Capitolo XLIX: Di là dal portale
Capitolo XLIX: Di là dal portale
Buio totale. Silenzio completo.
Lentamente, Nerwen aprì gli occhi; ma non vide alcuna differenza che a tenerli chiusi. Non c'era la minima traccia di luce, né si udiva alcun rumore.
"Túdhin? Pallando?", chiamò, il primo nome anche con la mente; la sua voce suonò ovattata.
"Sono qui", udì la flebile risposta dello Stregone Blu; non comprese da quale direzione proveniva. Nello stesso momento, percepì i pensieri confusi del lupo.
"State bene?", domandò loro, e di nuovo parve che il buio inghiottisse la sua voce.
"Non esattamente", giunse debolmente la replica di Pallando, "Tu?"
Mi sento stordito, rispose Túdhin, emettendo allo stesso tempo un guaito, Tu come stai?
Nerwen si mosse con cautela. Sotto di sé percepiva pietra, fredda e dura e scabra.
"Niente di rotto", li informò entrambi, "ma mi sento debole."
"Anch'io... ma a parte questo, non credo d'aver niente."
"Meno male... Túdhin, puoi percepire il mio odore?"
Dopo un momento di pausa, il lupo rispose:
Sì, lo sento.
"Bene, riesci a capire da che parte mi trovo? Puoi avvicinarti a me?"
Ci fu un momento di pausa più lungo, poi Túdhin le inviò un pensiero affermativo. Dopo qualche istante, la Istar udì il lieve zampettare del lupo che si avvicinava, poi sentì il calore del suo corpo mentre si sdraiava al suo fianco. Allungò una mano e lo accarezzò, dando e ricevendo conforto.
"Dove credi che ci troviamo?", domandò, rivolta a Pallando.
"Non ne ho idea... ma comunque, che cos'è successo, in nome di Oromë?"
"Quello che stavi leggendo... era un incantesimo in Linguaggio Nero. Un incantesimo chiamato Portale Oscuro. Leggendolo ad alta voce, lo hai attivato e ci ha risucchiato, i Valar soltanto sanno dove."
"Oh no... mi dispiace, Nerwen..."
"Non potevi saperlo, Pallando", sospirò la Istar, "Se solo riuscissi a vedere... è buio pesto, qui. Ovunque si trovi, questo qui..."
"Speriamo che sia soltanto una condizione temporanea, come se fosse notte fonda, e che quindi prima o poi torni la luce del giorno", si augurò lo Stregone Blu.
Nerwen stava lentamente ritrovando le forze.
"Continua a parlare", lo esortò, "Cercherò di capire dove ti trovi e mi avvicinerò."
"Va bene", rispose Pallando, "Dovunque ci troviamo, dovunque questo maledetto Portale Oscuro ci abbia portato, non dubitare che riusciremo a trovare la via del ritorno. Io ho il mio popolo – il popolo che mi ha adottato – di cui prendermi cura, tu devi cercare le Entesse, e naturalmente devi ricongiungerti a tuo marito..."
Mentre lo Stregone Blu parlava, Nerwen si mosse in una direzione a caso, rimanendo a quattro zampe e tastando accuratamente il terreno davanti a sé. Si accorse subito di star allontanandosi, allora si girò e tornò indietro, sempre con Túdhin praticamente appiccicato addosso. Di nuovo capì di star allontanandosi, così girò ad angolo retto verso la propria sinistra e stavolta sentì la voce di Pallando farsi più forte.
"Mi sto avvicinando", lo avvertì.
"Bene! Allora dicevo che Derva è un'eccellente guerriera e che le affiderei la vita mille volte..."
Poco dopo la mano di Nerwen incontrò la gamba dello Stregone, che interruppe il suo monologo e cercò a tentoni il contatto con la collega. Le loro mani si incontrarono e si serrarono l'una sull'altra.
"Almeno siamo all'asciutto", commentò la Istar che, come sempre, cercava un lato positivo anche nella situazione più difficile, "Né fa troppo freddo."
"Se solo avessimo qualcosa con cui poter far luce...", si rammaricò Pallando.
"Ma non ce l'abbiamo", gli fece notare lei, "Temo che dovremo aspettare e vedere se hai ragione nel dire che potrebbe essere notte fonda e che quindi, prima o poi, sorgerà il sole. Però era mattina quando abbiamo oltrepassato il portale e mi sembra davvero strano che siamo stati svenuti, tutti e tre, per tante ore."
"Potremmo essere stati teleportati molto lontano da dove ci trovavamo", ipotizzò Pallando, "in un luogo dove è notte quando da noi è giorno."
"Può essere", concordò Nerwen, consapevole che una longitudine molto diversa comportava un simile effetto. Aman, trovandosi al di fuori delle Cerchie del Mondo, non era soggetta a tale differenza, per cui quando lei vi si recava mentalmente per conferire con Yavanna, vi giungeva sempre nell'orario in cui si trovava nel luogo da cui partiva.
"Quindi non ci resta che aspettare", concluse lo Stregone
Si sdraiarono dunque fianco a fianco sulla fredda pietra, con Túdhin nel mezzo che li scaldava un poco col proprio calore.
Nerwen pensò di contattare la sua Maestra per vedere se poteva aiutarli, ma poi rinunciò: non avevano idea di quali eventuali pericoli li circondavano, perciò era meglio rimanere vigili. Non vedevano nulla in quel buio assoluto, ma per fortuna c'era il lupo con loro, che con l'olfatto e l'udito poteva avvertirli per tempo se si fosse avvicinato qualcosa nell'oscurità.
Nella grotta, Aryon si era fatto portare tutte le torce e le lanterne per illuminare il più possibile la parete rocciosa; ora lui e Derva la stavano esaminando palmo a palmo.
"Non è possibile", ringhiò il principe Avar, "Non è possibile che non ci sia niente!"
