Capitolo 22 - La civetta e il Taglio nel tempo

Eveline salì i gradini gocciolanti a quattro a quattro.
«Via! Spostatevi!» gridò, in preda all'agitazione, quando arrivò in cima al primo pianerottolo.
Gli Skreenight si fecero indietro, scansandosi di qualche passo dallo spettro e facendo posto alla strega.

Lei si lasciò cadere in ginocchio, accanto ad Hiroshi, esausta.
«Jack! Jack, stai bene?» esclamò, preoccupata, prendendogli il viso tra le mani.
«Calmati...» le rispose lui, debolmente, «È una cosa che puoi risolvere... sei brava con questo tipo di incantesimi, ma... devi calmarti prima...»

La ragazza si scostò dal giovane, respirando più a fondo, nel tentativo di tranquillizzarsi, nonostante tremasse visibilmente. 

Hiroshi era disteso davanti a lei, completamente sporco di cremisi. Sul suo petto, all'altezza del suo cuore, era conficcato il pugnale d'argento, lucido e scintillante. Il suo sangue scivolava fuori dalla ferita aperta a fiotti, senza dare il minimo segno di volersi fermare, colando giù per le due rampe di scale del pianerottolo e scendendo in piccoli rivoli dalla ringhiera, allagando tutta la sala. Non era normale, era troppo, troppo sangue. Quell'arma doveva avere qualcosa che non andava.

Eveline si concesse qualche secondo, per riflettere sul da farsi.
Un pugnale che feriva in quel modo, che aveva una reazione del genere: dove l'aveva già letto?

Dalla sua scatola-inventario, la strega tirò fuori un libro grosso come un vocabolario, dalla copertina invecchiata: il manuale sugli spettri. Lo tenne sospeso davanti a sé, facendolo levitare in aria, in modo che non si macchiasse, quindi cominciò a sfogliare frettolosamente le pagine, guidandole a distanza muovendo le dita. Gli Skreenight, che erano rimasti a guardare alle sue spalle, non osarono fiatare, per non distrarla.

«Ci sono. Deve essere dalle parti di questo paragrafo...» disse, più calma, «Sono sicura di aver già sentito parlare di una cosa del genere, una volta. Deve per forza essere qui...»
Gli occhi della giovane scorrevano tra le righe, concentrati, con la velocità e l'agilità di chi è abituato a stare ore e ore con la faccia immersa nei libri.

Si fermò, improvvisamente. Sembrava aver trovato quel che cercava.
Guardò il pugnale. Poi di nuovo il volume.
Non poteva essere.

Si riavvicinò alle pagine, sul suo viso si formò un'espressione sconvolta.
Hiroshi le lanciò un'occhiata preoccupata: «Parla, forza» la incitò, stringendole un ginocchio.

Lei agitò il capo, in preda all'ansia: il suo sguardo rimbalzava dal libro al pugnale, al pugnale al libro, senza riuscire a smettere.
«Eveline?» insistette lo spettro, alzando un po' la voce.
Lei si riscosse, poi prese un ampio respiro.

«Quel coltello... non è un'arma qualunque...» iniziò a dire, ma le scappò un singhiozzo, che la costrinse ad interrompersi.
«Questo si era capito...» sospirò il ragazzo, paziente.
«No! Voglio dire...!» esclamò l'altra, «Questa è una magia anti-spettro molto potente, serve a ricondurre le anime in quel corridoio... e può essere fatta solo con l'arma che ti ha ucciso, Jack. Quell'arma» sottolineò la ragazza, indicando il pugnale «Questo... forse questo significa...»

«... che potrebbe essere stata Evangeline» disse Hiroshi, concludendo quella frase al posto suo, «Potrebbe avermi ucciso Evangeline» sussurrò, ripetendosi, distogliendo lo sguardo dalla strega e sforzandosi di metabolizzare dentro di sé quella rivelazione. Quindi sorrise, lasciando l'altra senza parole quando cominciò anche ridacchiare, tenendosi una fronte con una mano.
Lei non si aspettò quel modo di reagire. 

«No scusa, è che... è buffo se ci pensi...» si giustificò lui, e la sua espressione si incrinò alla tristezza, nonostante non riuscisse a smettere di sorridere, «Eveline, tu... se quest'arma appartiene ad Evangeline... potresti essere la stessa persona che mi ha ucciso... e salvato, allo stesso tempo.»

La strega s'innervosì: «Smettila di dire sciocchezze, non è divertente! Piuttosto, ora devo capire cosa fare per tirartela fuori di lì» sentenziò, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia e sforzandosi di mantenere un tono deciso.
«Puoi farlo?» chiese lui, ritrovando un po' di serietà.
«Certo che posso farlo» sfogliò il libro lei, senza toccarlo, «ma non sarà semplice.»

«Eveline?» provò Rinae, timidamente, avvicinandosi e chinandosi a sbirciare tra le pagine, sorprendendosi di quanto fosse dritta e verticale la lingua delle streghe, «Conosco anch'io un po' di magia curativa. Posso aiutarti in qualche modo?»
La strega agitò il capo, rivolgendo all'altra uno sguardo carico di tensione: «Non userò una magia curativa, magari fosse così semplice. Quella che proverò a fare sarà una "riparazione dell'anima", scusami ma non è roba alla tua portata. Ascoltatemi!» fece, voltandosi verso i maghi alle sue spalle, «Fatevi indietro, tutti quanti! Mi serve spazio!» 

