Capitolo 21 - Il vero Jack

I ragazzi si sporsero sul bordo della cassapanca di pietra, dove c'era il corpo di Hiroshi.
Era rimasto lì, dove Eveline l'aveva lasciato poco prima di incontrare gli altri, freddo ed immobile, perfettamente intatto, nel suo abito elegante.

Zhore non ci arrivava benissimo, chiese ad Areck di prenderla in braccio, per vedere meglio.

Rinae si portò una mano sulla bocca, quindi guardò Eveline con aria spaventata: «È... è morto?»

La strega si strinse nelle spalle, non sapendo bene da dove cominciare: non aveva mai dovuto spiegare a nessuno la vera natura del suo amico, prima di quel momento. Non aveva nemmeno pensato, a dire il vero, di condurre lì gli Skreenight. Sta di fatto che tutta quella situazione ora non riguardava più soltanto loro, ma anche lui. Dunque loro dovevano sapere.

Nel vedere Eveline esitare, Heyel e Steiyn si lanciarono un'occhiata dubbiosa e, visto che il Cacciatore non poteva parlare in presenza della strega, il ragazzino lo fece per entrambi: «Che cosa significa? Quando l'abbiamo incontrato noi era anche fin troppo vivo.»

Lei si sforzò di cercare le parole più adatte, in modo da essere il più chiara possibile: «Ecco... Jack non è vivo, voi... quello che avete incontrato, in realtà, è il suo spettro.»

Nel sentire quella frase, per poco Areck non scoppiò a ridere: «Cosa? Il suo spettro?» la prese in giro, agitando il capo, «Ma che diavolo stai dicendo? Lo sanno tutti che i fantasmi non esistono, suvvia!»

Gli Skreenight si scambiarono sguardi preoccupati, nel vedere Eveline restare seria davanti alla considerazione della dragonessa, che a sua volta sbuffò, congelandosi completamente davanti a tutto quel silenzio.
«Beh? Ma che, davvero? ...Ragà?»

«Un momento. Ma certo!» fece Steiyn al Cacciatore, lanciandogli un colpetto sul braccio, poiché l'altro sembrava essersi totalmente assorto, «Ti ricordi? Quando hai provato a colpirlo? Attraversava sia i tuoi fulmini che la tua chitarra. Non il mio arco, però...» dunque schioccò le dita, colto da un'illuminazione improvvisa, «Perché è un'arma anti-spettro! Ovvio, logico! Come ho fatto a non pensarci subito?»
«Forse non ci hai pensato perché a nessuno verrebbe in mente che qualcuno possa essere uno spettro?» s'accigliò Areck, scettica, che non voleva proprio crederci a quella fesseria, «Attraversava i suoi fulmini? Ma ti senti?»
«È quello che abbiamo visto» insistette il ragazzino, ed Heyel annuì in contemporanea, accompagnandolo.

«Steiyn, aspetta» lo bloccò la strega, ora più confusa, «Di cosa stai parlando? Non avrete mica... combattuto tra di voi?»
«È stato lui a cominciare» le rispose, concedendosi di usare un filo di rimprovero: «Eveline, è anche per questo che abbiamo pensato tutti che lui fosse Settevite. Ha tentato di ucciderci.» 

La strega restò completamente spiazzata da quelle parole. Si prese qualche secondo prima di riuscire a mettere in fila una frase: «Cosa...? No, lui non... perché? Non avrebbe avuto alcun motivo... però, a meno che non abbia... oh, per quello era ferito, allora.»
Ripensò al fatto che Hiroshi poteva aver visto Heyel, nella città, quando quest'ultimo aveva provato a catturarla; d'altronde, quello spettro sapeva essere vendicativo e pericoloso, quando ci si metteva d'impegno. 

«Oh, per carità» si lamentò Areck, «Veramente stiamo credendo a questa cosa del fantasma?» sospirò, agitando il capo, quindi rimise giù sua sorella, borbottando tra sé: «Non ci posso credere, voi siete fuori...»
«Non ho più motivo di mentirvi» le fece Eveline, rabbuiandosi un po', «Vi ho portato qui apposta. Se questa cosa dei medaglioni e di Settevite riguarda anche lui, allora riguarda anche me.»

La dragonessa sbuffò del fumo dal naso, quindi si prese qualche secondo, per squadrare dall'alto in basso il corpo dentro la cassa; dopodiché, il suo occhio di drago tornò a puntare la strega: «Ok, benissimo allora. Devi dirci altro? O dobbiamo scoprirlo da soli?»
Eveline abbassò lo sguardo, intristendosi, ma non fece in tempo a risponderle.

Steiyn si mise in mezzo, tra le due ragazze, scostando un po' di lato la Skreenight: «Vuoi smetterla di prendertela sempre con lei, o no? Stai di nuovo facendo la stessa cosa di prima.»
«E prima che cosa dovevo fare, secondo te?» s'innervosì Areck, «Era lì, in piedi davanti a te, con quegli occhi gialli inquietanti. Ho agito d'istinto, ok? Ho già detto che mi dispiace.»
«Dai basta, vi siete già chiariti, ora non ricominciate» intervenne la Specialista, avvicinandosi a sua volta, «Adesso dobbiamo solo pensare a risolvere questa cosa, va bene? Ah, comunque scusami» fece, con tono più gentile, avvicinando una mano alla strega: «con tutto il casino mi sono dimenticata di presentarmi. Ti chiami Eveline, giusto? Io sono Rinae.»

L'altra cinse il palmo della Skreenight con un filo d'esitazione: due persone a cui stringeva la mano, entrambe nella stessa notte. Fantastico, nuovo record, le scappò un sorriso. 

