Capitolo LIX: I sovrani di Gondor e Arnor

Capitolo LIX: I sovrani di Gondor e Arnor

Alcuni giorni dopo, Nerwen ed Aryon raggiunsero Gaerlonn, dove presero alloggio nella miglior locanda della città; poi si recarono alla capitaneria di porto, scoprendo che c'era ancora Misselot al comando. Quando entrarono nel suo ufficio, la capitana si alzò per andare loro incontro:

"Lord Aryon, bentornato", esordì l'Elfa castana, "Non credevo che vi avrei mai più rivisto: ero stata informata che non eravate più la Prima Spada della Regina..."

"Né sono tornato ad esserlo", chiarì il principe, "Sono soltanto di passaggio, capitana: ci serve una nave disposta a portarci dall'altra parte del Mare di Rhûn."

"A Gobelamon?"

"No, proprio dall'altra parte", intervenne Nerwen, "il più a occidente possibile."

Misselot la guardò con curiosità; ricordava bene che aveva accompagnato Aryon, la prima volta che era stata a Gaerlonn, e in seguito aveva saputo che lei e il principe si erano sposati. Il mondo era davvero diventato strano, se un Elfo del rango di Aryon prendeva in moglie un'Umana, pensò, seppure una appartenente al semimitico Ordine degli Istari, come aveva appreso; ma non si azzardò a mostrare altro che il rispetto dovuto alla cognata dell'Alta Sovrana.

"È una richiesta molto insolita", osservò, "Temo che dovrete noleggiare un vascello apposta."

"Allora faremo così", concluse Nerwen con una scrollata di spalle, "Come possiamo procedere?"

"In porto ci sono diverse navi; potete recarvi ai moli e interpellare i loro capitani", suggerì Misselot.

"Grazie", rispose Aryon.

"Allora buona fortuna, e buon viaggio", augurò loro la capitana; era ovviamente ignara che non li avrebbe rivisti mai più, né loro si preoccuparano di informarla, dato che non avevano alcuna particolare confidenza con lei. Si limitarono a ringraziarla nuovamente, poi si congedarono ed uscirono.

Complessivamente c'erano undici velieri ormeggiati lungo le banchine. I primi sei capitani che interpellarono non si dimostrarono interessati, avendo già ingaggi da onorare; ma il settimo era libero ed accettò di portarli all'estremità occidentale del Mare di Rhûn dietro adeguata ricompensa. Non fu un problema per loro, dato che, ancora una volta, la regina Eliénna aveva loro concesso credito illimitato.

Tre giorni dopo si imbarcarono. Túdhin non fu affatto entusiasta di salire nuovamente a bordo di un oggetto galleggiante, per quanto grande; neppure Allakos si dimostrò entusiasta, mentre invece Kerra addirittura si impuntò, rifiutando di salire a bordo. Nerwen le parlò, assicurandole che non c'era pericolo, ma occorse del bello e del buono per convincere la mula, la quale infine accettò solamente perché vide tutti e tre gli altri suoi compagni già a bordo. Allora salì la passerella; mantenne un umore fosco per tutto il viaggio, ma almeno rimase tranquilla.

La traversata durò una settimana; il tempo si mantenne bello, a parte un giorno molto ventoso che montò un po' le onde, facendo venire il mal di mare a Túdhin, ma Nerwen lo curò con la taumaturgia e glielo fece passare; comunque il lupo ribadì con forza la propria avversione per qualsiasi cosa galleggiasse.

Alla fine raggiunsero la costa sud-occidentale del mare interno; le operazioni di sbarco, in assenza di un pontile, furono laboriose a causa delle cavalcature, che dovettero essere trasbordate dalla nave alle scialuppe con l'uso di un cabestano e di molte cinghie. Thilgiloth affrontò la cosa col suo consueto piglio deciso e Allakos non volle essere da meno, nonostante fosse alquanto impaurito; quanto a Kerra, sebbene tremasse come una foglia, affrontò l'ordalia senza emettere un suono; alla fine Nerwen la lodò grandemente per il suo coraggio.

Coraggio?, fece la mula, sorpresa, Ma se credevo di morire di paura!

L'hai affrontata e superata, spiegò la Maia, Cosa credi altro sia, il coraggio?

Compiaciuta, Kerra non rispose e si limitò a muovere la lunga coda, spazzando l'aria. Si era sempre ritenuta inferiore ai cavalli, ma da quel giorno fu orgogliosa di se stessa.

Sbarcati, Aryon e Nerwen si congedarono dal capitano e dal suo equipaggio, che sarebbero tornati a Gaerlonn più ricchi di un bel po', dato che il compenso richiesto era stato molto elevato; del resto, avevano rinunciato a due settimane di eventuali viaggi commerciali e in fondo, la tariffa che avevano applicato era quella di due traversate, da e per Gobelamon, pertanto non erano stati troppo esosi.

Salutati i marinai, Aryon e Nerwen si misero in marcia verso sudovest, aggirando l'estrema punta meridionale di una catena di bassi monti che fiancheggiavano l'angolo sudoccidentale del Mare di Rhûn. Il percorso che intendevano seguire li avrebbe portati ad aggirare a meridione le Terre Brune ed a passare attraverso la Dagorlad, la Piana della Battaglia che, alla fine della Seconda Era, aveva visto lo scontro tra l'Ultima Alleanza e le forze di Sauron, terminato con Isildur che si impadroniva dell'Unico Anello tagliandolo dalla mano del Nemico. Sarebbero transitati a poca distanza dal Morannon, l'ingresso a Mordor che ora indubbiamente era stato distrutto, dopo la definitiva disfatta di Sauron; ma sarebbero rimasti comunque estremamente all'erta perché qualche Orco poteva ancora aggirarsi per quei luoghi infelici.

Furono fortunati: nelle due settimane che occorsero loro per attraversare il desolato territorio a nordest di Mordor non incontrarono anima viva, né amica né nemica, esclusi i pochi kelvar che si aggiravano in quella triste contrada.

Infine raggiunsero la strada che dal Morannon, fiancheggiando gli Ephel Dúath, attraversava l'Ithilien Settentrionale in direzione nord-sud, la quale li avrebbe portati ad Osgiliath, l'antica capitale di Gondor ora in rovina, costruita su ambo le sponde dell'Anduin; qui contavano di trovare qualcuno che li potesse traghettare dall'altra parte del fiume, a meno che, nell'anno abbondante trascorso dalla caduta di Sauron, non fosse stato ricostruito almeno uno dei tanti ponti che un tempo collegavano le due rive.

