Capitolo XVII: Rhosgobel

Capitolo XVII: Rhosgobel

Nerwen ripartì da Imladris verso la fine aprile, soltanto il giorno dopo che Thorin Scudodiquercia, i suoi dodici compagni Nani, lo Hobbit Bilbo Baggins - ingaggiato come scassinatore - e lo Stregone Gandalf il Grigio avevano lasciato Hobbiville, iniziando la loro grande avventura.

La sera prima, Nerwen aveva preso congedo da tutti coloro che aveva conosciuto a Gran Burrone - ed erano parecchi - ma ciò nonostante, al mattino Elrond, Estel e Glorfindel vennero a salutarla nuovamente; c'era anche Gaerwen, che si separava momentaneamente da Elladan il quale, assieme ad Elrohir, avrebbe accompagnato la Istar fino a Lothlórien.

Nerwen si chinò ad abbracciare Estel, che le buttò le braccia al collo e le disse:

"Mi mancherete molto, Lady Nerwen: avete saputo rendere così divertenti le mie ore di studio...! Spero di rivedervi presto."

Lei gli sorrise:

"Forse non sarà tanto presto, caro Estel", gli rispose, "ma cercherò di fare il possibile, te lo prometto."

Il ragazzino fece una faccia a metà tra il deluso e lo speranzoso, indeciso su come sentirsi riguardo a quell'affermazione; ma Nerwen non aveva avuto visioni in quel senso: sapeva solo che le sarebbe piaciuto molto rivedere Estel - Aragorn - soprattutto se fosse riuscito a realizzare pienamente il grande destino che lei intuiva.

Glorfindel l'abbracciò, torreggiando su di lei con la sua altissima figura.

"Abbi cura di te, Nerwen mia cara", le raccomandò.

"Puoi starne certo, amico mio", lo rassicurò lei sorridendo.

Anche Elrond l'abbracciò.

"Buon viaggio", le augurò, "Anch'io, come Estel, spero di rivederti."

"Lo spero anch'io", annuì Nerwen, con sincerità: in quei mesi aveva conosciuto meglio Elrond - un tempo nulla più che una conoscenza superficiale, sebbene tra loro fin da subito ci fosse stato rispetto reciproco - ed era giunta ad apprezzarlo per la sua ponderatezza e la sua grande sapienza.

Gaerwen, la cui espressione era assai mesta, le fece una riverenza, ma la Maia l'abbracciò e le mormorò all'orecchio:

"Non temere, non passerà molto che Elladan avrà talmente tanta nostalgia di te che tornerà a Imladris a spron battuto..."

La sua affermazione ebbe l'effetto di strappare un sorriso all'Elfa e le guadagnò un sentito ringraziamento.

Infine fu il momento di montare a cavallo e di attraversare lo snello ponte che superava la gola del Bruinen, per imboccare l'angusta strada che conduceva all'Alto Passo, situato ad un'altitudine di poco più di millecinquecento metri. Avevano scelto quella via per valicare le Montagne Nebbiose - leggermente più disagevole del Caradhras, o Passo Cornorosso, più a sud - perché Nerwen voleva recarsi a Rhosgobel, la residenza di Radagast il Bruno sul limitare del Bosco Atro.

Con lei ed i principi di Gran Burrone c'era una scorta di una decina di uomini armati: le Montagne Nebbiose erano infatti infestate dagli Orchi, sebbene nessuno sapesse con precisione dove si trovassero le loro tane.

Occorsero tre giorni per superare l'Alto Passo, dovendo procedere con molta prudenza soprattutto a causa dei cavalli, perché non rischiassero di rompersi una zampa sull'erto e stretto sentiero. Fortunatamente non fecero incontri sgraditi e poterono superare il valico indisturbati.