«Sei una strega Bianca, vero?» chiese Rinae, curiosa, «Heyel mi ha raccontato che sei stata tu ad aprire i Timely. Grazie per aver fatto uscire anche mio fratello.»
Il sorriso di Eveline si trasformò in un'espressione più confusa, tanto che inclinò il viso, stringendo gli occhi candidi: «Tuo... fratello?»
Steiyn e Rinae si lanciarono delle occhiatine incerte, quindi la Specialista si grattò la nuca con fare imbarazzato: «Beh, cioè... fratellastro. In un certo senso. Diciamo che è una storia lunga.»
«Vi conoscete?» si stupì la strega, «Anche voi due? Sul serio?»
Steiyn arrossì un po': «Già... in effetti questa cosa sta diventando strana.»

Eveline s'incupì, dunque incrociò le braccia: «Bene, direi che ormai non ci sono più dubbi sul fatto che Settevite abbia scelto di rapire degli Skreenight specifici.»
Areck arricciò il naso: «Ma specifici in base a che cosa? Che cos'è che abbiamo in comune, tutti noi?»
«A parte il medaglione a metà?» fece spallucce Rinae.
«Mhm, no...» la corresse Steiyn, «L'amico di Eveline ce l'aveva intero.»
«Beh, ovvio, lui è entrato con me» sottolineò la strega, «Non è stato rapito da Settevite.»

Il ragazzino voltò il viso verso il cadavere: «Però... Settevite ha comunque preso il suo corpo. Perché?»
La ragazza sospirò, stancamente: «È quello che vorrei sapere anch'io.»
«Possibile che sia per...» iniziò a dire la Specialista, colta da un'illuminazione improvvisa. Lanciò un'occhiatina preoccupata a Steiyn, che tuttavia non riuscì ad afferrare pienamente il pensiero della giovane. Lei provò a farsi capire meglio: «Sai, come è successo a noi due, quella volta...»

Il ragazzino parve capire, sta di fatto che agitò vigorosamente il capo: «Impossibile. Pensaci, quante probabilità ci sarebbero che siamo tutti italiani?»
«Beh, a me questo ragazzo non mi sembra italiano» s'accigliò lei, indicando il corpo dentro la cassa.
«Aspetta, ma di che state parlando?» la fermò Areck, con un cenno del palmo.
Steiyn fu rapido a rispondere al posto della giovane: «Nah, niente, lascia stare» dunque tornò a rialzare lo sguardo sull'altra: «Rinae, quella è solo una diceria, un modo di dire. Non confondiamoci le idee, adesso.»

La Specialista si zittì, senza obbiettare, anche se un po'controvoglia. Accanto a lei, Heyel s'appoggiò al bordo della cassa, stropicciandosi stancamente gli occhi con le dita. Stavano continuando a girarci intorno, senza ancora riuscire ad afferrare il punto della situazione. 

Zhore cacciò un lungo sospiro, attirando su di sé l'attenzione degli altri, che però non osarono chiederle nulla. Se lei non parlava era perché non poteva farlo, non perché non voleva. Non era colpa sua, e loro stavano cominciando a comprenderlo sempre di più.

Eveline distolse gli occhi dal gruppo, concentrandosi su un punto indefinito nella foresta, oltre il confine circolare, dentro la fitta nebbia e fin dove la sua vista riusciva ad arrivare. 

«A quest'ora dovrebbe essere già tornato da un pezzo» si riscoprì a dire, preoccupata.
«Parli del tuo amico?» chiese Steiyn, curioso.
Eveline annuì, senza nascondergli la sua ansia: «È andato da Settevite.»
L'altro strinse gli occhi in due fessure, disorientato da quell'affermazione: «Eh...? Da solo? Ma perché?»
Lei sospirò, amareggiata: «Per esplorare. Essendo uno spettro, può spostarsi attraversando sia le pareti che alcuni tipi di portali.»
«Oh, che spettacolo!» si lasciò scappare Rinae, per poi tapparsi nuovamente la bocca, «Scusate...» fece, sentendosi totalmente fuori luogo.

Areck si stropicciò il viso, nel tentativo di scacciare tutta l'assurdità di quella situazione: «Un fantasma, un cazzo di fantasma... Va bene, mettiamo che sia come dici tu. Questo tizio, che è un fantasma, è entrato con te nel castello dall'inizio, e adesso si trova al settimo piano, dove si presume sia anche Jack Settevite, quello vero. Doveva tornare indietro, ma non sta tornando. Correggimi se sbaglio.»

La strega restò in silenzio, in attesa che l'altra finisse, facendole capire che stava dicendo giusto.

«Noi, ora, come dovremmo fare se volessimo raggiungerlo?» continuò la dragonessa, «La Blast Off si è chiusa da un pezzo, quindi teoricamente siamo bloccati qui.»
«Non proprio» le rispose l'altra, accennando un debole sorrisetto: alzò una mano, quindi fece apparire il libricino di Halloween, stringendolo tra le dita e mostrandolo a tutti, «Su questo potete stare tranquilli. Ho portato con me un'uscita di sicurezza.»

«A proposito di portali!» s'agitò Steiyn, ricordandosi improvvisamente di una cosa. Cercò frettolosamente nelle tasche del suo pantalone la mappa che aveva con sé, porgendola ad Eveline.

La ragazza le diede una rapida occhiata, nel dispiegarla completamente, piuttosto confusa.

«Che cos'è?»
«Era sulla nave. In quella stanza, ti ricordi?» fece lui, «Heyel dice che è il progetto fatto prima di costruire i Timely» aggiunse, voltandosi verso il Cacciatore, che aspettava a sua volta il parere della giovane.

L'espressione di Eveline si fece scura: «Sì, lo è, infatti, ma... è strano. Perché un alchimista dovrebbe farsi fare questo tipo di progetto da una strega? Non ha il minimo senso. Che razza di alchimista sarebbe?»
«Ho pensato la stessa cosa» annuì Rinae, nel posare anche lei lo sguardo sul foglio.
«Beh, allora le cose sono due» concluse Areck, «O questo Settevite è un completo idiota e si fa davvero aiutare da una strega... oppure la situazione è completamente diversa da come ce la siamo immaginati tutti quanti, fin ora.»