Quando raggiunsero Osgiliath, nel tardo pomeriggio del nove giugno, scoprirono che era presidiata da soldati che vegliavano su una schiera di operai intenti alla ricostruzione. Forse la città non sarebbe tornata agli antichi splendori né al rango di capitale del Regno del Sud, ma almeno avrebbe ritrovato la sua dignità.

Vennero fermati da alcune guardie, che li condussero dal loro capitano, un giovane uomo alto e di bell'aspetto, bruno con penetranti occhi grigi.

"Sono Faramir, figlio di Denethor", si presentò, "Principe d'Ithilien per grazia di re Elessar e della regina Arwen. E voi chi siete, e cosa fate a Gondor?"

Il suo tono era deciso, ma non particolarmente ostile o sospettoso: solamente un guardiano di confine che fa il proprio lavoro.

"Sono Nerwen la Verde", disse l'Aini in tono amichevole, favorevolmente colpita dall'Uomo, "e questo è mio marito, Lord Aryon degli Elfi Kindi di Eryn Rhûn. Sono la zia della regina Arwen, e ho conosciuto re Elessar molti anni or sono a Gran Burrone; desideriamo andarli a trovare."

Faramir si dimostrò blandamente colpito.

"Sei zia della regina Stella del Vespro?", fece, "Vanti una parentela molto elevata: mi perdonerai se, prima di lasciarvi proseguire, farò controllare le tue affermazioni."

"Se è tuo dovere farlo, fallo", interloquì Aryon in tono seccato, mal sopportando che si mettesse in dubbio la parola della moglie o la propria, "ma in fretta."

Faramir si accigliò e Nerwen, temendo un inutile battibecco, intervenne:

"Perdona la bruschezza di mio marito, ma abbiamo alle spalle quasi tre settimane di viaggio e siamo stanchi."

"Capisco", assentì l'Uomo, rilassandosi appena, "Non temete, la nostra ospitalità sarà forse modesta, ma non vi negheremo quel che possiamo offrirvi. In città non ci sono ancora locande funzionanti, ma in compenso le terme sono state rimesse in attività il mese scorso e potrete beneficiarne, se volete. Suppongo che, se avete viaggiato tanto a lungo in terre desolate, vi faccia piacere."

Era una chiara offerta di pace e loro l'accettarono di buon grado, anche Aryon, che aveva deciso che Faramir, in fondo, gli piaceva: non aveva abbassato gli occhi al suo scatto ed aveva risposto a tono, ma senza perdere la calma. Dimostrava carattere e a lui piacevano le persone di carattere.

Si accamparono dunque all'ombra delle mura sbrecciate di Osgiliath, la Cittadella delle Stelle.

"Non mi dispiace ripulirmi per bene, prima di presentarmi a corte", osservò Nerwen mentre si apprestavano a recarsi alle terme, la cui ubicazione era stata loro indicata da Faramir in persona.

"Non spiace affatto neppure a me", concordò Aryon.

L'edificio che ospitava l'impianto termale sorgeva vicino alla riva del fiume, che in quel punto era molto ampio e profondo. Videro che un ponte di pietra bianca a più archi stava venendo restaurato, ma non era ancora attraversabile; accanto ad esso, un ponte di barche faceva da passaggio provvisorio.

"Beh, almeno non dovremo farci traghettare", osservò Aryon, guardando divertito Túdhin, che li aveva seguiti e che già aveva appiattito le orecchie sul cranio in segno di fastidio alla prospettiva di dover ancora una volta porre zampa su qualcosa di galleggiante: sebbene anche il ponte di barche, tecnicamente, galleggiasse sull'acqua, almeno però era fermo.

Il lupo sorvolò sulla lieve presa in giro del suo amico a due gambe e, rassicurato, si rilassò.

"Minas Tirith è laggiù", disse Nerwen al marito, indicando verso ovest la linea delle montagne, gli Ered Nimrais, che costituivano il confine settentrionale di Gondor e oltre i quali era situato Rohan, "Sono soltanto due o tre ore a cavallo."

"Sei emozionata all'idea di rivedere tua nipote e suo marito, vero?", domandò Aryon, prendendola sottobraccio mentre si avviavano.

"Sì, molto... ho la sensazione che abbiano lottato a lungo e duramente per poter vivere il loro amore. Arwen era l'Elfa nubile di più alto rango della Terra di Mezzo e Aragorn – che ora chiamano Elessar – si dev'essere sentito come Beren con Lúthien. E sai una cosa? Quando ho conosciuto Arwen, mi ha confidato che le sarebbe piaciuto vivere una storia d'amore come quella della sua trisavola... ed è esattamente quel che ha avuto", scosse la testa in segno di incredulità, "Il Disegno di Ilúvatar spesso si ripete, ma lo scopo per cui lo fa mi è ignoto."

"La mente del Creatore è imperscrutabile anche per gli Ainur?"

"Sì, è così. Del resto, noi come tutti siamo soltanto Sue creature..."

Il mattino successivo di buon'ora, Faramir venne da loro.

"Il messaggero che ho mandato ieri a Minas Tirith è tornato", annunciò, "Il re Elessar e la regina Arwen vi attendono a palazzo; una guardia al Gran Cancello vi scorterà attraverso la città", porse loro un rotolo di pergamena, "Questo è il vostro lasciapassare."

"Grazie, Lord Faramir", disse Aryon, prendendolo "Partiremo subito dopo colazione."

Così fecero; salutato il Principe dell'Ithilien, attraversarono il ponte di barche e si avviarono sulla strada rialzata che da Osgiliath portava dritta verso Minas Tirith.

Circa un'ora più tardi raggiunsero il Rammas Echor, il grande vallo circolare lungo una cinquantina di chilometri che difendeva il Pelennor, l'area immediatamente attorno a Minas Tirith ricca di campi coltivati, fattorie e villaggi. Superarono la Porta Est esibendo il lasciapassare e cominciarono ad attraversare la piacevole campagna circostante la capitale di Gondor, che portava ancora i segni della devastazione patita durante la battaglia campale di oltre un anno prima, come fattorie bruciate non ancora ricostruite e terreni scuriti dagli incendi.

Dalla Porta Est, la città distava una ventina di chilometri; un'ora e mezzo più tardi giunsero in vista dei suoi candidi bastioni e, per la meraviglia, tirarono le redini delle rispettive cavalcature.

