Capitolo VII: In compagnia di Mithrandir
Capitolo VII: In compagnia di Mithrandir
La sera del secondo giorno in cui fecero i topi di biblioteca, Mithrandir si stiracchiò le spalle e la schiena indolenzite e dichiarò:
"Ho gli occhi così stanchi che ormai ci vedo doppio... Mi ci vuole una bella pipata."
Nerwen lo guardò senza comprendere. Lo vide frugare nel sacchetto che portava appeso alla cintura e tirarne fuori uno strano oggetto lungo e curvo, con una specie di contenitore ad un'estremità, poi un sacchetto più piccolo dal quale trasse un pizzico di quella che pareva una qualche erba essiccata e triturata. Il suo odore aromatico la sorprese:
"Che cos'è?", domandò quindi, incuriosita, riferendosi ad entrambe le cose.
"Questa è una pipa", le spiegò Mithrandir, "Ecco, questo si chiama cannello, e questo fornello. E questa è erba-pipa, una pianta che cresce soltanto da questa parte di Belegaer. Me l'hanno fatta conoscere gli Hobbit, abilissimi coltivatori e grandi consumatori di tale erba."
L'interesse di erborista di Nerwen si destò subitamente:
"E a che serve?"
Mithrandir, occupato ad imbottire il fornello della pipa, tardò un momento a rispondere.
"A che serve?", ripeté, meditabondo, "Uhm... a fumare, naturalmente."
Nerwen non aveva la minima idea di che cosa stesse parlando:
"...fumare?"
"Sì, ecco, vedi...", lo Stregone annaspò alla ricerca di parole adeguate ad illustrare un concetto ad una persona che non ne conosceva neppure le premesse, "Faccio prima a fartelo vedere che a spiegarti", concluse. Prese un sottile stecco di legno, lo accese alla fiamma della candela più vicina, poi ne avvicinò l'estremità incendiata al fornello della pipa e prese ad aspirare dal cannello; ben presto l'erba-pipa divenne brace, e Mithrandir cominciò ad emettere fumo dalla bocca. La sua aria di evidente soddisfazione fece capire a Nerwen che trovava assai piacevole quell'attività.
"Tieni, prova", le disse, porgendole la pipa, "Aspira il fumo in bocca."
Incuriosita, la Maia fece come aveva visto fare a lui ed aspirò dal cannello. Il fumo le riempì la bocca, ed istintivamente lo ributtò fuori attraverso le narici. Mithrandir ci rimase male:
"Accidenti, io ci ho messo mesi a capire come fare a far passare il fumo dal naso senza rischiare di soffocare!"
"A me è sembrato normalissimo", fece Nerwen, alquanto sorpresa dalla sua reazione; annusò l'aroma del fumo, "Buono!", dichiarò.
"Vorrei ben dire", borbottò lui, ancora piuttosto indispettito dalla facilità con cui la sua amica aveva fatto una cosa che lui aveva penato a lungo per imparare, "È Vecchio Tobia, una delle qualità migliori di erba-pipa."
Poi si rese conto della futilità della sua irritazione e gli tornò il suo naturale buonumore.
"Questo però non lo sai fare", ridacchiò, aspirando ancora; arricciò la bocca in una buffa smorfia che fece sorridere Nerwen, ma poi il suo sorriso si trasformò in un'espressione di assoluta meraviglia quando il fumo prese la forma di un gabbiano in volo, che si allontanò fluttuando prima di dissolversi nell'aria.
"Come hai fatto?", gli domandò.
"Serve molta pratica", rispose Mithrandir, il cui orgoglio ferito era infine appagato dall'evidente ammirazione di Nerwen, "Se vuoi ti insegno..."
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Trascorsero diversi giorni; Nerwen apprese la Lingua Corrente da Mithrandir e continuò a studiare, sui libri ed anche assieme a lui, gli usi ed i costumi della Terra di Mezzo. Inoltre si appassionò all'attività chiamata fumare la pipa, tanto che Mithrandir costruì per lei una pipa simile alla propria, dal lungo cannello ricurvo, e le diede una parte della propria riserva di Vecchio Tobia; l'Aini imparò a creare col fumo alcune semplici figure, come fiori, alberi, animali, ma non arrivò ad eguagliare l'abilità del suo vecchio amico - non nel poco tempo che rimasero nella casa di Círdan.
