pasto, uscirono e trovarono otto splendidi cavalli con testiera, morso e redini, ma privi di sella, al posto della quale c'era un drappo di lana fissato con cinghie attorno alla pancia. Era quello infatti il modo di montare tipico degli Elfi Silvani, in uso anche a Lothlórien. Durante la Prima Era, Nerwen aveva provato la sella con le staffe, come usavano gli Uomini, e da allora aveva adottato abitualmente quel modo di cavalcare, che trovava più comodo; ma per pochi giorni non avrebbe avuto problemi ad adattarsi.

Accarezzò il muso della cavalla baia che le era stata assegnata e la salutò mentalmente, per farsi conoscere e per conoscerla. La giumenta rizzò le orecchie per la sorpresa, vagamente inquietata, ma la Maia le trasmise una sensazione rassicurante e l'animale si calmò subito.

Grazie per portarmi, le disse Nerwen, accarezzandole il collo fulvo.

È un piacere, rispose la cavalla, Sei piccola, non peserai quasi nulla.

L'Aini aggrottò leggermente le sopracciglia: qualcosa nell'affermazione della giumenta suggeriva una motivazione precisa, per cui la esaminò. Scoprì che era incinta di poche settimane; il minuscolo embrione sembrava sano, ma non era molto saldamente ancorato all'utero.

Non devi fare sforzi, le disse allora, o rischierai di perdere il tuo piccolo.

Dalla giumenta le giunse un senso di allarme, ma di nuovo la tranquillizzò:

Basta che tu stia a riposo.

"Non posso cavalcare questa giumenta", annunciò ad alta voce, "Ha appena iniziato una gravidanza, ma rischia di abortire: tenetela in stalla e non fatele fare alcuno sforzo."

Aryon si accigliò:

"E tu come lo sai?", domandò. Lei si girò a guardarlo, una mano sul fianco; non rispose, limitandosi a sollevare un sopracciglio.

Aryon si sentì irritato dal suo atteggiamento; poi ricordò la sua capacità di comunicare con gli animali - le aveva parlato di Calad e della delfina, non c'era quindi da mettere in dubbio che parlasse anche coi cavalli - e si sentì sciocco.

Odiava sentirsi sciocco.

"Ma certo", disse a denti stretti, poi si rivolse al palafreniere e gli riferì quanto detto da Nerwen. L'altro Avar rispose in tono di protesta, ma il principe, intollerante al fatto di venir contestato, gli lanciò un'occhiata che avrebbe incenerito un drago; il malcapitato si affrettò ad inchinarsi ed afferrò le briglie della giumenta, pronto a condurla via.

Nerwen diede una pacca sul fianco della cavalla a mo' di congedo e le augurò mentalmente buona fortuna. Ne ottenne in cambio una sensazione di gratitudine.

Aryon si avvicinò alla Istar.

"Lo stalliere ha detto che quella giumenta non è mai stata fatta accoppiare", disse, in un tono che esigeva una spiegazione. Nerwen tornò a guardarlo: a quanto pareva, non voleva proprio smetterla, di dubitare di lei.

"Non sempre una cavalla si accoppia quando lo stabilisce il suo proprietario", disse freddamente, "Evidentemente questa ha deciso per conto proprio."

L'Elfo esitò, poi annuì: sapeva anche lui che poteva succedere.

Poco dopo, il palafreniere arrivò con un altro cavallo, stavolta un giovane stallone roano. Parlò ad Aryon, il quale tradusse:

"Raccomanda attenzione, Kerfin è un po' esuberante."

Nerwen assentì, poi accarezzò il cavallo sul muso come aveva fatto prima con la giumenta e si presentò. Lo stallone arretrò d'un passo per la sorpresa, ma la curiosità ebbe la meglio, così tornò ad avvicinarsi. Tra lui e la Istar scattò una subitanea simpatia.