I ragazzi si guardarono l'un altro, senza sapere cosa aggiungere.

Steiyn si morse un labbro: «C'è qualcosa che ci sta sfuggendo. Qualcosa che ancora non sappiamo.»

Eveline ripiegò la mappa, infine la porse al ragazzino, stringendola tra due dita: «Usciamo di qui, allora. E andiamo a parlare con questo stramaledetto Jack Settevite.»

La strega chiese per la seconda volta a Steiyn di aiutarla ad ingrandire il libro di Halloween, una volta che lei l'ebbe appoggiato al tronco di un albero, aperto sulla pagina dove stava la serratura disegnata. 

Divenne alto all'incirca un paio di metri, sotto il potere magico del ragazzino, e la carta ingiallita sembrò prendere l'aspetto di una porta. Il foro fatto dalla freccia divenne grande a sua volta, lasciando intravedere parte della vegetazione dall'altro lato. 

Eveline si sforzò di ignorarlo: non aveva tempo per pensare a quella piccolezza. Hiroshi si ostinava a non tornare, e più il tempo passava, più lei si sentiva in ansia.

«Ascolta, ma... l'incantesimo combinato, poi? Mi stavo completamente dimenticando» fece Steiyn, nel ricordarsi della promessa che si erano fatti.
«Lascia perdere» gli rispose la ragazza, infilando la chiave nella serratura e girando energicamente verso destra, «Ora come ora vediamo di risolvere questa faccenda, a quello ci pensiamo quando saremo fuori dal castello.»

Si susseguirono diversi click, dunque la strega tirò fuori la chiave, ridossandola poi sotto la camicia. Scostò la carta, che si aprì, a mo' di anta, rivelando un uscio luminoso.

Rinae osservò con ammirazione il portale creato dalla giovane, tuttavia, in quel frangente si sentì trattenere per il vestito: accanto a lei, Steiyn le stringeva un lembo della gonna con una mano, l'altra invece la teneva all'altezza del petto. Aveva cominciato a respirare pesantemente, e il medaglione si era acceso debolmente sotto la sua maglietta.

«Ehi? Che cos'hai?» s'allarmò lei, chinandosi alla sua altezza.
«Di nuovo...» sospirò l'altro, stropicciandosi gli occhi con un palmo, «Basta, non ne posso più...»

Areck fece apparire improvvisamente il suo lampione: «Altri Animy» intuì, digrignando i denti.

«Cosa?» si stupì la Specialista, «Aspetta un secondo, da quand'è che riesci a sentire il potere oscuro?»
Il ragazzino le posò una mano su un braccio, per tranquillizzarla: «Non lo so. Forse da stanotte, forse da sempre. Comunque non ti preoccupare, dopo un po' mi abituo.»

Eveline fece apparire la sua spada, con un gesto secco del braccio, in una vaporosa nuvola violacea.

Fu la prima, ad attraversare l'uscita.
Gli Skreenight la seguirono dopo qualche secondo, senza esitare.

- - - 

La stanza in cui si ritrovarono i sei ragazzi, quando il libro li ricondusse nel castello, stavolta, era la più oscura che avessero mai varcato. 

Un'ampia vetrata colorata, sui toni del viola e del rosso, illuminava debolmente lo spazioso ambiente circolare, specchiandosi sul pavimento lucido, grazie alle due finte mezzelune all'esterno che, così vicine alla torre, mostravano tutta la loro inquietante grandezza. 

Nell'aria c'era un odore fortissimo, metallico.

Eveline fece sparire il libricino dentro la sua scatola-inventario, non appena l'ebbero attraversato tutti.

I suoi occhi faticavano ad abituarsi al buio. Si guardò i piedi, senza riuscire a vedere nulla: c'era qualcosa di liquido e al tempo stesso appiccicoso, sotto le sue scarpe. 

Che cos'era? 

Steiyn si fece scappare un gemito, per poi stringersi il busto tra le braccia. Barcollò, ma Heyel lo trattenne, posandogli una mano sulla schiena. Lì dentro il potere oscuro era così denso che sembrava colare dai mattoni stessi delle pareti e il ragazzino se lo sentì sciogliere addosso come acciaio fuso. 

La luce proveniente dal lampione di Areck era l'unica cosa che permetteva ai ragazzi di potersi guardare l'un l'altro in faccia. Lei avvicinò la fiamma al pavimento, non appena si accorse che i suoi anfibi erano per metà immersi in qualcosa.

«Ragà...» fece, ma non servì che aggiungesse altro, gli Skreenight vedevano chiaramente anche loro ciò che la sua lanterna stava illuminando. 

Quello sotto i loro piedi, era sangue. Un vero e proprio lago di sangue.

Rinae trasalì, alla vista di quello spettacolo macabro, Zhore invece strattonò la salopette di sua sorella, chiedendole con quel gesto di prenderla in braccio, visibilmente a disagio a stare con i piedi ammollo nel rosso, ed Areck la sollevò senza pensarci due volte, appoggiandosi il lampione sulla spalla libera.

In tutti i posti inquietanti in cui Eveline era stata, era la prima volta che aveva a che fare con una cosa del genere. Ispirò a fondo, raccogliendo il coraggio, quindi avanzò di un passo, in quel nero dalla penombra violetta, appena accennata.

«Jack... ?» provò a chiamare, debolmente, tenendo la spada in avanti e piegando un po'la schiena, in atteggiamento di difesa. Strinse gli occhi, concentrandosi verso il fondo della stanza. 

Giurò di aver visto qualcosa spostarsi, in quella direzione.

Provò a mettere a fuoco, ma con la fiamma della dragonessa accesa, alle sue spalle, la sua vista non riusciva ad abituarsi al buio. 

«Areck» le fece, quindi, «spegni la lanterna.»

La Skreenight non se lo lasciò ripetere, e in un attimo l'oscurità avvolse quasi completamente tutto lo spazio. 