Si avvicinava ormai il momento in cui avrebbero dovuto partire, quando un pomeriggio lo Stregone le rivolse una richiesta:
"Potresti portare un messaggio per me? Saresti di strada, e mi risparmieresti una lunga deviazione..."
"Volentieri, se posso", accettò subito Nerwen.
"Sulla via per Imladris, passerai dalla città di Brea", disse Mithrandir, e lei annuì: aveva visto la sua ubicazione sulle mappe, "Lì vive attualmente un Nano mio amico, che vi svolge il lavoro di fabbro. Il suo nome è Thorin..."
"Thorin Scudodiquercia?", lo interruppe l'Aini, meravigliata.
"Sì, esatto", confermò lui, a sua volta meravigliato, "Come lo conosci?"
"Ho letto di lui in un libro di storia in khuzdul", spiegò lei. Gli occhi di Mithrandir si fecero tondi per l'ulteriore dose di sorpresa:
"Conosci la lingua dei Nani?"
Nerwen si rese conto di non averglielo detto; ma avevano avuto tante cose di cui parlare, in quei pochi giorni - anni, secoli di avventure e disavventure, specialmente da parte di lui - che proprio non le era venuto in mente.
"Un dono di Aulë", spiegò, "per rendermi più gradita ai suoi prediletti, allo stesso modo in cui l'entesco a suo tempo mi ha resa gradita agli Ent."
"Un'ottima idea", approvò Mithrandir, riprendendosi dallo stupore, "Conosco solo poche parole di khuzdul: sebbene i Nani mi onorino della loro amicizia, essi sono assai gelosi della loro lingua e non la insegnano a nessuno in modo fluente. Che cosa sai di Thorin, dunque?"
"Che è il legittimo erede al trono del regno di Erebor, distrutto da un drago chiamato Smaug, e che si è guadagnato il soprannome di Scudodiquercia durante una terribile battaglia alle porte di un altro regno nanico, Moria", raccontò Nerwen, "Non avrei mai pensato che un principe e grande guerriero come lui si guadagnasse da vivere facendo il fabbro..."
"Purtroppo i pochi sopravvissuti del regno della Montagna Solitaria hanno perduto tutto, nell'attacco di Smaug", spiegò Mithrandir, "e per vivere, nobili o meno, debbono fare quello che meglio sanno fare i Nani: minatori, fabbri, orafi. Alcuni fanno i mercenari... anche Thorin l'ha fatto, qualche volta; ma poiché, oltre alla spada, sa maneggiare molto bene anche incudine e martello, in tempo di pace si è dato alla forgia. Da qualche anno vive a Brea, dove il suo lavoro è molto apprezzato."
"Capisco", mormorò Nerwen, provando pena per la sorte di un così nobile principe, privato della sua patria, dei suoi averi e della sua eredità, e costretto ad un lavoro umile - per quanto onorevole - per vivere, con la consapevolezza che il suo popolo decimato ed in esilio doveva fare altrettanto, dopo essere stato grande e potente e rinomato ovunque.
"Qual è il messaggio?", s'informò quindi.
"Per favore, riferiscigli queste testuali parole: il momento è quasi giunto, Thorin Scudodiquercia. Raduna i compagni di cui abbiamo parlato e preparati con loro all'adempimento della missione. Lui comprenderà di cosa si tratta."
"Molto bene", annuì lei, e gli ripeté parola per parola per far mostra d'aver capito. Mithrandir approvò.
"Ti ringrazio infinitamente, mia carissima amica", concluse, "Mi rendi un grande servizio."
"È un piacere, credimi", lo rassicurò Nerwen sorridendogli con affetto, "Non c'è bisogno che mi ringrazi."
Per tutta risposta, Mithrandir l'abbracciò con gratitudine, poi si staccò e fece un passo indietro per scrutarla da capo a piedi con quei suoi brillanti occhi grigio-azzurri, con una tale intensità da rischiare di metterla a disagio.
"C'è qualcosa che non va?", gli domandò quindi, aggrottando la fronte. Lui assentì lentamente:
"Il tuo aspetto è troppo... numinoso", le disse, "Si capisce subito che non sei un'Elda qualsiasi. Ti consiglio di offuscare un po' la tua reale natura."