Una volta discesi dall'altra parte, volsero a meridione per una trentina di chilometri, lungo le pendici delle Montagne Nebbiose, fino ad incrociare un'antica strada che, dirigendosi dritta verso oriente, costituiva l'ideale continuazione della Grande Via Est; qui, si accamparono per la notte, proseguendo poi il giorno dopo. Poco più tardi di mezzogiorno, giunsero all'Anduin, il Lungo Fiume, in quel punto ancora non molto largo; lo superarono al Vecchio Guado, e dopo essersi fermati per rifocillarsi, continuarono fino a sera, quando sostarono per dormire. Il giorno seguente, raggiunte le falde del Bosco Atro, lasciarono la strada che si inoltrava tra gli alberi e piegarono verso settentrione, dirigendosi a Rhosgobel, distante ormai soltanto una decina di chilometri.

Calad andò in avanscoperta; quando tornò, riferì d'aver individuato la casa dello Stregone, ma che nulla si muoveva dentro o attorno ad essa. C'erano diversi animali però che si aggiravano nei dintorni e parevano in qualche modo legati al luogo.

Anche se Nerwen dubitava che Aiwendil sapesse qualcosa degli Ent, aveva sperato che la sua profonda conoscenza del Bosco Atro, che un tempo li aveva ospitati, potesse fornirle qualche ulteriore indizio sulla loro attuale ubicazione. Si sentì quindi assai delusa, ma decise di proseguire ugualmente per accertarsi che lo Stregone fosse effettivamente assente.

Si fermarono ad una certa distanza dalla casa, che era costruita disordinatamente attorno ed in parte all'interno di un enorme albero di noce. Il suo aspetto scomposto e quasi caotico ispirava una certa inquietudine.

Nerwen, Elladan ed Elrohir smontarono e si avvicinarono; come aveva detto Calad, la costruzione pareva deserta, porte e finestre erano sbarrate, né un filo di fumo si levava dal comignolo ad indicare la presenza di qualcuno.

Bussarono alla porta, ma nessuno venne ad aprire, né qualcosa si mosse dietro le persiane chiuse ermeticamente. Bussarono di nuovo, e poi chiamarono, ma non ottennero risposta. Allora Nerwen provò ad estendere la sua consapevolezza tutt'attorno, cercando la mente di Radagast, ma non ne trovò traccia. Percepì tuttavia molto vicina la coscienza allarmata di un gatto; esaminando la facciata della casa, lo scorse, acquattato su una sporgenza del tetto di paglia. Il suo pelo era di un lucido nero, e gli occhi verdi la guatavano circospetti.

Salve, amico gatto!, lo salutò, Non devi aver timore: siamo amici.

Sorpreso, il gatto sobbalzò. La sua diffidenza si attenuò; incuriosito, scese dal tetto con un agile balzo e si avvicinò di qualche passo, ma si mantenne a distanza di sicurezza. La curiosità uccise il gatto, diceva il vecchio proverbio; ma non questo, pensò Nerwen divertita: era un vecchio felino molto esperto, e sarebbe stato difficile coglierlo di sorpresa per ucciderlo.

Ti odo! Chi sei?, indagò il gatto, guardingo.

Io sono Nerwen, una collega e vecchia conoscenza di Aiwendil, si presentò lei.

Ora comprendo perché riesci a conversare con me, così come fa Aiwendil..., considerò il felino, mentre la sua diffidenza si dissolveva definitivamente, È partito diversi giorni fa, la informò poi, e mi ha detto che sarebbe rimasto via alcune settimane; ma non so dove sia andato.

Ora la delusione di Nerwen era completa. Si rivolse ai gemelli:

"Siamo venuti fin qui per nulla: Radagast è partito giorni or sono e non tornerà molto presto. Mi spiace, vi ho fatto perdere tempo."

"Non preoccuparti, zia Nerwen, è stata una deviazione di appena due giorni", la rassicurò Elrohir, "Non ci ha dato poi un gran disturbo."