Minas Tirith, l'antica Minas Anor, era una visione davvero degna dei Tempi Remoti: costruita su sette livelli, ricopriva interamente un erto colle – chiamato Amon Tirith – che si protendeva dal fianco orientale dell'imponente monte Mindolluin, arrampicandosi audacemente sui suoi fianchi ed elevandosi strato su strato fino a oltre duecento metri sopra la pianura; ogni strato salvo il più basso era attraversato da uno sperone roccioso simile alla prua di una immensa nave che puntava verso oriente e Osgiliath. Sul livello più alto era situata la Cittadella, dove sorgeva la Torre di Ecthelion, una candida cuspide alta più di novanta metri, sul cui pinnacolo brillante come argento lucidato sventolava un lungo vessillo nero. Avvicinandosi, videro che lo stendardo recava l'insegna di un albero bianco sormontato da una corona alata e da sette stelle, lo stemma di Elendil.

"Non immaginavo che gli Uomini potessero essere capaci di erigere una simile meraviglia", ammise Aryon, decisamente colpito; solo un'altra volta in vita sua aveva provato una sensazione come quella, ovvero quando aveva visto per la prima volta Valfortezza, la città dei Nani Pugniferro.

"L'architettura di Minas Tirith possiede una grazia che si avvicina molto a quella elfica", commentò Nerwen, rammentando i Porti Grigi e Gran Burrone, "perché è stata costruita dagli Uomini di Númenor, che più di tutti tra i Secondogeniti si avvicinano ai Primogeniti per capacità e statura morale; ma oramai la loro razza è quasi svanita. La linea degli Eredi d'Isildur si è mantenuta integra attraverso lunghi secoli, per cui in re Elessar il sangue d'Ovesturia scorre ancora puro, ma pochi altri possono vantare di possederne più di qualche goccia. Più nessuno, oramai, è in grado di costruire cose splendide quanto l'antica Torre del Sole."

Giunti al Gran Cancello, si fermarono ed esibirono il lasciapassare.

"Vi stavamo aspettando", dichiarò una delle guardie, un Uomo dalla corta barba bruna brizzolata, "Prego, seguitemi."

In città, solamente le guardie in servizio e i messaggeri del Re avevano il permesso di circolare a cavallo; per tutti gli altri occorreva un'autorizzazione apposita, che era stata concessa a Nerwen ed Aryon, per cui il soldato si era dotato di una cavalcatura; anche Kerra venne lasciata entrare, mentre Túdhin, come faceva sempre quando si trovavano in luoghi particolarmente affollati, si tenne alle calcagna di Thilgiloth.

Preceduti dalla guardia, dunque, si avviarono lunga la strada principale; in linea d'aria, dal Gran Cancello alla Cittadella sarebbero stati meno di trecento metri ma, per ostacolare eventuali invasori, la strada era stata costruita in modo da dover percorrere grandi tratti di ciascun livello, prima di curvare e tornare indietro, passando ogni volta attraverso lo sperone roccioso tramite una galleria illuminata da lanterne. In tal modo, il percorso si snodava per ben più di un chilometro prima di raggiungere il settimo livello dove, oltre alla Torre di Ecthelion, si trovavano la Casa del Re, il Salone delle Feste, la residenza del Sovrintendente di Gondor, una caserma della Guardia Cittadina ed altre costruzioni minori destinate ad alloggiare ospiti e servitori.

Quando sbucarono dall'ultima galleria, che si affacciava direttamente sul livello più alto, Aryon e Nerwen si trovarono in un grande cortile ai piedi della Torre Bianca, al centro del quale c'era una splendida fontana, situata all'ombra di un giovane albero dalla corteccia candida, le cui foglie erano di un lucido verde scuro sulla parte superiore, mentre sulla parte inferiore erano grigio-argento. Bianchi fiori fitti di petali ne adornavano i rami.

Nerwen rimase a bocca aperta: se non fosse stato per le dimensioni ridotte, avrebbe pensato di trovarsi di fronte a Galathilion, l'Albero Bianco di Tirion, la città dei Noldor a Valinor, fatto da lei e Yavanna a immagine e somiglianza di Telperion, uno dei Due Alberi. Poi comprese: questo doveva esserne un discendente. Non per la prima volta, fu colpita dalla consapevolezza della continuità delle storie della Terra di Mezzo, che proseguivano intrecciandosi senza fine attraverso le Ere del Mondo.

A quel punto, la guardia che li aveva accompagnati aveva esaurito il proprio compito e si congedò da Nerwen ed Aryon; sopraggiunsero degli stallieri, che presero in consegna le loro cavalcature, mentre il lupo rimase coi suoi amici a due gambe.

Arrivò anche un Uomo alto dai capelli bruni brizzolati, che si presentò come Lindalf, Amministratore della Casa Reale.

"Il re e la regina vi attendono", annunciò poi loro, "Prego, seguitemi."

Obbedendo alle istruzioni che aveva ricevuto, Lindalf non li condusse alla sala del trono, bensì nel giardino privato della regina Arwen, situato in un cortile interno della Casa del Re, dove si trovavano lei ed il marito. Non appena scorse la zia, Arwen balzò in piedi e le corse incontro con le braccia aperte; Nerwen si slanciò in avanti ad accoglierla e le due si abbracciarono, ridendo e piangendo con evidente commozione.

"Come sono felice di rivederti, zia Nerwen!", esclamò Arwen, la voce tremolante.

"Anch'io sono felice di rivederti, nipotina...", mormorò l'Aini in tono uguale.

Si tennero strette per lunghi istanti, profondamente emozionate, poi di sciolsero dal loro abbraccio per guardarsi sorridendo.

"Ti trovo magnificamente", dichiarò Nerwen; era vero: Arwen era più bella che mai, circonfusa della particolare aura luminosa di felicità che hanno le persone innamorate e contraccambiate, "Scommetto che è tutto merito suo", aggiunse, accennando ad Aragorn. L'Elfa rise ed annuì, facendo cenno al marito di avvicinarsi; l'Uomo obbedì con un sorriso ed abbracciò Nerwen.

"Quanto tempo...", commentò, "ma avevi detto che avresti fatto il possibile perché ci rivedessimo, e hai mantenuto la promessa."

Alla Maia occorsero alcuni istanti per rammentare il loro ultimo saluto, quand'era partita da Imladris e lui aveva espresso il desiderio di rivederla.

"Una promessa è una promessa, maestà."

Aragorn scosse la testa:

"Niente formalità, in privato", la invitò, "Mi hai conosciuto che ero un ragazzino di dieci anni chiamato Estel e mi hai dato lezioni di storia e geografia; mi sentirei molto sciocco se tu mi trattassi rigidamente secondo l'etichetta..."