La Specialista s'impressionò a quelle parole: a quanto pare sapeva benissimo cosa fosse una "riparazione dell'anima". Fece qualche passo indietro, quindi avvertì il gruppo con un gesto della mano: «Ragazzi, spostiamoci. Servono almeno un paio di metri, o il calore sarà troppo intenso, forza» fece, incitandoli.
«Calore?» s'incupì Steiyn, allontanandosi insieme agli altri verso il fondo del pianerottolo. 

Eveline ricercò la concentrazione, scorrendo gli occhi tra le pagine del tomo. La formula era corta e chiara, infatti non era quello il problema. 

«Sarà doloroso, vero?» le chiese Hiroshi, cogliendo la sua espressione al volo.
Eveline si limitò ad annuire, seria, continuando a guardare il manuale.

Lo spettro le prese una mano, e stavolta lei non resistette ad alzare gli occhi su di lui.
«Abbiamo avuto a che fare con cose peggiori di questa, lo sai» le disse, più rilassato, «Ce la farai senz'altro, ho piena fiducia in te.»
«Non ho mai fatto una magia del genere...» abbassò lo sguardo lei, «E poi... ho paura, stasera...» sussurrò, sentendosi avvolgere dall'angoscia, quindi s'indicò il simbolo dello Yang sulla sua guancia, così piccolo rispetto al solito.
«Sarà come le altre volte», la incoraggiò Hiroshi, «non ti preoccupare.»

La strega prese un profondo respiro, nel tentativo di lasciarsi scivolare addosso ogni tipo di emozione e sforzandosi di assumere un atteggiamento più distaccato.
Deglutì rumorosamente, quindi lanciò un'ultima occhiata al libro.
Le sue mani circondarono l'elsa del pugnale, ma senza sfiorarla, solo in posizione.

«Quando sei pronto», disse al ragazzo, dandogli tutto il tempo necessario.

«Zhore?» sussurrò Steiyn, più distante, in preda all'ansia, tirando qualche colpetto sulla spalla dell'Indovina, accanto a lui.
Lei gli lanciò un'occhiata infastidita: «Smettila», lo zittì, «tanto può andare solo in due modi.»

Hiroshi chiuse i pugni e gonfiò il petto, concedendosi qualche momento per raccogliere coraggio.
«Vai», annuì.
«Stringi i denti» lo avvertì Eveline, per poi afferrare l'arma senza più alcuna esitazione.

Le bastò toccarla: un enorme fiammata viola si sprigionò dalla lama, estendendosi lungo le braccia della strega e avvolgendo i due giovani completamente. Ne seguì una luce violentissima, sfolgorante. 

Gli Skreenight furono costretti ad indietreggiare ulteriormente, verso le scale, riparandosi il viso con le braccia, travolti da un calore insopportabile. 

La strega mormorava la formula parlando nella sua lingua, sudando freddo sotto la potenza di quell'incantesimo, e tirando in su il pugnale, che adesso veniva via dal petto di Hiroshi senza problemi, ma con estrema lentezza, millimetro per millimetro. Lo spettro strizzò gli occhi, sforzandosi di non mettersi a gridare, nonostante il dolore fosse insopportabile perfino per lui, che era abituato ad essere ricucito con ago e filo da Eveline periodicamente.

Il sangue, che fino a quel momento era fuoriuscito dalla ferita, bloccò la sua discesa, fermandosi improvvisamente. Quindi, prese a scorrere al contrario.

Stava tornando indietro, dentro il petto del ragazzo, svuotando il pavimento allagato, risalendo le scale. Gli Skreenight si stupirono, nel vedere quest'ultimo staccarsi addirittura dai loro stessi vestiti, dalla loro pelle, dai loro capelli, che tornavano puliti sotto i loro occhi. 

La lama superò la metà, Eveline la teneva stretta, nonostante questa fosse diventata incandescente: lei non riusciva nemmeno a guardarla, le lacrimavano gli occhi per l'intenso calore.

«No, no! Basta!!» urlò Hiroshi, con tutte le sue energie, divincolandosi per il dolore e afferrando le braccia della ragazza, nel vano tentativo di farla smettere, «Eveline!!» chiamò, e la sua voce s'infranse sulle pareti dell'intera torre, in un grido agghiacciante.

La strega lo ignorò, continuando imperterrita a ripetere la sua formula, fin quando il coltello non fu completamente fuori. Mentre gli ultimi grumi di sangue si ricompattavano dentro la ferita aperta, lei portò il pugnale vicino a sé, quindi lo strinse, lo strinse fortissimo, con l'intenzione di distruggerlo, e quello si crepò in mille schegge luminose sotto la pressione delle sue dita, frantumandosi in uno scoppio.

Eveline cadde di schiena, travolta dall'onda d'urto, e le fiamme si dissolsero, in una folata bollente.