Nerwen salì quindi in arcione, aiutata da uno dei soldati della guarnigione che le fece da staffa unendo le mani, e si unì al gruppetto in partenza per Gaerlonn. Aryon si attardò qualche altro minuto a parlare con il comandante del torrione, forse perché facesse trasmettere un messaggio alla regina Eliénna, e poi montò sul suo cavallo. Nerwen notò con un certo divertimento che era nero, come l'abbigliamento del suo cavaliere.

Il principe Avar fece avanzare il suo stallone fino a mettersi alla testa del manipolo in partenza e fece cenno a Nerwen di raggiungerlo; infine si misero in cammino, con Calad che li precedeva volando in avanscoperta.

Raggiunsero Gaerlonn nel primo pomeriggio di due giorni dopo, senza intoppi di sorta. Prima di entrare in città, Nerwen richiamò Calad e la fece posare davanti a sé, sulla coperta.

La città portuale degli Elfi di Eryn Rhûn era molto più piccola e modesta di Gobelamon, e possedeva un'architettura molto semplice; le case erano per la maggior parte in legno, alcune in legno e pietra, solo poche - probabilmente gli edifici governativi - interamente in pietra. Era ben lontana dall'aspetto di qualsiasi altra città elfica della Terra di Mezzo che Nerwen aveva finora visto - i Porti Grigi, Gran Burrone, Caras Galadhon - ma l'atmosfera in qualche modo era comunque simile.

Molta gente affollava le strade e le piazze - in una delle quali si stava tenendo mercato - e si vedevano numerosi carretti trainati da muli o a mano carichi di mercanzie e vettovaglie. La maggioranza del traffico andava verso il porto o ne proveniva, come notò Nerwen dopo un po'.

Se la città era grande la metà del suo corrispettivo dorwiniano, il porto era invece altrettanto vasto. La Istar scrutò le numerose navi di ogni stazza ormeggiate ai lunghi pontili, cercando di individuare la Feingwend.

Aryon diresse verso un caseggiato basso ed ampio, evidentemente la capitaneria di porto. Quando Nerwen ed il principe entrarono, l'attendente del capitano di porto, un Elfo insolitamente robusto dagli occhi scuri e la chioma bruna raccolta in una crocchia in cima alla testa, alzò lo sguardo dall'incartamento che stava leggendo. Riconoscendo Aryon, si alzò subito in piedi e piegò il busto in una riverenza di saluto.

"Cunn Aryon!", esclamò, parlando in avarin, poi notò la donna che accompagnava il principe e passò alla Lingua Corrente, "Cosa vi conduce a Gaerlonn?"

"Una ricerca", rispose Aryon laconicamente, "C'è la capitana Misselot?"

"Certamente, mio principe, è nel suo studio", rispose l'altro, "Vi annuncio subito."

Poco dopo, Nerwen ed Aryon venivano introdotti nella stanza accanto. La capitana Misselot era relativamente piccola, ma aveva un'aria autoritaria adeguata alla sua responsabilità; i lunghi capelli castani erano raccolti in una treccia che le pendeva su una spalla, mentre gli occhi verdi brillavano di una luce vivace: nel complesso, piacque molto a Nerwen.

Misselot si alzò per accoglierli:

"Benvenuto, Lord Aryon", disse con un inchino; parlò in Lingua Corrente, dato che il suo attendente l'aveva avvisata che c'era una straniera che accompagnava la Prima Spada della Regina. Ora guardò con curiosità la giovane donna.

Aryon fece le presentazioni; nel sentire il titolo la Verde, la capitana inarcò un sopracciglio: probabilmente non aveva idea di cosa significasse, ma non fece alcun commento.

"Di che cosa avete bisogno, mio principe?", si informò invece. Aryon si voltò verso la Maia:

"Lady Nerwen...", fece, invitandola a parlare.

"Sto cercando una nave", spiegò lei allora, "La Feingwend del capitano Corch."

