Capitolo LVII: Chiarezza
Capitolo LVII: Chiarezza
"Non è necessario", dichiarò Aryon, "ma se lo vuoi fare, sono pronto."
In realtà lo era da molto tempo, fin dall'inizio. Non gli importava affatto chi lei fosse o non fosse realmente: Elfa o Umana, figlia di uno schiavo o di una regina, per lui contava solamente il fatto indubitabile che fosse la sua compagna per la vita.
"Avrei voluto potertelo dire fin da subito, ma come sai mi era stato proibito", esordì Nerwen e lui assentì, essendone consapevole, "Così com'era proibito anche agli altri Istari, perché abbiamo tutti stessa provenienza. Ti chiedo però di non divulgare a nessuno ciò che sto per dirti."
"Ma certo, hai la mia parola", la rassicurò lui.
Nerwen ponderò il modo in cui comunicargli la verità; i suoi occhi incrociarono quelli di Túdhin, che se ne stava accucciato tranquillamente e la guardava. Il lupo percepiva la tensione della sua amica a due gambe; non ne comprendeva il motivo ma, intuendo che aveva bisogno di incoraggiamento, strofinò la testa contro la sua gamba.
Che cosa c'è, Figlia del Tramonto?, le domandò. L'Aini sobbalzò lievemente all'uso di quel titolo: aveva quasi dimenticato che Túdhin, a differenza di Aryon, conosceva la sua origine.
Sto per dire ad Aryon da dove provengo, gli rivelò, ma non so come fare...
Usa parole semplici, suggerì il lupo, con molto buonsenso. Nerwen sorrise lievemente: aveva ragione, la via della semplicità è sempre la migliore. Grata del suo supporto, gli accarezzò il fianco; ed infine trovò le parole. Tornò a rivolgersi al marito:
"Gli Istari sono emissari dei Valar", gli ricordò ed il principe annuì nuovamente, dato che la cosa gli era ben nota, "Siamo stati scelti personalmente dai nostri rispettivi Maestri: nel mio caso, Yavanna; nel caso di Pallando, Oromë; e via discorrendo. E quando dico personalmente, intendo proprio alla lettera", fece una pausa per sottolineare quel che sarebbe seguito, "Proveniamo tutti da Valinor..."
Si interruppe perché sul viso di Aryon era sbocciato un sorriso trionfante:
"Lo sapevo!"
Nerwen sgranò gli occhi, sbalordita:
"Lo... sapevi?"
Lui si rese conto d'aver fatto un'affermazione eccessiva e corresse il tiro:
"No, non proprio... diciamo che l'avevo intuito. Spiegava molte cose: la tua longevità, la tua reticenza nel dichiarare da dove venivi, la tua agilità, la tua capacità di comunicare direttamente con una Valië... e soprattutto il fatto che ti vedo contemporaneamente sul piano visibile e su quello invisibile."
"Oh", fece lei, momentaneamente ammutolita: aveva sottovalutato l'acume di suo marito e se ne vergognò; poi ripensò a quello che aveva detto esattamente, "La mia... agilità?"
"Sì: ti ho vista, seppure solo di sfuggita, quella notte in cui gli Esterling ci hanno attaccato e presi prigionieri", spiegò Aryon, "e mi sono tornate in mente le parole di Meledhiel a proposito della tua velocità di movimento, alle quali al tempo non avevo dato peso. Le due cose messe insieme, però, mi hanno fatto pensare che potevi essere un'Elfa. Ora che l'hai confermato, sono enormemente sollevato di sapere che hai la vita dei Primogeniti."
Lei fece per annuire, poi esitò, rendendosi conto che lui aveva interpretato la cosa nella maniera più ovvia, senza sapere che era sbagliata; scosse la testa.
"Non sono un'Elfa", disse piano. Il principe Avar corrugò la fronte, perplesso.
"Non sei un'Elfa? E allora cosa..."
Le parole gli morirono in gola mentre alla sua mente si presentava l'unica alternativa possibile; raddrizzò la schiena per lo stupore.
"Sei... una Maia. Come mio padre."
Non era una domanda, bensì un'affermazione.
Nerwen annuì adagio una volta.
"È così", confermò.
Aryon era basito. Si era convinto che Nerwen fosse un'Elfa d'alto rango in incognito, forse una principessa dei Noldor – dato il colore dei suoi capelli – che aveva valicato Belegaer su incarico di Yavanna, diventando una Istar; ma che fosse addirittura un'Aini non lo aveva davvero immaginato.
"Caspita", borbottò, incapace di pensare a qualcosa da dire che avesse senso compiuto.
Nerwen tacque, consapevole che il marito doveva elaborare l'informazione. Sperava ardentemente che non sarebbe cambiato nulla, tra loro; ovviamente il sentimento che li univa sarebbe rimasto inalterato, perché nulla poteva modificare il fatto che loro due fossero compagni per la vita, ma se Aryon si fosse sentito in soggezione davanti a lei, ora che sapeva chi era davvero, il suo atteggiamento avrebbe potuto mutare. Tuttavia, era figlio di un Maia e quindi apparteneva lui stesso per metà a quella stirpe, perciò aveva fiducia che non si sarebbe sentito in stato di inferiorità. Non troppo, perlomeno; né riteneva che dovesse averne motivo: sebbene consapevoli della loro superiorità, gli Ainur non si ritenevano migliori dei Figli di Ilúvatar, essendo loro stessi Sue creature, né più né meno di Elfi e Uomini. O, per estensione, di olvar e kelvar, soggiunse tra sé, battendo affettuosamente sul fianco di Túdhin, che frattanto si era allungato sul pavimento, la testa posata sulle zampe anteriori.
