Capitolo XIV: Agguato lungo la Grande Via Est

Capitolo XIV: Agguato lungo la Grande Via Est

Nerwen cavalcò per tutto il giorno in completo silenzio, senza neppure vedere la strada. Thilgiloth e Calad, percependo il profondo sconforto della loro amica, non la importunarono e si limitarono a tener d'occhio la strada per lei.

Verso sera, giunsero all'Ultima Locanda, che sorgeva sul lato settentrionale della Grande Via Est; era una costruzione molto più piccola del Puledro Impennato, o anche del Drago Verde, non troppo ben tenuta, essendo assai poco frequentata.

A quel punto, Thilgiloth riscosse Nerwen dal suo avvilimento parlandole dolcemente:

Amica mia, siamo arrivate alla meta di questa giornata...

Nerwen tornò dal limbo in cui si era volontariamente esiliata per tenere a bada il proprio dolore; se il distacco da Calion era stato penoso, quello da Thorin era cento volte peggiore.

Guardò l'edificio davanti al quale Thilgiloth si era fermata, una costruzione a due piani di pietra e legno. Il legno era scrostato, alcune imposte mancavano ed un vetro era rotto; ma dall'interno proveniva un vociferare animato, e nella stalla accanto alla locanda c'erano tre cavalli ed un mulo. Una calda luce gialla proveniva dalle finestre del pian terreno.

Nerwen smontò ed entrò; la porta cigolò mentre l'apriva su di un piccolo atrio piuttosto mal tenuto, illuminato da poche lampade ad olio.

"Oste!", chiamò.

"Chi c'è?", provenne una voce seccata dalla stanza accanto.

"Una viandante in cerca di un riparo per la notte!", rispose bruscamente Nerwen. Quella sera non era decisamente dell'umore giusto per essere gentile con chi non sembrava esserlo.

Sopraggiunse un Uomo molto alto e magro, con pochi ciuffi di capelli brizzolati ed un paio di baffi poco curati; aveva l'aria accigliata, ma come la scorse cambiò subito atteggiamento.

"Buona sera, signora", le disse, in tono improvvisamente cortese, "Scusami, ma credevo che si trattasse di quella seccatrice della mia vicina, la vecchia Zeda. Ha una fattoria a due ore di cavallo da qui, e ogni tanto viene ad importunarmi perché vuol giocare d'azzardo, e siccome mi deve un mucchio di soldi, io gliel'ho proibito finché non salderà il debito...", vedendo che lei aggrottava la fronte con impazienza, mutò argomento, "Ma perdonami, sono cose che certamente non ti interessano. Vuoi una stanza per la notte?"

"Esatto; e un ricovero per il mio cavallo", rispose Nerwen, "nonché qualcosa da mangiare per cena."

"Ma certo! La mia è una locanda molto modesta, come avrai visto, ma le lenzuola sono pulite e il cibo buono, vedrai. Jack! Jack, dove sei, brutto fannullone che non sei altro!"

Giunse di corsa un ragazzo di forse venticinque anni, basso e tarchiato, dallo sguardo sfuggente e dai capelli giallo stoppa così spettinati da sembrare un pagliaio.

"Porta il cavallo della signora in stalla, poi striglialo e dagli da mangiare..."

"Mi occuperò io della mia cavalcatura", intervenne Nerwen, diffidando istintivamente di quello stalliere, "È molto bizzosa con gli sconosciuti", soggiunse, stroncando qualsiasi eventuale protesta, "Quando avrò finito, cenerò e poi andrò a dormire. Ripartirò domattina all'alba: è possibile avere la colazione così presto?"

"Certamente, siamo abituati alle partenze antelucane", rispose l'oste, "Non preoccuparti, signora."

Nerwen allora uscì, tallonata dallo stalliere, che la condusse alle scuderie e le fece vedere dove mettere Thilgiloth, nonché dove trovare spazzole e biada.

Non mi piace quel tipo, osservò la Corsiera, Sono contenta che sia tu ad occuparti di me, stasera.

Non piace neppure a me, le confidò Nerwen, Per questo ho insistito per prendermi cura personalmente di te. Stai all'erta, stanotte. Non chiuderò lo stallo: temo che potrebbero cercare di rubarti, così, se senti rumori sospetti, datti alla fuga. Dirò anche a Calad di vigilare.

