Capitolo XLVII: Un incontro sorprendente
Capitolo XLVII: Un incontro sorprendente
Due giorni dopo il matrimonio, Nerwen ed Aryon si recarono a bordo della Perla di Fiume, che salpava l'indomani alla volta di Pallàndim, la capitale. Fu triste per loro separarsi da Morvenna e Roden, amici così inaspettatamente trovati nel luogo e nel momento più giusti; si augurarono vicendevolmente di rivedersi, di lì a non molto tempo, quando i due novelli sposi avessero completato il loro viaggio, di cui la coppia più anziana non conosceva lo scopo.
Il tragitto lungo lo Yorva fu privo di avvenimenti degni di nota, tranne l'avversione che subito Túdhin dimostrò per la navigazione.
Non mi piace non avere solido terreno sotto alle zampe, dichiarò a Nerwen, in tono a metà tra lo stizzito e il lamentoso.
Mi rincresce, gli rispose la Maia, comprensiva, ma sarà soltanto per pochi giorni. Inoltre, come vedi Thilgiloth non si scompone, e neanche Thalion e Allakos: non vorrai essere da meno, vero?
Punto nell'orgoglio, il lupo emise un mezzo ringhio che parve molto uno sbuffo seccato, poi si scrollò e concluse:
Va bene, se possono sopportarlo loro lo sopporterò anch'io...
Giunsero a Pallàndim nel pomeriggio di cinque giorni dopo. Consigliati dal capitano Ràdiros, presero alloggio in una locanda vicino al porto chiamata La Rosa Vermiglia. Il locandiere fu di una cortesia inappuntabile, sebbene neanche lontanamente affabile come Roden e Morvenna; anche stavolta, Túdhin venne fatto passare per un cane e gli fu permesso di stare in camera con loro, mentre i cavalli venivano confortevolmente alloggiati nelle stalle della locanda.
Il giorno seguente Nerwen e Aryon, accompagnati dal lupo, si recarono alla biblioteca che il libraio e cartografo di Yòrvakars aveva decantato, trovandola facilmente date le chiare indicazioni fornite loro alla locanda. Perfino Nerwen – che pure era abituata alle immense collezioni di libri di Valimar e Tirion – fu impressionata dalle sue dimensioni, che comprendevano un intero palazzo: sale su sale di scaffali alti fino al soffitto, pieni zeppi di libri e pergamene, con schiere di bibliotecari addetti alla loro cura.
Chiesero ed ottennero di consultare le loro mappe migliori, ma per quanto Nerwen le studiasse, nessuna corrispondeva alla sua visione.
Trascorse qualche giorno, mentre la frustrazione della Istar cresceva. Una mattina, mentre si recavano in biblioteca per continuare a setacciare cartine e cronache di viaggio, si accorsero che stavano addobbando la città a festa.
"Che succede?", s'informò Aryon, rivolgendosi ad un passante.
"Oggi è il genetliaco del nostro re", gli rispose costui con un sorriso, "Come si usa da secoli, si fa festa per le strade, si mangia, di beve e si balla ovunque, e il re sfila a cavallo per le vie principali con le sue guardie e la corte. È uno spettacolo, vedrete!"
Trovarono la biblioteca deserta, a parte i bibliotecari, che li informarono che quel giorno avrebbero chiuso a mezzogiorno per far festa anche loro. Contagiati dall'atmosfera gioiosa che aveva pervaso la città, i due decisero di lasciar stare le loro ricerche, per quel giorno, e di unirsi ai festeggiamenti. Tornarono dunque alla locanda; anche lì fervevano i preparativi, con le fantesche che allestivano tavoli in strada, i garzoni che decoravano la facciata con ghirlande di fiori e festoni di carta colorata, i cuochi che cucinavano ogni sorta di cibo dolce e salato, e l'oste che correva agitatissimo dalle une agli altri e agli altri ancora tentando di supervisionare tutto senza che ce ne fosse reale bisogno, visto che tutti sapevano fare il loro lavoro. Divertiti, i novelli sposi si tolsero dai piedi e si recarono a passeggio sul lungofiume, osservando i preparativi di case private, negozi e locali. Poco prima di mezzogiorno rientrarono, trovando la locanda presa d'assalto dagli avventori perché si trovava su una delle vie dove sarebbe sfilato il re con tutto il suo seguito di guardie e cortigiani. Chiesero allora di poter mangiare in camera, dalle cui finestre, che si affacciavano sulla strada, avrebbero poi potuto tranquillamente assistere al corteo reale senza soffocare nella calca.
Un'inserviente venne a portare loro il pranzo, costituito da un gustoso pasticcio freddo di pollo e verdure accompagnato da una leggera birra bionda allungata con limonata, molto fresca e dissetante. Per Túdhin, portarono delle ossa da rosicchiare e una ciotola di acqua fresca.
Erano circa le tre del pomeriggio, quando si cominciarono a udire grandi acclamazioni e applausi; richiamati dal chiasso, Nerwen ed Aryon si affacciarono alla finestra e videro che il corteo reale si stava avvicinando. Lo aprivano due sbandieratori che sventolavano stendardi blu e argento, lanciandoli e riacchiappandoli al volo con perizia e spettacolarità; seguivano sei fanciulle inghirlandate di età crescente, dai sei ai sedici anni, che spandevano sul selciato petali di fiori presi da grandi cesti; poi veniva un manipolo di quattro guardie in alta uniforme, nei colori blu e argento degli stendardi. Seguiva una figura a cavallo, un Uomo alto e canuto dalla lunga barba, abbigliato di blu e argento, che sorrideva e salutava la folla plaudente. Dietro di lui, dopo un secondo manipolo di quattro guardie, si snodava una fila di altri personaggi appiedati, dame e signori in abiti eleganti che incedevano in paia.
Nello scorgere il re, Nerwen venne pervasa da una inaspettata sensazione di riconoscimento; si sporse per guardarlo meglio e, man mano che si avvicinava, la sensazione si fece sempre più forte fino a diventare certezza. Sgranò gli occhi, interdetta, e lanciò un'esclamazione inarticolata.