"D'accordo", accettò Nerwen; non aveva ancora pensato a questo, ma subito le sovvenne quella che era la sua fedele compagna di viaggio, "Suppongo che sarà meglio fare altrettanto per Thilgiloth..."
"È sicuramente consigliabile che prenda l'aspetto di un normale cavallo della Terra di Mezzo, per quanto bello", confermò Mithrandir, "Se te lo chiedono, dì che viene dalla terra di Rohan, che è celebre per i suoi destrieri, così scambieranno la sua straordinaria intelligenza con semplice addestramento, per la cui accuratezza i Rohirrim sono assai rinomati."
"Grazie del consiglio", assentì Nerwen, "Meglio che io lo faccia subito, così da non doverci pensare all'ultimo momento..."
Si allontanò di qualche passo, poi chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio aspetto; immaginò un velo formarsi attorno a lei ed avvolgerla completamente, passare attraverso gli abiti per posarsi sulla sua pelle e sui capelli, senza trascurare un solo centimetro quadrato. Mithrandir vide il suo sembiante mutare sottilmente, perdere la numinosità caratteristica degli Ainur - Valar e Maiar - per assumere un'apparenza più terrena. Ora sembrava una normale Elfa, ma dopo qualche istante le caratteristiche orecchie a punta di quella razza divennero arrotondate, ed infine si ritrovò di fronte una donna umana.
Nerwen riaprì gli occhi.
"Che ne dici?", lo interrogò. Mithrandir la osservò attentamente da capo a piedi, poi si avvicinò e la scrutò negli occhi: sembrava in tutto e per tutto un'umana, tranne che per l'antica saggezza che si scorgeva nel suo sguardo, che però nessun oscuramento avrebbe potuto cancellare.
"Molto bene", rispose infine, "ma dimmi, perché hai scelto l'aspetto della razza umana? Potevi sembrare tranquillamente un'Elda..."
"Avrò a che fare coi Nani", rispose lei, "che notoriamente non hanno grande simpatia per gli Elfi: ho quindi pensato che era meglio assomigliare ad un'umana. Inoltre, anche gli altri Istari hanno assunto questo aspetto: non ho fatto altro che rimanere in linea con essi", concluse con un sorriso. Mithrandir annuì:
"Capisco... E non sarà un problema farti accettare dagli Eldar, anche se sembri umana, perché saranno in grado di vedere attraverso il tuo travestimento senza particolare difficoltà. Ben fatto", approvò.
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Pochi giorni dopo, Gandalf il Grigio e Nerwen la Verde si congedarono da Lord Círdan e da Lady Eärwen: avrebbero viaggiato assieme oltre i Colli Torrioni, poi avrebbero imboccato la Grande Via Est fino al bivio per Sarnoguado, dove Mithrandir si sarebbe diretto a meridione, mentre Nerwen avrebbe continuato attraverso la Contea fino alla terra di Tom Bombadil.
Gandalf montava uno splendido baio bruno, con criniera e coda nere, chiamato Lagordonn per la sua velocità e per il suo colore; Thilgiloth, pur avendo subito l'operazione di offuscamento, conservava il suo magnifico manto candido, lucente come seta, ed i suoi occhi neri brillanti d'intelligenza.
Già la prima sera, quando si accamparono, Nerwen ebbe modo di notare la propria stanchezza, in particolare la schiena e le spalle: una sensazione che, come Maia completa, non avrebbe mai provato. Anche i glutei erano alquanto ammaccati, e stiracchiandosi emise un gemito. Gandalf le lanciò un'occhiata, subito preoccupato:
"Stai bene?"
"Sì, è solo la stanchezza: non ci sono abituata... Come Ainur, ne saremmo esenti, in Aman. Anche quando andavo a trovare Melian nel Doriath non succedeva."
Gandalf sorrise, comprendendo il disagio della sua vecchia amica:
"Per compiere la nostra missione, siamo stati diminuiti", osservò, "e non possediamo più tutte le nostre facoltà di Maiar... Anch'io ci ho messo un po', per adattarmi. Lascia passare qualche settimana e poi ti ci abituerai anche tu..."
