Capitolo LI: Nell'antro del Balrog
Capitolo LI: Nell'antro del Balrog
Dopo pranzo, che consumò assieme a Pallando nella stanza di lui, Nerwen tentò ancora una volta di contattare Yavanna, ma invano. Se non bastava la differenza temporale tra lì e la Terra di Mezzo, anche questo contribuiva a rafforzare in lei la convinzione che si trovassero in un posto al di fuori di Eä. Non riusciva a comunicare con lei neppure attraverso Olorendor, né con sua sorella Melian o con chiunque altro; se era in grado di incontrarsi con Aryon, era sicuramente dovuto al fatto che erano uniti nel legame nuziale, che aveva congiunto le loro anime in un modo che soltanto la morte di uno dei due avrebbe potuto spezzare.
Con un sospiro, si alzò dal letto e Túdhin, percependo la sua delusione, le posò il muso contro la gamba per consolarla. Lei gli accarezzò affettuosamente la testa; in quella, udì bussare discretamente alla porta. Invitò ad entrare e sulla soglia comparve un paggio.
"Il mio signore Alatar richiede la tua presenza, Lady Nerwen", le disse, "assieme a quella di Lord Pallando, se siete disponibili. Vi attende nel suo studio."
"Ma certo", rispose l'Aini, "Avvertilo che arriviamo subito."
Congedato, il paggio si allontanò, mentre Nerwen andava a bussare alla porta di Pallando. Udendo il suo invito, entrò e gli comunicò il messaggio; lo Stregone si alzò dalla poltrona vicino alla finestra, dove stava riposando osservando il panorama che si godeva dall'alto della rocca, ed assieme si recarono da Alatar, accompagnati dal lupo.
"Miei cari amici", li accolse lo Stregone, "Venite, voglio portarvi nella mia stanza segreta, dove studio i misteri di questo mondo così simile eppure così diverso dal nostro. Tra le altre cose, anche il modo di tornare nella Terra di Mezzo. Possiamo partire da ciò che ho finora scoperto e provare a cercare una soluzione tutti insieme."
"Ottima idea", approvò Pallando, "Come dicevo stamattina, unendo le nostre forze sono sicuro che troveremo il modo."
Alatar lanciò un'occhiata incerta a Túdhin.
"Forse è meglio se lasciamo il vostro cane qui: si tratta di un luogo di grande potere e temo che si sentirebbe a disagio..."
Non ti lascio neanche per sogno, trasmise subito il lupo, protettivo come sempre.
"Túdhin è abituato a stare a contatto col nostro potere", dichiarò Nerwen con tranquillità, "Verrà con noi e non avrà alcun problema, né darà fastidio."
Alatar annuì, poi andò a chiudere la porta a chiave; aveva già dato ordine di non disturbarlo, come soleva fare quando si recava nel sotterraneo. Poi si avvicinò alla libreria e la spostò con l'apposita parola di potere, rivelando il retrostante passaggio. Presa e accesa la lampada, incoraggiò i due colleghi, che lo stavano osservando con interesse, a seguirlo giù per la scala a chiocciola.
Senza sospettare nulla perché non ne avevano alcun motivo, Pallando e Nerwen si accodarono ad Alatar, seguiti da Túdhin, e scesero per lo stretto passaggio. Mentre scendevano, l'Aini cominciò ad avvertire l'energia del luogo, paragonabile a quella di Arda, ma sottilmente diversa, a riprova inequivocabile che quel posto non era Arda. Si protese verso di essa per studiarla, scoprendo che era molto simile a quella che conosceva; la cosa non la stupì, poiché era stata in grado di comunicare con gli olvar e i kelvar di quel mondo: se fosse stata troppo diversa, non ci sarebbe riuscita, perché ogni cosa nel mondo – quello come Arda – era collegata attraverso di essa.
A mano a mano che scendevano, l'energia si faceva sempre più forte; raggiunsero infine una sala sotterranea, dove arrivò a livelli altissimi e Nerwen pensò che Alatar aveva ben ragione a definirlo un luogo di grande potere.
L'Istar loro anfitrione depose la lampada ed avanzò nella stanza; si diresse verso un'apertura circolare nel pavimento da cui promanava una luminosità rossastra che Nerwen trovò inquietante. Come inquietante era il suono sordo che percepiva, al limite della soglia uditiva. Percepì nervosismo provenire dal lupo e gli lanciò un'occhiata: aveva le orecchie appiattite contro il cranio in un atteggiamento di timore assai insolito, in lui.
"Che cos'è questo posto?", indagò.
"L'ho costruito quando sono arrivato qui", rispose Alatar, "perché potesse ospitare una creatura in cui mi sono imbattuto appena arrivato e che si è posta al mio servizio. Ve la presento, venite..."
Nerwen e Pallando si avvicinarono; approfittando del momento in cui l'altro volse loro le spalle per guardare nel pozzo, si scambiarono un'occhiata impensierita. Non riuscivano a immaginare alcuna ragione per temere qualcosa, eppure entrambi percepivano un pericolo incombente.
Alatar cominciò a salmodiare, a bassa voce per non far comprendere le parole agli altri due, intessendo un incantesimo di sonno; quando fu pronto, lo lanciò.
Colti di sorpresa, i due Istari ne furono investiti in pieno, e con loro anche Túdhin. Il lupo crollò immediatamente, mentre Pallando strabuzzò gli occhi e tentò di reagire, ma era troppo tardi e cadde a terra, mentre scivolava nel sonno stregato.