La comandante della scorta era terribilmente in ansia per il suo re, ma lo nascondeva sotto un severo cipiglio.
"Se c'è qualcosa, lo troveremo, Lord Aryon", gli assicurò. Lui annuì, l'espressione cupa.
Proseguirono l'esame, controllando ogni centimetro quadrato dell'impenetrabile muro di pietra ma, per quanto cercassero accuratamente, non trovarono alcun segno di un passaggio. Mentre i minuti trascorrevano implacabili e si trasformavano in ore, il cuore di Aryon si faceva sempre più pesante, mentre la preoccupazione aumentava.
Studiarono la roccia da capo a fondo, e poi di nuovo a fondo a capo, senza scoprire la minima traccia di un passaggio, anche solo una piccola fessura, una crepa, niente.
Il principe sentì montare un'onda rossa dentro di sé; preso da un impulso incontrollabile, con un ruggito sguainò la spada e picchiò duramente l'elsa contro la pietra, facendone scaturire scintille. Una, due, tre volte. Poi lanciò un urlo che esprimeva in ugual misura angoscia, frustrazione e rabbia.
Temendo che si facesse male, Derva gli balzò addosso e gli immobilizzò il braccio che brandiva la spada, ma Aryon se la scrollò di dosso. Digrignando i denti, assalì di nuovo la roccia pertinace, anche se era consapevole che le sue azioni erano del tutto inutili; Derva tornò alla carica, stavolta assistita da due commilitoni, che immobilizzarono il principe e gli tolsero l'arma prima che si ferisse. Aryon si divincolò, urlando, poi cadde in ginocchio mentre le sue grida si trasformavano in singhiozzi privi di lacrime che gli squarciavano il petto come crudeli artigli d'acciaio.
"Nerwen...!", ansimò, "Oh Nerwen..."
Il tempo passò; impossibilitati a quantificarlo con l'osservazione degli astri, Nerwen e Pallando poterono solo immaginare che fossero alcune ore. Infine, lentamente, le tenebre si diradarono ed una luce grigiastra permise loro di cominciare a distinguere i contorni, prima di se stessi, poi l'uno dell'altra, ed infine di ciò che li circondava. Non era visibile un vero e proprio sole, solo un lucore diffuso in alto sopra le loro teste. Sulla destra c'era una parete rocciosa molto ruvida, scura al punto da apparire nera e di apparenza quasi vetrosa; mentre sugli altri lati sembrava estendersi un paesaggio rossastro piatto e polveroso, apparentemente vuoto di ogni segno di vita. Nerwen protese i suoi sensi speciali alla ricerca di qualche creatura animale o vegetale, sondando per alcuni chilometri tutt'attorno, e percepì la vita stentata di piante rachitiche, nonché le menti semplici di insetti come scarabei, ragni e scorpioni, di serpenti e lucertole. Non trovò nulla di più complesso.
"Nessuna traccia di vita intelligente", informò Pallando, "almeno non nelle vicinanze. Non so se sia un bene o un male..."
Quando fu abbastanza chiaro, Nerwen si alzò e andò ad ispezionare la parete rocciosa che incombeva dietro di loro, altissima e quasi perfettamente verticale. Tagliava il paesaggio da orizzonte a orizzonte, senza presentare segni di interruzione, simile ad un gigantesco gradino; a occhio e croce, poteva essere alto un migliaio di metri e mostrava una regolarità innaturale che lo rendeva ancora più somigliante allo scalino di un'incommensurabile soglia.
Non c'era alcun segno di un passaggio attraverso il quale potevano essere giunti lì, né una fessura, né tantomeno l'apertura di una grotta o di un cunicolo, neanche un foro.
Anche Pallando si tirò in piedi e scrutò tutt'intorno. La distesa polverosa era completamente vuota; gli unici segni di vita erano alberi rinsecchiti e cespugli spinosi.
Nerwen tornò da lui, riferendogli la completa assenza di aperture nella roccia.
"Allora da che parte andiamo?", domandò lo Stregone. Lei strinse le labbra:
"Non c'è niente che ne faccia scegliere una in particolare", disse in tono piatto, "almeno riguardo la vista o l'udito... Vecchio mio, cosa ti dice il tuo olfatto?"
Túdhin aveva già annusato tutt'attorno e rispose subito:
Niente che possa suggerire di privilegiare una direzione o un'altra.
"Non c'è neanche un vero sole con cui orientarsi", commentò Pallando, poi si voltò verso l'altissima parete di roccia nera che incombeva su di loro, "Questa direzione è l'unica da escludere... andiamo all'opposto?", domandò infine, guardando la Istar. Anche Nerwen sollevò gli occhi su quell'invalicabile muro.
"Sì, facciamo così", accettò, "ma non avremo bisogno del sole per orientarci: Túdhin, come tutti i kelvar e molti olvar, percepisce il campo magnetico del mondo. Quindi, a meno che questo luogo non si trovi oltre Eä, dovrebbe essere in grado di distinguere le direzioni. Amico mio, è così?", gli domandò.
Il lupo si mise in posizione di ascolto, ma non erano rumori quelli che stava cercando. Si mosse in tondo, lentamente, fino ad allinearsi col muso rivolto nella direzione esattamente opposta alla parete rocciosa.
Là c'è il levar del sole, annunciò, anche se noi non lo vediamo, anche qui il sole di alza e si corica.
Nerwen riferì la notizia a Pallando, che l'accolse limitandosi ad annuire.
"Forse noi non lo vediamo per un qualche fenomeno di rifrazione della luce, che la diffonde in modo anomalo", considerò mentre si avviavano.
"Può essere", assentì la Istar, "Tutto è anomalo, comunque, in questo luogo... sembra un deserto, ma non fa molto caldo. Anzi, al momento non mi sembra ci sia una gran differenza di temperatura tra il buio e la luce..."