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Dopo alcuni giorni di viaggio, superati i Colli Torrioni, Nerwen e Gandalf raggiunsero i confini della Contea.
"La Contea è una terra pacifica ed accogliente", raccontò Gandalf, "e non ci sono animali pericolosi come orsi o lupi. Puoi tranquillamente dormire all'aperto, ma troverai molte locande lungo la strada; quando giungerai nei pressi di Lungacque, ti suggerisco Il Drago Verde. Quando poi arriverai a Brea, ti consiglio Il Puledro Impennato, il cui proprietario, Granodoro Cactaceo, è una mia vecchia conoscenza: fagli pure il mio nome, quando arrivi. E sua moglie Tina è un'ottima cuoca."
"Molto bene", annuì Nerwen, "Dato che stiamo attraversando il loro Paese, che mi puoi dire degli Hobbit?"
"Sono un popolo discreto e modesto", rispose Gandalf sorridendo, "di antica origine, ma nessuno ormai sa più donde siano venuti; amano la pace, la tranquillità e la terra ben coltivata. Sono piuttosto schivi nei confronti della Gente Alta, come chiamano gli Uomini; hanno un udito finissimo ed occhi assai acuti, e benché per il loro amore per la buona tavola tendano ad esser alquanto grassocci, sono sorprendentemente agili e svelti, e sono capaci di sparire rapidamente e silenziosamente al sopraggiungere di gente che non desiderano incontrare... Potrebbero esserci dozzine di Hobbit qui attorno, e noi non li vedremmo e non li sentiremmo, se non vogliono farsi vedere o sentire. Sono assai festaioli, amano ridere e cantare e ballare. Tra loro sono particolarmente conosciuto per la mia abilità coi fuochi d'artificio...", fece un vago gesto in aria, "Non conoscono la mia vera natura di Istar", concluse. Fece una pausa, improvvisamente meditabondo. "Eppure", proseguì lentamente, "sotto la loro apparenza mite e ben pasciuta, gli Hobbit celano una sorprendente resistenza e una tempra notevole. È difficile impaurirli o ucciderli, e il loro amore per le cose buone è dovuto al fatto che sanno farne a meno, se necessario, per resistere a ostilità e avversità... Il coraggio della loro razza è lento a sorgere, ma degno delle più grandi imprese di Elfi e Uomini."
"Vedo che ne hai grande stima", considerò Nerwen. Mithrandir annuì per confermare:
"Sì, in loro c'è più di quanto non colpisca l'occhio. Non sono avventurosi, e difatti raramente escono dai loro confini per andare ad esplorare il mondo; tuttavia ci sono un paio di famiglie - che proprio per questo godono di dubbia fama - che nel corso della loro storia si sono dimostrate particolarmente spericolate e coraggiose: i Tuc di Tucboro e i Brandibuck di Bucklandia..."
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Qualche giorno dopo, giunsero a Pietraforata sui Bianchi Poggi, il più grande insediamento della Contea e, seppur non ufficialmente, la sua capitale, essendo la sede del Sindaco che, come Gandalf aveva spiegato a Nerwen, veniva eletto ogni sette anni e rappresentava la più alta autorità del Paese. Qui si sarebbero separati, perché Gandalf avrebbe imboccato la strada per Sarnoguado, dove avrebbe attraversato il fiume Baranduin, o Brandivino come lo chiamavano gli Hobbit, mentre Nerwen avrebbe proseguito sulla Grande Via Est in direzione del territorio di Tom Bombadil, sito sul confine orientale della Contea.
Caracollando lungo la larga strada polverosa, incrociarono diversi Hobbit, che si scostarono per passar loro alle larghe, ma che comunque non mancarono di rivolger loro un cenno di saluto, dimostrandosi al contempo schivi e cortesi, proprio come li aveva descritti l'Istar grigio.