"D'accordo... ma consentimi di fare almeno le presentazioni in maniera appropriata", lo pregò lei, girandosi e tendendo la mano verso Aryon, che si avvicinò e gliela prese, "Aryon, questi sono le loro maestà il re Elessar e la regina Arwen, sovrani del Regno Riunificato di Gondor e Arnor. Maestà, permettetemi di presentarvi mio marito, Aryon Morvacor, fratello della regina Eliénna Dhillel, Alta Sovrana delle Sei Tribù degli Avari."

Il principe si inchinò, rivolgendo loro l'omaggio dovuto ai monarchi; ma Aragorn gli porse la mano.

"Benvenuto a Minas Tirith", gli disse; Aryon gli prese il polso e glielo strinse nel saluto in uso tra pari:

"Grazie, sire. Nerwen mi ha parlato molto di voi e della vostra regina..."

"Allora dovrà rimediare parlandoci molto di te a noi", sorrise Arwen, lanciando un'occhiata complice alla zia: ricordava ancora bene le loro confidenze nel palazzo arboreo di Caras Galadhon.

"Lo farò senz'altro", promise Nerwen, divertita, "ma voi due dovrete raccontarmi tutto della vostra storia."

"Intanto cominciamo con il pranzare insieme", propose Aragorn, "Abbiamo fatto preparare per voi un alloggio nei quartieri degli ospiti, dove troverete le vostre cose e potrete rinfrescarvi e cambiarvi, se lo desiderate."

"Ti posso prestare uno dei miei abiti", propose Arwen con intenzione, guardando Nerwen. L'Aini rise, rammentando che aveva fatto lo stesso a Lothlórien.

"Sì, ma dovrai farlo accorciare o inciamperò nella gonna e finirò lunga distesa!", esclamò, poi scosse la testa, "Comunque non è necessario, ho un abito abbastanza dignitoso, anche se non da pranzo di stato..."

"Saremo solo noi quattro", la rassicurò Aragorn, "niente di impegnativo."

"E questo chi è?", volle sapere a quel punto Arwen, indicando Túdhin con un sorriso, "Sembrerebbe un lupo addomesticato..."

Lasciò la frase in sospeso, ma era chiaramente un interrogativo.

"Sì, è così", confermò Nerwen, giudicando inutile negare, "ma è innocuo, a meno che non ritenga me o Aryon, o se stesso, in pericolo. Avvicinatevi, vi presento a lui come amici..."

Il predatore era rimasto ad osservare tutta la scena ad una certa distanza, scrutando in particolare Arwen; ora, istruito dalla Maia, si accostò ed annusò la mano prima della regina, poi del re, accettandone le carezze scodinzolando amichevolmente.

Infine, Aryon e Nerwen furono condotti al loro alloggio, situato in un edificio accanto alla Casa del Re e sfarzoso quasi quanto quest'ultima, con un grande loggiato decorato di vasi colmi di fiori colorati. Mentre vi si recavano, Túdhin si rivolse a Nerwen in tono estremamente perplesso:

Se non sapessi che era la prima volta che la incontravo, direi che conosco la due gambe di poco fa.

L'Aini non comprese subito cosa volesse dire finché non rammentò che, durante la sua incarnazione precedente, il lupo aveva conosciuto Lúthien, di cui Arwen era il ritratto vivente; gli spiegò la loro parentela e lui irradiò una sensazione di comprensione.

"Ti assomiglia, tua nipote", osservò Aryon, inconsapevole del dialogo tra la moglie e il predatore.

"Assomiglia molto a mia sorella Melian, a cui naturalmente anch'io assomiglio", confermò Nerwen, "In lei rivive il sembiante di Lúthien Tinúviel", soggiunse, "la creatura più bella di tutta la storia di Arda."

Aryon le sfiorò il braccio.

"Per me, la più bella creatura di Arda sei tu", le disse sottovoce, guadagnandosi un suo luminoso, emozionato sorriso.

Giunti all'alloggio, vi trovarono i loro bagagli e venne loro chiesto se desideravano fare un bagno, ma dato che la sera prima avevano usufruito delle terme di Osgiliath, chiesero soltanto una brocca d'acqua per sciacquarsi mani e viso. Poi si cambiarono, indossando i loro abiti di corte – che Nerwen aveva previdentemente pensato di portare con loro, dati i luoghi che avrebbero visitato – ed affidando quelli impolverati dal viaggio alla servitù, che se ne sarebbe presa cura. Infine, quando furono pronti, si sedettero in attesa di venir chiamati per il pranzo; non dovettero aspettare a lungo che Lindalf in persona arrivasse per condurli dai sovrani.

"Il nostro cane rimarrà qui", annunciò Nerwen, che aveva interpellato Túdhin e sentito la sua preferenza, "Puoi fargli portare dell'acqua?"

"Certamente, darò disposizioni in merito", le assicurò l'Amministratore di Palazzo.

Seguirono Lindalf di nuovo verso la Casa del Re, ma stavolta vennero condotti nell'ala meridionale fino ad un terrazzo con un pergolato ricoperto da un glicine fiorito, all'ombra del quale si trovava un tavolo quadrato coperto da una candida tovaglia di linone ricamato ed apparecchiato con ricche stoviglie, a cui il re e la regina erano già seduti.

"Prego, accomodatevi!", li invitò vivacemente Arwen, accennando alle due sedie libere, "Quando ieri sera ci è giunta notizia del vostro arrivo, ho dato disposizioni al cuoco affinché preparasse uno dei tuoi piatti preferiti, zia Nerwen: filetto di trota con olive e pomodoro. E naturalmente una crostata di fragole."

"E sidro dolce", rincarò la dose Aragorn.

Nerwen rise:

"Avete ottima memoria tutti e due!"

Aragorn si rivolse ad Aryon:

"E qual è il tuo piatto preferito?"

"Spezzatino di manzo in salsa piccante", rispose prontamente l'interpellato, "con patate lesse e vino rosso del Dorwinion."

"Penso che sia fattibile", commentò il re, annuendo, "Anche a me piace la cucina piccante", aggiunse poi sorridendo.

"Quali sono le specialità locali?", si informò il principe Avar.

"Oh, ce ne sono diverse", rispose Aragorn, "Una pasta squadrata ripiena di verdura di stagione, ad esempio; zuppa di rana; arrosto di vitello farcito; cappone prima lessato e poi arrostito con aromi vari; e un dolce fatto con farina di castagne."