Camminarono per un pezzo; impossibilitati, come durante le ore di buio, a misurare il tempo con l'avanzare del sole nel cielo, non avevano idea di quante ore potessero trascorrere.
"Dovremmo trovare dell'acqua", disse Pallando ad un certo punto, "e poi del cibo."
Túdhin annusò attentamente.
Niente acqua, riferì. Nerwen riportò il suo laconico commento allo Stregone, che assunse un'aria preoccupata.
"L'acqua è una priorità, più del cibo", puntualizzò. La Maia fece per dirgli che non era poi così impellente, dato che non potevano morire, prima di ricordarsi che lui era stato dotato di un corpo umano in tutto e per tutto, anche se soggetto a un invecchiamento molto più lento dei Secondogeniti di Ilúvatar; ciò significava che, a differenza di lei, Pallando poteva morire d'inedia o, molto prima, di sete.
"Comunque non abbiamo nulla con cui conservarla, né borracce, né bottiglie o altri recipienti", disse invece, con una smorfia.
"Già...", mormorò lo Stregone, con aria fosca, "Beh, affrontiamo un problema alla volta. Appena Túdhin avverte sentore d'acqua, ci dirigeremo lì e berremo, e poi penseremo a cosa fare dopo."
Nerwen si limitò ad annuire.
Tempo dopo, il lupo si fermò e sollevò il muso, annusando attentamente.
Acqua, annunciò, voltandosi alla loro destra, non molto lontano.
Si diressero dove indicava; ben presto videro un gruppo d'alberi dall'aria molto più sana di quelli finora incontrati, in tutto e per tutto simili a palme, cosa che fece sperare Nerwen in una riserva di cibo come i datteri.
Le sue speranze furono esaudite: non soltanto c'era acqua – una pozza abbastanza grande – ma le palme erano cariche di datteri maturi.
"Come facciamo a prenderli?", domandò.
"Nel lontano Ovest mi chiamano Nerwen Laiheri", gli ricordò la Istar, "Questo significa che non ci sono segreti che io non conosca, delle piante, compreso il modo di raccoglierne i frutti..."
Si sfibbiò la cintura, prese il pugnale noldorin dal fodero e lo infilò in tasca, poi fece passare la cinghia dietro il tronco della palma più bassa e ne arrotolò le estremità attorno alle mani; usandola come leva, si arrampicò agilmente, puntellandosi coi piedi, fino a raggiungere la chioma dell'albero. Qui si mise a cavalcioni di una fronda e si sporse verso il grappolo di datteri più vicino, che recise col pugnale; i datteri caddero sul suolo sabbioso. Poi Nerwen si mosse verso gli altri grappoli e recise anche quelli. Infine tornò a terra.
"Sei molto agile", osservò Pallando, ammirato. Lei rammentò di non avergli rivelato il differente grado di diminuzione che aveva subito rispetto agli altri Istari; preferì continuare a tacergli la cosa: anche se oramai si fidava di lui e anzi lo considerava un amico, non voleva dargli motivo di sentirsi in qualche modo discriminato. Nella situazione in cui si trovavano, che non sapevano quanto sarebbe durata, dovevano essere solidali senza riserve.
"Una fortuna, date le circostanze", rispose con apparente leggerezza.
I datteri erano lisci e croccanti, meno dolci di quelli seccati al sole perché freschi, ma per questo più ricchi di vitamine e sali minerali preziosi. Intrecciando le fibre delle foglie di palma, avrebbero potuto costruirsi delle sacche in cui riporre i frutti essiccati all'aria e quindi avere una riserva di cibo; rimaneva il problema del trasporto dell'acqua, ma per ora potevano rimandare.
Decisero di fermarsi lì per qualche tempo. Raccolsero legna secca per accendere un fuoco, in modo che durante la notte avessero luce; la temperatura non pareva essere un problema, non avendo riscontrato finora molta differenza tra il giorno e la notte.
Túdhin non era molto propenso a mangiare i datteri, per cui tentò la sorte andando a caccia; trovò una colonia di rane, ma riuscì ad acchiapparne solo tre, che non soddisfecero molto la sua fame, per cui alla fine si rassegnò a mangiare anche lui i frutti.
Mentre la luce del giorno lentamente declinava, Nerwen si diede da fare ad accendere il fuoco; sfregò tra loro due pezzi di legno per generare calore finché non scaturì una scintilla, che catturò col suo potere per potenziarla ed accendere l'esca. Poco dopo un piccolo falò ardeva al riparo della buca scavata nel terreno sabbioso.
"Questo posto mi rende molto perplessa", disse poi a Pallando, sedendo con lui vicino alle fiamme, "Le palme dattilifere sono tipiche di un clima desertico caldo, ma la temperatura non è così elevata, né è così arido, data la vegetazione che, per quanto rinsecchita, è comunque più di quanto si trovi in un deserto. Né si tratta di steppa. Inoltre, se fossimo alla latitudine in cui normalmente si trovano i deserti caldi, il crepuscolo sarebbe molto breve", scosse la testa, perplessa, "È un vero enigma."
"Tutto, qui, pare un enigma", considerò lo Stregone, "Ho visto tracce di animali che giurerei fossero caprioli, altre di gazzelle."
Nerwen annuì per confermare: le aveva viste anche lei.
"E meno male che non abbiamo visto impronte di leoni o di tigri", osservò cupamente, "anche se non significa che non ci siano."
"Dovremo far turni di guardia..."
"Non è necessario, Túdhin è la miglior sentinella che potremmo desiderare."
"Ma dovrà dormire anche lui, no?"
"Certo, ma i suoi sensi sono molto più acuti dei nostri e basterebbe un niente per svegliarlo e fargli dare l'allarme..."