Pur essendo soltanto metà pomeriggio, i due vecchi amici, riluttanti a lasciarsi dopo essere stati divisi per così tanto tempo e da così tanto spazio, si recarono nella più grande locanda dell'abitato, Il Gallo Ardito. Lasciati i cavalli davanti alla porta - senza timore che venissero loro sottratti perché il furto non faceva parte nella natura degli Hobbit, né con la loro piccola statura sarebbero stati in grado di cavalcarli - entrarono nell'atrio, chinandosi per poter passare dalla porta rotonda, dipinta di un brillante color giallo. Mithrandir dovette togliersi il cappello, ma anche così, col suo metro e ottanta, doveva stare leggermente reclinato per non sbatter la testa contro il soffitto; Nerwen poteva invece stare eretta, essendo più bassa di lui di una ventina di centimetri.
Mithrandir scosse il campanello, lasciato all'uopo sul bancone, e pochi istanti dopo giunse un robusto Hobbit di mezza età, dalla ricciuta chioma bruna e dai grandi piedi pelosi.
"Toh, guarda chi si vede!", esclamò, "Gandalf il Grigio! È un bel pezzo che non ti fai vedere da questa parte della Contea."
Gandalf scrutò attentamente il suo interlocutore.
"Tobaldo Soffiatromba!", disse infine, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso, "Lieto di rivederti. L'ultima volta eri in procinto di sposarti: come sta Gardenia?"
"Benissimo, grazie. Abbiamo avuto tre figli, due ragazze e un ragazzo, tutti sani e belli."
"Mi fa molto piacere. Questa", proseguì Gandalf, girandosi a mezzo verso la sua accompagnatrice, "è Nerwen la Verde. Hai due stanze per noi?"
"Certamente!", annuì il locandiere, "I nostri letti sono troppo piccoli per voi della Gente Alta", continuò, rivolgendosi direttamente a Nerwen in tono di scusa, "ma farò in modo che un pagliericcio con coperte pulite e morbide faccia da valido sostituto."
"Va benissimo", lo rassicurò Nerwen, che nel corso della sua lunga esistenza aveva occasionalmente dormito in condizioni molto peggiori.
"Ci serve anche un ricovero per le nostre cavalcature", aggiunse Mithrandir.
"Li metteremo nel recinto coi pony e gli daremo la nostra biada migliore", dichiarò Tobaldo.
I due Istari presero quindi possesso delle loro stanze e si rinfrescarono, per poi trovarsi nella sala comune, a quell'ora ancora deserta. Ordinarono una caraffa di birra fresca e si sedettero ad un tavolo, naturalmente a misura hobbit e quindi piuttosto piccolo per loro, specialmente per Gandalf. Ma tant'era: si trovavano nel Paese dei Mezzuomini e dovevano adattarsi.
"Ho il cuore pesante", Gandalf confidò a Nerwen, senza nascondere la propria tristezza per l'ormai imminente separazione.
"Temi per me, amico mio?", gli domandò lei. Lo Stregone scosse la testa:
"No, so che sarai perfettamente al sicuro, guardata a vista da animali e vegetali in qualsiasi contrada ti recherai. No, è il pensiero di non rivederti più per chissà quanti anni che mi rattrista."
"Rattrista anche me", ammise Nerwen, "ma stavolta non saranno di gran lunga tanti quanti l'ultima volta."
"Te lo dice la tua Seconda Vista?", la interrogò lui, guardandola coi suoi brillanti occhi chiari; dopo l'arrivo nella Terra di Mezzo, in lui quella facoltà era quasi scomparsa, come tante altre. La Maia annuì:
"Sì. Sebbene non mi sia chiaro né quando né dove, ho visto che ci rincontreremo due volte, la prima a breve, la seconda molto più tardi; ma la seconda volta non avremo più bisogno di separarci. Ciò mi fa pensare che avremo portato a termine le nostre missioni, in un modo o nell'altro."
"Mi dai un grande conforto", dichiarò allora Gandalf, "perché a volte dubito di essere in grado di concludere qualcosa e mi sento alquanto frustrato..."
"Non dubitare mai del sentiero che percorri nel nome dei Valar", lo esortò Nerwen, posandogli una mano sulla sua e stringendola forte, "Anche se a volte ti è oscuro o ti sembra d'averlo perduto, persisti. La Grazia dei Valar è con te e non ti abbandonerà."
Sentendosi tranquillizzato, Mithrandir le rivolse un sorriso.