Mentre parlavano, sopraggiunsero alcuni servitori che misero in tavola caraffe di cristallo con acqua e vino bianco, nonché un vassoio con fragrante pane tagliato a fette e un piatto con polpa di pesce finemente tritata e condita con prezzemolo e olio.

"Questo è luccio lessato", spiegò Arwen, "da spalmare sul pane come introduzione al pasto vero e proprio."

Il cameriere mise un paio di cucchiaiate del composto nel piatto di ciascuno, poi lasciò il resto per chi volesse replicare; Nerwen ed Aryon assaggiarono la pietanza, trovandola assai gustosa. Il vino era gradevolmente asprigno, di colore dorato con una sfumatura verde che intrigò molto l'Aini.

"Raccontateci dunque", li invitò Arwen, "Avete trovato le Entesse?"

"Sì, le abbiamo trovate", confermò Nerwen, "Ed è anche grazie a loro che c'erano così pochi Esterling, ad attaccare Minas Tirith."

Aragorn depose il boccone di pane e pesce sul piatto e guardò i due ospiti con espressione sbalordita.

"Adesso capisco... Infatti sono rimasto molto sorpreso nell'apprendere che le forze degli Esterling ammontavano soltanto a cinquemila unità. Me ne aspettavo molte di più."

"Sarebbero state più del doppio", rivelò Aryon, "se non li avessimo attaccati noi con gli eserciti provenienti da oltre gli Orocarni e le Entesse."

"Gli eserciti da oltre gli Orocarni...? Sarà meglio andare con ordine", commentò il re, interessato, "Partiamo da quando hai lasciato Imladris, Nerwen?"

"Allora preparatevi a una storia molto lunga", li avvertì lei sorridendo, "di cui Arwen già conosce una parte..."

Mentre mangiavano, dunque, Nerwen raccontò le proprie avventure da Rhosgobel e il mancato incontro con Radagast, fino a Fangorn dove si era imbattuta in Barbalbero, la cui esistenza ormai non aveva più motivo di tener nascosta; poi proseguì la narrazione da Lothlórien fino a Eryn Rhûn dove aveva conosciuto Aryon. Da quel punto venne coadiuvata dal marito mentre proseguivano il racconto assieme.

Quando giunsero a parlare della rivelazione di essere destinati l'uno all'altra, Arwen si emozionò.

"Avresti mai pensato, zia Nerwen, di trovare il tuo compagno per la vita nel bel mezzo della tua missione?", la interrogò.

"Decisamente no", ammise la Maia, scuotendo il capo, "A dire il vero, dopo tanto tempo credevo di dover rimanere da sola come Nienna o Arien, e invece è arrivata la scoperta, improvvisa come un fulmine a ciel sereno."

"Lo stesso per me", dichiarò Aryon con un mezzo sorriso dei suoi, "Ero talmente frastornato che per qualche giorno ho perfino dubitato che potesse essere vero..."

Il pranzo terminò che erano arrivati all'incontro con Alatar, nella misteriosa dimensione al di fuori di Arda.

"Un Balrog...", mormorò Aragorn, pensieroso, "Come Gandalf a Moria."

"Che cosa?", domandò Nerwen, sbalordita.

"Abbiamo dovuto attraversare le miniere di Moria", raccontò il re, "e siamo stati attaccati da un Balrog proprio mentre eravamo quasi arrivati dall'altra parte... Gandalf lo ha affrontato e gettato nell'abisso, ma è stato trascinato giù con lui. Lo abbiamo creduto morto, ma circa un mese e mezzo dopo lo abbiamo incontrato nuovamente, redivivo e trasformato: non era più Gandalf il Grigio, ma Gandalf il Bianco..."

"Oh!", fece la Istar, "Perdona se ti interrompo, Aragorn, ma lo Stregone Bianco era Saruman: cosa ne è stato di lui?"

"Si è lasciato sedurre dal potere", raccontò il re, cupamente, "Si era convinto che Sauron non potesse venir sconfitto e così ha progettato di allearsi con lui, nel tentativo di spodestarlo e di prenderne il posto per governare la Terra di Mezzo, impadronendosi dell'Unico Anello... ma è una lunga storia. Ve la narrerò quando voi avrete finito con la vostra", si alzò, "Venite, andiamo a sederci più comodamente."

Uscirono, recandosi nel giardino dove si erano incontrati quel mattino; qui sedettero su confortevoli divani di legno abbondantemente imbottiti di cuscini e proseguirono la loro conversazione.

Nerwen ed Aryon proseguirono il loro racconto; mentre erano intenti alla conversazione, dei servitori si occuparono di loro, rifornendoli in continuazione di bevande fresche e frutta.

Quando ebbero terminato, fu la volta di Aragorn di raccontare la propria vicenda, fin dal suo incontro con i quattro Hobbit a Brea; narrò con dovizia di particolari del Concilio di Elrond, delle miniere di Moria, di Lothlórien, della scioglimento della Compagnia dell'Anello, del lungo inseguimento agli Hobbit rapiti, della battaglia al Fosso di Helm, della parte avuta dagli Ent nella sconfitta di Saruman, dei Sentieri dei Morti, del grande scontro sui Campi del Pelennor, fino alla battaglia di fronte al Morannon, quando avevano affrontato senza speranza le ancora notevoli forze di Sauron, nell'unico intento di distogliere la sua attenzione dal proprio territorio per dare a Frodo e a Sam l'opportunità di raggiungere la Voragine del Fato e distruggere l'Anello.

"Sono davvero lieta che, alla fine, anche Barbalbero e i suoi Ent abbiano deciso d'intervenire nella lotta contro Sauron, anche se in modo indiretto", disse Nerwen, che ben ricordava la riluttanza del Pastore degli Alberi di immischiarsi nelle faccende della Terra di Mezzo.

"Sono accadute molte vicende portentose in pochi mesi", commentò Aryon, colpito dal numero e dalla portata degli eventi che si erano concentrati in un lasso di tempo assai breve; Aragorn annuì confermando:

"Per trovare qualcosa di simile, bisogna risalire alla fine della Seconda Era, all'Ultima Alleanza tra Elfi e Uomini e alla Battaglia di Dagorlad, oltre tremila anni fa; ma in realtà questo scontro è stato molto più importante e ha determinato un cambiamento epocale più incisivo di quello accaduto tra la Seconda e la Terza Era."

"È così", convenne Nerwen, "ma ora basta parlare di cose gravi... raccontatemi di voi. Come vi siete incontrati?"

Arwen sorrise dolcemente, guardando Aragorn, che la ricambiò e le fece cenno di cominciare lei.