Nerwen invece non ne fu affetta, perché Alatar, ingannato dal suo aspetto, aveva creduto che lei avesse un corpo umano come lui stesso e l'altro Stregone Blu, per cui aveva regolato l'incantesimo su quella supposizione; non poteva sapere che lei, a differenza di loro, pur essendo stata diminuita era ancora un'Aini, sulla quale quel tipo di magia non funzionava.
Per un attimo, pensò di attaccare Alatar e si preparò a sguainare il pugnale noldorin, poi decise invece di agire d'astuzia: voleva capire perché l'Istar li stava ingannando. Così, si lasciò cadere accanto a Pallando e finse d'addormentarsi, il viso rivolto a quella strana apertura nel pavimento, una mano a pochi centimetri dal suo amico, pronta ad usare la taumaturgia per liberarlo dell'incantesimo del sonno.
Vide Alatar avvicinarsi all'orlo del pozzo.
"Khorakûn, io ti convoco!", lo udì esclamare; sconvolta, riconobbe il Linguaggio Nero nella sua versione originale, il melkorin ideato da Morgoth all'alba di Arda.
La luce proveniente dall'apertura nel pavimento aumentò d'intensità, così come la bassa vibrazione sonora che riempiva la camera a volta; dal pozzo cominciò ad emergere una grande figura d'ombra.
Nerwen si costrinse a rimanere immobile, mentre tra le palpebre appena socchiuse osservava l'essere che si levava dall'apertura, senza comprendere di cosa si trattasse.
Alatar lo guardò a bocca aperta: mai l'aveva visto così grande e terribile. All'improvviso prese coscienza che era stato ingannato da lui, che il demone era qualcos'altro e non quello che gli aveva detto d'essere.
Il mostro oscuro improvvisamente parve avvampare dall'interno; dai suoi occhi e dalle sue fauci sprizzarono fiamme incandescenti, e di colpo Nerwen si rese conto di trovarsi di fronte ad un Balrog. Toccò Pallando e gli trasmise una scarica di energia taumaturgica che lo liberò dall'incantesimo del sonno; l'Istar si ridestò con un sussulto e la guardò disorientato.
"Valarauco!", lo avvertì Nerwen con un grido, balzando in piedi e parlando inconsciamente in quenya. Dopo Morgoth e Sauron, i Balrog erano gli esseri più spaventosamente potenti di Arda, tali da essersi meritati il nome di mostri di potere. Per un attimo fu colta dal terrore: un Balrog era un avversario formidabile anche per un Maia nel possesso del suo pieno potere, mentre lei era stata diminuita, e ancor più lo erano stati i suoi colleghi; uno dei quali sembrava aver evocato il mostro e quindi essere in combutta con lui, pertanto era da considerare un nemico. Lei e Pallando contro Alatar e un Balrog si profilava come uno scontro dall'esito molto incerto.
La consapevolezza che Alatar li aveva traditi la infiammò di una rabbia terribile; la usò per dominare il panico, abbracciandola e trasformandola in risolutezza. Anche se poteva infliggerle un tormento atroce, facendo a pezzi il suo corpo, neppure un Balrog era in grado di ucciderla. Si erse su se stessa ed all'improvviso giganteggiò di fronte al mostro.
"Ti avverto, Fiamma Oscura di Utumno!", urlò con voce così amplificata da risultare distorta, "Non osare attaccarci o verrai distrutto!"
Khorakûn esitò: sembrava che costei fosse estremamente potente e lui non l'aveva previsto. Aveva supposto che i due individui di cui gli aveva parlato Alatar fossero come lui, forti ma non al punto che gli fosse impossibile sopraffarli. Lui era stato uno dei servitori di Morgoth tra i più possenti, un Maia decaduto e trasformato ma ancora nel pieno possesso della sua forza, mentre Alatar – e quindi i suoi pari – erano Maia grandemente diminuiti, al punto che non si preoccupava troppo neppure di tre di loro. Ora però pareva che una dei due nuovi arrivati fosse diversa.
Raccolse la sua forza e vomitò fiamme su di lei.
Ancora a terra, Pallando era pallidissimo; la sua memoria offuscata non gli permetteva di riconoscere esattamente cosa li stesse attaccando, ma il nome gridato da Nerwen – Valarauco – lo aveva riempito di orrore quasi quanto il nome di Sauron.
Vide il mostro lanciare fiamme dalle fauci contro Nerwen, divenuta improvvisamente molto più grande, e le fiamme deviare verso l'alto come deflesse da un invisibile scudo. Ritrovò abbastanza sangue freddo per raccogliere la sua magia e la convogliò in una mano, poi lanciò contro il mostro un fulmine bianco-azzurro che lo colpì al petto e lo fece barcollare all'indietro; la creatura emise un terrificante ululato di dolore.
Infuriato, Khorakûn si voltò verso colui che lo aveva attaccato. Nella sua mano comparve un giavellotto fiammeggiante, che lanciò con rapidità accecante; ma Nerwen, coi suoi riflessi maiarin ancora intatti, fu del pari rapida: creò uno schermo e lo gettò davanti a Pallando. La lancia s'infranse contro l'invisibile protezione.
Alatar era arretrato precipitosamente. Non sapeva che cosa pensare. Si era ovviamente aspettato che il suo demone attaccasse i due colleghi, dato che doveva sopraffarli per impossessarsi dei loro poteri per poterglieli trasmettere; ma non si era aspettato che egli rivelasse una potenza tale da superare la sua. Un'altra cosa che lo aveva spiazzato era stato constatare che il suo incantesimo del sonno non aveva avuto effetto su Nerwen, la quale aveva liberato anche Pallando, e si stava inoltre rivelando molto più potente di lui, tanto da riuscire a tenere a bada Khorakûn. Per un istante, si trovò dinnanzi ad una scelta: allearsi con i colleghi e rivoltarsi contro il demone, distruggendolo definitivamente; oppure rimanere fedele al piano originario e, tramite il demone, impadronirsi dei loro poteri per tornare nella Terra di Mezzo, liberarla dalla minaccia di Sauron e divenirne il benevolo tiranno. La consapevolezza di non poter giustificare il proprio operato coi colleghi lo indusse a seguire il piano elaborato con Khorakûn; fu così che raccolse la propria energia e formò una palla di fuoco tra le mani, per poi lanciarla contro Pallando.