L'unica cosa a restare accesa fu l'Elementwin di Steiyn, che emetteva un bagliore bianco piuttosto debole, da sotto la sua maglietta, ma quest'ultimo non dava particolarmente fastidio.

Gli occhi degli Skreenight cominciarono ad identificare con più chiarezza le sagome all'interno della sala. Era un'ambiente ampio, occupava tutto l'interno della torre, sia in orizzontale che in verticale, innalzandosi lungo due rampe di scale, che conducevano entrambe su un pianerottolo semicircolare, a sua volta posto sotto un altro pianerottolo più piccolo, più in cima, raggiungibile attraverso altre due rampe, alle sue estremità. 

I due pianerottoli sopraelevati erano privi di alcunché, a differenza dello spazio in cui stavano loro, in cui nell'ombra faceva capolino il profilo appena accennato di un letto, più in fondo, e diversi mobili, tra cui una scrivania, delle cassettiere, e quello che sembrava essere un ingombrante telescopio. 

Forse quella... era la camera privata di Settevite?

C'era qualcos'altro, tuttavia. 

Qualcosa che si muoveva, e che in quel momento cominciò ad avanzare verso di loro. 

Era qualcosa di grande, più grande di quel che Eveline si sarebbe mai aspettata di trovare.

La debole luce proveniente dalla vetrata ne accarezzò i contorni, non appena la figura si fu avvicinata abbastanza: il muso scheletrico di un Animy particolarmente grosso, rispetto a quelli incontrati dai ragazzi fino a quel momento nel castello, sbucò fuori dal nero assoluto del suo stesso pelo, che si mimetizzava alla perfezione nell'oscurità. 

In quel frangente ringhiava ai ragazzi, facendo vibrare le lunghe zanne, trattenuto, tuttavia, dalla figura seduta sulla sua schiena, che lo cavalcava. 

Una persona avvolta in un mantello, con un ampio cappuccio calato sul viso.

Non si riusciva minimamente a vedere in faccia.

Eveline scostò la spada di lato, con fare protettivo nei confronti dei maghi alle sue spalle. Studiò le due sagome dall'alto in basso, facendo scorrere lo sguardo più volte. Cappucci così ampi e pesanti erano solitiindossarli maghi che volevano proteggersi da eventuali poteri psichici di altrimaghi, come una barriera.

«Sei tu... Jack Settevite?» chiese, stavolta con più convinzione.

La figura scese dal mostro, lasciandosi scivolare alla sua sinistra e macchiandosi col sangue che c'era a terra, quando questo sguazzò sotto il suo peso. 

Eveline si sorprese. Era troppo longilineo per essere un uomo. 

Non sembrava affatto, un uomo. 

La sagoma si avvicinò alla strega, che a sua volta non si mosse. 

La ragazza cercò di ripassare in mente le parole che gli aveva detto Hiroshi, poco prima, nella Blast, per farsi coraggio: era lei, la creatura più forte, dentro quel dannato castello. Non doveva avere paura di niente, era piuttosto Settevite che doveva avere paura di lei. 

Non doveva avere paura di niente.

Strinse i denti, quando si ritrovò faccia a faccia con la persona incappucciata, a pochi centimetri di distanza. Sotto l'ombra del cappuccio, le parve di intravedere un mento e una bocca a lei stranamente familiari.

Non era possibile... no, doveva essere tutto quel buio a confonderla.

«Finalmente...» disse, una voce femminile, quando la suddetta bocca si mosse.

Eveline trasalì: la spada le scivolò di mano, cadendo a terra e alzando mille goccioline.

Le sue dita si posarono sul cappuccio della figura difronte a lei, esitanti, afferrandone delicatamente i lembi, per poi abbassarglielo dietro la testa, con un gesto lento.

«Non ci credo...» si ritrovò a dire la strega, emozionata e spaventata al tempo stesso, mentre il calore delle lacrime cominciava a risalirle su per le palpebre.

Davanti ai suoi occhi, c'era una ragazza. 

Aveva il suo stesso, identico viso.

- - -

«Finalmente» ripeté la giovane, stavolta sussurrando di puro sollievo e lasciandosi andare ad un sorriso. Sembrava davvero contenta di vedere Eveline. 

Era la sua copia esatta, nel fisico, nell'altezza, e in ogni curva del suo volto, tranne che per due dettagli: le sue iridi dorate, e il simbolo nero dello Yin, lì in bella mostra sulla sua guancia destra.

«Finalmente sei qui, davanti a me... Non sai quanto ti ho cercata, durante tutti questi anni» sospirò, emozionata, afferrando le mani dell'altra e stringendole tra le sue. 

«Evangeline...?» sussurrò la strega Bianca, confusa come non lo era mai stata prima.
«Sì, esatto» annuì la ragazza, che non riusciva a smettere di sorridere, «Sono così felice...» si commosse un po', dunque fece per asciugarsi gli occhi con un polso, in un gesto molto tenero.

Tuttavia, Eveline non sembrava dello stesso umore. 

Certo, da un lato era sempre stata curiosa di conoscere la sua gemella perduta, anzi, durante il periodo trascorso dentro la Nocturne era stata perfino invidiosa, di non avere una gemella anche lei, come tutte le altre mezze streghe della sua classe, l'aveva desiderata, una gemella, tantissimo. 

Poi, però, col passare degli anni, aveva smesso di chiedersi se la sua metà nera, effettivamente, esistesse. 

Hiroshi le raccontava delle volte in cui la piccola parte di Evangeline che Eveline si portava dentro di sé usciva allo scoperto, e quello che faceva o diceva, allo spettro, era raramente piacevole. Tanto che lui, molto spesso, evitava di scendere troppo nei dettagli. Per non farla sentire in colpa. D'altronde, lei non poteva nemmeno ricordarsi di quei momenti.

Eveline indietreggiò di un passo, sotto lo sguardo un po'sorpreso dell'altra.