Aryon sobbalzò a quel suono e la guardò allarmato:
"Che c'è, Nerwen? Stai male? Sei pallida..."
Le passò un braccio attorno alle spalle, preoccupato, ma lei scosse la testa:
"No, no, è che... io conosco quell'Uomo! Conosco il re!", si girò a guardare il marito, "Non posso crederci... è Pallando! Un mio collega Istar, uno dei due di cui abbiamo perso traccia tanto tempo fa...", corrugò la fronte, colpita da un pensiero, "Il nome della città, Pallàndim... di sicuro deriva dal suo nome..."
Aryon sbatté le palpebre, sbalordito.
"Un tuo collega? Com'è possibile?"
"Non ne ho la minima idea..."
Nerwen era molto scossa: Pallando e Alatar, gli Stregoni Blu, la cui missione li aveva portati all'estremo est della Terra di Mezzo, erano scomparsi e non si erano mai più avute notizie di loro... e adesso, dopo così tanti secoli, lei ne ritrovava uno per puro caso.
"Devo assolutamente parlargli", dichiarò e fece per muoversi. Il principe la fermò posandole una mano sul braccio:
"Non penso sia consigliabile farlo adesso", disse pacatamente, "Le guardie armate ti fermerebbero e probabilmente finiresti arrestata per aver disturbato la sfilata. Meglio aspettare e trovare un altro modo."
Nerwen riconobbe la validità dell'osservazione di Aryon.
"Hai ragione", ammise, "Vedremo di farci ricevere a palazzo. Penso che, una volta che saprà chi sono, non dovrebbe essere difficile..."
Invece fu più difficile di quanto pensasse.
Il mattino dopo, Nerwen e Aryon, come sempre accompagnati dall'inseparabile Túdhin, si recarono a palazzo; naturalmente furono fermati dalle guardie all'ingresso, per cui Nerwen chiese di vedere il loro superiore.
"I postulanti si ricevono di martedì", ebbe per tutta risposta da uno dei due soldati.
"Non sono una postulante", ribatté la Istar, "Vengo da oltre le Montagne Rosse e sono certa che il tuo superiore, una volta che saprà il motivo della mia visita, mi farà entrare."
"Tornate martedì", ripeté il soldato, con indifferenza. Aryon si rabbuiò e Nerwen cominciò a sentire una punta d'irritazione.
"Ho detto che non siamo postulanti", insistette in tono secco, "Te lo chiedo un'altra volta: fammi parlare col tuo superiore."
Il militare la guardò dall'alto in basso; del resto, data la statura minuta dell'Aini, era facile. Accorgendosi della sua espressione sprezzante, Aryon fece un passo avanti, mettendosi direttamente dietro alla moglie e fissandolo freddamente; contemporaneamente, Túdhin si affiancò a Nerwen e ringhiò piano.
Il soldato fissò quello che pensava fosse un cane dall'aspetto simile a quello di un lupo e corrugò la fronte, vagamente preoccupato; poi sollevò gli occhi sull'Elfo nerovestito e, incontrandone lo sguardo glaciale, trasalì.
"L'hai sentita?", il principe gli domandò a bassa voce, "O te lo deve ripetere ancora?"
Il soldato si riprese e squadrò le spalle.
"Ho capito, ma non posso disturbare il sergente per ogni sconosciuto che si presenta alla porta del palazzo", dichiarò, "Andatevene o..."
"...o che cosa?", ringhiò Aryon, "Ci infilzi con la picca?"
Nerwen gli posò una mano sul braccio per placarlo.
"Non importa", intervenne, "Questo bravo soldato sta solo facendo il suo lavoro. Non possiamo biasimarlo per questo."
Sorpreso, Aryon abbassò lo sguardo su di lei, che stava sorridendo in modo apparentemente sereno; ma ormai la conosceva abbastanza per poter vedere oltre la facciata e capì che aveva in mente qualcosa.
"Va bene", disse quindi, arretrando d'un passo per permettere alla Istar di scostarsi, "Andiamo."
Si allontanarono rapidamente, ma una volta che ebbero aggirato l'angolo del palazzo, Nerwen si fermò,
"Qual è il tuo piano?", le domandò Aryon.
"Manderò un messaggio a Pallando coi miei mezzi", dichiarò, indicando in alto. Il principe sollevò gli occhi sulla snella torre d'angolo e vide che la cima ospitava una piccionaia, dalla quale andavano e venivano i rinomati volatili. Tornò a guardare la Istar con un sorrisetto sulle labbra.
"Più facile di così...", sogghignò. Nerwen ridacchiò a sua volta, poi estese i suoi pensieri verso la comunità di pennuti che viveva lassù.
Salve, amici, li salutò con dolcezza, per non spaventarli, Sono un'emissaria di Kementári e ho bisogno d'assistenza.
Percepì pensieri di sorpresa, mentre gli abitanti della piccionaia si agitavano, confusi.
Kementári? Sei la Figlia del Tramonto?, emerse infine una voce sulle altre.
Esatto. Uno di voi può aiutarmi?
Di cosa hai bisogno?
Devo far arrivare un messaggio al re.
Un piccione si affacciò sugli spalti, poi si lanciò in volo e scese elegantemente verso di loro. Scorgendo il lupo – l'istinto non gli permise di ingannarsi sulla sua vera natura – esitò, ma Nerwen gli mandò una sensazione rassicurante; estese un braccio e il volatile, dopo un momento, si posò su di esso con leggerezza.
Sono al tuo servizio, Figlia del Tramonto, dichiarò, piegando la testa di lato per meglio guardarla.
Grazie, piccolo amico, gli rispose lei, Seguici.
"Torniamo alla locanda", Nerwen esortò Aryon, "Troviamo carta e penna."