Lo schermo che Nerwen aveva creato era ancora in posizione e vanificò l'attacco dello Stregone traditore; esso disperse la sfera d'energia magica, ma poi collassò, lasciando Pallando scoperto.
Stordito e incredulo che Alatar si stesse rivelando un nemico, Pallando non perse tempo a ponderare la cosa, consapevole che difendersi aveva la precedenza su tutto. Pertanto, tornò a raccogliere energia concentrandola negli occhi, da cui lanciò saette azzurro ghiaccio che colpirono Alatar al petto, sbalzandolo indietro e facendolo stramazzare.
Frattanto, il Balrog era tornato ad avanzare; le fiamme nei suoi occhi divamparono, pronte a colpire. Con la velocità del pensiero, Nerwen creò un altro schermo davanti a sé e a Pallando; le lingue di fuoco del mostro vennero deflesse mentre lo Stregone Blu si rialzava rapidamente.
"Ma che sta succedendo?", domandò, tuttavia mentre lo chiedeva si preparò ad un contrattacco, avvicinando i palmi delle mani tra i quali saettarono lampi d'energia di un bianco accecante.
"Alatar ha evocato un Balrog!", rispose Nerwen, "Tu attacca, io difendo", aggiunse concisamente. Il tipo di potere che possedeva era solamente difensivo, non offensivo, e pur amplificato dall'energia di quel posto, rimaneva tale. Solo quando chiedeva aiuto a olvar o kelvar poteva portare un attacco; oppure quando usava il potere taumaturgico invertito, ma per quello doveva entrare in diretto contatto con l'opponente. In quel frangente, doveva far squadra con Pallando, con lui che si occupava di affrontare gli avversari e lei che lo difendeva.
Un cenno del capo di Pallando le rivelò che lo Stregone Blu aveva compreso; lo vide sollevare le braccia e scatenare l'energia tra le sue mani contro il Balrog.
Khorakûn tentò di scansarsi, ma fu troppo lento e il fascio di lampi lo centrò al ventre. Con un urlo raccapricciante cadde su un ginocchio, ma si risollevò quasi subito e barcollò indietro, superando l'apertura del pozzo librandosi sopra di essa.
Approfittando della sua momentanea ritirata, la Maia balzò verso Túdhin e lo liberò dell'incantesimo del sonno; il lupo si sollevò istantaneamente sulle zampe, le orecchie piatte contro il cranio e le zanne scoperte in un ringhio, indicando paura e aggressività in pari misura.
Non puoi fare niente, qui, gli trasmise Nerwen con urgenza, Nasconditi, presto!
Nonostante il terrore, Túdhin avrebbe voluto combattere al fianco della sua amica a due gambe, come aveva fatto tante volte in passato, nell'altra vita in cui l'aveva conosciuta e in questa; ma riconobbe che in quella situazione era impotente. Così, pur con riluttanza, eseguì l'ordine che gli era stato impartito e corse a rifugiarsi oltre l'apertura da cui erano entrati.
Sapendolo ora al sicuro, Nerwen poté tornare a concentrarsi sulla lotta.
"Alatar è fuori combattimento?", domandò a Pallando.
"Credo di sì, l'ho colpito in pieno. Non penso d'averlo ucciso, ma di sicuro non potrà nuocerci per un po'."
Frattanto Khorakûn si era rimesso abbastanza in sesto per tornare all'attacco. Stavolta creò due giavellotti di fiamma e li lanciò entrambi contro i suoi avversari; sotto il doppio impatto, lo scudo di Nerwen andò in pezzi, ma riuscì ad assorbire abbastanza energia al punto che il residuo che li colpì non procurò altro danno che pizzicare la loro pelle. Fulminea, la Maia creò un altro schermo.
"È troppo forte!", esclamò Pallando, preoccupato.
"Non se uniamo i nostri poteri", dichiarò Nerwen a denti stretti, poi proseguì, "Appena superiamo il prossimo attacco, disperderò lo scudo e ti presterò la mia energia: tu usala assieme alla tua per sferrare il tuo colpo più potente, hai capito?"
Pallando annuì: non era certo di come poteva riuscirci, ma non vedeva altro modo per sopraffare il Balrog.
Khorakûn rigurgitò nuovamente un'enorme vampata di fuoco contro i due ostinati avversari; dopo aver rubato tanta energia ad Alatar da essere tornato praticamente al livello originario, non si era assolutamente aspettato di non riuscire a sopraffare due miserabili Istari. Lui era uno dei Balrog più potenti mai esistiti, nessuno tranne i Valar – e forse ora Sauron – poteva tenergli testa!
Anche stavolta, però, dovette constatare come il suo assalto si rivelasse vano, perché nuovamente le fiamme vennero respinte dalla difesa eretta dalla donna.
Appena il fuoco fu disperso, Nerwen disattivò lo schermo e convogliò l'energia del luogo verso Pallando; lo Stregone Blu si sentì improvvisamente riempire di una forza immensa. Pensò all'incantesimo offensivo più potente che conosceva e lo evocò; tra le sue mani si formò una sbarra di luce, che divenne un arco – l'arma di Oromë – con una freccia incoccata, fiammeggiante di potere.