"Ero appena tornata dal mio soggiorno a Lothlórien, durante il quale ci siamo conosciute", raccontò, riferendosi all'incontro tra lei e la zia, "quando, passeggiando per Imladris, ho visto venirmi incontro questo bellissimo giovane abbigliato di bianco che mi ha apostrofata Tinúviel! Sono rimasta paralizzata a guardarlo, perché mi è sembrato di rivivere l'incontro di Beren e Lúthien... Ho cercato di mantenere un contegno, ma ero davvero emozionata e non capivo perché. È stato solo qualche tempo dopo che il motivo mi è diventato chiaro: lui era il mio compagno per la vita..."

Tornò a sorridere ad Aragorn, cedendogli la parola.

"È stato il giorno più emozionante della mia vita", ammise lui, guardando la sua regina con occhi colmi di luce, "perché quel giorno compivo vent'anni, raggiungendo così la maggiore età; e Elrond mi aveva appena rivelato la mia ascendenza. Ero stordito di felicità e orgoglio, non riuscivo a star fermo e così sono uscito per correre e danzare e cantare. Avevo sempre amato la storia di Beren e Lúthien ed ora scoprivo che erano miei antenati; mentre cantavo il pezzo di lai che narra del loro incontro, ecco che davanti ai miei occhi appare Lúthien Tinúviel in persona! Riuscite a immaginare la mia emozione? Pensavo che qualche arcana magia mi avesse trasportato nel tempo e nello spazio... ma poi Arwen si è presentata e ho compreso l'equivoco. Gli Uomini forse non sono dotati della capacità di riconoscere il compagno o la compagna per la vita come fanno gli Elfi, ma io ho compreso subito che avrei amato soltanto e per sempre Arwen Undómiel...", la sua espressione si fece pensierosa, "Né posso biasimare Elrond per avermi posto condizioni molto dure per rendermi degno di lei: diventare re del Regno Riunificato di Arnor e Gondor, così come Thingol a suo tempo chiese un Silmaril a Beren..."

"Non era loro diritto", commentò Nerwen, corrugando la fronte, "Non si può ostacolare due compagni per la vita: significa ostacolare il volere di Eru. Così come ho rimproverato Thingol, rimprovererò anche Elrond..."

"Non essere troppo severa con lui", la placò Aragorn, "Era solo un padre che voleva il meglio per la figlia..."

"...ma senza tener conto che tale meglio eri tu", lo interruppe la Maia, scuotendo la testa, "Va bene, per amore di Arwen e tuo cercherò di non sbranarlo", sogghignò, in una perfetta imitazione di Aryon nei suoi momenti più arcigni. Riconoscendo la propria espressione in quella della moglie, il principe sogghignò a sua volta, mentre l'altra coppia li guardava con perplessità. Nerwen fece cenno di soprassedere e li invitò a proseguire la loro storia.

Fu Arwen a riprendere la narrazione:

"Quando ho compreso che Aragorn e io eravamo destinati insieme, mi sono ricordata delle tue parole, zia Nerwen, quando a Cerin Amroth mi hai detto che avrei presto incontrato il mio compagno per la vita ma che avrebbe potuto non essere facile... Tu avevi visto me e lui insieme, vero?"

La Istar annuì:

"Sì, proprio lì a Cerin Amroth", confermò, ma non specificò che li aveva visti fare l'amore appassionatamente: li avrebbe messi in imbarazzo, né era necessario, "Non te l'ho detto perché le visioni del futuro non sono certe al cento percento e non volevo darti indicazioni sbagliate che potessero suscitare speranze o aspettative che poi non si sarebbero realizzate, facendoti sentire delusa. Capita anche a me... ad esempio, avrei dovuto rivedere Mithrandir dopo non molto tempo che l'avevo incontrato, appena arrivata nella Terra di Mezzo, e invece un evento imprevedibile me l'ha impedito e così ancora non so quando lo rivedrò. A proposito, avete sue notizie?"

"Si è recato a Imladris con i quattro Hobbit", rivelò Arwen, "accompagnando mio padre fino a casa. Credo che fosse sua intenzione andare in seguito a parlare con Tom Bombadil, ma non so dove si trovi ora."

"Allora lo rivedrò quando lo rivedrò", concluse la Istar con una scrollata di spalle: sapeva che lo avrebbe incontrato di nuovo, e che ormai non sarebbe passato troppo tempo.

Arwen riprese il racconto, narrando di come, circa trent'anni più tardi, lei ed Aragorn si fossero ritrovati a Lothlórien; lì lui le aveva donato l'Anello di Barahir e si erano promessi l'un l'altra con una cerimonia di fidanzamento senza testimoni, se non loro stessi. Altri lunghi anni erano passati, finché Aragorn, oltre ogni speranza, era riuscito nel suo intento di restaurare l'antico reame di Arnor e Gondor, di cui, in quanto Erede d'Isildur, era divenuto il sovrano. Così, lui ed Arwen avevano potuto finalmente sposarsi, dopo quasi settant'anni dal loro primo incontro.

La Seconda Vista di Nerwen scelse quel momento per palesarsi: l'Aini vide un bellissimo bambino dai riccioli biondi come quelli di Galadriel e gli occhi grigi uguali a quelli di Aragorn e seppe che si sarebbe chiamato Eldarion; poi vide tre bambine ugualmente incantevoli, brune come i genitori, una dagli occhi grigi come il padre e le altre con quelli blu della madre.

"Ho visto i vostri figli", disse sottovoce, sorridendo, "Saranno splendidi."

Poi arrivò un'altra visione, stavolta di una stupenda bambina dai capelli neri e gli occhi azzurri. Il cuore le balzò in gola mentre la riconosceva come sangue del proprio sangue.

Si girò verso il marito, gli occhi improvvisamente colmi di lacrime di commozione.

"E ho visto anche nostra figlia, Aryon..."

Il principe Avar sentì il respiro che gli si strozzava in gola: una figlia da Nerwen... che cosa magnifica sarebbe stata! Emozionatissimo, prese la moglie tra le braccia e le baciò la fronte, con reverenza.

"Sarà meravigliosa come te", le mormorò.

"E avrà un bel caratterino, come te", ribatté la Maia con un sorrisetto.

"Guarda che neppure tu scherzi", ritorse lui con un sorrisetto uguale.

Anche Arwen ed Aragorn si erano presi per mano e si guardavano emozionati. Per un po' entrambe le coppie tacquero; infine, Aragorn tornò a parlare:

"Abbiamo fatto quasi ora di cena, conversando... che ne dite di andare a fare una passeggiata, prima di mangiare?"