«Ehi!» esordì Areck, non riuscendo più a trattenersi: «Cos'è questa storia?» fece, avvicinandosi alle due streghe, «Dov'è Jack Settevite? È lui che stiamo cercando.»
«Chi?» si stupì Evangeline, aggrottando le sopracciglia.

La dragonessa cominciò a dare i primi segni di nervosismo: «Jack Settevite» ripeté, scandendo bene entrambe le parole, «Dov'è?»

La strega Nera squadrò lei e tutti gli Skreenight, senza preoccuparsi di nascondere un certo disgusto: «Ah, voi sareste i famosi Skreenight dei Timely Door. Carini. Comunque no, mi spiace, non ho idea di chi sia, questo Jack Settevite di cui parli.»

Eveline ed Areck si lanciarono un'occhiata dubbiosa, poi la dragonessa parve completamente perdere la pazienza, avvicinandosi molto di più all'altra, con fare minaccioso: «Come sarebbe a dire, che non ne hai idea? È il proprietario di questo maledettissimo castello, lo sanno tutti!»

«No, ti sbagli» s'accigliò Evangeline, prendendola in giro con un sorrisetto compassionevole, «Questo castello appartiene ai Portinai. È uno dei loro quartier generali.»

I ragazzi si scambiarono occhiate confuse l'un l'altro, completamente disorientati da quella rivelazione.

«Cosa?» esclamò Areck, facendosi un po' indietro, «Come sarebbe? I Portinai? ...Cosa cazzo c'entrano i Portinai, adesso?»

Eveline socchiuse gli occhi, scrutando l'altra con un'espressione indecifrabile in volto: «Stai dicendo che Jack Settevite... non esiste?»

La strega Nera fece spallucce, con fare disinteressato: «E che ne so, sarà una leggenda del luogo. Sai come sono, questi giapponesi, devono sempre ingigantire le cose che gli appartengono ricamandoci sopra qualche storia fantastica, e infiocchettando tutto con nomi dal dubbio gusto occidentale, credendo che sia una cosa figa.»

Ad Eveline quasi piacque, l'ironia cinica della sua gemella, per poco non si fece scappare un sorriso, ma le uscì per di più una smorfia amareggiata: «Non ci voglio credere... Alla fine ho fatto tutta questa strada solo per andare ad infilarmi negli affari dei Portinai...»

Evangeline parve restarci un po' male, a quella frase: «Che cosa dici? Tu sei qui per me, no?» le chiese, con aria speranzosa, afferrandola per le spalle e avvicinandosi a lei col viso.
Eveline sbarrò gli occhi, per poi voltare lo sguardo, imbarazzata, nello stesso momento agitò la testa: «Io... ho certamente tante cose che vorrei chiederti, ma... non ti ho mai cercata, in realtà. Pensavo fossi morta, o... che non esistessi nemmeno. Non ho... alcun ricordo di te.»

La strega Nera si intristì. Esitò qualche istante, prima di tornare ad esprimersi: «Dici... seriamente? Ed io che ci tenevo così tanto a conoscerti. Tu... tu non hai voglia di stare con me?»
L'altra s'incupì ancora di più: «Cosa intendi?»
«Cosa vuoi che intenda?» la schernì Evangeline, cominciando ad irritarsi, «Unirti a me. Noi due, così separate, non siamo niente. Siamo solo due metà incomplete di una strega di sangue puro, di una persona vera, intera», quindi si staccò da lei, risentita, «Non senti costantemente la mancanza di qualcosa, dentro di te? Come un vuoto da colmare, qualcosa che ti appartiene e che già conosci, ma che per quanto tu ti sforzi non riesci mai ad ottenere veramente? Come se ti mancasse un pezzo? Io è così che mi sento, da sempre. È per questo che ti ho cercata. Per tutti questi anni» porse un palmo alla giovane, infine: «Unisciti a me. Diventiamo finalmente una persona unica, completandoci a vicenda. Io ti voglio, Eveline. Sei una parte della mia anima.»

Areck si impressionò a quelle parole, guardando le due ragazze come pietrificata da quel discorso. Gli Skreenight, poco dietro, non furono da meno, nella sala crollò un silenzio spettrale.

La strega Bianca restò immobile. Poi, allungò una mano verso quella dell'altra, scostandola però, di lato, con un gesto lento ma risoluto. «Io non voglio questo» disse, con voce tremante di paura, «Non voglio niente del genere.»

Evangeline si fece scappare un sorrisetto nervoso: «Cosa? Ma perché?»

«Nero su Bianco» fu la risposta di Eveline, riluttante. Fece alcuni passi indietro, riavvicinandosi agli Skreenight, seguita da Areck.

La strega Nera sembrava sapere a cosa lei si stesse riferendo: «E allora? Qual è il problema?» chiese, scettica.

«Che cos'è... Nero su Bianco?» chiese Steiyn ad Eveline, che già sopportava meglio la vicinanza della sconosciuta e del suo Animy.
«È una legge naturale di noi streghe» si affrettò a spiegargli, «secondo la quale, quando due mezzestreghe si fondono, la Nera tende a prevalere sulla Bianca. Se io mi unissi a lei, non rimarrebbe nemmeno il mio corpo.»

«Questa legge è solo una stupida leggenda!» s'innervosì Evangeline, stringendo i denti, «Un'insensata diceria creata apposta dagli esseri umani per evitare di avere troppe streghe di sangue puro in circolazione! Il fatto che sopravviva solo il corpo della strega Nera non significa che la strega Bianca sia destinata a scomparire, affatto. Entrambe le personalità si fonderebbero in parti uguali, come i simboli che ci portiamo in faccia.»

«Beh, io non lo so, se Nero su Bianco è vero o se è solo una diceria» alzò la voce Eveline, più decisa, «ma di certo non ci tengo a scoprirlo stanotte!»

Davanti a quel secco rifiuto, dapprima Evangeline sembrò restarne ferita, neanche fosse stata appena scaricata dal suo fidanzato. Poi, però, la sua espressione rassegnata si sciolse nella rabbia più pura. 