Per non dormire sul nudo terreno, Nerwen aveva tagliato alcune grandi foglie di una giovane palma. Mentre le tenebre si chiudevano lentamente attorno a loro, Pallando le dispose per terra a mo' di giacigli; poi ne usarono altre per coprirsi. Sistemarono il fuoco affinché ardesse con fiamme molto basse il più a lungo possibile ed infine si prepararono a dormire, stanchi della lunga giornata. Túdhin si accucciò appena fuori del cerchio di luce del piccolo falò, in modo da non essere visibile ad un eventuale osservatore.
Stavolta, pur essendo il buio altrettanto impenetrabile della prima notte, senza né stelle né luna, almeno il silenzio era interrotto dal gracidio delle rane che popolavano i dintorni della pozza d'acqua.
Non fidandosi ancora della sicurezza dell'ambiente al punto da assentarsi dal proprio corpo per contattare Yavanna, Nerwen decise di recarsi in Olorendor per cercare di incontrare Aryon e rassicurarlo sul fatto di essere quantomeno viva. Sperò che anche a lui fosse balenata quella stessa idea: nel tempo trascorso insieme, gli aveva insegnato come accedere alla Terra del Sogno, in previsione di un possibile, per quanto improbabile, periodo di separazione; probabilmente era stata la sua Seconda Vista che, in modo più sottile del solito, le aveva suggerito quella necessità.
"Non puoi rimanere qui per sempre", disse Derva ad Aryon.
Erano trascorsi tre mesi ed il principe rifiutava di muoversi dal luogo in cui erano spariti Nerwen e Pallando. In quel torno di tempo, un messaggero era stato mandato a Pallàndim per portare la ferale notizia della scomparsa del re e della saggia sua amica, notizia che aveva gettato la popolazione nello sconforto. Fortunatamente, Pallando era stato previdente e il regno non andò nel caos a causa della sua sparizione, tuttavia i suoi sudditi si erano rifiutati di eleggere un nuovo re e avevano preferito un reggente, che avrebbe esercitato le funzioni di sovrano fino al ritorno di quello legittimo, oppure finché non avessero avuto notizia della sua morte. Aryon aveva pensato vagamente che era una situazione simile a quella che si era creata a Gondor dopo la morte dell'ultimo erede diretto di Isildur, dove, non avendo trovato chi potesse davvero rivendicare il trono, avevano optato per un Sovrintendente facente funzioni di sovrano fino al ritorno profetizzato di un vero discendente della linea di Eléndil, padre di Isildur; ma in realtà della cosa gl'importava ben poco, completamente sconvolto dalla perdita di Nerwen, per la quale non riusciva a darsi pace. Si era categoricamente rifiutato di muoversi e si era accampato davanti alla grotta, che ogni giorno andava a ispezionare con ossessiva attenzione, ma senza risultato.
"Sì che posso", ribatté alla comandante della guardia reale, "Non mi muoverò da qui finché mia moglie non tornerà. Perché so che tornerà. Solo la morte le impedirebbe di tornare da me, ma se fosse morta lo saprei."
Non era la prima volta che glielo diceva: le aveva spiegato che per gli Elfi era così, perché il matrimonio creava un legame spirituale tra i coniugi che permetteva loro di percepire l'altro a livello sottile e quindi, se uno dei due moriva, il sopravvissuto l'avrebbe sentito; non aveva importanza se l'altro coniuge non era di stirpe elfica. Lui sentiva che Nerwen era ancora viva e l'avrebbe aspettata; anche cent'anni... anche mille.
Quando quella sera andò a dormire, si recò in Olorendor, come aveva fatto ogni notte dal giorno della scomparsa di Nerwen e Pallando. Non era mai riuscito a trovare la moglie, ma non demordeva; e quella notte, finalmente, la vide.
Gli parve bellissima, più del solito; il cuore gli balzò in gola mentre si metteva a correrle incontro.
Lei fece altrettanto; si gettarono l'una tra le braccia dell'altro e Aryon la sollevò da terra, stringendola convulsamente. Quando la rimise giù, le coprì il volto di baci.
"Oh amore... mio fiore... quanto mi sei mancata... dove sei stata tutto questo tempo...?", balbettò tra un bacio e l'altro.
Stupefatta da quella che le pareva una reazione eccessiva, Nerwen si staccò leggermente per guardarlo in viso.
"Ma è trascorso solo poco più di un giorno...", obiettò, perplessa. Fu la volta di Aryon di essere stupefatto.
"No, sono trascorsi tre mesi!", esclamò. Nerwen aggrottò la fronte:
"Allora il tempo passa in maniera diversa, nel luogo dove mi trovo..."
"E dov'è, questo luogo? Vengo a prenderti!", Aryon quasi gridò, tant'era fuori di sé. Nerwen gli posò una mano sulla guancia per calmarlo:
"Non so dove mi trovo... è una regione molto strana: sembra un deserto caldo, ma le temperature non sono così torride, e non si vede il sole, né la luna o le stelle, solo luce e oscurità diffuse, cosa che non mi permette di determinare il luogo."
"Ma stai bene??"
"Sì, sto bene, e anche Túdhin e Pallando... Tu, piuttosto?"
"No, non sto bene, non senza di te... sono quasi morto di preoccupazione! Santi Valar, cosa posso fare??"
Lei scosse la testa:
"Nulla, per il momento, amor mio... salvo aspettare. Troverò il modo di tornare, te lo giuro!"
Aryon annuì:
"Lo so... lo so, vita mia, mio tesoro...", l'abbracciò disperatamente, "Non so vivere, senza di te..."
"Devi", lo esortò lei, deglutendo il groppo che si era formato nella sua gola, "Aspettami: sai che tornerò. Poiché il tempo scorre diversamente dove mi trovo, per me potrebbero volerci giorni, per te anni... ma tieni duro."
Aryon cercò di ritrovare la calma; perdere la testa non sarebbe servito a nulla, né a lui, né a Nerwen, e neanche a risolvere la situazione.