A La Rosa Vermiglia si fecero dare l'occorrente per scrivere; mentre il piccione aspettava, posato sul davanzale della finestra aperta, la Istar redasse il messaggio. Scelse di usare la lingua valarin, in modo che la sua provenienza fosse subito chiara al destinatario:
Saluti, Pallando il Blu, seguace di Oromë Aldaron. Io sono Nerwen Laiheri, seguace di Yavanna Kementári, qui giunta su suo incarico. Ho bisogno di parlarti al più presto. Mi trovo alla locanda chiamata La Rosa Vermiglia. Ti prego di mandare qualcuno.
Per ragioni di spazio non poté scrivere di più, ma l'uso della lingua di Valinor avrebbe convinto lo Stregone dell'identità della mittente.
Tagliò la striscia di carta e l'arrotolò fissandola con un filo che usò anche per assicurare il minuscolo plico alla zampa del volenteroso colombo, poi il volatile salutò rispettosamente e s'involò.
"Non ci resta che aspettare", considerò Nerwen.
La risposta giunse meno di due ore più tardi, sempre tramite il piccione. Il piccolissimo plico era redatto con una scrittura nitida ed elegante, in ovestron, e recitava:
Saluti, Nerwen Laiheri. Ammetto d'essere molto sorpreso. Ti attendo immediatamente a palazzo. All'ingresso hanno istruzione di farti passare senza indugi.
"Pallando ci attende subito", disse Nerwen, alzandosi impaziente. Aryon controllò la posizione del sole.
"È quasi ora di pranzo, spero che il re ci inviti al suo desco", commentò con un motto di spirito. La Istar rise:
"Come sei prosaico, amor mio!"
"No, è che oggi il cuoco sta preparando un succulento arrosto di cervo", ribatté lui, accennando al delizioso profumo che saliva dalla strada, proveniente dalla cucina.
"Vedrai che ci rifaremo", gli assicurò lei mentre uscivano, accompagnati anche stavolta da Túdhin.
Una volta giunti a palazzo, quando Nerwen diede il proprio nome alla guardia – non la stessa della prima volta – scoprirono d'essere attesi da un Uomo, alto e biondo come parevano essere la maggioranza degli abitanti dello Yòrvarem, che si inchinò loro compitamente.
"Sono Délamin, il Primo Lord Consigliere del re", si presentò, "Sire Pallando ti aspetta, Lady Nerwen", dichiarò, poi guardò incuriosito l'Elfo nerovestito che l'accompagnava, evidentemente in attesa che gli fosse presentato.
"Questo è Lord Aryon", disse concisamente l'Aini. L'altro annuì ad indicare d'aver capito, poi accennò a Túdhin:
"Il vostro cane è mansueto? Altrimenti dovrete lasciarlo qui, legato al sicuro..."
"Túdhin è ben educato e obbediente", dichiarò seccamente Aryon; nelle settimane trascorse dal loro incontro, si era molto affezionato al lupo, che lo contraccambiava, "Non lo lasceremo da nessuna parte."
"Come volete", replicò Délamin, piuttosto intimidito dallo sguardo lampeggiante dell'altro, "Seguitemi, prego..."
Attraversarono il cortile fino al corpo principale dell'edificio, dove entrarono attraverso un portone di legno di quercia scolpito e lucidato; salirono una rampa di scale marmoree fino al piano superiore, poi percorsero un lungo corridoio. Si fermarono davanti ad una porta a doppio battente decorata con il disegno di un grande arco, nel quale Aryon e Nerwen ravvisarono l'arma preferita di Oromë, il Vala di cui Pallando era seguace. Délamin bussò con discrezione, poi aprì una delle ante ed entrò, invitandoli con un cenno a seguirlo.
Il re, seduto dietro ad una monumentale scrivania di noce, nel vederli entrare depose il libro che stava studiando e li guardò.
"Lady Nerwen e Lord Aryon", li annunciò formalmente il segretario. Ad un cenno di Pallando, si inchinò e si ritirò, lasciandoli soli.
Lo Stregone Blu scrutò attentamente Nerwen, quasi ignorando Aryon; la Istar contraccambiò il suo sguardo franco con uno di altrettanto franco, mentre il principe, la mano mollemente posata sull'elsa della spada, si teneva pronto a tutto: la sua sposa poteva anche fidarsi del re, ma lui non lo conosceva e la sua naturale circospezione lo portava a stare all'erta, in caso ci fosse stato bisogno di difendere lei e se stesso. Al suo fianco, Túdhin non distolse lo sguardo dallo sconosciuto, studiandolo attentamente.
Costui ha un buon odore, come te, trasmise a Nerwen. Era il suo modo di dire che si fidava di qualcuno; la Istar gli mandò un pensiero equivalente ad un cenno affermativo per indicargli d'aver capito.
"Sento che dovrei conoscerti", esordì lo Stregone in ovestron, con tono perplesso, "ma non riesco a ricordare, mi spiace. Dove ci siamo già visti?"
Nerwen sbatté le palpebre, sorpresa. Era vero che a Valinor si erano incontrati poche volte, ma nonostante questo, le parve strano che Pallando non la ricordasse. Non poteva rammentargli i loro trascorsi nelle Terre Imperiture, non con Aryon presente. Così dovette cercare un modo più vago.
"Non ricordi...? Siamo entrambi seguaci di un Vala, tu di Aldaron, io di Kementári. Poi ci sono i nostri colleghi, Olórin, Aiwendil, Curunír, Alatar..."
Parlò anche lei in Lingua Corrente, ma elencò i nomi degli altri Stregoni in valarin: se Pallando aveva perduto la memoria, forse udirli in quella che era la sua lingua madre poteva accendere in lui una scintilla di riconoscimento.
Pallando però scosse il capo in segno negativo:
"Sì, sono seguace di Aldaron, ma non ricordo gli altri nomi che hai citato, né il tuo", guardò poi il silenzioso Elfo nerovestito accanto alla minuta donna Umana, "Né conosco il tuo accompagnatore."