Misselot annuì:

"Sì, è arrivata l'altro ieri. Controllo dov'è attraccata...", scorse col dito un grosso libro-giornale rilegato in pelle posato su un lato della scrivania, "Eccola: si trova in fondo al molo numero dodici", tornò a guardare Aryon, poi Nerwen, "Mia signora, devo chiederti quali affari hai con il capitano Corch", disse, in tono di scusa ma fermamente: era ovvio che era molto ligia al proprio dovere, e non avrebbe fatto eccezioni neppure per una persona sotto la protezione del fratello della Regina.

"Diciamo che ha in custodia alcuni miei averi che intendo recuperare", rispose Nerwen; la frase era stata diplomatica e non rivelava niente, ma il suo tono aveva un sottofondo pericoloso che fece rizzare i peli delle braccia di Misselot. La capitana lanciò un'occhiata allarmata ad Aryon, ma il principe si limitò ad annuire in modo incoraggiante.

"D'accordo", le disse quindi Misselot, "Andate pure."

"Grazie, capitana Misselot", disse Nerwen, apprezzando la sua cooperazione.

Uscirono e si avviarono a piedi; i cavalli rimasero in custodia di un addetto alla capitaneria di porto, così che l'intera scorta poté accompagnare la Istar ed Aryon.

Calad, preoccupata per Thilgiloth e Thalion e desiderosa di ritrovarli al più presto, si alzò in volo per seguire la sua amica; pochi minuti dopo raggiunsero il banchina contrassegnata col numero dodici e si avviarono lungo di essa; in fondo era attraccata la Feingwend.

Poiché non c'era nessuno di guardia - non serviva, essendo in territorio amico - Nerwen, Aryon ed i sei della scorta salirono a bordo indisturbati, ma come giunsero in coperta, un marinaio riconobbe la Istar e lanciò un grido d'allarme. Sopraggiunse di corsa la tenente Dolimavi, che scorgendo Nerwen si bloccò di colpo, quasi scivolando sul tavolato appena lucidato.

"Tu!", esclamò, gli occhi fuori dalle orbite, "Credevo fossi annegata!"

"Come vedi, non è così", disse Nerwen seccamente, "Voglio parlare con Corch, subito!"

Dolimavi arretrò un paio di passi, poi fece un cenno al marinaio che aveva dato l'allarme, il quale si precipitò verso il cassero.

Nerwen si guardò attorno: non c'era traccia dei cavalli, né del recinto in cui erano stati tenuti durante il viaggio. Strinse le labbra: se Corch li aveva venduti, lo avrebbe obbligato a dirle a chi e sarebbe andata a cercarli, li avrebbe recuperati con le buone o con le cattive ed all'incauto compratore avrebbe detto di andare a farsi rimborsare dal contrabbandiere.

Frattanto, un buon numero dei marinai della Feingwend si erano radunati in coperta, posizionandosi un po' dappertutto, sul cassero, sulla tolda, sul castello di prua. Aryon fece un cenno ai suoi uomini, che incoccarono le frecce, senza però tendere gli archi, per il momento; quanto a lui, posò la mano sull'elsa della spada, pronto a sguainarla. Calad, memore delle balestre, andò a posarsi su un pennone, fuori vista dei marinai.

Corch sopraggiunse a grandi passi, incedendo in modo arrogante; ma quando vide la compagnia armata, rallentò, avvicinandosi con evidente esitazione. Codardo, pensò Aryon, disgustato.

"Lady Nerwen...", fece il contrabbandiere, fermandosi a diversi passi di distanza, "Non credevo che ti avrei rivista."

"Peggio per te", ringhiò lei, "Sono venuta a riprendermi i miei averi. Che ne è dei cavalli, farabutto?"

"Piano con gli insulti", fece lui, incapace di non mostrarsi insolente e posando la mano sull'elsa della spada, "Siete soltanto in otto, e noi in venti..."