La stanza ripiombò nel buio, sorvolata da migliaia di scintille fluttuanti.

Per un momento, l'unico suono che si udì fu il crepitio dei vetri sotto le scarpe dei ragazzi, sulle mattonelle ora perfettamente asciutte, che si guardavano l'un con l'altro, per assicurarsi che fosse tutto ok e che nessuno si fosse fatto male.

La strega si rialzò a fatica, tirandosi su e facendo attenzione a non ferirsi con i pezzi della vetrata che c'erano a terra, accanto al suo manuale, tutto spiegazzato, rivoltato sul pavimento.
Tremava completamente, dalla testa ai piedi. Si guardò le mani.
Il pugnale... lo aveva distrutto. Non c'era più.

«Ce l'ho fatta...» sospirò, stupendosi di sé stessa e mettendosi a sedere, «Jack...?» chiamò, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo. 

Gli ultimi rivoli di sangue tornavano al loro posto, nel taglio che lui aveva all'altezza del cuore. Lei gli scostò la camicia, per vedere meglio in che condizioni era la ferita: la trovò profonda e dritta, come al solito. Avrebbe dovuto ricucigliela daccapo, ma per quello che aveva appena fatto era messa anche fin troppo bene.

«Ehi, Jack?» chiamò, ancora, non sentendo arrivare alcuna risposta.

Hiroshi non si mosse di un millimetro. Aveva gli occhi chiusi, ed era immobile.

Eveline s'accigliò: questo era strano, gli spettri non potevano di certo dormire.

«Jack?» riprovò, scuotendolo per un braccio.

Il giovane non dava alcun segno di ripresa. Nemmeno il suo Elementwin brillava, nulla.

«Eveline?» la chiamò Steiyn, quando fece per riavvicinarsi alla ragazza, «State be...?» fece, ma si bloccò di colpo, nell'incrociare lo sguardo perso nel vuoto dell'altra, fissare il pavimento lì difronte a lei, lì dove fino a qualche secondo prima c'era stato lo spettro, e che ora non c'era più. 

Sparito, all'improvviso. Nel nulla.

Hiroshi aprì gli occhi, debolmente.
La prima cosa che vide, fu il soffitto scuro. 

Si voltò di lato, con un movimento lento. Il suo sguardo scese minuzioso lungo la parete alla sua destra, oltrepassando la finestra ad arco, per poi terminare sull'angolo che il muro formava col pavimento a scacchi. Avrebbe potuto riconoscere quelle mattonelle ovunque. 

Ancora qualche secondo, poi, una debole luce. Di un blu acceso, fastidioso, in direzione di quella stramaledetta ferita, che ora non gli faceva più male. 

Alzò lo sguardo, verso di me.

Io ero accanto a lui, inginocchiata alla sua destra. Il mio indice e il mio medio erano congiunti, puntati sul taglio, ed era da lì che proveniva la luce.

«Che... cosa fai?» sussurrò.
Mi diede l'impressione di sentirsi un po' sollevato, nel rivedermi.

«Cosa vuoi che faccia? Finisco l'incantesimo che ha cominciato Eveline» gli risposi, con fare ironico, scostando le code del mio frac all'indietro con la mano libera, per stare più comoda, «D'altronde, una "riparazione dell'anima" non è un tipo di magia che puoi pretendere riesca al primo tentativo.»
Hiroshi accennò un sorriso, in un misto di gratitudine e conforto.

Per qualche momento, il suono del mio potere magico quasi parve tintinnare attraverso i miei polpastrelli, riecheggiando tra le pareti dello stretto corridoio in cui entrambi ci trovavamo.

«Sai...» continuò lui, mantenendo un tono di voce molto basso, «Non appena risolvo questa faccenda del Midnight, penso che passerò attraverso la tua porta.»
Io alzai gli occhi al cielo, paziente: «Ma sì che lo so, vi osservo sempre.»
L'altro sospirò, ora più amareggiato. Forse si era aspettato una risposta diversa da parte mia.

«Hiro, senti» provai, dunque, riportando subito a me la sua attenzione, «Sei sicuro di non aver più paura di passare oltre?»
Lui agitò il capo, divertito dalla mia domanda: «Ormai non vedo l'ora, di passare oltre. Sono così stanco, di starmene bloccato in mezzo alla gente viva. Tu non hai idea.»

Esitai, prima di esprimermi di nuovo.
«Allora... hai paura che Eveline possa soffrire, restando da sola?»

Lo spettro cambiò completamente faccia, intristendosi di colpo. Si prese qualche secondo, ma si arrese quasi subito, quindi annuì.

«Oh, andiamo» gli feci, con tono più allegro, nel tentativo di tirarlo su, «Dovresti avere un po' più di fiducia in lei, secondo me. Non è più la bambina che hai incontrato dentro la biblioteca.»
Lui sbuffò, seccato: «Dillo, che sei contenta. Che dopo tutti questi anni mi sono finalmente deciso a passare dal tuo portale.»

Colta in flagrante, bravo. Che simpaticone.