"Perdonami, sono davvero villana... Questo è mio marito, Aryon Morvacor, principe degli Avari Kindi", lo presentò formalmente Nerwen; non poté fare a meno di emozionarsi nell'usare la parola marito, ancora così nuova.
L'altissimo Avar si portò una mano al petto e si inchinò come si usava presso il suo popolo per omaggiare chi era di rango superiore al proprio, una riverenza che lui era tenuto a riservare soltanto alla sorella in quanto sua regina; ma adesso si trovava in terra straniera e ritenne opportuno farsi vedere sufficientemente rispettoso, soprattutto trattandosi di un conoscente della moglie.
"E questo", proseguì Nerwen, "è il nostro fedele cane, Túdhin. Saluta il re, Túdhin", lo esortò, facendogli un segno con la mano fingendo che fosse parte del suo addestramento, mentre in realtà glielo stava chiedendo con la mente. Il lupo, con una sensazione di divertimento per quel sotterfugio che avevano usato molte volte in passato, si mise seduto e chinò le testa in un cenno che imitava molto bene un saluto umano. Il re sorrise compiaciuto.
"Benvenuti, allora, Lady Nerwen e Lord Aryon", disse in tono cortese, "E Túdhin, naturalmente. Mi spiace di non ricordarmi di te, Lady Nerwen", proseguì, "anche se sento che dovrei. Così come ho compreso le parole che mi hai scritto, sebbene la lingua mi sia sconosciuta. Vedi, soffro di amnesia: non ricordo nulla della mia vita prima che mi risvegliassi nella casa di una buon'anima che mi aveva trovato, nudo e privo di sensi, in mezzo alla neve di un inverno di molti secoli fa."
"Capisco", annuì Nerwen; ecco perché Pallando aveva abbandonato la propria missione e, in qualche modo, era diventato il re dello Yòrvarem: aveva perso la memoria, non sapeva più chi fosse, né che cos'era venuto a fare nella Terra di Mezzo, "Tuttavia rammenti il tuo nome", aggiunse, corrugando la fronte.
"Sì, e anche che il blu è, per qualche motivo, il mio colore", confermò lo Stregone, "ma nient'altro: non so da dove vengo, né qual la mia ascendenza, né quanti anni ho. So solo che, anche se sembro un Uomo, non invecchio, se non molto lentamente, e che conosco i segreti della natura, in particolare dei boschi e della loro vita, animale e vegetale. So come funzionano. E so moltissime altre cose: i nomi di tutte le stelle e la loro posizione in ogni notte dell'anno, i nomi dei minerali, dei metalli, il loro uso, come costruire un edificio di pietra, e moltissime altre cose... ma non il mio passato prima di svegliarmi da quello che, se non fosse stato per quel generoso contadino, poteva essere un sonno eterno", scosse nuovamente la testa canuta, ma stavolta per un altro motivo, "Sono davvero un anfitrione molto scarso... Prego, sedetevi."
Indicò loro uno dei due divanetti accanto alla scrivania. Aryon e Nerwen attesero secondo l'etichetta che si fosse accomodato prima lui, poi gli si sedettero di fronte, mentre Túdhin si sdraiava ai loro piedi, gli occhi gialli sempre puntati sullo Stregone, ma non per diffidenza quanto piuttosto per curiosità: era la prima volta che incontrava qualcuno che fosse luminoso allo stesso modo della sua amica a due gambe. In passato, quando Nerwen era stata ancor più luminosa, c'era stata la sola Melian, ma in questa incarnazione ancora nessuno.
"Posso chiederti come sei diventato il sovrano dello Yòrvarem?", domandò la Istar.
"Non ho motivo di nasconderlo", rispose Pallando, "Il contadino che mi ha salvato – si chiamava Kalar – si è accorto subito che non ero un uomo qualsiasi, tantomeno un mendicante o un criminale. Non sapevo dove andare, così sono rimasto da lui, dando una mano come potevo con la mia sapienza. Poi hanno cominciato a rivolgersi a me i suoi vicini, poi i vicini dei vicini, finché la mia fama non ha raggiunto la capitale, cioè questa città, che allora si chiamava Yòrvadim. La regina venne a sapere di me e volle conoscermi, così mi mandò a chiamare. Divenni il suo Primo Consigliere, e poi fui il consigliere di suo figlio, e della figlia di suo figlio. Dopo otto generazioni, la linea reale si estinse e la gente scelse me come loro re. Per marcare il passaggio, cambiarono il nome della città in Pallàndim. Ed in buona sostanza questo è tutto."
"Capisco", annuì Nerwen, "Il nome Sauron non ti dice nulla?", indagò, sperando di provocare una reazione: dopotutto, la missione di tutti gli Istari era stata di contrastare il potere crescente dell'Oscuro Signore, in un modo o nell'altro. Udendo quel nome nefasto, Aryon strinse le labbra, ma l'impulso a fare l'abituale segno di scongiuro tipico degli Avari non era più tanto forte, dopo tutto il tempo trascorso con Nerwen che era abituata a citarlo apertamente.
Pallando parve riflettere attentamente.
"Sì, a dire il vero quel nome non mi è nuovo", ammise, "ma non riesco a collocarlo. Chi è?"
"Vuoi dire che Sauron non è conosciuto, qui a est delle Montagne Rosse?", domandò Aryon, talmente meravigliato da uscire improvvisamente dal suo mutismo.
"No, a meno che non abbia degli altri nomi."
"Oh, ne ha molti", commentò Nerwen amaramente, "Oscuro Signore di Mordor, Mano Nera, l'Aborrito, l'Ingannatore, Negromante, Grande Occhio, il Nemico...", interruppe l'elencazione nel vedere l'espressione inorridita di Pallando, "Qualcuno di questi ti è famigliare?"
"Tutti... e allo stesso tempo, nessuno", mormorò lo Stregone, "Sento che dovrei temerlo, averlo in orrore come un abominio, tuttavia non ne comprendo il motivo. Dai titoli che hai citato, Lady Nerwen, deduco che si tratta di una persona di enorme potere e malvagità, dico bene?"