«Io... non mi aspettavo che tu non fossi d'accordo. Beh, poco male» sentenziò, con aria di superiorità, «vorrà dire che userò altre maniere per convincerti». Si spostò indietro, quindi cominciò a risalire una delle due rampe curve che conducevano al pianerottolo superiore, quella a sinistra.

Steiyn si portò d'istinto una mano in tasca, lì dove teneva l'arco rimpicciolito: iniziava già a sentire l'odore della battaglia imminente. Tuttavia, Zhore lo bloccò, afferrandogli l'avambraccio: «Fermati, non essere stupido. Sono due streghe. Noi non possiamo fare niente», sussurrò.

Anche Rinae udì quel breve avvertimento, quindi si voltò speranzosa verso Heyel.
Pure lui aveva sentito benissimo, ma nel guardare la Specialista s'affrettò ad agitare il capo.
I Cacciatori potevano catturare solo una strega alla volta, due insieme era una sfida impossibile per chiunque: se anche solo avesse provato a parlare, entrambe le ragazze avrebbero potuto coalizzarsi, rivoltarglisi contro e ridurlo in brandelli senza alcun problema, ma questo Rinae sembrava non saperlo.

«Sai, Eveline» disse la sua gemella, salendo i gradini gocciolanti con passi lenti, e avvicinandosi sempre di più alla luce scarlatta della vetrata, che occupava in orizzontale quasi tutta la parete semicircolare del primo pianerottolo, «Un Jack, in realtà, l'ho incontrato. Giusto poco fa.»

L'Animy, che fino a quel momento non si era mosso dalla sua posizione, cominciò a squadrare con più interesse il gruppo di ragazzi che aveva difronte, emettendo dei rumori cupi; i maghi aguzzarono i sensi, pronti a tirare fuori le armi al minimo segnale d'attacco. 

Eveline per poco non sbiancò, nel sentire l'altra nominare lo spettro.
«Lui... dov'è?» sibilò, tesa come una corda di violino.

Evangeline si girò verso di lei, squadrandola dall'alto della sua posizione. La sua figura dalla linea sensuale era avvolta in un abito scuro, lungo ed elegante, ora finalmente visibile nella sua interezza, in controluce al vetro illuminato dell'ampia finestra. Le sue décolleté dorate, dal tacco vertiginoso, si fermarono quasi in cima alla rampa. Nello stesso istante, la bocca della strega Nera s'allargò in un ghigno provocatorio: «È il suo sangue, quello che state calpestando.»

Si voltò di scatto, quindi tese un braccio verso il pianerottolo poco sopra di lei, alla sua sinistra, spalancando una mano in quella direzione, per poi girarla con un gesto secco verso l'alto.

A quel comando, Hiroshi riemerse dal sangue, come se fosse stato per tutto il tempo lì sotto, incastrato dentro le mattonelle del pavimento, nascosto in quella pozza purpurea.
Aprì gli occhi solo quando il suo profilo uscì completamente allo scoperto: l'azzurro delle sue iridi esplose nel rosso, sotto la luce fortissima emanata dal suo Elementwin, trafiggendo Eveline con uno sguardo che supplicava aiuto.

Ciò che accadde dopo, perdonatemi, io non lo vidi con chiarezza.

La strega Bianca raccolse la sua spada con un gesto fulmineo, raggiungendo la sua gemella con uno scatto che io nemmeno feci in tempo a scorgere, per quanto fu rapido. 

La vetrata si frantumò in mille pezzi, quando Eveline ci trascinò contro il corpo di Evangeline: l'impatto fu così forte che entrambe furono scaraventate fuori dalla torre, ritrovandosi a cadere sulle tegole del tetto di un'altra, che si trovava più in basso. 

Le due ragazze non si concessero alcun tipo di tregua, di respiro, scontrandosi l'una contro l'altra, entrambe armate di due grosse spade, entrambe con gli occhi illuminati di giallo.

I maghi, come me, realizzarono solo dopo qualche istante quel che era appena successo, ma non ebbero il tempo di reagire: il grosso Animy gli si parò davanti con aria offensiva, mettendosi tra loro e la gradinata. 

Ruggì fortissimo quando due frecce luminose gli si conficcarono dritte in testa, poi un accordo echeggiò nell'aria, frantumandosi sul corpo del mostro sotto forma di un fulmine, che illuminò tutta la sala per un brevissimo frangente. La creatura si divincolò, per poi scaraventarsi sopra i ragazzi con tutta la sua furia. 

La fiamma verdissima di Areck riempì metà stanza, quando la dragonessa la sputò sull'Animy, prendendolo alle spalle. Quest'ultimo si contorse, emettendo un verso spaventoso. Rinae provò a cogliere quel momento di difficoltà del nemico, sfilandosi la spada dal petto e provando a trafiggerlo di lato. Sta di fatto che la creatura se ne accorse in anticipo, avventandosi contro la ragazza e colpendola con una zampata. 

Contemporaneamente, la sua coda lunghissima prese in pieno la dragonessa, che non fece in tempo a scansarsi, ritrovandosi prima a sbattere contro la parete alle sue spalle, e poi ad annaspare nel sangue che allagava il pavimento. 

L'Animy ebbe un fremito, quando l'Indovina tentò di controllarlo. 

La bimba teneva le braccia tese in avanti, che tremavano per la fatica che le stava costando quell'incantesimo; nello stesso istante, Steiyn ne approfittava per lanciare sul mostro quante più frecce riusciva, colpendolo nella cavità vuota delle orbite bianche, al collo, e in tutta la zona superiore. 

«Heyel, a destra!» gridò la bambina, e la sua voce s'acuì sotto lo sforzo.
Il giovane non ci pensò due volte: scattòrapidamente a lato dell'Animy, quando un altro accordo slittò sulla tastieradella sua chitarra: ne fuoriuscirono delle scariche giallissime, che siriversarono in un unico sfolgorante fulmine, facendo vibrare l'aria di luceintensa, insieme ad un fortissimo odore di bruciato. 