«E anche se fosse?» ammisi, senza lasciar cadere il mio buon umore, «Voi due vi mettete nei casini di continuo, sarei già contenta se tu ci arrivassi con l'anima tutta intera, a passare dalla mia porta. E poi, sarò ripetitiva, ma lascia che te lo dica: dopo tutti questi anni te lo meriti, un po' di riposo.»

Hiroshi si rilassò, abbandonandosi alla consapevolezza che io stavo avendo ragione, come al mio incantesimo, che in quel frangente stava per concludersi, sotto le mie dita luccicanti.
Non arrossì, ma solo perché non poteva farlo, me ne accorsi dal suo modo di stringersi nelle spalle: «Già... ti ringrazio.»

Io mi soffiai via da una guancia una ciocca di capelli, godendomi allegramente la sua gratitudine nei miei confronti.

- - -

Gli occhi dello spettro si aprirono nuovamente, stavolta con più fatica.

Si trovò subito davanti il viso di Eveline, china su di lui, che lo guardava con un'espressione incredula e al tempo stesso preoccupata, a tal punto che pareva stesse trattenendo il fiato.

Glielo avevo rimandato indietro come nuovo. Non c'è di che, piccola libraia.

«Hai... visto Crossing The Line, vero?» gli chiese la strega, con un filo di voce.

Hiroshi era decisamente più tranquillo rispetto a lei: «Sì. Ha finito il tuo incantesimo.»
Lui adorò quella vicinanza da parte della ragazza: gli scappò un mezzo sorriso.

Eveline esitò, quindi si tirò indietro, frastornata. Sprofondò in un sospiro strozzato, lunghissimo, che si trasformò velocemente in un singhiozzo, per poi coprirsi il viso con le mani, ed infine scoppiare letteralmente in lacrime.

Hiroshi si tirò subito su, nonostante fosse ancora un po' dolorante: «Ehi? Ehi, no... dai, ora non fare così» le disse, stringendola a sé, «È tutto apposto, tutto ok. Sto bene. Non piangere.»
L'altra si lasciò abbracciare, appoggiando la fronte sulle sue clavicole: «Sono debole, così debole...» singhiozzò, sfogandosi con voce rotta, «Perché devo sempre essere così debole? Perché non riesco mai ad aiutarti?»

Quel ragazzo aveva avuto proprio ragione, a dire che lei non era pronta a stare da sola, che era presto, Eveline se ne accorse nel sentirsi così al sicuro, in quel momento, tra le sue braccia gelide. 

Lo spettro le accarezzò la testa, paziente: «Non sei debole, sei solo molto stanca, tutto qui. Stanno succedendo tante cose, tutte insieme. Dai, tirati su.»

«Non ci posso credere! Ho appena visto una "riparazione dell'anima" dal vivo!» si esaltò Rinae, stringendosi il viso tra i palmi, con sguardo sognante «Dal vivo! Wow! Quando lo racconterò non mi crederanno mai!» continuò, entusiasta, saltellando come una bimba.
Gli altri Skreenight si scambiarono delle occhiate sollevate, sorridendo difronte all'entusiasmo della Specialista. Tutti tranne Zhore, che invece sembrava molto più distratta, e di tanto in tanto rivolgeva uno sguardo preoccupato verso il pianerottolo sottostante.

«Per un momento, ho pensato davvero... che tu fossi...» incominciò a dire Eveline, scostandosi un po' dal giovane.
«Che cosa?» la incalzò Hiroshi, «Morto? Sul serio?» la prese in giro, ridacchiando.

Lei gli tirò un colpo sul petto, infastidita: «Tu hai dimenticato proprio del tutto quanto la vita sia delicata, non è vero? Non te ne frega niente! Sei uno stupido!» esclamò, scattando in piedi, e la sua tristezza si trasformò velocemente in rabbia.
Hiroshi restò folgorato da quella frase, non riuscì a risponderle.

La strega si coprì il viso con una mano, riprendendo a singhiozzare copiosamente: «Che cosa devo fare per farti capire che sono da sola? Nemmeno la mia metà mi ascolta, non mi sente nessuno! Sono da sola, e spaccata in due...!» la voce della giovane s'assottigliava, asciugandosi in un pianto sempre più sussurrato, «Tu ci sei e non ci sei allo stesso tempo, io... io non sono infallibile come credi, anch'io ho paura, cosa pensi? Ho paura! Ho paura della mia stessa gemella! Di me stessa...! Quella ragazza è me stessa... è me stessa... e mi spaventa... Perché mi spaventa così tanto? Perché la sto rifiutando in questo modo? Che... che cosa sta succedendo alla mia vita?»

Eveline si sentì accarezzare la schiena da una mano caldissima.

Si voltò lentamente, incontrando l'occhietto vispo di Areck, che la guardava con aria corrucciata: «Beh? Ma ti senti? Riprenditi un attimo, che cavolo, stai svalvolando totalmente. Forza, tieni» le disse, tirando fuori dalla tasca dei pantaloncini un fazzoletto di carta tutto stropicciato.

La strega si asciugò gli occhi, calmandosi un po': «Non so che cosa fare...» si lamentò, agitando il capo con rassegnazione.
«Ci devi parlare» le rispose Steiyn, con tono preoccupato ma al contempo fermo, «Ci devi parlare e devi chiarire. E se Evangeline non ascolta, insisti. Mica sei obbligata ad unirti a lei, se non vuoi, no?»