Khorakûn reagì creando uno dei suoi giavellotti e lo scagliò; Pallando tirò in quello stesso istante e la freccia si piantò esattamente tra gli occhi del Balrog.
La testa del mostro scattò all'indietro come colpita da un maglio; ma non cadde, ed anzi tornò a ergersi, sebbene chiaramente indebolito. Con orrore, Pallando vide che stava attizzando le fiamme al proprio interno: entro una frazione di secondo le avrebbe vomitate contro di loro; annaspò nel tentativo di formare subito un'altra freccia.
Una figura di frappose all'improvviso tra lui ed il Balrog, le braccia levate, tra le mani una grande sfera blu. Con un urlo, Alatar lanciò la palla d'energia, in cui aveva concentrato tutto il suo potere, contro Khorakûn, che la ricevette in pieno petto. Con un ruggito, la creatura d'ombra e fuoco si piegò in due e vacillò all'indietro; per un interminabile istante, rimase in bilico sull'orlo del pozzo. Infine, con innaturale lentezza, piombò nell'apertura da cui era emersa e, con uno spaventoso ululato, scomparve. La luce rossastra si spense e così il rombo vibrante che aveva riempito la camera a volta.
Alatar si girò verso i due colleghi coi quali, alla fine, aveva deciso di schierarsi. Ripresosi dallo stordimento dovuto al colpo infertogli da Pallando, aveva visto Khorakûn che stava per colpire lui e Nerwen; in un istante, aveva infine compreso la propria follia ed aveva fatto la sua scelta, poi si era gettato nella lotta senza esitazione, pur sapendo perfettamente quale sarebbe stato il prezzo che avrebbe pagato.
Pallando si voltò verso Nerwen, trionfante. Con orrore, la vide a terra; dal suo ventre squarciato si levava del fumo, laddove il giavellotto del Balrog l'aveva colpita. L'arco di luce scomparve dalle mani dello Stregone mentre accorreva al fianco dell'amica e collega.
"Nerwen!", gridò. Lei aprì gli occhi e cercò di dirgli di non preoccuparsi, che tra poco sarebbe stata bene, non appena fosse stata in grado di usare la propria taumaturgia su se stessa, ma il dolore era così atroce che svenne.
Túdhin comprese che lo scontro era terminato e si affacciò dalla soglia; vide Nerwen accasciata sul pavimento e si precipitò da lei con un guaito. Conoscendo la sua natura, sapeva che non poteva morire, tuttavia vederla ferita lo sconvolgeva. Giuntole accanto, le leccò affettuosamente il viso, ma lei rimase immobile.
Pallando si girò verso Alatar in cerca di soccorso, ma l'altro non si mosse; stava per incitarlo ad aiutarlo, quando lo vide afflosciarsi sul pavimento. Allora corse da lui, lasciando Nerwen alle cure del lupo, e gli si inginocchiò accanto; non aveva ricordi di Alatar, ma ciò nonostante sentiva che li univa un profondo legame. C'era del sangue sulle labbra dello Stregone caduto.
"Ho... pagato il mio errore", rantolò Alatar, guardando il suo antico amico, "Credevo di... poter controllare quel mostro. Mi... ha ingannato..."
"Non parlare", lo esortò Pallando, prendendogli una mano, "Guarirai e assieme cercheremo il modo di tornare nella Terra di Mezzo."
"No", lo interruppe l'altro, "Per me... è troppo tardi. Ho consumato tutto il mio potere per colpire Khorakûn, non... c'era altro modo. Ed giusto che io paghi con la vita il mio errore. Lui... aveva promesso di darmi i vostri poteri per tornare... e poi volevo sconfiggere Sauron e prenderne il posto per... governare il mondo nella Luce. Sono stato... un pazzo... Perdonami..."
"Basta, Alatar", lo pregò Pallando con le lacrime agli occhi, ma l'altro scosse la testa.
"Prendi il mio posto", gli consigliò, la voce sempre più debole, "Potrebbero non credere che io sia stato ucciso da un Balrog e accusare te e Nerwen di regicidio... Poi trova il modo di tornare... ho registrato tutto quel che ho saputo da Khorakûn, descritto la procedura... quel che mancava era un potere sufficientemente grande... forse tu e Nerwen insieme potete farcela, lei è molto più forte di me o di te..."
"Dove si trova quella descrizione?", lo interrogò Pallando, ma Alatar non l'udì e disse invece:
"Tornate e... sgominate il Nemico... anche per me..."
Emise un ultimo, lungo sospiro, poi la luce della vita lasciò i suoi occhi mentre il corpo si abbandonava tra le braccia dell'altro.
Pallando chinò il capo; anche se la sua memoria era fallace, provava una grande amarezza. Lacrime scorsero sul suo volto, disperdendosi nella barba bianca.
Un uggiolio lo distolse dal suo dolore e di colpo rammentò Nerwen, che giaceva poco lontana, ferita gravemente e forse anche lei moribonda. Depose con cura il corpo di Alatar sul pavimento, poi tornò di corsa dalla collega.
Túdhin era sdraiato accanto a Nerwen, ancora incosciente, e pareva attendere qualcosa con pazienza. Pallando si chinò sulla donna, scrutando ansiosamente il suo volto, cercando di capire se era morta. Vide il suo petto sollevarsi impercettibilmente e comprese che era ancora viva. Pensando di dover cercare soccorso per lei, decise di trasportarla di sopra – non pesava molto e lui era comunque forte, nonostante l'apparente età avanzata – e si accinse a prenderla in braccio, ma il lupo sollevò il capo e lo fissò coi suoi occhi gialli, ringhiando piano.