La Maia fece un cenno con la testa, confermando.
"Egli è l'erede di Melkor Morgoth", gli rivelò, "l'antico Oscuro Nemico del Mondo, la Fiamma di Udûn, sconfitto dai Valar alla fine della Guerra d'Ira. Dopo essersi tenuto nascosto per mille anni, si ripresentò agli Elfi sotto mentite spoglie e li ingannò, inducendoli a produrre Anelli di Potere per loro, per i Nani e per gli Uomini, e forgiandone uno per sé che li legasse tutti alla sua empia volontà. Riuscì a corrompere facilmente gli Uomini, ma non i Nani né tantomeno gli Elfi; non starò a raccontarti tutte le sue imprese scellerate: sappi soltanto che, al termine di una terribile battaglia che vide contrapposte le sue forze e quelle di Elfi e Uomini, è stato ritenuto vinto per molto tempo, ma poi il suo potere ha cominciato a destarsi; per questo è stato creato l'Ordine degli Istari, di cui facciamo parte sia tu che io. Abbiamo il compito di contrastare il potere crescente di Sauron; tu e il tuo compagno Alatar siete stati inviati nelle terre dell'est per creare alleanze di Uomini che fossero pronti a intervenire, qualora Sauron decidesse di attaccare gli abitanti della Terra di Mezzo; la mia missione, invece, è di trovare le Entesse, le femmine degli Onodrim", lo scrutò attentamente, "Ne hai mai sentito parlare?"
Pallando scosse la testa con aria desolata:
"No, mai. Né so chi sia Alatar, sebbene, come nel caso tuo e di Sauron, il nome mi suoni famigliare", sospirò, turbato, "Da molto tempo non pensavo più al mio passato perduto, rassegnato a non poterlo mai recuperare; ma ora arrivi tu, raccontandomi tutte queste cose, e la mia frustrazione torna a tormentarmi..."
Ci fu un discreto bussare alla porta. Pallando si ricompose ed invitò ad entrare; sulla soglia comparve un paggio, un giovinetto biondo dall'aria vivace.
"Il pranzo è pronto, sire", annunciò. Di fronte a quel prosaico richiamo alla vita quotidiana, il re parve riscuotersi; guardò Nerwen ed Aryon:
"Volete farmi compagnia?", chiese loro, "Potremo continuare la nostra conversazione a tavola."
"Molto volentieri", rispose la Istar per entrambi.
"Aggiungete due posti al mio desco", ordinò allora Pallando al paggio, "Il vostro cane cosa mangia?"
"Se avete degli avanzi di carne e delle ossa che possa rosicchiare, sarà un pasto più che adeguato, per lui", disse Aryon, "E una ciotola d'acqua, naturalmente."
Il re guardò il paggio, che annuì indicando d'aver inteso e si ritirò. Pallando si alzò; Aryon e Nerwen lo imitarono, poi lo seguirono fuori dalla stanza lungo un corridoio e fino ad una saletta dove, appresero, il sovrano soleva pranzare per conto proprio, o eventualmente in compagnia di pochi ospiti, solitamente stretti collaboratori.
Anche se i commensali erano soltanto tre, le stoviglie erano ricercate, con piatti di ceramica bianca smaltata decorata a motivi floreali blu, posate d'argento e calici d'oro. Il cibo era ottimo e abbondante, e così il vino che lo accompagnava. Quanto a Túdhin, gli vennero portate due ciotole, una con l'acqua, l'altra con delle ossa carnose. Il lupo si dispose a mangiare, come sempre leggermente disgustato dal fatto che la carne fosse cotta invece che cruda, come avrebbe preferito.
Mentre desinavano, Pallando interrogò ancora Nerwen riguardo alla sua missione.
"Kementári è convinta che, nei piani dei grandi del mondo, gli Onodrim siano stati ingiustamente dimenticati", gli rispose l'Aini, "e mi ha quindi incaricata di andare alla loro ricerca. Non posso svelare dove, ma ho incontrato un Ent ed egli mi ha raccontato della perdita subita dalla sua razza: molti secoli fa, le Entesse scomparvero e, nonostante tutte le loro disperate ricerche, non furono mai più ritrovate. Ho motivo di credere che si trovino qui, nelle terre oltre gli Orocarni, ma nelle mappe che ho finora consultato non sono riuscita a individuare l'area in cui penso possano essersi stabilite", concluse scuotendo il capo in un gesto che era per metà frustrazione, per metà stizza.
"Vorrei aiutarti", affermò Pallando in tono partecipe, "Farò chiamare i più rinomati esploratori e cartografi del regno e dirò loro di portare tutte le mappe che hanno. Dopotutto, anche se si vantano che la biblioteca di Pallàndim sia la più rifornita di tutto lo Yòrvarem, non è detto che lo sia davvero."
"Ti ringrazio, sire", disse allora Nerwen, piacevolmente colpita dalla disponibilità del suo collega che, per quanto immemore del proprio passato, sembrava aver preso a cuore la sua ricerca.
"Oggi stesso manderò i miei messaggeri ai quattro angoli del regno. Man mano che i convocati arriveranno, vi avviserò. Nel frattempo, sarei lieto di ospitarvi: mi piacerebbe parlare ancora con te, Lady Nerwen, nella speranza che, con gli stimoli adatti, mi possa tornare la memoria del mio passato."
Nerwen scambiò uno sguardo con Aryon e lo vide fare un piccolo cenno d'assenso: la loro riserva monetaria non era infinita e sarebbe stato un vantaggio poter venire ospitati senza dover pagare.
"E noi saremo lieti di accettare, sire", dichiarò allora la Istar con un sorriso, "Se potrò aiutarti a ritrovare la memoria, ne sarò molto felice."
Finirono di pranzare e presero congedo, con l'accordo di tornare il mattino seguente con le loro cose e i loro animali e prendere alloggio nelle stanze che Pallando avrebbe loro fatto preparare.