Istantaneamente, Aryon estrasse la spada e gli altri sollevarono gli archi tesi, puntandoli contro gli uomini dell'equipaggio.

"Attento a come ti comporti", il principe avvertì Corch, in tono minaccioso, "Sono Aryon Morvacor, Prima Spada della regina Eliénna, e Lady Nerwen è sotto la mia protezione."

Il capitano contrabbandiere impallidì: evidentemente, aveva capito con chi si trovava a che fare. Allontanò la mano dalla propria arma ed allargò le braccia.

"I tuoi cavalli sono... andati, Lady Nerwen", disse.

"Questo lo vedo da me", ribatté lei, pungente come un istrice, "Dove sono?"

"Ho venduto il cavallo da soma ad un mercante proprio stamattina", rispose Corch, "Quanto alla giumenta, non so dove sia."

"Come sarebbe a dire?", lo incalzò la Istar, accigliandosi.

"È scappata", spiegò il capitano, "Stamattina. Quando l'abbiamo fatta scendere si è ribellata, ha travolto gli uomini che la tenevano e se l'è filata. Non c'è stato verso di fermarla, ha abbattuto a zoccolate chiunque tentasse di sbarrarle la strada, comprese le guardie cittadine. Era inarrestabile come una tromba d'aria! È uscita di città e si è dileguata. A dire il vero, ci ha provato anche l'altro cavallo, ma quello siamo riusciti a trattenerlo..."

Nerwen mantenne un'espressione fosca, ma dentro di sé si sentiva orgogliosa dei suoi amici a quattro zampe.

"Voglio il nome del mercante", disse, incrociando le braccia e battendo il piede con impazienza.

"Gailar Begalion", rispose subito Corch: evidentemente aveva concluso che collaborare era una mossa saggia.

"Bene; e adesso voglio la mia roba", concluse Nerwen. Il contrabbandiere esitò solo la frazione di un secondo, poi fece un cenno affermativo a Dolimavi, che si affrettò verso il cassero. Poco dopo, lei ed alcuni marinai arrivarono portando il bagaglio della Istar, che lo ispezionò attentamente. Con sollievo, ritrovò sia la pipa regalatale da Gandalf, sia la grossa scorta di galenas che aveva acquistato a Gobelamon. Tuttavia, una cosa mancava.

"Il mio pugnale", disse imperiosamente, piantandosi davanti a Corch. L'Elfo sospirò profondamente e si chinò, estraendo il coltello da caccia dallo stivale e porgendolo a quella piccola quanto terribile donna. La presenza di Aryon e della sua scorta era stata determinante, ma il contrabbandiere aveva il sospetto che, se anche fosse stata sola, gliel'avrebbe fatta vedere brutta lo stesso.

Nerwen gli tolse di mano il pugnale noldorin e se lo infilò nella cintura.

"Quaranta monete d'oro erano troppo poco, per te?", domandò poi, velenosamente, "Non avresti ricavato altrettanto neppure dalla vendita dei miei cavalli, pertanto mi chiedo cosa mai ti sia saltato in quella zucca vuota, per tentare di derubarmi."

"Venti monete d'oro", rivelò Corch, "Le altre venti sono la ricompensa di Dronegan, per averti segnalata a me."

Nerwen sbatté gli occhi, stentando a comprendere le parole del contrabbandiere. Dronegan - il simpatico, cortese locandiere - era suo complice? Lei si era fidata di lui, e lui l'aveva venduta? Arrossì di rabbia, ma anche di vergogna: si era fatta ingannare come una pivella! A che le erano servite le sue migliaia d'anni di età ed esperienze?? L'unica giustificazione che poteva trovare ai propri occhi, era che conosceva poco la razza degli Uomini, e forse quello era il motivo per cui Dronegan era riuscito a raggirarla tanto completamente. Tuttavia, giustificazione o no, l'imbarazzo l'avrebbe tormentata per un pezzo.