La Istar sospirò, ma non c'era niente da fare. Guardò la posizione del sole, che stava avvicinandosi alle cime delle Montagne Nebbiose: era ormai pomeriggio inoltrato. Avrebbero trascorso la notte lì, poi il mattino dopo sarebbero ripartiti, dirigendosi nuovamente al Vecchio Guado per riattraversare il fiume prima di volgere verso meridione e Lothlórien, costeggiando l'Anduin.

Nerwen tornò a voltarsi verso il vecchio micio:

Grazie dell'informazione, amico gatto, gli trasmise, Dormiremo qui, ma cercheremo di non disturbare te e i tuoi compagni.

Nessun problema, acconsentì il felino, Se siete amici di Aiwendil, siete amici nostri.

Allestirono l'accampamento, accendendo un fuoco per cucinare qualcosa di caldo, e lasciarono liberi i cavalli che - ben addestrati alla maniera elfica - non si sarebbero allontanati; Elladan ed Elrohir distribuirono i turni di guardia per la notte, poi cercarono Nerwen per fare due chiacchiere prima di cena. La trovarono che scrutava accigliata le ombre sotto gli alberi, distanti alcune decine di metri.

"Zia Nerwen, qualcosa non va?", le chiese Elladan, vedendo la sua espressione fosca. La Maia strinse le labbra:

"Non mi piace l'aspetto di questa foresta", dichiarò.

"Un tempo era chiamato Boscoverde il Grande", osservò Elrohir, "ma quando l'influenza di Dol Guldur e del suo empio Negromante si è impadronita di esso, il nome venne cambiato in Bosco Atro. È infestato da ragni giganteschi, lupi mannari e orchi, tranne che a settentrione, dov'è situato il regno di Thranduil. La Vecchia Via dei Nani che attraversa il Bosco Atro, di cui abbiamo percorso un pezzo provenendo dal Vecchio Guado, non è più sicura, ed è caduta in disuso; gli Elfi del Reame Boscoso hanno creato un sentiero più a nord, ma essendo sul confine meridionale del loro regno, non è privo di pericoli neppure quello, se non per una grande forza armata."

"Ma non preoccuparti troppo, zia", la esortò Elladan, "Siamo pur sempre fuori dai confini del Bosco Atro, e abbiamo le sentinelle."

Nerwen sospirò ed annuì, momentaneamente rassicurata; d'altronde, gli animali che si aggiravano nei dintorni non parevano allarmati, per cui attribuì la propria avversione per il Bosco Atro alla sua lugubre fama.

Quando ebbero finito di mangiare, il sole era tramontato ed il crepuscolo si stava trasformando in notte; le stelle si accesero una ad una nel cielo sereno, splendendo luminose contro il velluto nero del firmamento.

Sollevando lo sguardo alla volta stellata, Elladan pensò alla sua innamorata Gaerwen, e si sentì ispirato a cantare; non avevano portato con loro strumenti musicali, ma poteva anche farne a meno. A bocca chiusa, intonò alcune note, che suo fratello riconobbe subito e riprese con la seconda voce. Poi Elladan cominciò a cantare con voce limpida:


Meled, nín ôl,

Cuiad lúthannen.

I tín hûn na i glawar,

I tín hin i elin estel,

I tín findel siria ned lagor sûl.

Meled, nín ôl,

Cuiad lúthannen.

Amore, mio sogno,

Vita incantata.

Il tuo cuore è la luce del sole,

I tuoi occhi la speranza delle stelle,

I tuoi capelli ondeggiano nel ratto vento.

Amore, mio sogno,

Vita incantata. (*)


Elrohir diede voce al controcanto, ed i due eseguirono la cantica d'amore fino al termine, allietando i cuori di chi ascoltava; ma Nerwen prestò orecchio solo distrattamente, pur apprezzando sia le loro belle voci che la canzone: una strana apprensione aveva cominciato a crescere nella sua mente. Lanciò un'occhiata alla foresta, ma nella debole luce delle stelle non vide niente di fuori dall'ordinario; nuovamente pensò che la pessima nomea del Bosco Atro la stava influenzando, e si sforzò di ignorarla.