"Tranquillo", lo rabbonì Pallando, "Non le voglio certo fare del male, ma dobbiamo andar via di qui."
Fece nuovamente il gesto di prenderla in braccio, ma Túdhin balzò in piedi e lo scostò col muso.
"Ehi", si spazientì lo Stregone, "se non la soccorriamo subito morirà! Lasciami fare..."
Il suo terzo tentativo però suscitò una reazione decisamente ostile da parte del lupo, che scoprì le zanne e ringhiò pericolosamente.
"Guarda che posso addormentarti come ha fatto Alatar", lo rimproverò Pallando, "Si può sapere perché vuoi impedirmi di aiutare la tua padrona?"
Rendendosi conto che l'altro non era in grado di capire le sue ragioni, Túdhin cambiò tattica e si allontanò; quando Pallando tornò alla carica, gli si piazzò davanti e scosse la testa nel segno che aveva imparato a riconoscere come un rifiuto o una negazione negli esseri a due gambe.
Lo Stregone esitò; aveva ben compreso che il lupo era molto più intelligente di quel che si ritiene esserlo quei predatori, ma che addirittura imitasse consapevolmente il linguaggio corporeo umano lo lasciava interdetto.
"Cosa vuoi dirmi? Che non dobbiamo muoverla?"
Naturalmente Túdhin non capì le sue parole; rimase fermo immobile, pronto a ripetere il segnale negativo se Pallando avesse riprovato a spostare Nerwen.
Lo Stregone passò lo sguardo dal lupo alla collega a terra, incerto.
"Va bene, sia come vuoi", si arrese, "Spero che tu sappia quel che fai."
Si obbligò a dominare la propria ansia ed attese.
Pochi minuti dopo, Nerwen mosse le palpebre ed aprì gli occhi, il cui sguardo era offuscato dal dolore. Pallando si chinò su di lei.
"Mia cara! Come ti senti?"
"Come se mi fosse crollata addosso una montagna", gracchiò la Istar, "Il Balrog...?"
"Distrutto", la rassicurò lui, "anche grazie a Alatar."
"Che ne è di lui...?"
"Morto... ha usato tutta la sua energia, consumandola in quell'unico colpo che, sommato al nostro, ha infine annientato quell'abominio. È spirato tra le mie braccia, chiedendo perdono per la sua stoltezza... Anche lui era stato ingannato, e credeva davvero di star agendo a fin di bene. Ha anche detto che nei suoi documenti troveremo la procedura per costruire un passaggio che ci riporti nella Terra di Mezzo, lui non poteva farlo da solo perché non era abbastanza potente, ma ha detto che io e te ce la faremo."
Nerwen tornò a chiudere gli occhi, sentendo male ovunque. Se il colpo di spada inflittole da Dolimavi a bordo della nave contrabbandiera le era parso doloroso, non era stato niente in confronto a quello che stava provando adesso e che le toglieva il fiato. Annuì per indicare d'aver capito.
"Cosa posso fare per aiutarti?", le chiese Pallando, prendendole una mano tra le sue.
"Posso guarire me stessa", gli disse, "usando il mio potere taumaturgico, ma occorrerà un po' di tempo."
"Aspetterò... non devo andare da nessuna parte, al momento", cercò di scherzare lo Stregone. Lei sorrise lievemente per fargli capire che apprezzava.
Sentendosi ignorato, Túdhin guaì per attirare la sua attenzione. La Istar lo guardò con affetto:
"Tranquillo, amico mio, tra poco starò bene."
Il lupo venne a sdraiarsi accanto a lei e le leccò la mano, poi posò la testa sulle zampe e si dispose ad attendere il tempo necessario.
Nerwen chiuse gli occhi e si concentrò. Per prima cosa disperse il dolore, che le impediva di pensare lucidamente; poi iniziò a riparare gli organi interni che erano stati danneggiati dal giavellotto di fiamma del Balrog e successivamente muscoli e tessuti, fino alla pelle.
Una mezz'ora più tardi riaprì gli occhi: era di nuovo perfettamente sana, anche se debole. Della terribile ferita avrebbe conservato una brutta cicatrice frastagliata che le attraversava obliquamente l'addome, almeno finché non fosse tornata in Valinor dove, riacquistando il suo pieno potere, avrebbe potuto cancellarla, assieme a quella sul fianco. Girò il capo verso Túdhin, che era rimasto sdraiato accanto a lei; vedendola muoversi, il lupo sollevò di scatto la testa e lanciò un latrato di gioia, che attirò l'attenzione di Pallando.
Nell'attesa, lo Stregone aveva composto il corpo di Alatar, chiudendogli gli occhi e pettinandogli con le dita i lunghi capelli bianchi e la barba, poi si era seduto con la schiena contro la parete ed aveva atteso. Richiamato dal latrato di Túdhin, si alzò e le si avvicinò.
"Stai bene?", s'informò. Lei annuì a conferma:
"Dovrai aiutarmi a salire le scale, però: le gambe ancora non mi reggono bene."
"Ma certo", annuì lo Stregone, poi esitò, "Chiunque altro sarebbe morto, con una ferita come quella che hai ricevuto...", constatò. Non era precisamente una domanda; Nerwen capì che l'altro non voleva essere scortese pretendendo di conoscere i suoi segreti, ma arrivati a quel punto non poteva continuare a tenergli nascosto il proprio differente grado di diminuzione rispetto a quello degli altri Istari, né del resto lo voleva più, oramai.
"Quando sono stata scelta per la mia missione, non mi è stato dato un corpo umano", gli rivelò, "Posso sentire dolore fisico e spirituale, posso venir ferita anche gravemente, ma non posso venir uccisa."
Pallando sbatté gli occhi più volte mentre assorbiva quella notizia.