Sistemata la cavalla, l'Istar uscì e chiamò la falchetta, istruendola. Turbata dalla diffidenza che percepiva nella sua amica, Calad andò a sistemarsi sul tetto della locanda, dirimpetto allo stallo di Thilgiloth per meglio tenerlo d'occhio.

Rientrata nella locanda con le sue bisacce, Nerwen andò nella sala comune e si sedette al tavolo che le venne indicato dalla locandiera, una donna corpulenta e rossa di capelli che si rivelò essere anche la cuoca. Per cena prese arrosto di maiale accompagnato da patate e cavoli, pane e sidro; il cibo era semplice, ma sorprendentemente buono, considerando la cattiva impressione che le faceva la locanda. L'oste non aveva mentito, affermando che avrebbe mangiato bene.

Anche la camera si rivelò migliore di quanto aveva temuto: non era grande, ed era alquanto polverosa, segno che non veniva usata da tempo, ma le lenzuola erano davvero pulite, mentre sul tavolino da lavabo c'era un asciugamano altrettanto pulito ed una saponetta nuova, nonché una brocca di acqua calda.

Nerwen si mise a letto e chiuse gli occhi, ma non pensava di riuscire a dormire; infatti venne subito assalita da una terribile sensazione di vuoto: il suo corpo, la sua anima sentivano acutamente l'assenza di Thorin, molto più di quanto non avessero mai sentito quella di Calion... Se ne domandò il motivo: dopotutto, neanche in Thorin aveva riconosciuto il proprio compagno per la vita, la propria altra metà.

Tuttavia, questo pensiero non le era di nessun conforto; nuove lacrime brucianti le riempirono gli occhi, debordarono dalle palpebre serrate e caddero sul cuscino.

"Mára mesta an ni véla tye ento,Thorin... ya rato nea", mormorò.

Addio fino a quando non ti rivedrò, Thorin... e spero che sia presto.

Per grazia dei Valar, poco dopo si addormentò.

Dopo una notte inaspettatamente serena, un'ora prima dell'alba Nerwen si alzò e si rivestì, poi scese nella sala comune dove trovò l'ostessa che le stava preparando una ricca colazione a base di frittelle cosparse di sciroppo d'acero, pane, burro, miele, uova fritte e pancetta. Piacevolmente sorpresa, la Maia mangiò abbondantemente, progettando di saltare il pranzo limitandosi ad una mela o due, e poi si congedò. Il conto che le venne presentato era tutt'altro che eccessivo, e finì col lasciare una mancia, dato che, nonostante le premesse, aveva ricevuto un buon trattamento.

Anche Thilgiloth le confermò che la notte era trascorsa nella massima tranquillità, né Calad aveva notato stranezze. Mentre il sole sorgeva davanti a loro, Nerwen e le sue due amiche ripresero la strada verso Gran Burrone.

Circa tre ore dopo, si inoltrarono in un tratto di strada fiancheggiato da entrambi i lati da alti alberi, prevalentemente di leccio, ricoperti di edera, i cui rami si protendevano sulla strada fin quasi a coprirla, lasciando solo una striscia di cielo aperto; fitti cespugli d'erica riempivano gli spazi tra una pianta e l'altre, creando un sottobosco difficilmente praticabile. Calad volava alta, scrutando il paesaggio disabitato davanti a loro, oltre il tratto alberato.

All'improvviso, quattro Uomini incappucciati e con fazzoletti davanti alla faccia saltarono fuori da dietro i cespugli, puntandole addosso grandi archi con le frecce incoccate. Istintivamente Nerwen tirò forte le briglie di Thilgiloth, che si impennò nitrendo per la sorpresa e lo spavento.

"Scendi da cavallo!", le ordinò il tipo più tarchiato. Nonostante stesse cercando di camuffare la voce, l'udito acuto di Nerwen le permise di riconoscerlo: era lo stalliere dell'Ultima Locanda, Jack.