Poi Nerwen vide Aryon corrugare nuovamente la fronte e si tese, nonostante tutto temendo una reazione negativa.
"Com'è che vedo te su entrambi i piani, quello visibile e quello invisibile, ma non Pallando? È una cosa che mi sono sempre chiesto, perché è un Istar anche lui, no?, e quindi, un Maia come te..."
Per poco Nerwen non si afflosciò su se stessa per il sollievo: se Aryon stava pensando ad altro che al fatto che lei fosse un'Aini, per quanto di rango minore, era un sicuro segno che non si sentiva intimidito da lei; non in modo significativo, almeno.
"Sì, lo è infatti", confermò, "ma gli Istari che sono stati mandati in origine sono stati diminuiti molto più di quanto sia stata io. È per questo che lui, come gli altri miei colleghi, non può essere visto camminare in entrambi i mondi: hanno dovuto rinunciare a molti più poteri di quello che ho dovuto fare io. Ad esempio, gli altri Istari hanno un corpo mortale: invecchiano, seppure molto lentamente; e possono venir uccisi, mentre io no... Infatti mi spiace in modo particolare che tu ti debba essere preoccupato per la mia vita quando in realtà non era necessario, perché non posso essere uccisa", concluse, abbassando il capo a indicare il proprio sconforto per avergli dovuto infliggere quell'angustia.
Di nuovo, Aryon tacque, meditando sull'informazione.
"Vuoi dire che quella volta che Meledhiel ti ha ferita... e prima di lei quel contrabbandiere, e poi il Balrog... sono stato mortalmente in ansia per niente?", domandò lentamente. Nerwen sentì un nodo stringerle la gola; annuì con una smorfia amara.
Il principe Avar se n'accorse e comprese che lei era molto afflitta.
"Non mi fa piacere", ammise con sincerità, "ma poiché il veto ti è stato posto dai Valar, capisco che tu non abbia voluto né potuto tradire la loro fiducia rivelandomelo. Del resto, mi avevi ben detto che c'erano cose di cui non potevi parlarmi, e io ho liberamente accettato questa limitazione. Sarebbe molto ipocrita da parte mia risentirmi adesso per questo... anche se, lo ammetto, non è facile per me accettare di essermi angosciato a morte per niente; eppure, allo stesso tempo sono sollevato che sia così, perché è la conferma che potremo passare l'eternità insieme, cosa che inizialmente ritenevo impossibile..."
Le sfiorò il braccio in una carezza rassicurante. Ci sarebbe voluto del tempo prima che si abituasse alla consapevolezza che Nerwen era molto di più di quanto aveva immaginato, ma di una cosa era comunque certo: lei era la sua compagna per la vita e, qualunque fosse la sua vera natura, quello era un dato di fatto che non poteva cambiare per nessun motivo al mondo, così come il suo amore per lei. Tutto il resto era secondario. Doveva solo ricordarsene per non sentirsi a disagio con quel nuovo, inaspettato stato di cose.
"E ora che la tua missione è completata...", proseguì, esitante, "che cosa farai?"
"Sono libera di tornare a Valinor", rispose Nerwen, guardandolo negli occhi, "ma lo farò soltanto se tu vorrai venire con me. In caso contrario, rimarrò nella Terra di Mezzo. Perché quello che mi interessa più di qualsiasi altra cosa è stare insieme a te; il dove non ha importanza."
Aryon ricambiò il suo sguardo, colpito: Nerwen era davvero disposta a rinunciare al Reame Benedetto per lui? Ma certo, si rispose: lui aveva già rinunciato alla propria casa per lei. Era soltanto logico che lei fosse pronta a fare altrettanto.
"Ci... penserò", rispose con cautela.
"Non è una decisione facile", confermò Nerwen assennatamente, "ma non c'è nessuna fretta. Nell'immediato, potremmo tornare a Bârlyth e rimanervi per un po', finché non sarai in grado di prendere una decisione a ragion veduta. Diciamo un anno? O di più, se sarà necessario..."
Aryon assentì: era una buona idea, tornare a casa per testare i propri sentimenti e vedere se preferiva rimanere lì oppure partire con lei alla volta delle Terre Imperiture.
"Lady Nerwen? Lord Aryon?", giunse una voce dall'esterno, che riconobbero per quella dell'attendente di Pallando, una giovane donna di nome Melvina. Túdhin rizzò le orecchie ma, identificata la voce, si rilassò.
Il principe si alzò e scostò il lembo della tenda:
"Sì?"
"Sire Pallando vi invita ai festeggiamenti per la sconfitta di Sauron", lo informò Melvina, "Ci sarà un banchetto, e poi musica e danze. Niente di molto elaborato", aggiunse in tono di scusa, "ma faremo del nostro meglio con le risorse dell'accampamento."
Fin dal principio, appena conquistata Ichidoragon, il triplice esercito aveva evitato di appropriarsi con la forza delle vettovaglie degli Esterling, acquistandole regolarmente tramite baratto o denaro, ciò che era stata una tra le cose che avevano contribuito a conquistare il rispetto degli sconfitti. Anche stavolta non avrebbero fatto eccezione, sebbene avrebbe potuto essere facilissimo impadronirsi di qualsiasi cosa avesse loro fatto comodo.