"Meno male", commentò infine, "altrimenti adesso avrei due amici morti."
La Maia sorrise con sollievo: forse Pallando poteva provare invidia per la sua condizione di parziale vantaggio, ma se così era, le sembrava che l'avesse comunque presa bene, o non l'avrebbe definita un'amica al pari di Alatar.
"Forza, andiamo", la invitò lo Stregone, aiutandola a mettersi in piedi, poi le porse il braccio per sorreggerla. Con Túdhin alle calcagna, cominciarono l'ascesa della lunga scala a chiocciola.
Mentre salivano, Pallando ricordò qualcosa che Alatar gli aveva detto, riguardo al fatto di farsi passare per lui per evitare un'eventuale accusa di regicidio e lo disse a Nerwen.
"Sì, è meglio se ti fingi Alatar", concordò lei, "È sicuramente più facile credere che lo abbiamo ucciso noi piuttosto che un mostro leggendario di cui forse non sanno nulla, visto che non ci troviamo in Arda."
"Ma come faccio? Gli assomiglio, ma non così tanto da poter esser preso per lui..."
"Non sai creare un incantesimo d'illusione?"
Pallando frugò nella sua lacunosa memoria; non gli era mai capitato di dover usare un simile incantesimo, ma scoprì che effettivamente lo conosceva.
"Diremo che Pallando ha avuto un collasso", decise, "ed è morto. Come io mi ammanterò dell'aspetto di Alatar, così ammanterò lui col mio."
"Buona idea", approvò Nerwen, "e poi ci metteremo a cercare nei suoi documenti le indicazioni per la costruzione del passaggio."
Raggiunsero infine lo studio. Pallando lasciò Nerwen seduta su una poltrona per tornare nella camera sotterranea a recuperare il corpo di Alatar; non volevano infatti rivelare l'esistenza della stanza segreta mandandolo a prendere da altri.
Usò un incantesimo di levitazione per trasportare più agevolmente la salma, che sistemò su un divano. A quel punto tessé attorno a sé l'incantesimo che gli avrebbe dato l'illusorio aspetto di Alatar; non avendo a disposizione uno specchio per verificarne l'efficacia, dovette accontentarsi del parere di Nerwen, che gli assicurò che era perfetto. Poi lo Stregone evocò lo stesso incantesimo per dare ad Alatar il proprio sembiante; quando ebbe finito, prese un profondo respiro.
"Non sarà facile fingermi Alatar", commentò, "Non conosco il nome di tutti i suoi collaboratori, né l'ubicazione di ogni sala del palazzo... neppure della sua camera da letto..."
"Fingiti stanco e confuso", gli suggerì l'Aini, "così potrai farti accompagnare ovunque e non si stupiranno troppo se momentaneamente non rammenti il nome di qualcuno. Cercheremo di trovare quei documenti al più presto e poi ce ne andremo."
Pallando annuì, poi rimise a posto lo scaffale – manualmente, non conoscendo la parola di potere usata da Alatar – e nascondendo così il passaggio segreto; infine andò alla porta, girò la chiave nella toppa e l'aprì. Fuori c'era il solito paggio, che si girò subito a guardarlo.
"Lord Pallando ha avuto un collasso", disse lo Stregone Blu con la voce di Alatar, "Temo sia morto."
Il giovane impallidì:
"Volete che mandi a chiamare uno dei medici?"
"Sì, presto!"
Il ragazzo scattò di corsa, mentre Pallando rientrò nello studio. Attesero una decina di minuti, poi giunse frettolosamente una donna dai capelli color del ferro, con una grande borsa di tela. Andò a chinarsi su quel che credeva Pallando, steso sul divano, e lo visitò, mentre Nerwen, dato che la ritenevano sua figlia, faceva mostra d'essere terribilmente in ansia.
"Mi spiace, sire", disse poi, "Lord Pallando è morto, penso che abbia ceduto il cuore."
Nerwen allora si mise a singhiozzare e Pallando andò ad abbracciarla con fare consolatorio.
"Mi dispiace, mia cara", le disse a voce bassa, ma udibile dagli altri, "Era un brav'uomo", poi si rivolse al paggio, "Provvedi affinché venga preparato per le esequie."
Non citò il rogo, incerto se a Qos vigesse tale usanza piuttosto che un'altra, per il rito funebre; il giovane annuì e poco dopo giunsero due uomini robusti con una barella, sulla quale deposero il defunto, coprendolo con un lenzuolo, per poi portarlo via. L'illusione del suo aspetto sarebbe durata fintantoché fosse stata sorretta dalla volontà di Pallando, anche mentre dormiva e a qualunque distanza, per cui non c'era pericolo che scoprissero lo scambio d'identità.
Quando furono di nuovo soli, Nerwen interruppe la recita; lo Stregone aveva dato disposizioni affinché non fossero disturbati per nessun motivo. Il paggio aveva timidamente domandato se volevano qualcosa da mangiare, ma la Maia aveva rifiutato, pensando che non fosse il caso dato che, apparentemente, aveva appena subito un grave lutto, e Pallando aveva deciso di seguire la sua linea d'azione. Se saltavano il pranzo non sarebbe certo stato un grosso problema.
Cominciarono quindi a esaminare ogni libro, plico, pergamena e rotolo nello studio di Alatar, alla ricerca del documento che conteneva le istruzioni per la creazione di un passaggio che li avrebbe portati nuovamente a casa – a patto che i loro poteri combinati fossero sufficientemente forti.
Ore dopo, quando fuori era sceso il buio ed i loro occhi oramai bruciavano di stanchezza, decisero di sospendere la ricerca; avrebbero continuato il giorno dopo.