Andarono a dormire, mentre due sentinelle si disponevano sui lati dell'accampamento. La notte era molto quieta, e ben presto tutti scivolarono nel sonno.

Alcune ore dopo, Nerwen si svegliò in preda ad una forte apprensione; balzò a sedere, ma era tutto tranquillo. Guardando la posizione delle stelle e della falce di luna che illuminava il cielo, giudicò che la mezzanotte fosse passata da circa un'ora. Le sentinelle erano ancora ai loro posti, vigili come possono esserlo solo gli Elfi che, i caso di bisogno, decidono di fare volontariamente a meno del sonno.

L'Aini cercò i pensieri di Thilgiloth e di Calad, trovandole a loro volta inquiete, ma nessuna delle due seppe indicare una qualche causa, solo impressioni vaghe ed indefinite. Tuttavia oramai Nerwen era in allarme: qualcosa non andava, anche se ancora non sapeva cosa. Buttò via la coperta, si infilò gli stivali e si alzò, decisa ad esplorare i dintorni; passò accanto ad una delle sentinelle, che le lanciò un'occhiata incuriosita ma non osò rivolgerle domande: nessuno chiede conto ad un Istar dei suoi movimenti.

Nerwen si avvicinò lentamente agli alberi, tendendo i suoi sensi in entrambi i mondi, quello visibile e quello invisibile; non appena essi penetrarono oltre la cortina di tronchi, nella sua mente esplose l'immagine di un gruppo di svariati lupi mannari in procinto d'attaccare.

"GOER!", gridò con quanto fiato aveva in gola; ma i lupi mannari si lanciarono all'assalto in quello stesso momento. Nerwen si tuffò a terra, appena in tempo per evitare d'esser travolta da uno degli attaccanti.

I cavalli elfici nitrirono di terrore e corsero via a rotta di collo, cercando salvezza nella fuga; tutti tranne Thilgiloth, che come Corsiera non temeva i lupi mannari e si lanciò invece in soccorso di Nerwen.

"Goer, goer!", urlarono le sentinelle, balzando in piedi con le frecce già incoccate. Bruscamente strappati al sonno, gli altri annasparono alla ricerca delle loro armi, mentre il primo lupo mannaro piombava nel bel mezzo dell'accampamento ed azzannava l'Elfo più vicino, che urlò di dolore. Elrohir, ancora sdraiato a terra, impugnò l'arco e scoccò una freccia, che raggiunse il gaur dritto in mezzo alla fronte e lo fece stramazzare morto.

Con un agile balzo, Nerwen saltò in groppa a Thilgiloth, che era priva di sella e di finimenti; un gaur le vide e si gettò su di loro, ma la Corsiera s'impennò e lo colpì sul muso con una poderosa zoccolata, fracassandogli la mascella. Furibondo per il dolore, il lupo mannaro le si rivoltò contro e tentò di colpirla con una zampata; in quella, Calad piombò giù dall'alto e gli artigliò un occhio, strappandoglielo. Pazzo di dolore, il gaur ululò e fuggì, ma venne intercettato da due frecce e cadde di schianto, morto.

Elladan si era alzato e stava incoccando un'altra freccia, quando un lupo mannaro tentò d'assalirlo di lato, ma tre frecce, scagliate da altrettanti archi elfici, lo colpirono al fianco; una lo centrò al cuore e lo uccise sul colpo.

Nerwen si guardò intorno nell'incerta luce dello spicchio di luna. Il combattimento infuriava e le corde degli archi cantavano per la velocità con cui gli Elfi lanciavano le loro frecce; ma i lupi mannari erano molti, troppi perché gli assaliti potessero uscirne tutti vivi. Nerwen rammentò d'aver visto un nido di vespe non molto lontano dalla casa di Radagast; ora lanciò loro un appello, in cerca d'aiuto, e subito i grossi insetti neri e gialli sciamarono fuori dal nido. Le si raggrupparono attorno, ronzando ferocemente; Thilgiloth scartò, innervosita.