"Mia adorata amica, tu saresti capace di rincuorare questo tavolo!", dichiarò con enfasi, battendo leggermente la mano sul ripiano, "E questa qualità di certo ti spalancherà porte solitamente sbarrate per tutti gli altri", aggiunse, "Uhm...", borbottò poi, "ho bisogno di una pipata."
"Buona idea", approvò Nerwen, girandosi a frugare nella propria scarsella per tirar fuori il necessario. Mentre fuori il pomeriggio declinava, i due Istari fumarono assieme, e Gandalf non mancò di stupire e divertire l'amica creando figure sempre più complesse con il fumo dell'erba-pipa.
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All'ora di cena, la sala comune si riempì sia degli ospiti della locanda - non molti, per la verità, non essendo tempo della Libera Fiera di Mezza Estate - sia di avventori esterni. Nerwen e Gandalf mangiarono in un angolo appartato, bersagliati da occhiate curiose ma non insistenti, come nella natura discreta degli Hobbit; ed infine si ritirarono per la notte.
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Il giorno seguente venne - ormai inevitabile - il momento del congedo.
Sul crocicchio dove la Grande Via Est si diramava nella strada che conduceva a Sarnoguado, Mithrandir abbracciò strettamente Nerwen, sovrastandola con la sua alta statura, accentuata dal cappello puntuto.
"Buona fortuna, Nerwen la Verde", le disse solennemente, "Possa la grazia dei Valar accompagnarti sempre."
"Grazie, Gandalf il Grigio", rispose lei, altrettanto solennemente, "Che le stelle brillino sul tuo cammino."
Con un ultimo abbraccio, i due vecchi amici si separarono, poi ciascuno salì sulla propria cavalcatura ed imboccò la strada prescelta, Nerwen in direzione est e Gandalf in direzione sud-est.
Angolo dell'autrice:
Eh già, Nerwen non poteva andarsene in giro per la Terra di Mezzo con un aspetto troppo diverso da quello degli altri Istari! Se questi hanno preso un aspetto umano, altrettanto doveva fare lei.
So che avevo promesso di rispettare pienamente il canone stabilito da Tolkien; tuttavia, per trovare il modo di far incontrare Nerwen e Thorin nella maniera che desideravo, ho dovuto modificare qualche particolare, come ad esempio il fatto che Thorin e Gandalf già si conoscessero da tempo ed avessero cominciato a fare piani per riconquistare Erebor, mentre nelle appendici de Il Signore degli Anelli viene chiaramente detto che i due si incontrano per caso a Brea il 15 marzo del 2941, vale a dire appena poco più di un mese prima dell'inizio della loro grande avventura. Francamente mi suona poco credibile: come può infatti Thorin avere così tanta fiducia in Gandalf da affidargli l'organizzazione della riconquista della Montagna Solitaria, se lo conosce appena? (Chiedo umilmente perdono al Maestro, ma questa è un'incongruenza che proprio non riesco a digerire...) Inoltre, all'epoca Thorin non abitava a Brea, bensì negli Ered Luin, o Monti Azzurri, con la sorella Dís ed i nipoti Fili e Kili, e con poche centinaia di Nani di Erebor.
Capitolo di passaggio prima di iniziare la Grande Avventura: dal prossimo, si entra nel vivo della storia (qualcuno dirà: finalmente, era ora!!! LOL), e si cominceranno ad incontrare a raffica personaggi già noti come Bilbo, Tom Bombadil, Thorin Scudodiquercia, Elrond e molti altri, ed alcuni invece nuovi di zecca. Non sarà facile né scontato, e Nerwen non dovrà affrontare soltanto pericoli fisici, ma anche confrontarsi con l'influenza che la qualità della Terra di Mezzo eserciterà su di lei da un punto di vista emotivo, come l'aveva avvertita Yavanna, il che non sarà più facile che affrontare banditi, orchi, lupi mannari e quant'altro...
Mi è spiaciuto non poco separarmi da Gandalf; ma lui deve vivere la sua vicenda, e Nerwen la propria.
Un ringraziamento a tutti quelli che mi stanno seguendo, ed uno ancor più grande a chi lascia un commento, per quanto piccolo. E naturalmente un sempre sentito ringraziamento alla mia socia Heaven Tonight per l'indispensabile collaborazione, ma ancor più per le sua infinita pazienza!
Lady Angel
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