Erano trascorsi esattamente cinquantun anni, sette mesi e tre giorni dalla scomparsa di Nerwen e Pallando. Aryon Morvacor contava anche i giorni, a volte perfino le ore.
Derva era deceduta l'anno prima, col cruccio di non aver più potuto rivedere il suo re; anche Riltur, il cui genitore era stato Allakos, era morto, ed ora il principe cavalcava un discendente di quarta generazione del suo stallone. Kerensa, la fantesca innamorata che si era generosamente offerta di fungere da sostituta di Nerwen, era riuscita a volgere il proprio cuore ad un altro, si era sposata ed aveva avuto figli e nipoti.
Aryon era sempre il capitano delle guardie di Tarsad; l'agglomerato urbano, dopo essersi fermato per un certo periodo, aveva ripreso a crescere ed era adesso una cittadina di alcune migliaia di abitanti, circondata da un muro di legno e pietra abbastanza robusto. Le case in legno erano state mano a mano sostituire con case in muratura; a quel punto, Aryon avrebbe potuto permettersi un vero palazzo, ma non gli interessava, così si era limitato ad un'abitazione di poco più grande di quella precedente.
Vivere tra gli Uomini lo immalinconiva, perché gli sembrava che, non appena aveva fatto amicizia con qualcuno, costui o costei invecchiava e se ne andava, ed ogni volta era assai penoso accompagnarlo al rogo funebre. Nerwen gli aveva insegnato che ogni cosa in realtà finisce col tornare, nel grande ciclo della vita, ma questo alleviava soltanto di poco la sua tristezza di fronte alla dipartita di un amico.
"Perché non torni dalla tua gente?", gli aveva chiesto una volta Derva, circa sei mesi prima di morire.
"Perché Nerwen tornerà, e tornerà proprio qui, da dove è partita", le aveva risposto. In realtà, lui e la moglie non avevano mai parlato di questo, ma finché non avesse avuto la sicurezza che lei sarebbe ricomparsa altrove, non si sarebbe mosso.
Anche quella sera andò a letto – solo come sempre – e si addormentò con la speranza di trovare Nerwen in Olorendor. Dall'ultima volta erano trascorsi ventitre anni e lui, notte dopo notte, ostinatamente, si recava nella Terra dei Sogni a cercarla. Sapeva che era viva, sapeva che il tempo trascorreva in maniera diversa nel luogo dove si trovava, sapeva che prima o poi l'avrebbe incontrata nuovamente: aveva fatto di quella consapevolezza la propria verità assoluta ed incrollabile, a cui aggrapparsi per non arrendersi nei momenti di sconforto che, a mano a mano che il tempo passava, divenivano sempre più frequenti.
Olorendor era una massa informe e grigia, finché il sognatore non decideva di dargli una forma. L'ultima volta con Nerwen era stata la camera da letto di Aryon nella vecchia casa, ma ormai da molto tempo non evocava più quell'immagine, che gli suscitava una nostalgia intollerabilmente struggente. Così, il principe si limitò ad attendere, seduto su un divano che aveva creato con la mente, la testa abbandonata sullo schienale, gli occhi chiusi.
"Aryon..."
La voce era debole, ma inequivocabilmente era quella di Nerwen. Il principe balzò in piedi, guardandosi freneticamente intorno, ma non la vide.
"Sono qui!", esclamò, "Dove sei? Non ti vedo..."
Un vento immaginario spazzò via la caligine per lasciar posto ad un giardino verdeggiante; fu allora che la vide, mentre gli si avvicinava lentamente. Le corse incontro e l'abbracciò.
"Amor mio...! Come stai?", la interrogò, ansiosamente.
"Pallando e io siamo appena usciti vittoriosi da uno scontro con un Balrog", gli raccontò lei, sorridendogli, "Io ero un po' malconcia, ma mi sono già rimessa."
"Un Balrog?!", trasecolò Aryon, "Come... cosa...?"
"Non so come sia arrivato là", gli rispose Nerwen, "Alatar lo ha in qualche modo asservito, ma non ne conosceva la vera potenza, forse neppure la vera natura. Dapprima ha cercato di consegnarci a lui, poi si è pentito e lo ha combattuto al nostro fianco, fino a sacrificare la sua vita per noi."
Il principe rimase silenzioso per alcuni momenti, cercando di assimilare le notizie.
"Ora stai bene?", domandò poi, ancora terribilmente preoccupato.
"Sì, è tutto passato", lo rassicurò lei, "Pallando si sta fingendo Alatar per non incorrere in una possibile accusa di regicidio; il morto risulta essere lui. Stiamo cercando il modo di tornare; Alatar pensava che noi due insieme potessimo farcela, usando le sue istruzioni. Lui non poteva perché non era abbastanza potente."
"Meraviglioso!", esclamò Aryon, stringendola a sé, "Quindi tra poco potrai finalmente tornare!"
"Lo spero tanto... ma il mio tra poco potrebbe essere comunque molti anni per te..."
Il principe si irrigidì di fronte a quella prospettiva.
"Non fa niente", dichiarò piano, stringendo i denti, "Sono passati più di cinquant'anni: ne attenderò altrettanti, se necessario. Dopotutto, cent'anni non sono molto, nella vita di un Elfo."
Nerwen fece un rapido calcolo; scoprì che, dall'ultima volta in cui s'erano trovati, per Aryon erano trascorsi ventitre anni, e ne fu terribilmente turbata.
Con la volontà, trasformò l'ambiente circostante in una camera da letto, precisamente la prima che avevano condiviso, nel palazzo reale degli Hwenti a Kopellin, dove si erano fidanzati.
"Dimentichiamo lo scorrere del tempo", lo esortò, "e pensiamo solo a noi due..."