"Grazie", disse Aryon, "Quando ci aspetta?"
"Alla campana del mezzogiorno", rispose la donna, "nella sua tenda."
Il principe fece cenno d'aver capito e si ritirò; tornato a sedersi accanto a Nerwen, le riferì dell'invito.
"Questo è certamente un evento degno d'essere festeggiato", commentò l'Aini, "Stento ancora a crederci... è una cosa talmente... talmente..."
Si interruppe, incapace di trovare la parola adatta.
"Immensa", suggerì Aryon, che si sentiva allo stesso modo, "e, francamente, pure inaspettata. Io...", scosse la testa, "ovviamente speravo che succedesse, ma non ci credevo veramente, considerando l'enormità delle forze che Sauron aveva messo in campo..."
Si accorse di non aver esitato a pronunciare esplicitamente il nome del Nemico, adesso che era stato sconfitto: la superstizione della sua gente che portasse male citare Sauron apertamente, già irrazionale di per sé, ora non aveva proprio più alcun motivo di essere.
"Mancano ancora un paio d'ore prima dell'inizio dei festeggiamenti.", considerò Nerwen, "Se vuoi chiedermi qualsiasi cosa, ora che sono libera di dirti tutto, ti prego di non esitare."
Lui ci pensò su.
"Pallando sa di essere un Ainu?", domandò.
"Solo perché gliel'ho detto io, quando abbiamo parlato da soli la prima volta", rispose lei, "Prima di allora non ne aveva idea, a causa della sua amnesia. Dire che è rimasto sorpreso è un eufemismo..."
"Ci credo", borbottò Aryon, "come me scoprire d'essere sposato con una Maia..."
Le spalle di Nerwen si afflosciarono mentre sul suo viso si dipingeva un'espressione abbattuta; accorgendosene, il principe si affrettò a rassicurarla:
"No, no, non ti sto biasimando! Sto solo sottolineando il mio grado di sbalordimento, che non è certamente inferiore a quello di Pallando. Per il resto... Nerwen, io ti amo, esattamente come prima. Questo non può cambiare. Solo che...", s'interruppe, colto da un imprevisto attacco di ilarità, "Per lo scudo di Oromë, e io che ti avevo presa per una spia del Dorwinion!"
La Istar rammentò il loro primo incontro, sulla costa del Mare di Rhûn e, guardandolo sghignazzare, si sentì così sollevata da cominciare a ridere anche lei.
"Già!", esclamò, "A momenti ci prendevamo a legnate..."
Quell'espressione aumentò il divertimento di Aryon, che rise più forte, annuendo.
Quando le loro risate si calmarono, il principe le rivolse il suo tipico piccolo sorriso.
"Avrei dovuto prenderti prigioniera seduta stante", dichiarò, "ma fin da subito ho sentito che eri speciale. Certo non avrei mai immaginato quanto, ma... eccoci qua", concluse. Fece una breve pausa di silenzio, mentre pensava ad un'altra domanda.
"E Thilgiloth?", chiese poi.
"Come avevi già capito, non è affatto una mearh", gli svelò Nerwen, "Appartiene alla razza dei Corsieri, i cavalli di Aman, come Nahar", aggiunse, citando lo stallone di Oromë.
"Sì, è chiaro", annuì il principe: alla luce della rivelazione delle vera natura di Nerwen, pensò, era solamente ovvio che Thilgiloth non fosse una semplice, per quanto splendida, esemplare dei mearas, come del resto aveva capito da un pezzo.
"E Túdhin?", domandò ancora Aryon, "Lui sa chi sei?"
Il lupo, sentendo il proprio nome, sollevò il capo e sbatté la coda per terra; Nerwen gli lanciò un'occhiata affettuosa, poi tornò a guardare il marito.
"Sì; ricordi che, quando è arrivato, ti ho detto che le nostre anime si sono riconosciute perché eravamo stati amici in un'altra vita?", il principe assentì, "Un'altra vita sua, beninteso, perché lui non è immortale. Ci siamo incontrati durante la Prima Era, una volta che mi ero recata nel Beleriand a trovare mia sorella. Andavo spesso a farle visita nel suo regno."
Aryon colse il parallelismo ed inarcò un sopracciglio.
"Anche tu hai una sorella regina?", si informò.
"Lo era... Melian, regina del Doriath. Suo marito era Elu Thingol, e la loro figlia era Lúthien Tinúviel."
Lo sguardo di Aryon divenne vacuo mentre vecchi ricordi di saghe e leggende udite nell'infanzia affollavano la sua mente. Gli Avari, volontariamente e ostinatamente isolati dai Sindar e da tutte le altre stirpi elfiche, sapevano poco della storia remota della Terra di Mezzo e ne conoscevano soltanto pezzi e bocconi; tuttavia, i fatti principali erano loro noti, seppure in forma molto ridotta ed approssimativa; tra essi, i personaggi citati da Nerwen avevano un ruolo di primaria importanza.
"Tua sorella è Melian la Maia...?", fece, senza celare il proprio rinnovato sbalordimento, "Oh beh... suppongo che, come ho visto gli Istari e gli Ent saltar fuori dai miti, lo stesso possa essere per altri personaggi leggendari", guardò la moglie, improvvisamente colpito da un altro pensiero, "Hai visto la nascita stessa di Arda... di più, hai partecipato alla sua creazione!"