Tranquilla, amica mia, sono nostre alleate, la calmò Nerwen. Vide un lupo mannaro guatarla, chiaramente progettando un'aggressione, e d'istinto mandò le vespe contro di lui. Lo sciame si precipitò addosso al gaur, praticamente ricoprendolo, e molte di loro cominciarono a pungerlo spietatamente; ululando, il mostro filò via a tutta velocità. Le vespe lo seguirono per qualche metro, poi lo mollarono e si volsero in cerca di una nuova preda.

In quel momento sopraggiunse inaspettata una variegata schiera di animali selvaggi: cervi, cinghiali, orsi, bufali. Guidati da un grande orso nero, si gettarono immediatamente sui lupi mannari. Nerwen rimase di stucco: il suo appello era stato solamente verso le vespe e pertanto non si era aspettata l'intervento di altri kelvar. Da dove spuntavano questi?

Non ebbe tempo di pensarci troppo a lungo: scorgendo un altro gaur minaccioso, diresse su di lui il nugolo di vespe, e poi verso un altro ed un altro ancora. Via via che pungevano, gli insetti si ritiravano, assottigliando sempre più lo sciame, ma ne erano rimasti ancora parecchi prima che la battaglia finisse. Questa imperversò per molti, interminabili minuti, tra ululati, bramiti, grugniti, ringhi, muggiti e urla; ma alla fine i goer furono sbaragliati e giacquero tutti morti o feriti gravemente. Gli Elfi finirono quest'ultimi tagliando loro la gola.

In mezzo al campo di battaglia comparve all'improvviso un uomo imponente, dalla fitta barba nera e dai lunghi capelli altrettanto neri, abbigliato con una corta tunica sbracciata di tela grezza e armato di un'enorme ascia. Si diresse subito verso Nerwen, ancora in groppa a Thilgiloth, e le si inchinò davanti.

"Sono Beorn", si presentò, "Vivo da queste parti, e tenevo d'occhio Rhosgobel, sapendo che Radagast è assente; vi ho visto arrivare, ma dato che gli Elfi non sono certo dei nemici, non vi ho disturbati. Quando però ho visto che venivate attaccati da quei maledetti lupi mannari, ho chiamato a raccolta gli amici più vicini e sono intervenuto."

Elladan ed Elrohir si erano avvicinati ed ora guardavano l'omone, meravigliati.

"Abbiamo sentito parlare di te, Beorn", disse Elrohir, "ma pensavamo che fosse una fola... l'uomo mutapelle che diventa un orso!"

Lui li guardò con occhi divertiti dall'alto dei suoi due metri di statura:

"Non sono una fola, come ben potete vedere."

"Certo che no", confermò Nerwen, "La tua razza è assai antica, Beorn, risale alla comparsa dei primi Uomini su Arda... Ma dimentico le buone maniere: io sono Nerwen la Verde, e questi sono i miei nipoti Elrohir e Elladan, figli di Lord Elrond di Gran Burrone."

"Sì, avevo riconosciuto le insegne", affermò Beorn, poi la sogguardò, "La Verde, eh? Ti ho sentita chiamare in soccorso quelle brave vespe; immagino che tu sia una collega di Radagast e di Gandalf."

"È così", confermò Nerwen, "E a nome di tutti noi, desidero ringraziare te e i tuoi alleati per il vostro prezioso aiuto. Ora però ci sono alcuni feriti, tra la mia e la tua schiera, che hanno bisogno di cure."

"Hai ragione", disse Beorn, "Occupiamoci di loro. Parleremo dopo."