L'Aini pensò di lanciare semplicemente Thilgiloth al galoppo, travolgendo il lestofante più vicino e dandosi alla fuga: le loro frecce non avrebbero ferito né lei, né la Corsiera. Si ricordò appena in tempo che lei non era più una Maia a pieno titolo, era stata diminuita, e perciò poteva venir ferita, anche se non uccisa. E lo stesso valeva per Thilgiloth.

Nerwen rimase quindi immobile sulla sella a guardare i quattro farabutti. Percependo il pericolo, Calad gettò un richiamo tra l'indignato ed il frustrato, perché nulla avrebbe potuto contro quattro archi.

Tranquilla, me la cavo da sola, le trasmise Nerwen, Tu stai a distanza di sicurezza.

La sua mente si protese verso gli alberi, destando la loro coscienza e chiedendo aiuto. Gli alberi risposero, animandosi di una consapevolezza momentanea ma lucidissima.

"Ho detto: scendi da cavallo!", sbraitò Jack.

Che dici, gli diamo una bella lezione?, Nerwen parlò silenziosamente a Thilgiloth.

Volentieri, rispose la Corsiera, con una certa dose di ferocia: a differenza di Calad, lei sapeva di cosa era capace la sua amica.

Lentamente, Nerwen scese di sella. Subito uno dei banditi afferrò le redini di Thilgiloth e l'allontanò dalla padrona. La cavalla non accennò ad opporsi: per quello che stava per accadere, era meglio se le rimaneva ad una certa distanza.

Gli alberi cominciarono a fremere, ed i rami sopra le loro teste frusciarono; non ci sarebbe stato nulla di strano, se non fosse stato che non c'era un filo d'aria a farli muovere. I banditi però, troppo intenti in quello che facevano, non se n'accorsero.

"Con questa ci faremo un bel gruzzolo", disse Jack sogghignando, accennando a Thilgiloth.

"E scommetto che la signora ha un bel gruzzolo anche lei, nella saccoccia", ridacchiò quello che aveva preso la Corsiera, accennando al tascapane che pendeva dalla cintura di Nerwen, "Avanti, tira fuori le monete!"

Sempre muovendosi lentamente per non innervosire i manigoldi, Nerwen aprì il tascapane e ne tolse il sacchetto con i soldi, che gettò verso il malvivente che l'aveva sollecitata. Fingendo di sbagliare, lo fece finire sotto le zampe della Corsiera.

Ferma, amica mia, l'ammonì, lasciaglielo prendere...

Il bandito si chinò e si impadronì del borsellino, che soppesò per valutarne il contenuto.

"Niente male, capo", annuì verso uno dei due che era rimasto più indietro.

L'edera attorno ai tronchi degli alberi più vicini iniziò a muoversi, staccandosi dalla corteccia e strisciando silenziosamente sul terreno in direzione dei manigoldi.

Il loro capo stava squadrando Nerwen da cima a fondo. La corta tunica sbracciata ed i pantaloni aderenti, pur coprendola decorosamente, rivelavano tutte le curve del suo corpo.

"È proprio un bel bocconcino, non trovate?", osservò con una risata sguaiata, "Che ne dite di divertirci un po', prima di lasciarla andare?"

Gli altri la squadrarono a sua volta, guardandola ora con occhi diversi.

Lo stomaco di Nerwen si annodò, non per la paura ma per la rabbia. Incrociò le braccia sotto il seno, ponendolo apposta in bella mostra così da metter ancora più in subbuglio i lestofanti.

"Sì, potremmo divertirci", sibilò, "Chi di voi comincia? Andiamo in ordine alfabetico? Di età? Oppure di chi è più forte?"

Le parole di Nerwen erano intese a metterli l'uno contro l'altro per avere la precedenza; ed infatti i quattro si guardarono in cagnesco, sfidandosi a vicenda.

"Io sono il capo", disse quello che aveva proposto il divertimento, "Comincio io."

"Ma sono stato io a segnalartela", obiettò Jack.

"Beh, se per questo, sono stato io a procurare i cavalli per arrivare fin qui...", bofonchiò a mezza voce il quarto bandito, che finora non aveva aperto bocca.

"Sono io che comando!", esclamò il capo a voce più alta, sollevando l'arco e puntandolo ora contro Jack.