"Ho cantato nell'Ainulindalë, sì", confermò Nerwen, "ma la creazione concettuale è di Ilúvatar..."
"Hai... hai visto l'Uno?", ansimò Aryon, ancor più basito, "Ma certo, che domanda... Egli vi ha creati dalla Sua mente", trasse un profondo respiro, sentendosi all'improvviso sull'orlo di un baratro, "Io... mi sto rendendo conto adesso che tra me e te c'è una distanza incommensurabile..."
Nerwen trattenne il respiro: alla fine era accaduto quello che temeva, ovvero che Aryon si lasciasse intimidire dalla loro differenza di origine.
"Meno di quanta ce ne poteva essere tra tuo padre e tua madre", gli fece notare, "o tra Melian e Thingol. Ricordati che per metà anche tu sei un Maia."
Attese col fiato sospeso; gli occhi del principe Avar divennero vacui mentre meditava su quell'affermazione.
"Hai ragione, "disse infine, lentamente, "E poi infine quello che conta... l'unica cosa che conta realmente, è che siamo stati creati l'uno per l'altra. Nient'altro ha importanza, non veramente. Continuo a ripetermelo, ma... è difficile", sospirò, "Sono... deluso di me stesso: ero convinto che non mi importasse niente di chi tu fossi, o cosa, o da dove venissi... ho immaginato di tutto, o così credevo, e davvero non mi importava, lo giuro! Ma forse, finché l'idea era confinata nell'immaginazione era una cosa, e adesso che sono confrontato con la realtà, fallisco...", scosse la testa, "Temo che mi ci vorrà del tempo..."
Nerwen sentì un groppo formarsi in gola e lo deglutì.
"Sei... risentito?", indagò, parlando sottovoce.
Aryon la guardò, genuinamente sorpreso.
"No!", esclamò vivacemente, "Non è stata una tua scelta. Ti era stato proibito... era un divieto che nessuna persona leale come te potrebbe infrangere. Neppure io avrei potuto farlo, per lo stesso motivo. E poi, mi avevi avvertito. Non posso essere risentito. Stupefatto, sì. Impressionato, anche. E pure un tantino disorientato. Forse perfino intimidito. Ma...", il suo sguardo si addolcì, "te lo ripeto, io ti amo; e so che tu ami me... e non mi interessa nient'altro, in fondo."
"Se tu dovessi in qualche modo sentirti a disagio, dimmelo", lo pregò lei, prendendogli la mano, "Non voglio che ci siano ombre, tra di noi."
"Neppure io lo voglio", le assicurò Aryon, "e non vedo come possano essercene, adesso che sono libero di chiederti tutto...", le sorrise, "Raccontami di casa tua..."
La Maia allora gli parlò dei suoi giardini, situati nel profondo sud di Aman, tra i Pascoli di Yavanna e i Boschi di Oromë; dei Passaggi di Mandos, che consentivano di spostarsi con rapidità per tutto il continente; della sua casa che in realtà era una grotta trasformata in dimora, con il lichene fosforescente a illuminarne le stanze interne e la sorgente termale che forniva acqua calda a volontà; delle città di Valinor – Valimar, Tirion, Alqualondë – e degli altri luoghi di cui Aryon aveva sentito parlare, come i Giardini di Lórien, dove si trovava pace e rigenerazione di corpo e spirito feriti, e le Aule di Mandos, dove si recavano le anime di Elfi e Nani, tappezzate degli arazzi di Vairë e di Míriel, la sua ancella, colei che era stata la madre di Fëanor, il creatore dei Silmaril, i gioielli che tanto dolore avevano causato ad Ainur ed Eldar, ma indirettamente anche a Uomini e Nani. Gli narrò di Melian e di Yavanna, della sua stretta amicizia con Olórin e con Galadriel, ma non gli parlò di Calion perché era considerato inopportuno menzionare i passati amici amorosi, a meno che non ci si imbattesse in loro, così com'era accaduto con Meledhiel a Kopellin; per lo stesso motivo, avrebbe omesso di raccontare di Thorin Scudodiquercia, di Beriadir e delle altre amicizie amorose che aveva avuto durante la sua lunghissima vita.
Aryon rimase ad ascoltarla, quasi senza respirare, incantato dalle descrizioni che lei gli faceva delle Terre Imperiture.
Il lungo racconto venne interrotto quando si udì la campana del mezzodì, segnale che li chiamava nella tenda di Pallando.
"Ho parlato per quasi tre ore... spero di non averti rintronato con le mie storie!", esclamò Nerwen tra il divertito e il preoccupato.
"Al contrario", la rassicurò Aryon, "sono incredibilmente affascinanti. È stupefacente pensare che hai chiacchierato con Oromë Aldaron e di tutti gli altri Valar e Maiar", concluse, nella voce una traccia dello sbigottimento che, ancora per lungo tempo, lo avrebbe preso ogni volta che considerava il retaggio della moglie, "ma, più che di loro, mi interessa di te, della tua vita, delle tue imprese...", concluse.
"Non è che io abbia compiuto chissà quali imprese", protestò Nerwen mentre si alzavano per uscire, "ma ti racconterò tutto, finché i tuoi orecchi non chiederanno pietà!", terminò ridendo e facendo ridere anche Aryon. Túdhin si infilò dietro di loro, tallonandoli fin dentro la tenda del re, dove sapeva di essere il benvenuto.