Mentre rientravano alla locanda, con Túdhin che li precedeva di pochi passi, Aryon si rivolse a Nerwen:
"Cos'era la lingua di cui ha accennato Pallando? Quella in cui gli hai scritto?"
La Istar lo guardò con un'espressione di scusa e lui comprese subito.
"Ah, capisco: è una di quelle cose di cui non puoi parlarmi..."
"Mi spiace, amore mio...", cominciò Nerwen, posandogli una mano sul braccio. Lui vi depose sopra la propria.
"No, non devi. Mi hai avvisato e io ho accettato. Mi terrò la mia curiosità, in attesa del giorno in cui potrai dirmi tutto."
Il cuore dell'Aini si gonfiò d'amore e commozione: la totale fiducia di Aryon in lei, così drammaticamente diversa dalla profonda diffidenza con cui l'aveva affrontata la prima volta che si erano incontrati, non cessava di emozionarla. Sperava solo che lui fosse disposto a pazientare per molto tempo ancora; certo, aveva dato la sua parola, ma a lungo andare la cosa poteva cominciare a pesargli. Si augurava di no.
Alla mattina, dopo aver saldato il conto della locanda, si recarono a palazzo. All'ingresso trovarono la guardia che, la prima volta che si erano presentati, era stata tanto indisponente; naturalmente ora il suo comportamento fu radicalmente diverso, ma a suo merito andò il fatto che non si dimostrò eccessivamente ossequioso nel tentativo di farsi perdonare il passato atteggiamento antipatico. Aryon comunque non poté impedirsi di lanciare un'occhiataccia al malcapitato, che trasalì e sfuggì il suo sguardo; accorgendosi dello scambio, Nerwen sorrise: il suo sposo era sempre molto protettivo verso di lei, anche se era ben consapevole che non era necessario perché lei sapeva cavarsela molto bene anche da sola. Era una condotta dettata dal suo amore, ovviamente; del resto, anche la Istar provava lo stesso senso protettivo nei suoi confronti.
Le loro cavalcature furono ricoverate nelle scuderie del palazzo, ben accudite da esperti palafrenieri, mentre Túdhin li accompagnò al loro alloggio.
Scoprirono che Pallando aveva fatto preparare un vero e proprio appartamento per loro, con un salotto, uno studio, una camera da letto e una stanza da bagno; nel salotto c'era anche un tavolo con due sedie dove avrebbero potuto consumare i loro pasti, qualora avessero preferito starsene per conto loro.
Quel giorno pranzarono da soli, mentre a cena vennero invitati a unirsi al re nella sala da pranzo comune, dove vennero presentati a un certo numero di maggiorenti di corte come la saggia Nerwen la Verde e suo marito il principe Aryon Morvacor dei Kindi. L'evidente considerazione in cui li teneva Pallando fu sufficiente per essere accolti con cortesia da tutti, e da alcuni addirittura con cordialità.
Come appresero, il re pranzava per conto proprio, o al massimo in compagnia di poche, selezionate persone – come aveva fatto il giorno precedente con loro – mentre cenava sempre con la corte. Il sovrano si accomodò al tavolo in fondo alla sala, più piccolo degli altri e posto su una pedana, affiancato dai dignitari di rango più elevato; Aryon e Nerwen furono invitati a sedersi ad uno degli altri tavoli, ma vicino a quello del re. Furono trattati con garbata curiosità dai commensali, così che la compagnia risultò piacevole come il cibo.
Dopo cena ci fu un piccolo intrattenimento, come accadeva – venne loro detto – quasi ogni sera. Si trattava di volta in volta di cose diverse: acrobati, giullari, danzatori, suonatori, attori, bardi, cantanti. Quella sera, un giullare intrattenne la corte con scherzi e facezie e qualche piccolo gioco di prestigio; Nerwen ed Aryon, in quanto stranieri, non poterono apprezzare particolarmente le burle e le battute del buffone, che spesso facevano riferimento a fatti e persone che non conoscevano, ma le risate e gli applausi degli altri spettatori erano sicuro indice della sua bravura. Alla fine l'arguto giullare raccolse l'ovazione del pubblico e si congedò con un inchino esagerato che gli fece cadere il cappello, raccogliendolo poi tra le risate dei presenti fingendo estremo imbarazzo.
A quel punto Pallando si alzò, segnalando così che la serata era terminata; tutti imitarono il sovrano e si inchinarono al suo passaggio, ricevendone cortesi cenni di congedo. Era evidente che il re era amato e rispettato e ciò fece molto piacere a Nerwen. A Valinor aveva conosciuto poco Pallando, ma lo aveva sempre stimato; ancor meno aveva conosciuto Alatar, ma non aveva motivo di pensare di lui in modo diverso.
Il mattino successivo, Nerwen pensò che fosse opportuno parlare a quattr'occhi con lo Stregone Blu per cercare di rammentargli Valinor e la sua missione. Domandò quindi udienza tramite Délamin ed il re le fece sapere che avrebbe potuto riceverla di lì ad un'ora.
Per occupare il tempo mentre lei era impegnata con Pallando, Aryon decise di allenarsi con la spada – cosa che faceva pressoché quotidianamente anche quando erano in viaggio – e chiese dove poteva farlo; gli venne indicato il cortile degli armigeri, dove si recò. Túdhin decise di fargli compagnia.
Frattanto, la Istar andò da Pallando, che la ricevette nel suo studio, come la prima volta. Si accomodarono sui divanetti e lui le indicò di servirsi da una caraffa colma di un liquido color paglierino, che Nerwen scoprì con delizia essere sidro dolce fresco di cantina.
"La mia bevanda preferita", gli rivelò, parlando intenzionalmente in valarin con aria del tutto casuale.
"Anche la mia", le rispose Pallando nella stessa lingua. Poi la guardò sgranando gli occhi e lei gli sorrise placidamente.