"Abbiamo finito?", fece Corch sgarbatamente, ancora una volta incapace di controllare la sua boria.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

"No", disse Nerwen, agguantandogli improvvisamente la testa, una mano sopra, una di lato, "Le tue azioni e la tua arroganza meritano una punizione."

Rilasciò un flusso invertito di energia taumaturgica: sotto le sue mani pulsò improvvisa una malsana luce verdastra e Corch urlò. Dolimavi fece un passo avanti, ma la punta della spada di Aryon, prontamente rivolta contro di lei, la dissuase dal tentare qualsivoglia mossa difensiva a favore del suo capitano. Anche i marinai rimasero fermi, sotto la mira delle frecce.

Nerwen mollò la presa ed arretrò; sulla guancia di Corch, laddove aveva premuto la mano, era comparsa una macchia scarlatta, mentre dalla testa si erano staccate grosse ciocche, scoprendo il cuoio capelluto sottostante.

"Adesso, ogni volta che ti guarderai allo specchio, ricorderai Nerwen la Verde", ringhiò la Istar, "e rammenterai che non è decisamente il caso di far arrabbiare uno Stregone, maschio o femmina che sia."

Sfregò le mani, lasciando cadere sul tavolato i riccioli bruni che vi erano rimasti appiccicati; Corch, livido ed ammutolito, si prese la testa tra le mani e cadde in ginocchio. Dolimavi si precipitò al suo fianco.

Calad si staccò dal pennone; ancora furiosa per come Corch aveva trattato i suoi amici, quella bipede e quelli quadrupedi, si vendicò a modo suo, lanciando in volo una deiezione dritta sulla testa del contrabbandiere. Il malcapitato strillò invano una serie di improperi alla volta della falchetta, mentre Nerwen e gli Elfi che la scortavano scoppiavano a ridere, rendendo completa l'umiliazione di Corch.

Calad ignorò bellamente le ingiurie e si allontanò soddisfatta, andando a posarsi su una bitta del molo, a distanza di sicurezza da eventuali rappresaglie di marinai armati di balestra.

Su segnale di Aryon, due degli Elfi della scorta raccolsero il bagaglio di Nerwen, poi il gruppo ridiscese la passerella, il principe con la spada sguainata e quattro arcieri con le frecce ancora incoccate che camminavano all'indietro per non perdere d'occhio l'equipaggio. Una volta sul molo, si allontanarono velocemente.

"Sono curioso", disse Aryon a Nerwen, rinfoderando la spada, "Come mai hai scelto quella punizione in particolare?"

"Avevo notato quanto fosse vanitoso Corch", rispose lei, scrollando le spalle. Il principe fece un mezzo sorriso, sul malgrado divertito:

"Sei stata piuttosto perfida, direi", commentò.

"Non sono una persona vendicativa", dichiarò lei, "ma quando ci vuole, ci vuole."

"Da quel che mi hai raccontato, se l'è indubbiamente meritato", confermò Aryon. Nerwen annuì:

"Cerchiamo questo Gailar Begalion", lo esortò poi, cambiando discorso, "e recuperiamo Thalion; poi andremo a cercare Thilgiloth."

Tornati alla capitaneria di porto, recuperarono le loro cavalcature e tornarono in città. Qui chiesero in giro, e vennero indirizzati ad una scuderia nella parte occidentale di Gaerlonn.

Il mercante di cavalli protestò energicamente:

"Ho regolarmente pagato quel cavallo e non intendo farmelo portar via da nessuno, neanche dalla Prima Spada della Regina! Ora mando a chiamare il balivo..."

"Fallo pure", lo invitò Aryon, un'espressione funesta sul volto, "Prima però sappi che quel cavallo non verrà trovato sul manifesto di carico della Feingwend e sarà pertanto ritenuto merce di contrabbando. Conosci la pena per chi acquista merce importata illegalmente dal Dorwinion in Eryn Rhûn?"