Eveline annuì debolmente, senza rispondergli.
Parlare. Quali altre alternative aveva?

Fuggire. Ecco, forse poteva fuggire, afferrare la sua scopa e volare via da quel castello, oltre il vetro sfondato alle sue spalle, e tornarsene finalmente a casa. 

Ma poi? Cosa avrebbe concluso facendo così?
Cosa sarebbe rimasto di quella lunga notte, se non ferite lasciate aperte a sanguinare?

Ferite.
I suoi occhi chiari si posarono sulla ferita sul petto di Hiroshi, che era rimasto seduto a terra, e in quel momento la guardava con aria pentita. Doveva ricucirgli quella ferita, approfittare della fortuna che avevano avuto. Continuare a piangere, sperando che le cose si sistemassero da sole, non sarebbe servito a niente. 

«Sì... hai ragione, Steiyn» annuì la strega, ritrovando dentro di sé un filo di determinazione, «Devo parlare con Evangeline e capire perché si trova qui. E devo anche scoprire se è stata davvero lei ad uccidere Jack.»

«Eveline... non ti sembra strana, questa cosa?» s'accigliò Areck, incrociando le braccia, «Voglio dire, tu e il tuo amico entrate in un castello a caso e... tac! Dentro ci trovate sia il suo corpo che la tua gemella.»
«Esatto. Non può essere una coincidenza» sottolineò Steiyn, sostenendo il ragionamento della dragonessa.

«Ovvio che non è una coincidenza» gli fece eco lo spettro, guardandoli tutti e tre, «Quando sono arrivato in questa sala ho parlato un po' con Evangeline, che ha accennato alla presenza dei Portinai, nel castello, stanotte. Sono sicuramente stati loro, ad aver preso le metà dei vostri medaglioni.»

Steiyn s'incupì: effettivamente la strega Nera aveva detto loro chiaramente che il Midnight stesso era di proprietà dei Portinai, definendolo uno dei loro quartier generali. La mente del ragazzino sfiorò il pensiero che, quella sera stessa, avrebbe potuto addirittura avere la concreta possibilità di rincontrare quell'uomo. Solo l'idea gli provocò un misto di disgusto e paura, facendogli accapponare la pelle.

«Steiyn?» s'accigliò la dragonessa, cogliendo i pensieri dello Skreenight al volo, «Tua madre non è stata uccisa proprio da un Portinaio? Pensi che questa cosa potrebbe avere a che fare con ciò che sta accadendo anche a noi?»
«Davvero?» strinse gli occhi Hiroshi, non aspettandosi quella rivelazione.
Il ragazzino parve irritarsi leggermente: «Sai, non ho tutta questa voglia di volerlo sapere.»
«Steiyn...?» provò Rinae, preoccupata che quel discorso potesse ferirlo.
Lui si limitò ad agitare il capo, come se avesse voluto scacciare le immagini fastidiose che avevano cominciato a riaffiorare nella sua mente, allontanandosi di qualche passo da lì, seccato.

Zhore gli andò dietro, silenziosamente. Si andò a sedere accanto a lui, poco distante, lì al centro della rampa che scendeva, sulla destra del pianerottolo.

«I Portinai...» sospirò Eveline, nello stesso momento, stropicciandosi il viso arrossato, «Non posso credere di aver fatto tutta questa strada per... per andare ad infilarmi negli affari dei Portinai.»
«Mi dispiace» abbassò lo sguardo Hiroshi, amareggiato, «Non avrei dovuto spingerti a venire qui, dall'inizio.»

La strega si inginocchiò difronte a lui, ora concentrata sulla ferita rimasta aperta sul petto dell'altro, «Non fa niente. Pensiamo a risolvere una cosa alla volta» gli fece, più calma, iniziando a sbottonargli il gilet.

«Non riesco a spiegarmelo, sai?» continuò lui, «Questo posto mi ha attirato tantissimo, dal primo momento che l'ho visto.»
«Forse era destino che saremmo dovuti entrare qui. Oppure è stata proprio Evangeline, ad attirarti. Forse hai percepito la sua presenza, in un modo o nell'altro.»

Eveline fece apparire uno strano ago, ricurvo e sottile, catturando subito l'attenzione della Specialista, che la osservava poco più dietro, curiosa.

Hiroshi si lasciò sfuggire un sorriso amaro: «Sai, un po' sarei sollevato, se fosse stata davvero quella parte di te ad uccidermi, vent'anni fa. Meglio tu che un Portinaio.»
«Io invece non mi sentirei affatto sollevata» gli rispose la strega, infastidita, «E comunque, ora che ci rifletto con più lucidità, questa cosa che è stata lei ad ucciderti non mi torna. Evangeline è la mia gemella, dunque dovrebbe avere la mia stessa età, e vent'anni fa noi due non eravamo ancora nate.»
Lo spettro annuì, pensieroso: «Questo è vero, non ci ho pensato. Ma allora quel pugnale da dove arriva?»
Eveline restò in silenzio, non conoscendo la risposta a quella domanda. 