"Lo farò", le promise, "Verrai a trovarmi ancora?"
"Ogni notte, per me... ma per te potrebbero trascorrere mesi, a quanto pare..."
"Non fa niente... purché tu venga da me il più spesso possibile..."
Nerwen chiuse gli occhi che si erano riempiti di lacrime: non riusciva a immaginare neanche tre giorni senza Aryon, e per lui erano stati tre mesi...
Così come si poteva fare in Olorendor, con uno sforzo di volontà la Istar mutò l'informe circondario, rendendolo come il luogo che aveva visto la loro prima unione; sdraiati su quella stessa stuoia, fecero l'amore più volte, smarrendosi l'uno nell'altra.
Il mattino dopo, Nerwen raccontò a Pallando cos'aveva scoperto riguardo al diverso modo di scorrere del tempo tra il luogo in cui si trovavano e la Terra di Mezzo. La notizia turbò lo Stregone Blu, che si arrovellò per trovare una spiegazione; ma né lui né la Maia riuscirono a raggiungere una conclusione soddisfacente, così lasciarono perdere, giudicandolo improduttivo.
Prima di proseguire, e prima di decidere in quale direzione farlo, Nerwen voleva risolvere il problema dell'acqua; non era tanto per sé, visto che non poteva morire di sete, ma per Pallando e per Túdhin.
Dalla parte opposta dell'oasi trovarono anche delle piante di pere del deserto, di cui sono commestibili non soltanto i frutti, ma anche le pale, beninteso una volta rimosse le spine.
Avevano visto tracce di animali di cui potevano cibarsi, ma senza armi adatte non avrebbero potuto cacciarli; l'ideale sarebbe stato poter costruire un arco, però servivano legni adatti, come nocciolo, tasso, sambuco, olmo, frassino, e lì non ce n'erano; per non parlare della corda, delle frecce, dell'impennaggio di quest'ultime. Molto più semplice era costruire una lancia rudimentale, ma le palme non erano alberi con rami che potessero servire allo scopo.
"Mi sa che dovremo rassegnarci a una dieta di soli datteri e pere del deserto, almeno per il momento", commentò Pallando con una smorfia: erano frutti deliziosamente dolci, ma a lungo andare sarebbero loro venuti sicuramente a noia.
Quella sera, prima di recarsi in Olorendor, Nerwen decise di tentare di mettersi in contatto con Yavanna.
"Vorrei mettermi in comunicazione con Kementári", annunciò quindi a Pallando prima che si coricassero per la notte, "Sarò in uno stato di assenza dal mio corpo che lo renderà vulnerabile, ma ormai penso che l'area sia abbastanza sicura perché io possa rischiare; inoltre ho te e Túdhin a vegliare su di me."
"Ma certo", le assicurò lo Stregone Blu.
Nerwen dunque si sdraiò sulla sua stuoia e chiuse gli occhi, concentrandosi come faceva di solito; ma per quanto si sforzasse, non riuscì ad allontanare il suo spirito dal corpo per raggiungere Valinor.
Dopo svariati tentativi infruttuosi, rinunciò e tornò ad aprire gli occhi.
"Non ci riesco", confidò sconfortata a Pallando, che la guardava ansiosamente, "Non ne capisco il motivo..."
Non si sarebbe arresa, naturalmente: avrebbe riprovato e riprovato fino a riuscirci, o perlomeno fino a scoprire la ragione per cui non le era possibile.
Trascorsero alcuni giorni; ogni sera, Nerwen provò a contattare Yavanna, senza riuscirci, mentre la notte si recava in Olorendor e trovava Aryon ad attenderla, scoprendo che il tempo trascorreva in modo irregolare: una volta erano settimane, un'altra mesi.
Frattanto Túdhin, impossibilitato ad adattarsi a un regime alimentare vegetariano, andò ostinatamente a caccia; inizialmente non ebbe fortuna, ma il terzo giorno dal loro arrivo all'oasi, trovò una piccola antilope e riuscì ad abbatterla; poi, contro il suo stesso istinto, invece di divorarla provò faticosamente a trascinarla per portarla a Nerwen, ma dopo un centinaio di metri rinunciò. Si guardò sospettosamente intorno e, non vedendo nessuno, decise di correre il rischio di abbandonare la carcassa per correre ad avvisare la sua amica a due gambe.
Nerwen lo vide arrivare di gran carriera e temette qualche motivo d'allarme; gli lanciò un pensiero, ma il lupo la rassicurò subito.
Vieni a vedere, la invitò, ho trovato del cibo.
L'Aini avvisò Pallando che, preferendo non lasciarla girare da sola, si unì a lei nel seguire Túdhin; trovarono l'antilope ad un paio di chilometri di distanza.
Nerwen notò che Túdhin non l'aveva toccata e comprese che il suo amico l'aveva lasciata intatta per lei e Pallando. Con gratitudine, lo abbracciò, e per tutta risposta Túdhin le leccò affettuosamente la faccia.
Lo Stregone osservò bene il predatore:
"Non è un cane, vero?"
Nerwen si raddrizzò e guardò il collega.
"No, in realtà è un lupo", ammise, "Lo faccio passare per un cane altrimenti la gente ne avrebbe paura."
Pallando assentì:
"Capisco... comunque ti è fedele come un cane, e si dimostra altrettanto mansueto."
"Solo finché non sono in pericolo", sorrise la Istar, ricordando Iruegh.