Durante il tragitto verso l'alloggio da campo di Pallando, notarono che il sole splendeva e che la temperatura era molto mite, al contrario che all'alba quando il freddo vento di tramontana li aveva costretti a indossare i mantelli. Nerwen fu lieta d'aver messo il suo abito verde, le cui maniche erano staccabili; Aryon si tolse la giubba nera, rimanendo con la sola camicia.
Nella propria tenda, Pallando aveva fatto allestire un tavolo imbandito per sé ed i suoi ospiti, che includevano anche Grellon e Voranya, nonché i più alti ufficiali di tutti e tre gli eserciti, per un totale di sedici persone. Aryon e Nerwen, che erano i più vicini di tenda, erano stati i primi ad arrivare. A rigore, anche Fimbrethil e la sua nuova vice, Olbranch, avrebbero dovuto partecipare, ma la cosa era logisticamente impossibile per la loro mole; inoltre non avrebbero potuto condividere il loro cibo, dato che si nutrivano in modo completamente diverso.
"Come hanno preso la caduta di Sauron, gli Esterling?", chiese Aryon a Pallando, dopo averlo salutato.
"L'Imperatrice Sumire ha una faccia di bronzo assolutamente impenetrabile, quando vuole", riferì lo Stregone, tra il divertito e il seccato, "Sono andato personalmente a riferirle la notizia e lei è rimasta impassibile."
"Ma avrà pur detto qualcosa", insistette il principe.
"Mi ha semplicemente ringraziato per l'informazione e mi ha chiesto se poteva mandare delle staffette incontro all'esercito esterling – o quel che ne sarà rimasto – di rientro da Gondor. Le ho detto di sì, a patto che fossero accompagnati da un numero doppio di miei uomini. La cosa non le ha fatto piacere, ma non le ho lasciato scelta."
"La prudenza non è mai troppa", concordò Aryon.
Pochi minuti dopo, erano arrivati anche tutti gli altri, così presero posto, Nerwen ed Aryon alla destra di Pallando, Voranya e Grellon alla sinistra, gli altri in ordine casuale.
Nonostante l'improvvisazione e la relativa scarsezza di vettovaglie, i convitati mangiarono in abbondanza, così come avvenne per le truppe, seppure in maniera meno elaborata. Dapprima venne servita una zuppa di carote e patate, insaporita con porro ed erba cipollina; seguirono asparagi lessati serviti con uova sode schiacciate e ridotte in purea e piselli al burro e scalogno; poi arrivò del filetto di maiale arrosto accompagnato da carciofi all'aglio e prezzemolo, e da un tubero simile alla patata chiamato elianto, del tutto sconosciuto oltre gli Orocarni, saltato in padella con aglio e rosmarino. Il tutto venne generosamente annaffiato del vino prodotto nei dintorni di Ichidoragon, la cui qualità, in confronto al pregiato vino del Dorwinion, era assai inferiore, ma accettabile.
Il banchetto terminò con un dolce alle pere e cioccolato che, per la gioia di Nerwen, venne accompagnato da sidro dolce.
Quando ebbero finito, furono invitati fuori, dove si udivano già flauti, salteri, ghironde e cetre, che suonavano allegri motivi al ritmo di tamburi e tamburelli. Aryon approfittò della propria conoscenza delle danze yorvar per accompagnare Nerwen in allegre farandole e vivaci pive; si divertirono molto ballando fino a pomeriggio inoltrato, mentre veniva offerto pane, formaggio, salumi ed altro vino e sidro.
Ad un certo punto, Aryon si ritrovò ad osservare la moglie che danzava un brioso saltarello, condotta da Grellon che si era rivelato un ottimo ballerino; i loro occhi si incontrarono e lui le rivolse il proprio tipico sorriso quieto, che lei ricambiò con occhi splendenti. Gli sembrò come se il sole declinante raddoppiasse la propria luminosità e questo, più di qualsiasi altra considerazione, gli fece capire come la rivelazioni di quel mattino, pur avendolo colpito profondamente, non erano neanche lontanamente importanti quanto il sentimento che li univa.
Attese che la danza terminasse, poi andò a prendere Nerwen e la condusse per mano fuori dalla calca, allontanandosi dal luogo dei festeggiamenti. Una volta tra le tende, fuori vista, la prese tra le braccia e la strinse amorevolmente.
"È tutto oggi che non ti bacio", le mormorò. Lietamente sorpresa, Nerwen gli circondò il collo con le braccia – nude perché si era liberata delle maniche, che ballando le facevano sentire troppo caldo – e si abbandonò contro il suo petto, sollevando il viso sorridente verso quello di lui.
Il bacio iniziò teneramente, un delicato incontro di labbra carezzevoli; poi si approfondì e divenne più passionale mentre le loro lingue si sfioravano, vezzeggiandosi ed intrecciandosi in una danza ad un tempo dolce e sensuale. Nerwen sentì le ginocchia diventare molli mentre il cuore iniziava ad accelerare i battiti; si aggrappò alle ampie spalle del marito, mentre un caldo brivido le percorreva lentamente la spina dorsale.
Aryon la strinse più forte mentre continuava a baciarla con sempre maggior trasporto. Le prese il volto tra le mani e si staccò un momento per guardarla; percependo il suo sguardo, la Maia aprì gli occhi e li tuffò nei suoi, annegando felicemente in essi.
"Valar benedetti, quanto ti amo...", sussurrò con voce traballante.