Gailar impallidì; Nerwen ne dedusse che doveva trattarsi di una punizione molto dura.

"Vedo di non aver altra scelta", brontolò l'infelice commerciante, "ma come faccio a sapere che la signora è davvero la proprietaria di quell'animale?"

"Non ti basta la mia parola?", ringhiò Aryon, insofferente al fatto che la sua autorità venisse sfidata. Pareva sul punto di sguainare la spada e di infilzare l'infelice mercante su due piedi, così Nerwen intervenne per evitare che la discussione degenerasse:

"No, ha ragione", disse, "Gailar, credo che tu sia una persona onesta e che tu sia stato raggirato da quel manigoldo patentato di Corch. Ti dimostrerò che Thalion è davvero il mio cavallo da soma."

Estese i suoi pensieri all'interno delle scuderie e trovò subito la mente del fedele animale, che nitrì eccitato e felice e si impennò all'interno del suo stallo. Il palafreniere accorse, preoccupato, ma Gailar gli fece cenno di lasciar perdere e guardò Nerwen con tanto d'occhi.

"È quello, no?", disse lei, addentrandosi nella scuderia e dirigendosi con sicurezza verso il quinto stallo di sinistra, dove trovò effettivamente Thalion il quale, come la vide, nitrì nuovamente e sporse la testa per farsi accarezzare.

"Sì, è quello", ammise Gailar di malavoglia, definitivamente sconfitto. Nerwen si voltò verso di lui:

"Dove sono i suoi finimenti?", chiese perentoriamente.

Risultò che erano all'interno dello stallo; dopo averli recuperati, la Istar uscì dalle scuderie con Thalion alle calcagna, senza neppure doverlo condurre per le briglie.

"Ma i miei soldi...?", azzardò flebilmente il mercante di cavalli.

"Rivolgiti a Corch", replicò Nerwen, asciutta, "ed la prossima volta, assicurati prima che quello che compri sia merce regolare."

Aryon le si affiancò e fulminò Gailar con un'occhiata tale da dissuaderlo all'istante da ulteriori obiezioni.

Poco dopo, uscivano di città; i bagagli erano stati nuovamente caricati sul robusto cavallo da soma, che seguiva dappresso la sua padrona ritrovata, timoroso di esserne nuovamente allontanato.

"Come farai a rintracciare la tua giumenta?", Aryon chiese a Nerwen. L'Aini si scrutò attorno, indecisa sulla direzione da prendere: Thilgiloth poteva essersi diretta ovunque. No, pensò poi, non ovunque: sapeva che lei sarebbe venuta a cercarla e quindi si sarebbe tenuta nelle vicinanze di Gaerlonn, anche se non tanto vicino da poter essere vista dalla città.

"Ci muoveremo in archi sempre più ampi, allontanandoci da Gaerlonn", rispose quindi alla domanda del principe, "La chiamerò, e quando mi sentirà, sarà lei a venire da noi."

Si mossero quindi come aveva detto la Istar, dirigendosi dapprima verso est - ovvero la direzione opposta a quella da cui erano arrivati - per poi addentrarsi un poco nella foresta e tornare indietro; a brevi intervalli, Nerwen protendeva i suoi pensieri alla ricerca di quelli di Thilgiloth. Dopo un po', Aryon fece per chiederle perplesso come mai non chiamasse, avendo dato per scontato che usasse la voce, ma quando vide sul suo volto un'espressione di profonda concentrazione, comprese che stava usando la mente, come aveva fatto con Calad la sera in cui si erano incontrati, o meglio, scontrati.

Per come era iniziata la loro conoscenza, considerò il principe pensierosamente, avrebbero potuto finire con lo scannarsi a vicenda, a parole, se non a coltelli; e invece eccoli fianco a fianco a cercare una giumenta dispersa. Poteva essere il preludio ad un'amicizia interessante, concluse. Sempre che lei si fosse dimostrata degna di fiducia, ovviamente, cosa di cui non era ancora completamente convinto.