L'antilope era abbastanza piccola perché Nerwen se la potesse caricare in spalla e la portasse fino al loro accampamento. Qui la scuoiarono e la curarono, poi ne ridussero gran parte della carne in strisce, escluso un pezzo che diedero a Túdhin affinché potesse finalmente sfamarsi nel modo che gli era più congeniale. Trovarono delle pietre abbastanza grandi, che disposero attorno al fuoco – adeguatamente ingrandito – e vi deposero le strisce di carne per farle essiccare. Nerwen vigilò affinché nessun insetto si avvicinasse fino a quando la carne non fu sufficientemente secca perché non riuscissero più a deporvi le uova. Occorsero alcune ore; era ormai notte quando la carne fu infine pronta. Ne mangiarono a sazietà, poi avvolsero quanto rimaneva in foglie di palma, stipandola negli zaini.
Ormai erano pronti per riprendere il cammino, ovunque questo li avrebbe portati; decisero così di partire l'indomani.
"Sono ormai cinque anni", disse Derva ad Aryon.
"Lo so", rispose lui, cupo.
Si guardò attorno; nel corso del tempo, attorno alla sua tenda s'era costituito dapprima un accampamento fisso, poi un piccolo villaggio. Del coboldo non c'era traccia e la sensazione di minaccia incombente che avevano sentito provenire dal passaggio era svanita con la sparizione di Nerwen e Pallando, come se l'incantesimo che li aveva rapiti, dopo essere stato usato, si fosse disattivato. Così, lentamente la zona si stava ripopolando; erano arrivati contadini e mandriani, e anche alcuni commercianti.
Derva aveva lasciato il suo incarico presso la guardia reale e si era stabilita lì, in attesa di conoscere la sorte del suo re.
"Continui a pensare che tornerà?", gli domandò, riferendosi a Nerwen.
"Assolutamente sì, sempre", le rispose il principe. Nel suo tono c'era una feroce determinazione che il tempo non sarebbe mai riuscito a scalfire, anche perché confortata dagli incontri con la moglie in Olorendor.
Il giorno seguente, Nerwen e Pallando lasciarono l'oasi, tornando ad avanzare nella direzione originale verso cui stavano andando prima di deviare verso l'acqua. Nelle sacche di fibre intrecciate portavano la carne essiccata, i datteri e le pere del deserto, nonché le pale della stessa pianta, ma soprattutto quattro grandi zucche a bottiglia svuotate della loro polpa, opportunamente essiccate e riempite d'acqua. Il loro bagaglio era piuttosto pesante e per Nerwen era inutile, data la sua natura immortale, ma per Pallando era indispensabile. Quel che lo Stregone non sapeva, era che la collega aveva pianificato di mangiare e bere pochissimo per conservare per lui e per Túdhin quanto più cibo ed acqua possibile.
Alcune ore dopo si fermarono per rifocillarsi; si sedettero per terra e tirarono fuori i datteri e le pere del deserto, che volevano consumare prima della carne perché più deteriorabili.
"Se non incontriamo un'altra oasi quando saremo giunti a metà delle nostre vettovaglie, dovremo tornare indietro per rifornirci", osservò Pallando in tono pessimista, "e poi scegliere un'altra direzione."
"Già...", cominciò Nerwen, per poi interrompersi di botto: da dietro lo Stregone era spuntata strisciando una vipera cornuta, uno dei serpenti più velenosi esistenti, "Non muoverti, Pallando", raccomandò, mentre contemporaneamente cercava la mente del rettile. Troppo tardi: la vipera scattò ed affondò i denti affilati nella coscia dello Stregone, che lanciò un grido tra sorpresa e dolore. Túdhin fece un balzo indietro e guaì, spaventato.
"Lascialo!", gridò Nerwen alla vipera, con la voce e con la mente, scattando in piedi. Stordita dal grido che le aveva attraversato il cervello, la serpe si tirò indietro e si allontanò alla massima velocità. Nerwen si precipitò accanto a Pallando, che aveva lasciato cadere a terra la foglia di palma con i datteri e si stava comprimendo la gamba sopra al morso per rallentare la propagazione del veleno verso il cuore.
"Fammi vedere", ordinò la Maia, sollevando la sua veste; sotto, lo Stregone portava pantaloni di tela. All'altezza del morso si vedeva una macchia di sangue, che si stava rapidamente allargando: una delle tossine del veleno era infatti un anticoagulante. Col pugnale, Nerwen praticò un taglio nella stoffa per scoprire il punto, poi applicò una mano sulla ferita e vi concentrò il suo potere taumaturgico; individuò il veleno e lo neutralizzò, cambiandone la struttura chimica per renderlo innocuo. Dovette usare molta forza, perché il veleno era potente; Pallando sentì un terribile bruciore che gli strappò un'esclamazione di dolore. Quando Nerwen ritrasse la mano, la ferita era scomparsa; pulendo via il sangue, si notavano due puntini pallidi laddove erano affondati i denti della vipera.
"Cosa...?", fece Pallando, stordito.
"Ho il dono della taumaturgia", gli rivelò concisamente l'Aini, "Non c'è più pericolo, ora."
"Meno male", mormorò lo Stregone, "Se non era per te, sarei morto."
"Anche se spesso il morso della vipera cornuta non è letale, fa comunque star malissimo e, nelle condizioni precarie in cui siamo, facilmente saresti morto, sì", confermò Nerwen piano. Pallando le strinse un braccio.
"Ti sono molto grato", le disse, "Grazie."
"Non dirlo neanche", gli sorrise lei, "Potendo, faresti altrettanto per me."
Lui annuì; Nerwen raccolse i datteri caduti e li rimise nella foglia: erano sporchi di sabbia e polvere, ma non avrebbe sprecato dell'acqua per lavarli. Prese un'altra foglia e l'aprì, porgendone il contenuto allo Stregone.
"Tieni, mangia", lo esortò, "Devi rimetterti subito in forze per poter proseguire."
L'altro obbedì. Dopo, riposarono per un po'; quando provò ad alzarsi, Pallando zoppicava leggermente, ma poteva camminare, così proseguirono, anche se più lentamente di prima.