Il mostro ruggì di dolore, e le pareti tremarono sotto la potenza dei suoi versi, alzando mille goccioline. 

Il contatto di Zhore si ruppe: la bimba si prese la testa tra le mani, cadendo in ginocchio, stremata. L'Animy provò a colpirla, in un ultimo tentativo di ribellione, poi la lama trasparente della spada di Rinae gli si conficcò dritta al centro del collo, facendolo rivoltare all'indietro: cadde infine di schiena, e gli spruzzi del suo sangue si confusero con quello che già c'era a terra. 

La Specialista restò in piedi sul corpo esanime della creatura per un breve momento, poi si voltò, più in basso: «Steiyn?» chiamò, cercando il ragazzino nella debole luce, adesso sui toni del blu, per via della grossa spaccatura al centro della vetrata, sopra le loro teste, che faceva entrare più cielo.

«Sto bene!» la tranquillizzò lui, ritrovandosi seduto a terra, con i vestiti completamente inzuppati. Provò a scrollarsi le braccia, schifato, inutilmente. 

«Alzati» fece il Cacciatore alla dragonessa, afferrandola per un braccio e tirandola su.
La Skreenight si era ferita a un fianco, in quel momento se lo stringeva fortissimo: «Mia sorella... dov'è mia sorella?» provò a dire, ma si ritrovò in ginocchio qualche secondo dopo, vinta da una fitta più dolorosa di quel che avrebbe immaginato.
Il ragazzo si inginocchiò difronte a lei, allarmato dalla forte luce emanata dal suo medaglione: «Fammi vedere»
«No, togliti... non è niente...»
«Ferma. Stai ferma» le fece, costringendola a non muoversi e premendole un palmo sulla ferita. La giovane strinse i denti, quando sentì le scariche curative dell'altro pizzicarle la pelle.

Non appena ebbe rinfoderato la sua spada, Rinae saltò giù dall'Animy, andando verso i due ragazzini più piccoli. Steiyn stava aiutando l'Indovina a rialzarsi: lei tremava visibilmente, ma non si lamentò.

«Tutto ok?» le chiese la Specialista, preoccupata.
L'altra annuì, senza parlare, nonostante fosse visibilmente scossa. 

L'Evocatore, invece, aveva lo sguardo rivolto verso il pianerottolo più in alto. Fu lì che andò, salendo di corsa la stessa gradinata che aveva salito poco prima Evangeline. 

Non appena arrivò in cima, trovò Hiroshi, steso a terra, quasi completamente immerso in quel che Evangeline aveva detto fosse il suo sangue: questo fuoriusciva da una ferita aperta all'altezza del suo cuore, dove a sua volta era infilato un pugnale argentato. Lo spettro si lamentava, cercava di sfilarsi l'arma di dosso, tirandola dall'elsa, ma quella non si spostava di un solo millimetro: doveva essere stata incastrata lì da un potente incantesimo. 

«No, ancora tu...» sospirò lo spettro, roteando gli occhi al cielo, non appena riconobbe il ragazzino.
«Heyel! Veloce, serve un Guaritore!» gridò Steiyn, inginocchiandosi accanto all'altro, incurante dei vetri che c'erano terra. Tentò anche lui di aiutarlo ad estrarre la lama, afferrandola e tirandola verso di sé con tutte le sue forze. L'unica cosa che ottenne fu solo di far ancora più male a Hiroshi, che si divincolò, esasperato.

«No, cazzo, no! Fermo, fermo!» esclamò.
«Ma che cos'è?» s'irritò Steiyn, scrollandosi il sangue dalle dita con un gesto secco, «È fatta di cemento?»
«Non ne ho idea... è la prima volta che ho a che fare con... una cosa simile...» gli rispose lo spettro, tra i gemiti.

Rinae si accucciò accanto ai due, raggiungendoli pochi secondi dopo.
«Sai di che si tratta?» provò a chiederle Steiyn.
Lei agitò il capo, inorridita alla vista di quella ferita: «Io studio magia curativa ma... non ho mai visto una cosa del genere in vita mia.»

«Sarebbe lui? Il tizio che avete scambiato per Settevite?» chiese Areck, quando arrivò anche lei in cima al pianerottolo, insieme ad Heyel e Zhore.
«Mi avete scambiato per Settevite...?» s'accigliò lo spettro, squadrando Steiyn.

La dragonessa non aspettò una risposta: «Ah! Lo sapevo che non era un fantasma!» esordì, con un sorrisetto convinto, indicando Hiroshi, «I fantasmi non perdono sangue!»
Il ragazzino le lanciò una smorfia di rimprovero: «E secondo te una persona viva, invece, ne perde così tanto? Nemmeno lo contiene, così tanto!»
L'espressione esaltata dell'altra si smontò quasi subito in una più dubbiosa, perdendosi nell'esitazione.

«Heyel? Nemmeno tu puoi fare niente?» fece Steiyn, preoccupato.
Il Cacciatore, per tutta risposta, fece un passo indietro, scurendosi in volto: «No, no, no... non ci penso nemmeno, ad aiutarlo.»
«Cosa?» esclamò il ragazzino, non aspettandosi minimamente quella risposta.
«Lascia stare...» gli disse Hiroshi, debolmente, aggrappandosi al suo braccio, «Non sono stato... affatto gentile con voi due, nel Timely. Non lo biasimo per niente.»

«Ma che significa?» s'infuriò Steiyn, lanciando un'occhiataccia ad Heyel, «Che razza di ragionamento sarebbe? Non lo vedi che sta male? Provaci almeno!»
Il Cacciatore voltò lo sguardo di lato, imperterrito.
«No! Ascolta...!» insistette lo spettro, stringendo i denti per il dolore, «Questo non è un tipo di magia... qualunque... anche volendo, lui non può farci niente. Serve una strega... serve Eveline...»