Trascorsero alcune ore; quando fu troppo buio nella foresta per continuare la ricerca, si fermarono e si accamparono. Trascorsero una notte tranquilla, ed appena ci fu luce sufficiente, ripresero la ricerca. Non erano trascorse due ore, che finalmente Nerwen contattò la mente di Thilgiloth; percependola, la Corsiera espresse gioia e sollievo, e poco dopo la videro arrivare al galoppo, come un luminoso lampo bianco tra gli alberi.

Scorgendola, gli Avari sgranarono gli occhi: mai avevano visto un cavallo così splendido.

Nerwen saltò giù da Kerfin, lo stallone che le era stato dato in prestito, e corse incontro a Thilgiloth. Thalion e Calad fecero altrettanto, e così gli sbalorditi Elfi di Eryn Rhûn assistettero alla riunione di quattro amici assai diversi tra loro.

Nerwen abbracciò il collo della Corsiera, che abbassò la testa sulla sua spalla come a contraccambiarla; col muso, Thalion le diede dei buffetti sul fianco; e Calad svolazzò eccitata tutt'attorno, lanciando gioiosamente il suo kek-kek-kek.

Sapevamo che saresti venuta per noi, Thilgiloth trasmise a Nerwen, ma quando quel Corch ha cercato di venderci, abbiamo temuto che non fossi più in grado di ritrovarci, così ho ritenuto meglio darci alla fuga, si girò a guardare il cavallo da soma, Mi spiace aver abbandonato Thalion, ma mi sono accorta che non era con me solo dopo essere uscita dalla città.

"Sei stata bravissima", le disse Nerwen, "e anche Thalion, che non riuscendo a seguirti si è finto rassegnato, ma mi ha detto che alla prima occasione sarebbe scappato anche lui", diede pacche affettuose sul fianco di entrambi, "Vi siete comportati in modo eccellente, amici miei."

Aryon si riprese dallo sbalordimento; sceso da cavallo, si avvicinò.

"Se non sapessi che parli con gli animali - e con gli alberi - mi riterrei vittima di un'allucinazione", dichiarò, nella voce una sfumatura di riluttante rispetto. Nerwen si girò a guardarlo, gli occhi sfavillanti ed un sorriso sfolgorante sulle labbra; Aryon non poté fare a meno di pensare che era incantevole.

"Ti presento Thilgiloth", gli disse lei, "Thilgiloth, questo è Aryon Morvacor, principe degli Avari, e spero di poterlo presto definire un nuovo amico."

A quelle parole, Aryon piegò il collo per ringraziarla delle sue parole cortesi: come fratello dell'Alta Sovrana delle Sei Tribù degli Avari, non era tenuto a profondersi in ringraziamenti con nessuno, a parte la regina in persona, ma naturalmente la buona educazione a volte s'imponeva pure su di lui; e questo era senz'altro il caso.

"È un esemplare magnifico", dichiarò, ammirato, "Non ho mai visto un mantello bianco così brillante: pare fatto di seta. È una mearh di Rohan?"

"Lo è", confermò Nerwen, "E come tutti i mearas, è estremamente intelligente."

"Dicono che siano i destrieri più belli del mondo... e ora che ne vedo una, non posso che concordare. La leggenda racconta che è stato Oromë Aldaron a portare i mearas nella Terra di Mezzo", disse Aryon, dimostrando di conoscere bene quella razza di cavalli: infatti era stato proprio il Vala Oromë, detto tra l'altro anche il Grande Cavaliere, a trasferirne alcuni esemplari da Valinor all'Endor, dove avevano prolificato. Poi Aryon parve ricordare qualcosa e si voltò a scrutare Nerwen con quei suoi chiarissimi occhi azzurri che parevano in grado di bucare una parete di roccia.