Le ore trascorsero; calò la sera. Si fermarono prima che facesse troppo buio per raccogliere della legna ed accendere un fuoco; fortunatamente gli arbusti e le piante rinsecchite offrivano abbondanza di combustibile.
Continuarono a camminare per quattro giorni, consumando meno cibo e acqua possibile; se Pallando notò che Nerwen quasi non toccava l'uno e l'altra, non lo diede a vedere.
Il quinto giorno dacché avevano lasciato l'oasi, il paesaggio cominciò a cambiare sensibilmente, diventando più roccioso; ormai avevano consumato metà dell'acqua e al massimo il giorno seguente avrebbero dovuto pensare a tornare indietro, ma ancora una volta furono soccorsi dal sensibile olfatto di Tudhin, che li portò ad un'altra fonte d'acqua, alcuni chilometri a nordovest; qui trovarono un'erta collina di roccia rossastra, quasi come un gigantesco masso conficcato nel terreno, da un fianco della quale scaturiva una fonte d'acqua limpidissima e fresca che formava una pozza di dimensioni ragguardevoli, circondata da una ricca vegetazione. Trovarono bacche di colore nero, dolci e succose, nonché fichi e olive, ed un albero il cui frutto, ricco di carboidrati e amidi, una volta cotto aveva un gusto simile al pane.
Ancora una volta, decisero di fermarsi alcuni giorni, sia per riposare che per rifornirsi.
Il mattino seguente il loro arrivo, mentre stava raccogliendo bacche, lo sguardo di Nerwen venne attratto da un movimento in cielo; era troppo lontano perfino per la sua vista acuta perché distinguesse di quale specie di volatile si trattasse, ma non esitò a mandare una chiamata: una visione dall'alto dei dintorni poteva essere loro utile per decidere in quale direzione proseguire, se nella stessa mantenuta finora oppure cambiare.
Il pennuto si mostrò molto esitante e tentennò a lungo prima di decidere di avvicinarsi, rivelandosi un'otarda maschio dalle lunghe zampe. Diffidente, rimase in volo mentre interrogava colei che lo aveva chiamato:
Chi sei? E perché riesco a capirti?
Sono la Figlia del Tramonto, si presentò Nerwen, anche se non pensava che, in quello stranissimo luogo in cui lei, Túdhin e Pallando erano finiti, quel titolo avesse un significato; infatti l'otarda non diede segno di riconoscere quel nome.
Come è possibile che tu parli con me?, insistette.
È un mio dono, spiegò concisamente la Istar, Non intendo farti alcun male, solo chiederti aiuto, se puoi darmelo, gli assicurò poi.
Che cosa vuoi?, indagò l'otarda.
Sapere dove posso trovare altri esseri come me.
L'uccello parve riflettere per un po'.
Ogni tanto ne vedo, rivelò infine, ma non molto vicino a qui.
In quale direzione?, domandò Nerwen, speranzosa. In risposta ebbe una sensazione di pressione dietro di sé. Considerando che era rivolta verso ovest, significava est. Per esserne sicura, indicò col braccio:
Di là?
Esattamente,confermò l'otarda.
A che distanza?, volle sapere l'Aini.
Per me, sarebbe dalla prima luce all'ultima per due volte, fu la risposta. Dopo un istante di perplessità, Nerwen dedusse che voleva dire due giorni. Tenuto conto della velocità media di un'otarda, per loro appiedati sarebbe occorso il doppio del tempo.
Grazie, amico alato, gli disse, Sei stato di grande aiuto.
Non c'è di che, ribatté il volatile; dopo un ultimo giro sopra la testa di Nerwen, si allontanò nella direzione verso cui stava andando prima di venir chiamato.
La Maia tornò da Pallando, che stava arrostendo i frutti dal sapore simile al pane che avevano raccolto il giorno prima; posò le bacche e gli riferì quel che aveva appreso dall'otarda.
"Speriamo che non si rivelino ostili", osservò lo Stregone, con prudenza, "Prima di rivelarci, faremo bene a studiarli."
"Senza dubbio", concordò Nerwen, "Meglio esser cauti, sempre."
Túdhin arrivò in quel momento con una grossa lucertola tra le zanne; da quando aveva abbattuto l'antilope, ogni volta che aveva successo a caccia portava sempre qualcosa a Nerwen e Pallando. Quel giorno quindi pranzarono con il rettile arrosto, la cui carne pallida era tenera e sapeva di pollo.
"Dodici anni, Aryon... Davvero sei ancora convinto che torneranno?", domandò Derva. Erano seduti mentre pranzavano nella casa del principe, una capanna di legno divisa in tre ambienti: la cucina, che fungeva anche da soggiorno, la camera da letto e il bagno.
Ogni volta che Aryon incontrava Nerwen in Olorendor, riferiva all'ex comandante delle guardie reali che lei e Pallando stavano bene; le aveva anche spiegato la differenza temporale tra la Terra di Mezzo e il luogo dove si trovavano.
"Non ho alcun dubbio su questo", affermò il principe, posando il cucchiaio col quale stava mangiando la zuppa di farro e fagioli, "Presto dovrebbero incontrare qualcuno che potrebbe dir loro dove sono e quindi come tornare qui."
"Il presto per loro saranno altri anni per noi", commentò la donna con tristezza; lentamente ma inesorabilmente, i segni del tempo stavano lasciando tracce su di lei: le rughe attorno agli occhi si erano infittite e nella sua chioma bionda i capelli bianchi diventavano sempre più numerosi, "Di questo passo, forse non riuscirò più a rivedere il mio re..."
A ciò, Aryon non sapeva come ribattere, per cui tacque. Guardò fuori della finestra, chiusa da un semplice vetro trasparente. In quegli anni, il villaggio era cresciuto fino a diventare il centro più importante dell'area. C'erano mulini, fucine, una falegnameria, vasai, tessitori, pellettieri, candelai, pentolai, fornai, perfino una locanda di modeste dimensioni.