Nerwen scelse quel momento, in cui tutti e quattro i banditi erano distratti, per dare il segnale d'attacco alle piante sue alleate. Fulminei, diversi rami scattarono come fruste e colpirono i lestofanti dall'alto o di fianco, a seconda di come erano posizionati.

Il capo venne colpito in pieno petto e sbalzato all'indietro, andando a sbattere contro un albero. Urlò di dolore, le costole fracassate, e perse l'arco, che finì nei cespugli. Prontamente, l'erica si impadronì dell'arma e la fece sparire, mentre l'edera si avvoltolava attorno al malcapitato.

Al secondo ci pensò Thilgiloth, che l'aveva a tiro: la Corsiera s'impennò ed abbatté uno zoccolo sulla sua spalla, spezzandogli di netto la clavicola. Sopraggiunse rapida una fronda d'edera, che si avvolse prontamente attorno al farabutto.

Il terzo bandito - quello che aveva dichiarato d'aver procurato loro le cavalcature - tentò di prendere la mira con l'arco, ma dal cielo piombò Calad che gli artigliò la testa, lacerandogli una guancia. L'uomo urlò. Un ramo lo colse al fianco, scaraventandolo contro un tronco abbattuto, e nuovamente intervenne l'edera a bloccargli mani e piedi.

Ormai rimaneva soltanto Jack, che si era addossato contro un masso erratico che ostruiva parzialmente la strada. Era caduto a sedere, e la macchia scura sul davanti delle brache indicava chiaramente che se l'era fatta addosso. Nerwen lo guardò disgustata, in preda ad un'ira funesta.

"Jack, sei un imbecille", gli gettò, facendogli così capire d'aver scoperto la sua identità nonostante il fazzoletto, "Credevi d'aver a che fare con una donna indifesa, vero? Mai fidarsi delle apparenze!", gridò con voce terribile, ergendosi davanti a lui, apparendo improvvisamente alta e spaventosa, "Io sono Nerwen la Verde, appartenente all'Ordine degli Stregoni! Animali e vegetali sono i miei alleati, e se qualcuno osa assalirmi o mancarmi di rispetto, mal gliene incoglie!"

Jack si abbassò il fazzoletto e si mise a piagnucolare:

"Risparmiatemi, potentissima signora, grandissima maga, ve ne supplico! Sono solo un poveraccio che s'è messo nei guai con questi fuorilegge, sono stato costretto ad aiutarli...!"

Nerwen si sentì ancor più furibonda e si erse ulteriormente davanti al mascalzone, ormai ridotto ad un mucchietto gemente e tremolante:

"Sì, certo, come saresti stato costretto a divertirti con me, vero??"

Come a sottolineare la sua collera, un ramo di edera velenosa si staccò dal groviglio ed andò a schiaffeggiare Jack, che gridò per il bruciore dell'acido: la sferzata gli avrebbe lasciato un marchio indelebile, ad eterna rimembranza della disavventura in cui era incappato.

Nerwen non era una persona violenta, né vendicativa, anche se non tollerava le malefatte. Ritenne d'aver punito abbastanza tutti e quattro: due avevano ossa fratturate, un altro probabilmente una commozione cerebrale, e Jack era stata bollato in faccia per sempre. Tornò ad apparire una piccola donna inerme, se si escludevano gli occhi che ancora lanciavano fiamme.

"Vi lascio la vostra miserabile vita", ringhiò a Jack, che si coprì la faccia e la testa con le braccia, temendo d'esser colpito nuovamente, "Non osate seguirmi. E, se avete un minimo di sale in quelle vostre zucche vuote, cambiate registro e mettetevi a fare un lavoro onesto!"

Nerwen andò a recuperare il sacchetto delle monete, poi si voltò verso Thilgiloth e le fece cenno; la Corsiera la raggiunse tutta pimpante, irradiando soddisfazione.

Gliele abbiamo suonate, vero?, le trasmise. L'Aini le montò in arcione con un sorrisetto feroce:

"Cara mia, ritengo proprio di sì", le rispose.

Calad sopraggiunse svolazzando freneticamente, e Nerwen si affrettò ad indossare il guanto per farla posare: la falchetta sembrava molto agitata.

Mi spiace, mi spiace!, si scusò, trasmettendo una sensazione di profonda afflizione, Non li avevo visti!