"Dico che è un'ottima idea", accettò Aryon, alzandosi, "Ormai sono incollato al divano", aggiunse con una smorfia, stiracchiando le lunghe membra.

Anche gli altri si alzarono.

"Sarà meglio che andiamo a prendere Túdhin", considerò Nerwen, "è rimasto solo tutto il giorno e anche lui avrà voglia di sgranchirsi le zampe."

"Vado io", si offrì Aryon. Si diedero quindi appuntamento di lì a poco nel Cortile della Fontana, sotto l'Albero Bianco.

Una volta che furono arrivati, Nerwen accennò all'albero.

"Dimmi, Aragorn, dove l'hai trovato?"

"Sulle pendici del Mindolluin", rispose il re, "quasi un anno fa, con l'aiuto di Mithrandir. Evidentemente, il precedente Albero Bianco aveva lasciato un erede, prima di seccarsi e morire, ma il seme ci ha messo molti secoli a maturare prima di germogliare. È interessante che lo abbia fatto pochi anni fa, quasi abbia voluto consapevolmente attendere il ritorno del re... Comunque sia, l'ho preso e portato qui, dove l'ho piantato al posto del suo predecessore", si interruppe un istante e si girò a guardare Nerwen con sguardo penetrante, "Quanto assomiglia all'originale, Galathilion di Tirion sul verde colle di Túna?"

Nerwen lo guardò confusa: come faceva a sapere che lei poteva fornire una simile informazione?

Vedendo il suo stupore, Aragorn sorrise con aria di scusa:

"Mithrandir mi ha detto qual è la vera natura degli Istari, come pure che siete grandi amici; così ho supposto che tu abbia visto il primo degli Alberi Bianchi... come presumo che avrai visto anche Telperion, di cui è l'immagine, e la sua compagna Laurelin."

"Ma tu guarda quel chiacchierone di Olórin!", ridacchiò la Istar, "Allora mi presento in modo appropriato: Nerwen Laiheri, seguace di Yavanna Kementári. Ebbene sì: non solo ho visto i Due Alberi, ma in quanto seguace di Yavanna, ho anche assistito alla loro creazione, e dopo che sono stati distrutti da Melkor, ho visto Yavanna e Nienna recuperare il fiore e il frutto che hanno dato origine a Luna e Sole."

Aragorn annuì come a confermare qualcosa che già immaginava, poi lanciò un'occhiata in tralice ad Arwen, sorridendo:

"E ora puoi anche dirmi esattamente perché mia moglie e i suoi fratelli ti chiamano zia..."

Nerwen scoppiò a ridere.

"Ma certo, non c'è nessun motivo che te lo tenga nascosto: sono la sorella di Melian, e quindi anche tu, volendo, potresti chiamarmi zia."

Fu la volta di Aragorn di rimanere confuso:

"Non sapevo che Melian avesse una sorella..."

"Non erano in molti a saperlo, fuori della cerchia ristretta della famiglia di Thingol", gli svelò Nerwen, "Dopo la sua morte, Melian è tornata a Valinor e io non ho più messo piede in Ennor, fino a quando Yavanna non mi ha incaricata di ritrovare gli Ent, e successivamente le Entesse", guardò l'Albero Bianco, "Questo è tale e quale a Galathilion, tranne che per le dimensioni; ma se è così giovane come dici, allora farà tempo a crescere, anche se naturalmente la qualità della Terra di Mezzo non gli permetterà di raggiungere le dimensioni dell'originale; ma potrei metterci del mio..."

In quel momento, Aryon comparve da dietro la Torre di Ecthelion, accompagnato da Túdhin, e lei s'interruppe, mentre i suoi occhi venivano calamitati dall'altissima figura nerovestita del marito; Arwen sorrise, riconoscendo nell'espressione incantata della zia la propria quando guardava Aragorn.

Il lupo trotterellò accanto al suo amico a due gambe e, quando raggiunse gli altri, andò a dare dei buffetti alla coscia di Nerwen, che gli accarezzò affettuosamente la testa.

"Sembra proprio un cagnolino", commentò Aragorn, senza nascondere il proprio sbalordimento nel vedere una tale mansuetudine in un predatore dalla ferocia proverbiale.

"Sì, ma non quando vede in pericolo me o Nerwen", disse Aryon, ribadendo quel che aveva detto la moglie al mattino, poi si voltò a guardare incuriosito l'Albero Bianco, "Stamattina ho notato che quest'albero ti ha impressionata, amor mio: come mai?"

Rapidamente Nerwen gli narrò la storia della sua ascendenza, che Aragorn completò dal momento in cui venne portato da Númenor nella Terra di Mezzo.

A quel punto, Nerwen annunciò:

"Darò una speciale benedizione a questo Albero Bianco, affinché diventi il più splendido di tutti quelli cresciuti sulla Sponda di Qua."

Si avvicinò quindi al giovane albero e posò le mani sulla sua corteccia liscia, candida come neve tanto quanto i suoi fiori; sotto i palmi sentì la sua linfa scorrere, rapida e vigorosa. Protese i propri pensieri.

Sentendo il tocco della sua mente, ancor più di quello delle sue mani, l'Albero fremette ed i suoi rami più bassi parvero chinarsi come in meravigliato ascolto.

Salve, fratellino, lo salutò Nerwen, discendente di Galathilion, Celeborn, Nimloth e tre Alberi Bianchi di Gondor. Ti benedico nel nome di Kementári; crescerai forte e sano, sarai degno dei tuoi antenati e diventerai il simbolo della ritrovata grandezza di questo regno.

Ti ringrazio, rispose l'albero, trasmettendo una sensazione di grande emozione e di stupefatta fierezza.

L'Aini si scostò dal tronco ed annuì in direzione dei sovrani, ad indicare d'aver finito.

"Grazie, Nerwen Laiheri", disse Aragorn solennemente, "la regina ed io siamo onorati."

Mi piace quest'Uomo, dichiarò inaspettatamente Túdhin, e anche l'Elfa sua compagna. Sento che ti vogliono molto bene.

È così, confermò Nerwen sorridendogli.

Passeggiarono per un po' in lungo ed in largo nel bel cortile, che nell'anno trascorso dall'incoronazione di re Elessar era stato arricchito di aiole ricche di fiori colorati, cespugli di sempreverdi e piccoli alberi, rendendolo quasi un giardino; poi si recarono a cena, che consumarono in compagnia dei maggiori dignitari di corte. Anche il lupo partecipò, mangiando da una ciotola riccamente fornita di ossa carnose di animali freschi di macellazione, in modo da essere il più possibile simili al suo cibo naturale.