"Luce della mia vita...", bisbigliò lui di rimando, "Ti amo immensamente anch'io", aggiunse, prima di tornare a chinarsi sulle sue labbra. Si baciarono con ardore crescente, divorando l'uno la bocca dell'altra in modo sempre più fervido. Aryon scese con le mani ad accarezzarle la schiena, poi scivolò più in basso, l'afferrò per i fianchi e la premette contro di sé. Per tutta risposta, Nerwen sollevò una gamba, l'agganciò dietro a quella di lui e gli si strofinò addosso. Lo sentì gemere e stringerla ancor di più, quasi togliendole il fiato.
"Andiamo via di qui...!", lo esortò, non appena poté parlare.
"Buona idea", approvò lui con voce rauca. Intrecciando la mano con la sua, palmo contro palmo, Nerwen si mosse; con sua sorpresa, Aryon si accorse che non lo stava conducendo alla loro tenda, bensì verso il bosco che fiancheggiava l'accampamento, in cui erano stati sepolti i resti carbonizzati delle cinque Entesse uccise; il calore della giornata era penetrato anche tra gli alberi, scaldando notevolmente l'aria. Si addentrarono nel bosco per un centinaio di metri, finché i suoni dei festeggiamenti non si spensero in lontananza.
Nerwen si guardava attorno, cercando un posto che la soddisfacesse; finalmente vide un grande faggio dalla liscia corteccia grigio chiaro, tra le cui radici si era formato un morbido letto di foglie e muschio. Si voltò a guardare il marito con un sorrisetto pieno di promesse.
"Siediti", lo invitò, indicando. Aryon sentì un caldo palpito mentre già immaginava cosa stava per accadere; obbedì e si sedette con la schiena appoggiata al tronco.
"Ricordi la nostra prima volta, quando ti ho detto che sarei stata disposta a farti mio a costo di legarti ad un albero?", gli domandò Nerwen, facendosi spazio tra le sue gambe ed inginocchiandosi tra di esse.
"Sì che lo ricordo", confermò il principe; non avrebbe mai scordato un singolo minuto del glorioso momento della loro prima unione, "e ricordo anche d'aver detto che era un'idea stuzzicante...", aggiunse, con intenzione.
"Non ho nulla con cui legarti... ma possiamo far finta che sia così", sussurrò lei e, mentre il suo sorriso si faceva più malizioso, gli afferrò i polsi e gli sollevò le braccia. Lui alzò lo sguardo nel suo e ricambiò il sorriso con uno di altrettanto sornione.
"Ma così non posso abbracciarti", osservò sottovoce.
"Hai ragione", mormorò lei, "Allora non fa niente..."
Gli lasciò i polsi e si chinò in avanti, coprendo le sue labbra con le proprie. Prontamente Aryon la circondò con le braccia e schiuse la bocca per accogliere il suo bacio; ma lei indugiò, mordicchiandogli teneramente il labbro inferiore, per poi accarezzarlo con la punta della lingua. Rifiutando di farsi provocare, lui stette al gioco e la lasciò fare, ma quando Nerwen fece per approfondire il bacio, la contraccambiò con la stessa moneta. Dopo pochi istanti la udì emettere un mugolio frustrato ed allora, sorridendo segretamente tra sé, l'accontentò, invadendo amabilmente la sua bocca.
Si baciarono lentamente, in quella maniera insieme tenera e passionale che soltanto due persone profondamente innamorate possono avere, non soltanto contatto di labbra e lingue, ma comunicazione profonda di sentimento ed emozione, mutua adorazione, accettazione integrale l'uno dell'altra.
Si staccarono ed i loro occhi si incontrarono; nei loro sguardi brillavano amore, desiderio, commozione, tenerezza.
"Ti amo, Nerwen."
"Ti amo, Aryon..."
I loro bisbigli amorosi quasi si sovrapposero e quel sincronismo era segno della loro intesa, della loro sintonia di pensiero e di sentimento.
Nerwen posò la fronte contro quella di Aryon ed un'intensa sensazione come di pizzicore passò dall'una all'altra, proprio tra le sopracciglia; le loro labbra si curvarono in un sorriso simultaneo di intesa e complicità.
Comprendendosi senza bisogno della comunicazione verbale, si scostarono e cominciarono a slacciarsi reciprocamente gli abiti, Aryon il corpetto di lei, Nerwen la camicia di lui. Il principe si sporse in avanti e le posò le labbra alla base della gola, accarezzandone la pelle delicata. Nerwen piegò il capo all'indietro dandogli completo accesso, i lunghi capelli che cadevano a cascata sulla schiena, e con un piccolo sospiro gli circondò la testa con le braccia.
Abbassando il bustino, il principe le scoprì il seno e lo prese tra le mani con reverenza; contro la destra sentì riverberare i battiti accelerati del suo cuore. D'impulso si chinò, posandole l'orecchio sopra il seno sinistro, e la racchiuse tra le braccia per stringerla contro di sé, rimanendo in ascolto per lunghi istanti.
Commossa da quel gesto inaspettato, Nerwen gli accarezzò piano i capelli. Poi Aryon tornò a muoversi, baciando le soffici rotondità vicino alle proprie labbra, chinandosi ulteriormente fino a prendere in bocca un apice eccitato. Lei affondò le dita tra i suoi capelli e gemette di piacere mentre lo sentiva suggere e lambire dolcemente quel punto sensibile. Si ritrasse e lo respinse leggermente, infilando le mani nella scollatura della sua camicia per accarezzargli il torace; percependo le pulsazioni affrettate del suo cuore, imitando quel che aveva fatto lui prima si chinò ed appoggiò l'orecchio sopra di esso per ascoltare, passando le braccia dietro alle sue spalle. Aryon le posò una guancia sulla testa, accarezzandole i capelli, mentre un nugolo di farfalle si agitava nel suo stomaco.