"E neppure potevi, amica mia", le fece notare Nerwen, "Erano ben nascosti, e sottovento, tanto che neppure Thilgiloth li ha fiutati."

Calad nascose la testa sotto l'ala, emettendo un sentimento di vergogna.

Ho fallito il mio compito di sentinella, dichiarò.

"No, per niente affatto", ribadì l'Istar con decisione, "Non eri nella condizione di vederli, chiaro? Per cui non hai fallito un bel niente. Smettila di sentirti in colpa. E poi, ho ben visto come hai assalito quel farabutto: a momenti gli strappavi un occhio!"

La rapace tirò fuori un occhio per guardarla.

Davvero non mi biasimi?, domandò. Nerwen le sorrise:

"Assolutamente no, Calad. Anzi, ti ringrazio per il tuo intervento", poi si rivolse alle piante che l'avevano aiutata, "Grazie per il vostro aiuto, amici e amiche", disse ad alta voce, "State all'erta finché costoro non se ne andranno, e se mai doveste rivederli, date loro un'altra sonora lezione."

Gli alberi, l'edera e l'erica si mossero frusciando, assicurandole senza parole che avrebbero fatto come diceva. Con un ultimo cenno di ringraziamento della testa, Nerwen li salutò e diede di tallone a Thilgiloth, che si avviò lungo la strada.

Quando le ombre del tardo pomeriggio furono molto lunghe, Nerwen lasciò la strada per accamparsi al riparo di un piccolo gruppo d'alberi sul lato meridionale. Raccolse un po' di legna per il fuoco, che accese usando pietra focaia ed acciarino per provocare una scintilla, afferrandola poi col pensiero e dilatandola per più agevolmente incendiare l'esca, composta di alcune foglie secche strettamente avvoltolate. Si sentiva piuttosto stanca: non aveva voluto riposare più di un'ora, durante la giornata, ed ora ne pagava le conseguenze. Non era ancora del tutto abituata alla sensazione dell'affaticamento, così non sapeva ancora ben misurare le proprie forze.

Calad diede la caccia a qualche roditore e Thilgiloth brucò erba e foglie tenere; anche Nerwen spiluccò di malavoglia della carne essiccata ed un pezzo di galletta. Improvvisamente sentì tutto il peso della solitudine, in quella vasta terra disabitata; inoltre, la recente separazione da Thorin acuiva ulteriormente quella sensazione.

Percependo il suo disagio, Thilgiloth venne a sdraiarsi accanto alla sua amica per offrirle il conforto della propria presenza. Animali predati, i cavalli non fanno mai una cosa del genere, all'aperto, preferendo dormire in piedi per esser pronti alla fuga in caso di bisogno; ma Nerwen aveva davvero bisogno di essere rincuorata.

Anche Calad venne a posarsi accanto a lei, dandole dei colpetti con la testa prima di disporsi a dormire al suo fianco.

Il loro gesto commosse Nerwen, che accarezzò le sue due amiche kelvar con gratitudine prima di addormentarsi di un sonno senza sogni.

Angolo dell'autrice:

Confesso che è stato molto difficile scrivere questo capitolo; non tanto per la trama, che avevo già deciso, bensì per il fatto di dover allontanare Nerwen (e me stessa) da Thorin, un personaggio che, perlomeno nella versione cinematografica, mi ha davvero colpita... e affondata: nelle scene in cui Nerwen sta male per la mancanza del principe Nano, stavo male pure io... decisamente, mi sono fatta coinvolgere parecchio, come forse mai prima d'ora. Ma del resto, è anche la prima volta che mi cimento a scrivere del tolkienverso, e non avevo fatto i conti con la mia profonda passione per questo mondo meraviglioso che, tanti anni fa, mi ha catturata e di cui sono tuttora - felicemente - prigioniera.

Nerwen ritroverà il sorriso? Certo, non dubitate, anche se le occorrerò del tempo: ODIO le storie che finiscono male, dato che nella vita reale fin troppe storie lo fanno; quindi, almeno in ciò che scrivo, le mie storie finiscono sempre bene, anche se possono essere molto drammatiche ed i protagonisti possono dover superare terribili ordalie...

Lady Angel

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