"Credevo che i mearas accettassero di farsi cavalcare soltanto dai re di Rohan", disse; nella sua voce era tornato ad insinuarsi il sospetto. Impreparata, per un attimo Nerwen non seppe cosa rispondere: ecco una cosa che non sapeva... O Gandalf non ne era al corrente nemmeno lui, oppure si era dimenticato di dirglielo.

"Thilgiloth fa eccezione", rispose, cercando di suonare disinvolta, "Mi ha accettata perché ho la capacità di parlare con lei, ma anche perché ci siamo incontrate che era una puledrina appena svezzata, e abbiamo fatto amicizia."

Era assolutamente vero, anche se Aryon non avrebbe mai potuto immaginare che il luogo in cui si era svolto quell'incontro era Aman e non la Terra di Mezzo.

"Capisco", annuì il principe, ricordando che lei gli aveva detto che sia Calad che Thalion la accompagnavano per amicizia, e non la consideravano una padrona, né lei li considerava sua proprietà. Per quanto ne sapeva, poteva ben essere che perfino una mearh si aggregasse a questa donna che poteva parlare con animali e piante, "Bene", proseguì, "allora dato che abbiamo recuperato i tuoi averi e i tuoi amici, a questo punto, come d'accordo, ti porterò a Bârlyth al cospetto della regina Eliénna."

La scrutò, attendendo un cenno di conferma o di dissenso, in base al quale avrebbe reagito: se lei avesse anche solo accennato a non voler mantenere la parola data, non avrebbe esitato un attimo a fare quanto minacciato, ovvero legarla come un salame ed obbligarla con la forza; non aveva infatti ancora ritirato ai suoi arcieri l'ordine di tenersi pronti a puntarle addosso le loro frecce, se necessario.

Tuttavia, Nerwen non era una che impegnava la propria parola alla leggera, e quando lo faceva, la manteneva, costasse quel che costasse.

"Certamente", rispose infatti, "Dammi soltanto il tempo di sellare Thilgiloth, e ci metteremo in cammino."

Prese dal bagaglio recuperato da Corch i finimenti della Corsiera e la bardò, poi si issò in arcione. Si avvicinò al roano che le era stato prestato e si chinò ad accarezzargli il collo.

"Grazie per avermi portata fin qui, Kerfin", gli disse. Lo stallone sbruffò e mosse la coda.

È stato un piacere, rispose.

Ormai Aryon e gli altri Elfi della scorta avevano cominciato ad abituarsi al fatto che la Istar parlasse - venendone compresa - agli animali, per cui non fecero una piega.

Anche il principe salì in groppa al suo stallone nero, e così la piccola compagnia si incamminò alla volta di Bârlyth, la residenza dell'Alta Sovrana delle Sei Tribù degli Avari, nonché capitale del regno di Eryn Rhûn.

Angolo dell'autrice:

Mi sono divertita parecchio a strapazzare Corch, il primo Elfo ostile con cui Nerwen ha a che fare... Nerwen avrebbe potuto dare una sonora lezione anche a Dolimavi, responsabile di averla ferita, ma dopotutto la Prima Ufficiale stava solo eseguendo degli ordini, ed il vero responsabile è il capitano contrabbandiere.

Sono sempre più emozionata nel vedere quante persone seguono la mia storia. È un segno tangibile che questa fan fiction sta incontrando un successo che, onestamente, non mi aspettavo, e che mi lusinga enormemente. Io sto scrivendo con immensa passione e grande divertimento, e così spero la stiate leggendo voi.

Poiché i commenti sono la linfa vitale di cui si nutrono gli autori - non solo per ricevere complimenti, anche se sono ovviamente assai graditi, ma anche osservazioni e critiche costruttive per consentire di far sempre meglio - sono estremamente grata a coloro che si prendono cinque minuti per scrivermi.

Lady Angel

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