L'Aini chiuse gli occhi, un fremito che la scuoteva nel più profondo del suo essere, tanto fisicamente che spiritualmente. Il desiderio di lui, di unire i loro corpi così com'erano uniti i loro cuori e le loro anime, divenne imperativo, accendendole un fuoco nel ventre. Si risollevò e si mosse tra le gambe di Aryon, posizionando le proprie sopra le sue; il principe percepì l'impennata del suo desiderio e per riflesso sentì il proprio acuirsi ancor di più.
"Cuor mio...", mormorò, sollevandole la gonna per accarezzarle l'esterno delle cosce, lentamente, su fino ai fianchi e poi dietro sui glutei, per infine ridiscendere verso le ginocchia, di cui sfiorò la sensibile parte posteriore.
Con dita tremanti, Nerwen cominciò a disfare i lacci che gli chiudevano i pantaloni, trovando qualche difficoltà a causa del gonfiore che vi premeva contro dall'interno; alla fine riuscì ad aprire l'indumento e poté accarezzare la calda e solida carne della sua virilità.
Sentendosi toccare intimamente, Aryon chiuse gli occhi e sospirò, deliziato. Mosse le mani, stavolta sulla serica pelle dell'interno delle gambe di lei, risalendo adagio verso l'ardente centro del suo corpo. Tornò a socchiudere le palpebre e le cercò le labbra per un altro bacio; sfiorò garbatamente il fulcro della sua femminilità e la udì gemere, poi la toccò con maggior decisione e sentì con soddisfazione che il calore aumentava. Continuò ad accarezzarla, beandosi dei suoi crescenti lamenti di piacere.
Nerwen si sentiva ardere sempre più violentemente. Era vero che Aryon era capace di infiammarla di desiderio con uno sguardo, un tono allusivo, un gesto; ma adesso che non c'era più alcun segreto tra loro, era in qualche modo diverso, più intenso, più profondo. Il bisogno di congiungersi a lui si acutizzò ulteriormente e divenne intollerabile, al punto che si strappò alle sue labbra e si sollevò, annullando completamente lo spazio ormai esiguo rimasto tra i loro corpi, poi si abbassò su di lui, guidandolo dentro di sé. Aryon l'afferrò per i fianchi ed alzò il bacino per incontrarla; mentre i loro corpi si fondevano in uno solo, all'unisono emisero un gemito tanto di piacere quanto di commozione.
Le braccia attorno al collo del marito, Nerwen si mosse, spingendo e ritirandosi ritmicamente nell'eccitante, emozionante danza dell'amore, mentre Aryon rispondeva in controtempo, ampliando il movimento ed accrescendo il piacere reciproco. Il calore sprigionato dai loro corpi congiunti andava molto oltre alla mera sensazione fisica: circondava le loro anime, si infondeva nei loro cuori, incantava le loro menti. Il mondo attorno a loro scomparve, c'erano soltanto loro due divenuti uno, braccia attorcigliate, bocche saldate, sospiri e gemiti che erano musica per gli orecchi l'uno dell'altra, il respiro spezzettato e sempre più erratico, mentre i loro corpi ondeggiavano in perfetta armonia al ritmo eterno dell'amore.
Il piacere aumentò, accumulandosi nelle loro viscere, salì, salì ancora in un crescendo sempre più frenetico; i loro movimenti accelerarono in conseguenza, così come il battito dei loro cuori, la frequenza dei loro respiri, il volume dei loro lamenti amorosi. Aryon ritrasse leggermente la testa, desideroso di guardare il volto di Nerwen trasfigurarsi nel momento culminante; lei ricambiò il suo sguardo, poi il piacere si intensificò all'improvviso, raccogliendosi nel suo grembo nell'imminenza dell'esplosione, facendole chiudere irresistibilmente gli occhi, senza fiato. Nello stesso momento anche Aryon sentì l'acme approssimarsi rapidamente e si tese. Raggiunsero la vetta insieme, invocando reciprocamente i loro nomi, sussultando nelle convulsioni dell'orgasmo, godendo del proprio piacere tanto quanto di quello dell'altro, donandosi interamente e ricevendo altrettanto.
Lentamente, gli spasmi del vicendevole appagamento si placarono, mentre continuavano a tenersi stretti l'uno all'altra. La luce del giorno stava scemando e il crepuscolo calava rapidamente nel bosco, così come la temperatura, ma per lunghi minuti non se n'accorsero neppure, ancora uniti e smarriti nella loro beatitudine amorosa.
Infine Nerwen percepì il fresco vespertino e rabbrividì tra le braccia del marito. Lui se ne rese conto e si affrettò a sollevarle il bustino.
"Sarà meglio rivestirci", la esortò. Non senza riluttanza, si separarono, rimettendo in ordine gli abiti, e si avviarono per tornare all'accampamento, mano nella mano, scambiandosi frequenti occhiate colme d'amore.
Ad entrambi pareva di camminare a dieci centimetri dal suolo.
Due settimane più tardi, gli esploratori mandati a cercare quanto poteva esser rimasto dell'esercito esterling che aveva combattuto davanti a Minas Tirith tornarono con la desolante notizia che esso era stato pressoché sterminato, essendo sopravvissuti meno di cento fanti, che stavano lentamente rientrando.