Areck ed Heyel si scambiarono un'occhiata incerta, a loro volta, nell'ascoltare quella conversazione.

«Eveline, fai un tipo di sutura in particolare?» chiese Rinae, invece, più interessata a quel che la strega stava facendo, che al discorso. La figura di Hiroshi la inquietava un pochino, ma la sua curiosità per la magia curativa la spingeva a mettere da parte il fatto che quello davanti a lei fosse uno spettro vero e proprio.

La strega parve ritrovare un po' di conforto, all'idea di poter condividere quel tipo di informazione con qualcuno. Le scappò un sorriso: «Sutura continua semplicissima, ho imparato a farla a undici anni. Solo che come filo uso il mio stesso potere magico. Ti faccio vedere.»

Eveline si posò un palmo sul petto, pronunciando qualche parola nella sua lingua, per poi allontanarlo, generando un piccolo bagliore luminoso e candido. Lo tirò, e questo si rivelò essere lunghissimo, sottilissimo, brillante. Ne srotolò un po', come se nascondesse una spagnoletta invisibile all'interno del suo corpo, e il filo si ammucchiò a terra, formando alcuni cerchietti iridescenti.

Quando decise che ne aveva fatto apparire abbastanza, lo staccò con un gesto deciso, sotto gli occhi ammirati della Specialista. Ne infilò un'estremità nell'occhiello dell'ago, quindi tenne quest'ultimo fermo tra le labbra, mentre con entrambe le mani finiva di sbottonare la camicia allo spettro. Rivelò sia il taglio lasciato dal pugnale, più in alto, che l'inizio di quello che stava più in basso, così lungo che se ne riusciva ad intravedere solo una piccola parte, ancora intatta e accuratamente ricucita.

«Non sembra farti troppo male, rispetto alle altre volte» disse Eveline al giovane, quando si fu tolta l'ago di bocca, sistemando meglio la matassa alla sua destra.
Lui si nascose dietro un sospiro: «Dopo l'incantesimo di prima ti giuro che mi sembra di non sentire più niente.»

La strega studiò con più attenzione i lembi del taglio, per controllare che fosse tutto come al solito, e lo era, la rimozione del pugnale non aveva modificato in alcun modo né la forma né la dimensione della ferita.
Quella lama sembrava proprio combaciare perfettamente con essa.

«Beh? Sei ancora vivo?» fece la dragonessa, picchiettando un palmo sul braccio di Heyel, non vedendolo particolarmente reattivo. Lui si riscosse, riemergendo improvvisamente dai suoi pensieri. Sembrava distratto, preoccupato da qualcosa che la Skreenight in quel momento non riuscì a cogliere.

Hiroshi socchiuse gli occhi, quando Eveline infilò l'ago nella sua pelle trasparente, e quello fu l'unico accenno da parte sua al fatto che l'altra avesse cominciato a ricucirlo, poi più niente, restò in silenzio, insieme agli altri ragazzi intorno, che osservavano a loro volta le dita della strega muoversi abili in quel gesto abitudinario, curiosi.

Steiyn si stiracchiò sui gradini, non riuscendo più a tenere per sé quel pensiero insistente che gli ronzava fastidioso in testa già da qualche minuto.
«Ascolta, Zhore... tu credi che...?» provò a chiedere.
«Sì» lo zittì l'Indovina, senza lasciargli il tempo di finire la sua domanda.
Lui si girò a guardarla, facendosi scuro in volto.

"Tu credi che quel che è successo a mia mamma sia collegato al fatto che stasera noi ci troviamo qui?", avrebbe voluto chiederle.

«Sarà difficile, tornare alla vita di tutti i giorni, dopo stanotte» continuò la ragazzina, stringendosi nelle spalle, «tuttavia, questa non è una cosa che io posso in alcun modo cambiare. Semplicemente, perché è già in corso. Posso solo cercare di far andare le cose lungo la strada meno dolorosa, nulla di più» esitò, stropicciandosi l'orlo della gonna scura, in quel momento seminascosta nel buio denso che risaliva dal primo piano, «Steiyn tu... sei coraggioso, e il potere che ti porti al collo è forte e brillante quanto la tua volontà. Non ti serve a niente il mio aiuto, quindi smettila di continuare a farmi domande.»

L'Evocatore restò un po' deluso da quella risposta. Si era aspettato di sentirle dire altro, ma a quanto pare Zhore non sembrava troppo invogliata, in quel momento, a fare rivelazioni.
I due si guardarono per un breve istante, poi il ragazzo voltò lo sguardo, non riuscendo a reggere quello così inquietante e particolare dell'Indovina. 

«Sta arrivando», disse poi la piccola, concentrandosi sul pianerottolo sottostante.
L'attenzione del ragazzino fu nuovamente catturata dal viso dell'altra, per poi spostarsi sul fondo della sala.

Un bagliore bianco, lucente, ruppe in due l'oscurità, tagliandola orizzontalmente.
Era spuntata così, dal nulla, una sorta di spaccatura scintillante, sospesa.