"Cogliendoti di sorpresa, ti ho fatto ricordare la tua lingua madre", osservò, sempre parlando in valarin. Lui annaspò alla ricerca delle parole, poi si arrese e rispose in Lingua Corrente:
"Mi spiace, ho capito quello che hai detto, ma non riesco a parlare... le parole mi vengono solo a sprazzi..."
"Certo, perché adesso la tua mente è di nuovo vigile e ti impedisce di attingere ai ricordi che hai rimosso. La tua amnesia probabilmente è dovuta tanto a un trauma fisico – mi hai detto che quel contadino ti ha trovato in fin di vita – quanto a un trauma psicologico. Ti deve essere successo qualcosa di terribile, di così terribile che, inconsciamente, non vuoi ricordarlo perché troppo doloroso..."
Lentamente, Pallando annuì.
"Sì, penso che tu abbia ragione", confermò, "infatti ogni volta che mi sforzo di pensarci, provo una sensazione orribile, che mi stringe la gola fino a mozzarmi il respiro...", scosse la testa canuta, "Eppure, vorrei ricordare. Chi sono, da dove vengo, perché sono qui, sono tutte domande a cui vorrei dare una risposta."
"In parte posso risponderti io", affermò Nerwen in tono dolce, colpita dalla sofferenza, che sfiorava la disperazione, che percepiva nelle parole dell'altro. Lei aveva continuato a parlare nella lingua degli Ainur, di cui anche lo Stregone Blu faceva parte, mentre lui si era espresso in ovestron, ma l'ultima frase era stata espressa in valarin, senza dubbio perché l'emozione che lo aveva pervaso aveva fatto nuovamente in modo che il suo cervello si ricollegasse a quel ricordo profondo.
Pallando trasse un lento sospiro, come per calmarsi, e si appoggiò allo schienale del divanetto; con un cenno, la invitò a parlare.
"Come ti dicevo ieri, siamo seguaci di uno dei Valar", cominciò Nerwen, "tu e il tuo amico Alatar di Oromë Aldaron, io di Yavanna Kementári. E così lo sono anche gli altri Istari che ti ho citato: Olórin, conosciuto nella Terra di Mezzo coi nomi di Mithrandir e di Gandalf, è seguace di Manwë Súlimo; Curunír o Saruman è seguace di Aulë; Aiwendil o Radagast, come me, è seguace di Kementári. Tutti noi siamo stati investiti dai nostri Maestri della missione di organizzare la resistenza contro la possibile ricomparsa di Sauron. Ciascuno di noi ha ricevuto istruzioni particolari: io ad esempio sono stata incaricata di trovare le Entesse, mentre tu e Alatar dovevate recarvi nelle terre dell'estremo oriente per convincere i suoi abitanti a prepararsi all'eventualità di combattere il Nemico. Tu sei arrivato alla meta, sebbene per la mancanza di memoria dubito che tu abbia potuto predisporre l'opposizione a Sauron; di Alatar non ho notizie."
Pallando si portò la mano alla fronte e la massaggiò.
"Alatar... il suo nome mi evoca emozioni contrastanti. Affetto, credo, da un lato; e qualcosa di simile al cordoglio dall'altro."
"Eravate grandi amici", gli rivelò lei, "questo spiega l'affetto; il cordoglio mi fa temere che gli sia accaduto qualcosa di molto brutto... forse è morto, o in qualche modo perduto per sempre", concluse a bassa voce, mestamente. Lo Stregone annuì:
"Potrebbe essere, infatti... e vorrei scoprirlo."
Guardò fuori della finestra aperta, verso il giardino che si stendeva sul retro del palazzo, circondato da un muro, e tacque a lungo. Nerwen lo lasciò ai suoi pensieri, ritenendo che dovesse riordinarli, facendo chiarezza anche nelle sue sensazioni.
"Sento che c'è di più", disse infine sottovoce, "qualcosa che non mi hai ancora detto... A quanto pare, io come te siamo parte di un gruppo chiamato Istari, sembriamo umani ma non invecchiamo come loro... siamo quindi qualcos'altro? Elfi, forse?"
Nerwen scosse la testa in segno negativo; c'era da aspettarselo, pensò: Pallando, per quanto privo di memoria, possedeva comunque un grande acume mentale.
"Quello che sto per dirti è un segreto", rispose, "Siamo sicuri che nessuno ci stia ascoltando?"
Pallando notò la sua espressione grave.
"Posso fare in modo di esserne assolutamente sicuri", affermò. Chiuse gli occhi e si concentrò, poi sollevò una mano, le dita allargate e curvate come se reggesse una palla; una sfera bianca si formò sul suo palmo, poi si allargò, inglobando dapprima lui e poi anche Nerwen. All'interno di quella bolla dalla trasparenza lattea, il silenzio era assoluto: non si sentiva il più piccolo suono, né il cinguettio degli uccelli fuori della finestra, o lo stormire degli alberi, o i rumori lontani della città. Se non fosse stato per il fatto che udiva il suono del proprio respiro, l'Aini avrebbe potuto pensare d'essere diventata improvvisamente sorda.
"Ora nessuno può sentirci", disse Pallando; la sua voce suonò ovattata. Evidentemente, aveva creato col suo potere una bolla acusticamente isolata, da cui e verso cui non giungevano suoni.
"Molto bene", approvò Nerwen, "No, non apparteniamo alla razza degli Uomini, e neppure a quella degli Elfi: noi siamo Maiar, sebbene per la nostra missione siamo stati diminuiti."
Lo Stregone rimase allibito; per un lungo momento, si limitò a fissare la sua interlocutrice, gli occhi – che aveva del blu profondo degli zaffiri – vuoti di ogni espressione.
"Ma gli Ainur", disse infine, lentamente, "siano essi di rango maggiore o minore, non possono esser feriti, né tantomeno uccisi...", il suo sguardo tornò improvvisamente a rimettersi a fuoco, "Hai detto che siamo stati diminuiti? Che significa?"