La cena venne seguita da musica, canti e recitazione di poesie, a imitazione del Salone del Fuoco in uso nelle corti elfiche che Aragorn, cresciuto a Gran Burrone, aveva introdotto anche a Gondor.

"Mai avrei creduto che un Uomo potesse avere tanta dignità e regalità quanto Aragorn", confidò Aryon a Nerwen mentre si ritiravano per la notte nel loro alloggio.

"È il degno Erede d'Isildur", commentò la Maia, "In lui rivivono gli antichi Re di Númenor, l'Ovesturia inghiottita dal mare; non ci sarà più un altro come lui, in futuro, neppure suo figlio, anche se per metà Elda", scosse la testa, "Il mondo sta cambiando: l'Era degli Elfi è terminata e inizia quella degli Uomini, e nulla sarà più uguale a prima."

"Lo sento anch'io, in fondo al cuore", le confidò il principe Avar, "ed è uno dei motivi che mi spingono a desiderare di venire all'Ovest con te: mi rattristerebbe troppo, vedere la Terra di Mezzo decadere lentamente verso un'epoca in cui la Grazia dei Valar diminuirà sempre più."

"Purtroppo è inevitabile: il prezzo da pagare per aver sradicato il Male dal mondo, ma non il suo nefasto ricordo. E sarà in nome di quel ricordo che in futuro sorgeranno e cadranno tiranni, nell'illusione di riuscire laddove né Melkor né Sauron sono riusciti, ma i loro sforzi saranno resi vani da coloro che ancora conserveranno nel cuore il ricordo della Grazia dei Valar."

"Allora non tutto è perduto... Un giorno, forse, essa ritornerà?"

"Forse... ma sarà soltanto dopo la Dagor Dagorath, quando il mondo verrà distrutto e riforgiato da Ilúvatar in una nuova forma."

Alcuni giorni più tardi, Aragorn e Nerwen stavano parlando delle terre al di là degli Orocarni, progettando una mappa, quando venne annunciato l'arrivo di Faramir, Principe d'Ithilien, che chiedeva un breve colloquio col re. Aragorn diede subito il proprio assenso e poco dopo l'alto Uomo che la Istar e suo marito avevano incontrato ad Osgiliath entrò nella stanza.

Faramir si inchinò profondamente ad Aragorn, poi rivolse un rispettoso saluto anche a Nerwen.

"Bentornato, amico mio", lo accolse Aragorn, "Di cosa desideravi parlarmi?"

"Ho avuto notizie di Éowyn, sire: sta per arrivare. Il suo messaggio diceva dopodomani."

"Bene! Tutto è già pronto per il vostro matrimonio, basta dare il via. Se ne occuperà la regina."

"Éowyn ed io siamo profondamente onorati..."

"Oh, lascia stare", lo interruppe il sovrano sorridendo, "Le fa molto piacere."

Faramir tornò ad inchinarsi, gli occhi grigi splendenti di aspettativa e di impazienza, e si congedò.

"Un matrimonio?", indagò Nerwen quando fu uscito.

"Sì: Faramir e Éowyn di Rohan, sorella dell'attuale re Éomer, si sono conosciuti e innamorati durante i giorni seguenti la battaglia dei Campi del Pelennor e adesso si sposeranno. Poi si trasferiranno nell'Ithilien meridionale, dove intanto Faramir ha fatto costruire una dimora per loro e per coloro che li seguiranno. Sotto le cure dei loro nuovi Principi, quella terra tornerà ad essere il Giardino di Gondor, come lo era in antico", il suo sguardo si oscurò per un istante, "Sono felice di essere riuscito a salvarli entrambi: erano stati mortalmente feriti dai Nazgûl, Éowyn addirittura dal Re degli Stregoni in persona ..."

"Sì, l'ho vista", annuì l'Aini, che gli aveva narrato della sua visione, "È un'impresa degna delle canzoni più epiche dei Tempi Remoti."

"Lo è", confermò Aragorn, "ma ciò che mi rende realmente felice in tutto questo, è che il cuore di lei si sia volto a Faramir, perché un tempo credeva di essere innamorata di me e io ero mortificato dal fatto di non poter ricambiare l'amore di una simile donna."

Non per la prima volta, Nerwen pensò che di un Uomo tanto nobile non se ne sarebbe più visto l'eguale, nella Terra di Mezzo.

"Tutto è bene quel che finisce bene", commentò serenamente ed Aragorn annuì, concordando con lei.


L'angolo dell'autrice:

Il linone, contrariamente a quanto potrebbe far pensare il suffisso maggiorativo –one, è in realtà una stoffa di lino finissima e molto pregiata.

Dato che da recenti notizie sembra che Tolkien si sia ispirato a Ravenna per la sua Minas Tirith, l'elenco che Aragorn fa dei piatti tipici si riferisce alla saporita cucina ravennate; mentre la pietanza citata da Aryon altro non è che il delizioso gulasch ungherese, che personalmente adoro; mentre il vino "dorato con una sfumatura di verde" è il delizioso Verduzzo dorato, uno dei miei vini preferiti :-P

Per i più curiosi, l'esatta discendenza dell'attuale Albero Bianco di Minas Tirith è la seguente: Galathilion (Tirion) --> Celeborn (Tol Eressëa – sì, ha lo stesso nome del marito di Galadriel !) --> Nimloth (Númenor) --> primo Albero Bianco (Minas Ithil, poi divenuta Minas Morgul) --> secondo Albero Bianco (Minas Anor, poi divenuta Minas Tirith) --> terzo Albero Bianco (Minas Tirith) --> quarto Albero Bianco.

Che succede frattanto altrove nel libro, il capolavoro a cui ho la faccia tosta di ispirarmi? Diverse cose, ma cito solo la più bella: il primo maggio Sam Gamgee (un personaggio che ammiro molto) sposa la sua amata Rosie!

Grazie alle persone che leggono e stellinano la mia storia, e un grazie speciale a chi si prende il tempo di lasciarmi un commento; come non mi stanco di ripetere, per uno scrittore è importante conoscere l'opinione dei propri lettori, inoltre lo aiuta a crescere e a migliorare. Per come la penso io (e non obbligo nessuno a essere d'accordo, sia chiaro), chi afferma che non gli interessa ricevere commenti, o non gli importa dei propri lettori, o ha un ego grande come una casa.

Lady Angel

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