Risultò che il primo Elfo aggredito aveva un omero spezzato e profonde lacerazioni dovute ai terribili canini del lupo mannaro, mentre un altro aveva graffi superficiali ad una coscia, infertigli da una zampata, ed un terzo una grossa contusione all'anca a causa di una caduta provocata da un gaur che lo aveva sbattuto a terra.

Nerwen ringraziò le vespe per il loro prezioso aiuto, e queste si congedarono per andare a riposare nel loro nido; poi la Istar andò subito a curare l'Elfo più grave; poiché la sistemazione dell'osso rotto sarebbe stata assai dolorosa, lo fece addormentare mormorandogli all'orecchio alcune parole incantate, poi allineò la frattura ed usò suo potere taumaturgico per saldarla; fece lo stesso con gli squarci lasciati dai denti del lupo mannaro, avendo cura di pulire le ferite dalla saliva infetta del mostro prima di rimarginarle. Mentre la frattura non avrebbe lasciato traccia, brutte cicatrici sarebbero invece rimaste a perenne memoria dello scontro; ma probabilmente l'Elfo le avrebbe esibite con orgoglio: uscire vivi da uno scontro con un lupo mannaro non era affatto scontato.

L'altro ferito venne trattato da Elladan - come il padre, era un ottimo guaritore - che lavò i graffi con acqua e vino, spalmandovi poi sopra un unguento a base di iperico.

Gli alleati indenni di Beorn si erano frattanto già allontanati, tranne quattro orsi, mentre l'uomo-orso si prendeva cura dei feriti, fortunatamente pochi e tutti in modo lieve; anche questi, non appena medicati, si congedarono per tornare ai loro rifugi.

Nel frattempo, gli Elfi che non erano stati feriti si occuparono delle carcasse dei lupi mannari; ne contarono diciotto, che ammassarono in un pila ad una cinquantina di passi dall'accampamento devastato. Poi alcuni andarono a cercare i cavalli, fuggiti in preda al panico, mentre gli altri si occuparono di spostare il bivacco fuori dall'area del combattimento.

Nerwen chiamò Thilgiloth e Calad, che vennero subito da lei.

"Grazie, amiche mie", disse loro, "Siete state coraggiose."

Odio i lupi mannari!, sbottò la Corsiera.

Io ne ho paura, confessò Calad, ma quando ho visto te e Thilgiloth in pericolo, mi sono buttata su quel mostro e gli ho strappato l'occhio!

Nerwen le accarezzò entrambe, sia con le mani che con la mente, trasmettendo loro tutta la sua gratitudine e tutto il suo affetto. Le sue due amiche la ricambiarono, strofinandosi contro di lei.

Beorn si era avvicinato ed aveva osservato la scena sorridendo nella folta barba: anche lui comunicava con gli animali.

Nerwen si girò verso di lui:

"Hai ringraziato per noi i tuoi alleati?", s'informò.

"Certamente", confermò l'uomo-orso, "Sono molto soddisfatti per come si è conclusa la battaglia", accennò in direzione della catasta di goer morti, "Che cosa avete intenzione di farne, adesso?"

"Li bruceremo", annunciò Nerwen, "e disperderemo le loro ceneri."

Così fecero; raccolsero una gran quantità di legna e ne fecero una pira; Beorn l'annaffiò con una fiaschetta di un olio combustibile alquanto puzzolente che, assicurò loro, avrebbe elevato di molto la temperatura, permettendo di bruciare le carcasse più rapidamente e meglio. Poi diede personalmente fuoco alla pira, ed aiutò gli Elfi a gettare i cadaveri dei lupi mannari tra le fiamme. In breve, tutto si ridusse a cenere e braci.

"Non c'è più pericolo", disse Beorn, "Almeno, non di lupi mannari. Vi consiglio di dormire per il resto della notte; io e i miei terremo guardia per voi."

"Grazie, Beorn", gli disse Elrohir, "Ti siamo molto grati."

"I nemici dei miei nemici sono miei amici", rispose semplicemente l'uomo-orso, prima di allontanarsi e disporre le sue sentinelle.