"Non siamo più Maiar completi, nel pieno possesso delle loro caratteristiche", gli spiegò, "Possiamo venir feriti, ammalarci, provare stanchezza fisica e morale, risentendo della qualità mortale della Terra di Mezzo, col suo carico di dolore e disperazione, paura e tristezza...", fece una pausa, meditando se dirgli del differente grado di diminuzione che era stato accordato soltanto a lei; decise di no: non conosceva Pallando tanto bene da poter essere sicura che tale consapevolezza non suscitasse in lui invidia o malevolenza. Non le sembrava il tipo, ma la prudenza la indusse a tener per sé quell'informazione, "Agli Istari è stata offuscata la memoria di Valinor, anche se si possono ricordare le cose principali, come il volto dei Valar o la nostra lingua madre; si invecchia, ma molto lentamente; e si può venir uccisi."
Odiava mentire o anche solo, come in questo caso, addomesticare la verità; ma non poteva rischiare di suscitare l'avversione dello Stregone Blu.
Come prima, Pallando si portò la mano alla fronte per massaggiarla, un gesto che gli era evidentemente caratteristico.
"Sono davvero notizie di grande impatto", mormorò, "e capisco perfettamente il bisogno di segretezza che le accompagna. In pochi minuti ho saputo più cose sul mio passato di quante ne abbia sapute in secoli... avrò bisogno di un po' di tempo per assorbirle."
"Ma certo", annuì Nerwen, comprensiva, "Vuoi che ti lasci solo?"
"Sì, grazie", accettò il re, "Mi ritirerò nella mia stanza a meditare su tutto quello che mi hai detto. Sicuramente avrò altre domande da farti, ma possono attendere."
"Mandami a chiamare quando vuoi, sire..."
"Solo Pallando", la interruppe con un sorriso, leggermente tirato ma sincero, "Siamo colleghi, dopotutto..."
Lei ridacchiò, sollevata: se riusciva a scherzare, era buon segno.
Con un gesto elegante della mano, lo Stregone disperse l'incantesimo di silenzio che li aveva avvolti; allora lei prese congedo, tornando nelle sue stanze.
Era mezzogiorno passato quando Aryon tornò dal suo allenamento, tallonato da Túdhin. Era accaldato e il sudore gli incollava i capelli sulla fronte e sulla nuca.
"Ho trovato un ottimo schermidore nel capitano della guardia reale", le raccontò, mentre si liberava della camicia e si rinfrescava con un panno inzuppato d'acqua fredda, "Ci siamo confrontati sulle rispettive tecniche", proseguì, entrando poi più nel dettaglio, "È stato divertente", concluse, asciugandosi. Si girò e vide che Nerwen lo stava osservando con un sorriso d'aperto apprezzamento.
"Sei sempre un gran bel vedere, marito mio", gli disse la Istar. Lui fece il suo caratteristico mezzo sorriso.
"Lieto della cosa, moglie mia...", rispose; fece per infilarsi una camicia pulita, ma si fermò a metà gesto, "O preferisci che non mi rivesta...?"
"Lo preferirei certamente, ma è meglio andare a pranzo: dopo due ore di allenamento intenso, devi essere affamato come un lupo!"
Túdhin le trasmise l'equivalente di uno sbuffo tra il divertito e l'infastidito:
Non capisco perché abbiamo questa fama di essere tanto voraci!
Nerwen rise ancor di più e allo sguardo interrogativo di Aryon gli riferì dell'osservazione di Túdhin.
"Non prendertela, amico mio", gli disse il principe, sogghignando, "è solo un modo di dire..."
Lo so, lo so... brontolò il predatore quando la Istar ebbe tradotto, ma il divertimento aveva già preso il sopravvento sul fastidio.
Aryon finì di rivestirsi e porse il braccio a Nerwen, che lo accettò di buon grado.
"Andiamo a mangiare", le disse, "Poi, se non hai impegni, potremmo trascorrere il pomeriggio insieme..."
Era chiaro a cosa si stava riferendo, ma lei volle comunque dire la sua:
"Se intendi in posizione orizzontale, va bene..."
Aryon sollevò un sopracciglio, scrutandola divertito:
"Orizzontale, verticale, diagonale... per me va bene in qualsiasi modo..."
Sotto il suo sguardo ardente, Nerwen sentì di colpo un caldo non imputabile alla stagione estiva.
"Sei il solito mascalzone", borbottò. Improvvisamente Aryon la spinse contro la parete, posando le mani ai suoi lati, imprigionandola, ed abbassò lo sguardo sulle sue labbra.
"È anche per questo che ti piaccio, no?", le mormorò, prima di chinare il capo e deporre la bocca sulla sua in un bacio dolce e sensuale assieme. Lei gli passò le braccia dietro la schiena, stringendolo e contraccambiando con fervore. Quando si staccarono, aveva le ginocchia molli, ma ciò nonostante gli mise una mano aperta sul petto e lo respinse.
"È meglio se andiamo a mangiare o non rispondo più delle mie azioni", lo minacciò, scherzando solo a metà. Le labbra di Aryon si curvarono in quel suo sorrisetto che lei trovava assolutamente irresistibile.
"Hai ragione; ma ti avviso che non ci dilungheremo molto, a mangiare..."
L'angolo dell'autrice:
La birra bionda allungata con limonata altro non è che la celebre bevanda bavarese denominata Radler, che trovo deliziosa e adattissima alla stagione calda.
Per quanto riguarda gli Stregoni Blu, esistono due versioni di essi, una primitiva e una più tarda; ai fini della mia storia, quella originaria era più adatta, per cui ho scelto di attenermi ad essa. Negli ultimissimi anni della sua vita, Tolkien cambiò radicalmente sia i loro nomi che le loro vicende.
La battuta di Aryon riguardo alla posizione orizzontale, verticale o diagonale mi è stata ispirata da una spiritosa osservazione di una lettrice.
Grazie a tutti i miei fedeli lettori! e ricordatevi, se mi lasciate due righe di commento mi fate felice!
Lady Angel
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