Si amarono più volte, dapprima con urgenza incontrollata, poi con lenta tenerezza. In Olorendor non era necessario dormire perché i loro corpi, nel mondo concreto, si riposassero, così approfittarono intensamente di ogni ora, di ogni minuto, intrecciando le loro membra, pelle contro pelle, respirando l'uno nella bocca dell'altra, i cuori che battevano all'unisono, mentre si scambiavano carezze e parole d'amore.
L'alba giunse fin troppo presto.
"È già ora...", sospirò Aryon tristemente, sentendo il richiamo verso il mondo della veglia farsi sempre più pressante; strinse Nerwen al cuore, baciandola un'ultima volta, "Mio fiore, torna presto", le raccomandò.
"Farò qualsiasi cosa per riuscirci", gli assicurò lei, accarezzandogli il viso, "Tutto il possibile e anche l'impossibile. Tu ricorda sempre che ti amo più della mia vita."
"E io amo te, anch'io più della mia vita..."
Si separarono lentamente, tenendosi le mani fino all'ultimo istante; poi il risveglio li strappò ancora una volta l'uno all'altra.
Aryon si destò con un groppo in gola, come ogni volta che tornava da un incontro con Nerwen in Olorendor, dovuto alla consapevolezza che sarebbe trascorso molto tempo prima che potesse rivederla. Si alzò, anche se in realtà avrebbe voluto rintanarsi in casa e non vedere nessuno per i prossimi giorni, ma i suoi doveri di capitano della guardia cittadina lo attendevano. Così, si vestì, andò in sala da pranzo, dove Elstrena, la sua grassa governante dai capelli rossi striati di grigio, gli portò la colazione e gli chiese premurosamente se avesse dormito bene. Nonostante tra i due fosse lui quello di gran lunga più vecchio – di ben due ere del mondo – Elstrena si comportava con lui come una madre; Aryon le era affezionato, anche perché gli ricordava molto Morvenna, la gentile locandiera che aveva fatto le veci di madrina di matrimonio. Non aveva mai più rivisto né lei, né suo marito Roden.
"Sì, grazie, Elstrena", le rispose, mentre gli versava il tè del mattino, una miscela aromatizzata al bergamotto che lui aveva contribuito a rendere popolare a Tarsad, "Ho visto Nerwen", aggiunse, dato che tutti sapevano che ogni tanto incontrava la moglie attraverso i sogni, "Sta bene, e così sire Pallando", concluse.
Nonostante i decenni trascorsi, Pallando era ancora molto amato; le nuove generazioni che non l'avevano conosciuto avevano appreso da quelle vecchie quanto fosse stato un sovrano giusto e saggio. Il monarca che governava adesso lo Yòrvarem, eletto ogni dieci anni, continuava a chiamarsi Reggente perché erano sicuri che il re sarebbe tornato assieme alla saggia con cui era scomparso.
"Qualche indizio sul momento in cui potrebbero tornare?", domandò la donna. Era originaria di Pallàndim e anche se era stata una bambina di appena sei anni quando il re era scomparso, lo ricordava ancora bene.
"Sembrano vicini a una soluzione; ma ormai sappiamo che pochi giorni per loro possono essere molti anni per noi."
Elstrena sospirò:
"Mi piacerebbe molto rivedere presto il nostro amato re."
"Spero che il tuo desiderio si avveri", affermò Aryon piano, "perché significherebbe che io rivedrei altrettanto presto mia moglie."
La donna lo guardò con comprensione: la sua fedeltà alla moglie era ormai leggenda, a Tarsad, e tutte le fanciulle romantiche della città sognavano un amore così, beatamente ignare di quanta sofferenza ciò significasse.
"Lo spero anch'io, per voi", disse, prima di tornare in cucina a prendere l'ertan che, come il tè al bergamotto, era stato introdotto nelle abitudini alimentari dei tarsadiani ad opera di Aryon; il principe lo prendeva sempre addolcito col miele, così ne portò a tavola un vasetto. Si assicurò che mangiasse, perché aveva notato che a volte se ne dimenticava, e poi quand'ebbe finito sparecchiò, mentre lui usciva per recarsi in caserma.
Un altro lungo giorno senza Nerwen era cominciato; lo sosteneva la speranza che la sua attesa, prima o poi, sarebbe terminata.
Angolo dell'autrice:
Sono sempre stata maleficamente affascinata dalla figura del Balrog e ritengo che due delle scene più emozionanti di tutta l'opera di Tolkien siano proprio i duelli di Glorfindel a Gondolin e di Gandalf a Moria con due esponenti di questa terribile genia. Fin dall'inizio quindi ho pianificato uno scontro tra Nerwen e uno di essi. Spero d'avervi tenuto col fiato sospeso come lo ero io mentre descrivevo la scena! :-D
Alatar doveva originariamente essere il Saruman della situazione: un traditore che alla fine muore ammazzato come merita. Invece no, ancora una volta il personaggio ha deciso di fare diversamente da come l'autrice aveva progettato e all'ultimo momento si ravvede; pur lasciandoci ugualmente le penne, lo fa con onore. Ormai dovrei esserci abituata, ai personaggi che fanno di testa loro e deragliano dal percorso prestabilito, ma invece mi sorprendo – piacevolmente – ogni volta.
Povero Aryon: più di cinquant'anni da solo, eccezion fatta per le rare volte che riesce ad incontrare Nerwen in Olorendor... sono crudele, lo so, ma è necessario; il motivo lo scoprirete presto.
C'è un piccolo omaggio al film "Lo Hobbit: La desolazione di Smaug", l'avete notato? Chi mi sa dire qual è? XD
Lady Angel
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