Nerwen dubitava che sarebbe riuscita a dormire ancora; pensò di farsi una bella pipata per rilassarsi, nella speranza che ciò l'avrebbe aiutata a prender sonno, ma poi ci rinunciò: era difficile trovare erba-pipa al di fuori della Contea e dei suoi immediati dintorni, e pertanto doveva razionarla per farla durare il più a lungo possibile.

Giacque insonne per un bel pezzo; infine, sopraffatta dalla stanchezza, si addormentò, per venir risvegliata solo un paio d'ore più tardi dai raggi del sole, appena sorto oltre le cime degli alberi, che le colpivano le palpebre.

Scoprirono che Beorn si era preoccupato di procurar loro la colazione, a base di pane, panna e miele, che erano praticamente gli unici alimenti di cui si nutriva. Il miele era incredibilmente buono: sapeva di molte erbe e fiori, talmente tanti che Nerwen non riuscì ad identificarli tutti.

"Lo producono le mie api", le confidò l'uomo-orso, "Sono enormi e vagano parecchio lontano per cercare il nettare con cui fare il loro miele."

Finita la colazione, i membri della scorta sparpagliarono le ceneri ormai fredde dei lupi mannari, che così sarebbero servite da fertilizzante per il terreno; Beorn raccolse le poche ossa rimaste, le frantumò e le ripose in un sacco, allo scopo di disperderle nell'Anduin.

"È stato un piacere incontrarti, Nerwen la Verde", le disse, facendole una profonda riverenza, "Mi auguro che un giorno le nostre strade tornino ad incrociarsi in circostanze più gradevoli."

"Anche per me è stato un piacere conoscerti, Beorn", dichiarò la Istar, sorridendo, "e spero che ci incontreremo nuovamente; fino ad allora, possano le stelle brillare sul tuo cammino."

L'uomo-orso chinò la testa accettando il suo augurio, poi si rivolse ai figli di Elrond e li salutò con un inchino, pregandoli di porgere i suoi omaggi al loro padre, di cui conosceva la fama di grande sapiente; infine prese congedo con un cenno anche dai soldati della scorta e si allontanò a grandi passi verso nord-ovest, presumibilmente in direzione della propria abitazione.

Anche la compagnia di Gran Burrone era pronta alla partenza e si incamminò, tornando sui propri passi verso il Vecchio Guado, per riattraversare l'Anduin e riprendere la strada alla volta di Lothlórien.

(*) l'autore o autrice dei versi originali (da me trovati su internet e rielaborati) si chiama Siri. La mia traduzione lascia certamente a desiderare, così prego i puristi d'esser indulgenti; ma se qualcuno sa far le correzioni adeguate, ben venga!

Angolo dell'autrice:

Ebbene, l'incontro con Beorn non era affatto programmato! Avevo ideato la scena dello scontro coi lupi mannari calcolando che Nerwen, oltre alle vespe, avrebbe chiamato in soccorso gli animali amici di Radagast che si aggirano nei dintorni di Rhosgobel, ma ecco che zac! salta fuori l'uomo-orso e la sua schiera di alleati animali. Ecco un altro esempio di personaggio che decide di far a modo suo... forse s'era offeso che non avessi pensato a lui? LOL

E Radagast?, si chiederà qualcuno. Eh, vedremo... ;-) Confesso che il personaggio non mi ispira molto, né nel canone stabilito da Tolkien, né nell'interpretazione che ne dà Peter Jackson nei primi due episodi della sua trilogia su Lo Hobbit; vedremo col terzo se mi farà cambiar idea, così come in SdA è riuscito a farmela cambiare su Boromir e su Aragorn... Ebbene sì, lo ammetto, neppure l'Aragorn del libro mi ispirava molto, e odiavo letteralmente Boromir, mentre i film mi hanno fatto innamorare di entrambi! :-D

Lady Angel

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