Eveline si voltò di scatto, insieme agli altri, trasalendo per lo stupore.

Zhore scattò in piedi, quindi si affrettò a risalire le scale, per andare verso sua sorella, che intanto aveva già fatto riapparire il suo lampione, in un gesto istintivo.
«Steiyn?» chiamò Rinae, essendo che lui si trovava più vicino alla luce rispetto a tutti gli altri, ma il ragazzino non si mosse, si limitò ad alzarsi anche lui, più lentamente, incuriosito da quella novità.

I lembi morbidi, di quello che sembrava a tutti gli effetti uno squarcio nell'aria, si scostarono un po', tirandosi come si tira la stoffa, o qualcosa di molto simile.
Da questi, ne fuoriuscì una figura minuta.

Una ragazzina bionda, dai capelli corti, vestita d'un abito maschile ed elegante. Indossava un paio di guanti spessi e portava un pesante mazzo di chiavi ramate appese alla cintura. 

C'ero anch'io, insieme a lei. 

In quel momento cercavo di aggrapparmi come meglio potevo alla sua spalla, agitando le mie alette dalle piume marroncine, nel tentativo di non perdere l'equilibrio dalla sua giacca scura. 

«Ah, quanto mi dispiace» mi disse la ragazzina, sottovoce, squadrando per bene in faccia i presenti, con fare schifato, «Per loro è tutto rovinato.»
«Victor sa quello che fa, sei tu quella che mi preoccupa» le dissi, sussurrandole in un orecchio col mio becco scuro e ricurvo.
«Per questo ti ostini a tenermi d'occhio?» ringhiò lei, puntandomi addosso quei suoi occhietti rossi con cattiveria, «Victor non è altro che una pedina nelle mie mani. Ficcatelo in testa, Cross.»
«Non ti tengo d'occhio. Cerco soltanto di farti capire che quello che stai facendo è pura follia.»

«Si può sapere chi diavolo saresti, tu?» esordì Areck, infastidita dalla presenza della sconosciuta.
«Quella civetta! Cosa ci fa...?» trasalì Hiroshi, riconoscendomi, quindi si rivolse ad Eveline con la sua miglior espressione stupita, ma la strega gli rispose con uno sguardo interrogativo.

«Mi chiamo Nana, tanto piacere» disse la ragazzina, prendendo in giro la dragonessa con un inchino provocatorio, «Ma prego, non restate lì impalati, avvicinatevi pure» fece al gruppo, agitando su e giù un palmo, con fare saccente, «Non vi mordo mica.»

Gli Skreenight si lanciarono occhiate incerte, esitando qualche momento. Sta di fatto che nessuno di loro osò obbedire alla richiesta della piccolina. 

«Quello è un Taglio nel tempo» disse Rinae al gruppo, con tono basso, indicando la spaccatura bianca alle spalle della sconosciuta.
«Ovvero? Che significa?» provò la dragonessa, abbassando sia la voce che la fiamma sulla sua lanterna, «Quella tizia viene dal futuro?»
«Certo che no, scherzi? I viaggi nel tempo sono cose da film» si stizzì la Specialista, agitando il capo, «I Tagli sono dei portali in grado di trasportare in una dimensione che mostra, a distanza di dieci anni, il futuro o il passato del luogo in cui vengono aperti. Ma è solo una proiezione, non si viaggia davvero nel tempo. Diciamo che è un ottimo metodo per sparire agli occhi e alle orecchie di qualunque creatura magica, perché il tempo che c'è oltre il Taglio è fittizio e scorre al di fuori del flusso del presente.»
«Flusso del presente?» Areck inclinò un po' il viso, evidentemente confusa.

«Sei una Portinaia?» chiese Steiyn alla ragazzina, approfittando di quel momento d'attesa da parte nostra. Fu il primo a fare un passo in avanti, avanzando di un gradino.
Nana gli mostrò un sorrisetto cattivo: «Oh, ma tu sei quello del Capodanno.»

Il ragazzino s'immobilizzò, totalmente, e per poco non sbiancò.

Lei continuò, divertita dal cambiamento d'espressione dell'altro: «Quando sei sfuggito dalle mani di Junichi la prima volta devo ammettere che è stato esilarante. Victor se l'è mangiato vivo, per quanto era incazzato.»

Steiyn rabbrividì, nel sentire pronunciare quel nome.
Junichi? Chi era?
Si stava forse riferendo all'uomo che aveva ucciso sua madre?
Si chiamava così?

«E comunque sì» continuò la ragazzina, rivolgendosi nuovamente al gruppo: «Io sono la Portinaia numero sette. Sono stata mandata qui dal Capo Portinaio in persona, perché lui vuole che lo raggiungiate nel suo ufficio personale.»

«Ah, davvero? Beh, noi non andiamo proprio da nessuna parte!» ringhiò la dragonessa, parlando a nome di tutti, e la sua voce calda avvolse tutta la sala, «Chi ti credi di essere? Pensi davvero di venire qui e pretendere di dirci cosa fare?»

Nana non si lasciò incantare: «Mah, pensavo che vi interessasse, sapere dove si trovano le altre metà dei vostri stupidi medaglioni.»