"Spero che potremo rivederli prima di quanto immaginiamo, Derva", mormorò. La donna strinse le labbra, scettica, ma poi annuì: dopotutto, non si poteva mai sapere.
Il terzo giorno da quando avevano ripreso il cammino, passarono di fianco ad una formazione di arenaria rosso-arancio.
C'è dell'acqua!, li avvertì Túdhin, eccitato, e si slanciò avanti di corsa. In un punto poco lontano, il terreno sabbioso appariva più scuro, ed era da lì che sentiva provenire l'odore dell'acqua; pensando che si trovasse oltre quell'area, vi passò in mezzo, ma dopo pochi metri cominciò a sprofondare. Lanciò un guaito di sorpresa e cercò di muoversi più velocemente, ma ottenne solo di affondare maggiormente.
Nerwen vide quanto stava accadendo e accorse, ma stette attenta a non porre piede sulla zona più scura.
"Fermo!", gli gridò, "Sono sabbie mobili! Più ti agiti e più rapidamente vai giù!"
Túdhin lottò contro l'istinto che invece voleva farlo dimenare nel tentativo di liberarsi; ansimando, si immobilizzò. Nerwen percepì chiaramente il suo terrore e cercò di mandargli una sensazione rassicurante.
"Come facciamo a tirarlo fuori?", domandò Pallando, preoccupato; si stava affezionando al lupo ed era in ansia per la sua sorte.
"Ci vorrebbe una corda", ragionò Nerwen, "ma non ce l'abbiamo... dovremo trovare un ramo abbastanza lungo."
"Ma Túdhin non potrà afferrarlo...", obiettò lo Stregone.
"Né dovrà farlo", ribatté l'Aini, "Tu terrai il ramo, io entrerò nelle sabbie mobili aggrappandomi ad esso e trascinerò fuori Túdhin."
Pallando la guardò.
"Non puoi sapere quanto sono profonde", le fece notare, "Sono più alto di te: ci andrò io", alzò la mano per frenare la protesta che lei stava per fare, "Sono più forte di un Uomo della mia età apparente, sicuramente abbastanza per trascinare il lupo per quel breve tratto."
Nerwen chiuse la bocca: lo Stregone aveva ragione, se la buca che conteneva le sabbie mobili era più profonda di un metro e quaranta, lei si sarebbe trovata imprigionata fino al collo, senza la possibilità di usare le braccia per afferrare Túdhin.
"Va bene", si limitò a dire.
Cercarono nelle vicinanze un ramo abbastanza lungo e robusto da fare al caso loro, poi Pallando si spogliò – era inutile sporcare gli abiti, così com'era inutile fare i pudichi – e si immerse con cautela. Affondò subito di una trentina di centimetri, poi sempre più mentre avanzava passo per passo, ma fortunatamente, ora che ebbe raggiunto Túdhin, non andò oltre la vita. Arrivato vicino al lupo, seguendo le istruzioni che Nerwen aveva impartito ad entrambi, lo Stregone gli liberò le zampe anteriori dal fango, poi lo sollevò lentamente finché non lo ebbe caricato in spalla. A quel punto, si voltò e, reggendo Túdhin con una mano, si aggrappò con l'altra nuovamente al ramo; lentamente, cominciò a camminare per tornare al punto di partenza, mentre Nerwen lo aiutava tirando il ramo via via che avanzava.
Finalmente Pallando raggiunse l'orlo delle sabbie mobili e depose Túdhin sul terreno solido; il lupo balzò subito via per fargli posto e lo Stregone si issò fuori, aiutato da Nerwen. Era visibilmente stanco.
"Resta qui", lo esortò l'Aini, "Se trovo acqua, potrai lavarti, altrimenti dovrai aspettare che il fango si asciughi e poi scrollartelo di dosso come meglio potrai."
"Ci avevo pensato", borbottò Pallando, scuotendo i capelli inzaccherati: non era arrivato a immergerli, ma il pelo imbrattato di fango del lupo li aveva sporcati.
L'Aini non ebbe fortuna: non c'era traccia di fonti ed evidentemente l'unica acqua che Túdhin aveva annusato era quella della fossa delle sabbie mobili. Sia lo Stregone che il lupo, quindi, dovettero attendere che la melma gli si asciugasse addosso prima di liberarsene alla meno peggio, l'uno sfregandosi la pelle con le mani, l'altro scrollandosi energicamente.
Per quel giorno non proseguirono; secondo le previsioni, l'indomani o al massimo il giorno seguente avrebbero raggiunto un luogo abitato, dove avrebbero potuto trovare acqua, cibo e riparo. Questo, presumendo che non si trattasse di esseri ostili, naturalmente; ma non avevano molta altra scelta. Anzi, non ne avevano nessuna.
Angolo dell'autrice:
La misteriosa dimensione dove si sono trovati catapultati Nerwen e Pallando non è realistica: è infatti un incrocio tra il deserto del Sahara, quello di Sonora e la savana, con vegetali e animali di tutte e tre le zone; inoltre non ha il clima torrido di questi territori.
Curiosità... vegetali: la zucca a bottiglia (lagenaria siceraria) viene anche chiamata bottiglia del pellegrino; opportunamente svuotata ed essiccata, viene usata dalle popolazioni sahariane per trasportare l'acqua. Mentre pera del deserto è uno dei nomi in lingua inglese del fico d'india.
Un immenso ringraziamento ai miei fedeli "seguaci"; chi ha iniziato a leggere fin da subito, si aspettava che sarebbe diventata un'avventura tanto lunga?? Suvvia, ditemelo... sono curiosa di saperlo! Io – come ho già dichiarato in precedenza – non me lo aspettavo, non così tanto; ma sono felice che la mia permanenza nel tolkienverso si prolunghi! J
Lady Angel
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