Portarono anche un'altra notizia, che fece immensamente piacere a Nerwen: Gondor aveva nuovamente un re, Aragorn figlio di Arathorn, che aveva assunto il nome di Elessar. Non era ancora stato ufficialmente incoronato, ma i gondoriani lo avevano già accettato perché la sua pretesa al trono pareva assolutamente legittima. E non era tutto: al suo fianco c'era sempre uno Stregone abbigliato di bianco chiamato Gandalf.
Solo in quel momento, la Istar si rese conto che durante il suo incontro con i Valar in Mahanaxar non avevano parlato di Mithrandir, se non per l'accenno finale che lei e tutti gli Istari sopravvissuti erano i benvenuti, quando avessero voluto tornare a Valinor. Avrebbe dovuto essere un indizio, ma in quel momento era stata talmente stordita dalla gioia della vittoria su Sauron che non ci aveva fatto caso.
"Lo sapevo che non era morto!", esultò; poi corrugò la fronte, "Come sarà che da Grigio è diventato Bianco? E Saruman, allora...?"
Ma per il momento dovette tenersi la propria curiosità.
A quel punto, Pallando decise che il triplice esercito poteva tranquillamente tornare a casa; così, la mattina del decimo giorno di aprile, levarono le tende e si misero in marcia. Accompagnata da una scorta d'onore, l'imperatrice Sumire si unì alla colonna, a garanzia che gli Esterling non avrebbero attaccato per rappresaglia gli eserciti in pacifica ritirata: anche se dichiaravano rispetto per il nemico, Aryon non si fidava di loro e così Pallando si attenne al piano originario che aveva esposto a Murai, il predecessore di Sumire, pertanto l'imperatrice e i suoi famigliari sarebbero venuti con loro fino al guado del Lavnen, dove avrebbero assistito all'attraversamento e poi sarebbero stati liberi di tornare indietro. Quel che Pallando tenne per sé, su suggerimento di Nerwen, fu che avrebbe usato su di loro e sulla loro scorta un incantesimo che li avrebbe fatti dormire per tre giorni, protetti da una barriera energetica dagli attacchi degli animali selvatici che erano gli unici abitanti di quei luoghi sperduti, mentre il triplice esercito si sarebbe ritirato cancellando le tracce del proprio passaggio per non rivelare l'esatta direzione intrapresa. Ciò per evitare ogni possibilità di inseguimento, anche tardivo, da parte di Esterling furiosi per la sconfitta e desiderosi di rivalsa. Era una prospettiva improbabile, dato l'apparente buonsenso della nuova imperatrice, ma non si poteva mai sapere e la prudenza non era mai troppa.
Dopo un giorno di marcia da Ichidoragon e la conferma della retroguardia che non venivano seguiti, Nerwen ed Aryon si prepararono a prender congedo da Pallando. Mentre cenavano insieme per l'ultima volta, la Istar domandò al collega:
"Ora che Sauron è caduto, pensi di tornare nel Reame Benedetto?"
"Ci ho pensato", rispose lo Stregone Blu, gravemente,"ma non ho alcun ricordo di Valinor e perciò non ne ho alcuna nostalgia. Ormai casa mia è lo Yòrvarem e dubito che proverò mai il desiderio di lasciarlo. A meno che per qualche motivo imprevedibile io non riacquisti la memoria, naturalmente, nel qual caso forse potrei cambiare idea."
"Se così fosse, cerca i Porti Grigi", gli ricordò Nerwen, "sulle sponde a nord-est dell'Eriador. Per abbreviare il viaggio, potresti andare a Minas Tirith, dove ci sono navi che fanno la spola con Dol Amroth, da cui potrai salpare alla volta di Mithlond, ripercorrendo il tragitto che a suo tempo hai fatto assieme ad Alatar."
"Se accadrà, farò come suggerisci, amica mia", le assicurò Pallando, poi li guardò entrambi con benevola curiosità, "E voi due, cosa farete, se posso chiedere?"
"Per il momento torneremo a Eryn Rhûn", ripose Aryon, "e decideremo con calma."
"Fate bene", approvò lo Stregone Blu, "Non è una decisione da prendere alla leggera."
Quando il triplice esercito si rimise in marcia, al mattino dopo, Aryon e Nerwen abbracciarono Pallando un'ultima volta e poi con Thilgiloth, Túdhin, Allakos e Kerra si incamminarono verso nord-nord-est, alla volta di Eryn Rhûn. Li accompagnavano Fimbrethil ed Olbranch, che sarebbero venute con loro fino a Bârlyth; poi avrebbero proseguito per Fangorn: era intenzione della Prima Guardiana di invitare Barbalbero e tutti gli Ent a recarsi con loro a Dor-im-Duin per ricongiungersi alle loro compagne, tornando infine ad unificare una razza rimasta separata troppo a lungo.
L'angolo dell'autrice:
Curiosità... alimentare: lo strano tubero simile alla patata che ho chiamato elianto altro non è che il topinambur, nome scientifico helianthus tuberosus.
Che succede frattanto nel libro? ? Il 25 marzo, Frodo e Sam raggiungono Monte Fato e l'Unico Anello viene distrutto, e di conseguenza anche Sauron; mentre il 6 aprile ai due coraggiosi Hobbit vengono resi grandi onori al Campo di Cormallen.
Lady Angel
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