Stavolta fu Areck a bloccarsi, ammutolita dal tono tagliente della ragazzina.
Dunque, quel che aveva detto Hiroshi era vero. Erano stati davvero i Portinai ad aver preso le metà mancanti dei loro Elementwin?

Eveline, che non aveva smesso di cucire, annodò l'ultimo punto alla base della ferita sul petto dello spettro, staccando il filo avanzato con i denti. La cucitura si fuse con la pelle fredda del ragazzo, facendosi più omogenea; nello stesso momento, lui sussurrava all'orecchio della strega: «Ascolta. Tu devi andare da Evangeline.»

«Cosa... ?» provò la strega, sottovoce, aggrottando le sopracciglia.
«Questa faccenda dei medaglioni e dei Portinai non c'entra niente con te, non ti riguarda» le spiegò Hiroshi, con fare calmo, «È più importante che raggiungi la tua gemella, e fai chiarezza sia con lei che con te stessa.»
Eveline ci restò un po' male: «Non mi riguarda? Come sarebbe? Certo che mi riguarda! Mi riguarda perché riguarda anche te!»

Il giovane si avvicinò ancora di più a lei, costringendola a guardarlo: «Eveline, dobbiamo capire che cosa c'entra Evangeline in tutta questa storia, sia con la mia morte che con i Portinai. Dividersi, ora come ora, è la cosa migliore. E poi noi Skreenight ce la caveremo benissimo anche senza che tu ti infili in un Taglio del tempo controllato dai Portinai» concluse, alzandosi in piedi.

«Ma così...» provò ad opporsi lei, tirandosi su a sua volta, «Se voi siete lì dentro io poi non posso raggiungervi in alcun modo, e quello non è un tipo di portale dalla quale tu puoi passare attraverso.»
«Non serve che ci raggiungi, saremo fuori di lì prima che tu te ne accorga. Forza», insistette, spingendola verso una delle due gradinate che salivano, poco più dietro. 

Eveline fece qualche scalino ed indecisa esitò, voltandosi verso il gruppo.

«Beh? Ne avete ancora per molto là sopra?» sbuffò Nana, incrociando le braccia, «Guardate che se ci ripenso me ne torno indietro e vi lascio qui.»

«Oi» fece Areck ad Eveline, attirando la sua attenzione, qualche secondo prima di avviarsi verso la rampa: a quanto pare aveva capito che la strega voleva salire anziché scendere con loro.
«Non ci restare secca, eh» le raccomandò, sorridendole, «Ci si ribecca dopo.»
Zhore andò dietro a sua sorella, afferrando un lembo della sua salopette, voltandosi verso Eveline solo un istante, per lanciarle un'occhiata preoccupata. 

La strega dedicò uno sguardo a Steiyn, che non si era mosso di un millimetro dalla sua posizione: lui se ne accorse, quindi annuì verso di lei con decisione, cogliendo al volo le sue intenzioni.

Eveline doveva fidarsi. Doveva fidarsi di loro, e del fatto che avrebbero potuto cavarsela anche senza il suo aiuto.

Heyel e Rinae si limitarono a rivolgerle un'espressione complice, ma non aggiunsero nulla, quindi scesero a loro volta la scalinata, accodandosi alla dragonessa e all'Indovina. 

La strega ispirò, più convinta, nel trovare in ultimo il viso dello spettro, con quella sua solita arietta furba dipinta sopra. 

Sentendosi incitare da quest'ultima, Eveline prese coraggio, quindi salì velocemente i gradini, fino a raggiungere la piccola porticina ad arco sulla cima del pianerottolo più alto. La maniglia di ferro cigolò con fare sinistro sotto la sua presa, e lei sbirciò dall'uscio semiaperto, prima di decidersi ed attraversarla.

Hiroshi non si voltò finché non vide la strega sparire completamente dietro l'anta. Quando lei si richiuse la porta alle spalle, lui non ci pensò nemmeno per un momento all'idea di doversi fare le scale.

Scomparve nella parete al suo fianco, per poi riapparire in quella subito accanto a Nana, ritrovandosi di colpo più avanti rispetto a tutti gli altri, che trasalirono, nel vedergli fare quella cosa.
Quindi, si chinò all'altezza della ragazzina, ma chiaramente non era lei a catturare la sua disapprovazione, in quel frangente.

«Tu che cosa ci fai, sulla spalla di una Portinaia?» mi chiese, alzando un sopracciglio.

Io non ebbi il tempo di rispondergli, che Nana si scostò di lato, mettendomi una mano davanti alla testa, a mo' di scudo: «Crossing The Line non è una tua proprietà, né una tua amica» gli disse, irritata, «Sai benissimo che quelle come lei non si schierano mai dalla parte di nessuno.»
«Dalla tua, non di certo» la provocò lui, più nervoso.

Nana gli rivolse un sorrisetto poco amichevole, dunque la sua attenzione tornò sul resto del gruppo, che nel frattempo ci aveva raggiunti.
«Andiamo» esordì la ragazzina, indicando il Taglio nel tempo con un cenno del capo, «Non abbiamo tutta la notte, e tra qualche ora sarà l'alba.»

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