Areck, che era la più vicina alla vetrata, s'affacciò, facendo attenzione a non sporgersi troppo: l'altezza a cui si trovavano era da capogiro. Tuttavia, delle due streghe, non sembrava esserci alcuna traccia.
«Completamente volatilizzate» avvertì, agitando le dita nell'aria, per enfatizzare il concetto.

«Perché Evangeline ti ha fatto questo?» provò Steiyn, sempre rivolto a Hiroshi.
«Sono entrato qui dentro... attraversando la Blast Off...», gli rispose, ma esitò poiché gli scappò un gemito strozzato, «Non... non mi aspettavo di trovarci una strega... infatti mi ha scoperto subito...»

Zhore si voltò di scatto verso sua sorella: «Tornano! Spostati di lì!» esclamò.

La dragonessa fece appena in tempo a scansarsi, per poi cadere in ginocchio e ripararsi il viso tra le braccia. Ci fu uno schianto, gli Skreenight si abbassarono all'unisono, per non essere colpiti dai vetri e dai calcinacci. 

Poi qualcosa esplose dentro la stanza, nel piano sotto al quale si trovavano loro.
Altra polvere e altri calcinacci, altri spruzzi.

Eveline fu la prima a mettersi in piedi: affondò la lama della sua spada a terra, quindi si tirò su aggrappandosi all'elsa. Le sue iridi erano tornate bianchissime, nonostante brillassero di rabbia.

Evangeline si alzò in piedi a sua volta, poco distante. La sua spada fuoriusciva dal suo stesso braccio: gigantesca e dalla forma appuntita, fatta di quel che sembrava una pietra nera, lucente. Doveva essere così, l'aspetto del potere oscuro concentrato, che lei a quanto pare poteva manovrare a suo piacimento, essendo i suoi poteri composti essenzialmente da quello. 

Sta di fatto che la strega Bianca non attese che l'altra si riprendesse: fece sparire la sua arma nella sua scatola-inventario, per crearsi spazio.

«Purificazione!» gridò, nella sua lingua, aprendo i palmi dritti davanti a sé, verso il suo bersaglio: i topolini bianchi fuoriuscirono dalle sue dita a fiotti, riversandosi nel sangue che c'era sul pavimento e formando un'onda rossa e candida che travolse la strega Nera, sommergendola completamente. 

Eveline non smise di farli uscire nemmeno quando il corpo dell'altra scomparve dalla sua vista: i roditori si accalcarono l'uno sull'altro, facendo tremare le pareti e schiacciandovisi contro, travolgendo anche i mobili, per poi raggiungere il pianerottolo dove stavano gli Skreenight, e lanciarsi nel vuoto dalla vetrata distrutta, come un fiume in piena. 

«Mio dio, che schifo!» urlò Rinae, scattando in piedi alla vista degli animaletti, che però correvano tutti dritti verso la finestra e lungo le pareti, senza avvicinarsi ai ragazzi.

«Scherzi?» la prese in giro la dragonessa, «Sei ricoperta di sangue dalla testa ai piedi e ti lamenti di qualche topo?»
«No! Non posso farci niente! Mi fanno schifo!» se la prese a male l'altra, arrampicandosi sulla ringhiera che girava attorno al perimetro del pianerottolo, lasciandosi scappare dei gridolini quando qualche roditore finiva per rimbalzarle addosso.

Hiroshi accennò un sorriso, tra sé, cosa che attirò subito l'attenzione di Steiyn: «Se ci sono i topi... vuol dire che Eveline è davvero incazzata...»

Dal tappeto di roditori, fuoriuscì improvvisamente un secondo Animy, gigantesco: Evangeline era aggrappata alla sua schiena, visibilmente stanca. Aveva perso il mantello, in quel momento provò a tirarsi su a sedere: sembrava essere riemersa da un oceano in burrasca.

Alzò un braccio e le sue dita si tinsero di oscurità: «Inversione!» esclamò, nella sua lingua incompressibile.

Da bianchi che erano, i topi già evocati da Eveline cambiarono colore e divennero neri. La loro corsa deviò, per poi rivoltarsi contro la loro stessa creatrice, che si sentì improvvisamente travolgere da migliaia di zampette. 

Quelli rimasti candidi cominciarono a mangiarsi l'Animy, che inutilmente si divincolava e ruggiva, quelli scuri salirono sul pianerottolo, ma invece di buttarsi nel vuoto, per fare spazio agli altri, cominciarono ad attaccare i ragazzi.

«Ah, no, no! Teneteli lontani, non fateli avvicinare!» gridò Rinae, in preda al panico, completamente rannicchiata su sé stessa, aggrappata alla ringhiera.
Heyel afferrò il manico della sua chitarra con entrambe le mani, e cominciò a scaraventarla contro gli animaletti corrotti, insieme a Steiyn, che si era messo a fare lo stesso col suo arco.
La più efficace, tuttavia, era Areck: il suo lampione bruciava interi gruppi di roditori alla volta, le sue lingue di fuoco erano inarrestabili.

«Topo alla piastra, signori!» scoppiò a ridere la giovane, e tutto si accese nella luce verde delle sue fiammate, alzando scie di fumo grigio tutt'intorno.

Ad un certo punto, però, gli animaletti bianchi scomparvero del tutto, lasciando posto solo ed esclusivamente a quelli scuri. Steiyn e il Cacciatore si bloccarono, interdetti, l'uno affianco all'altro, nel vedere una vera e propria onda nera innalzarsi sopra le loro teste.

«Semicerchio!» urlò Eveline, dal fondo della sala, nell'accorgersi che gli Skreenight erano in difficoltà, e la cupola della sua barriera li avvolse tutti, in uno scudo rigido e trasparente. I topi oscuri ci si ammassarono sopra in un turbine di pelo e squittii, ricoprendola. 

Evangeline saltò giù dal suo Animy, di cui ormai era rimasta solo la pelliccia e qualche osso, scagliandosi contro la sua rivale, in quel momento distratta dal difendere gli altri ragazzi: «Mossa sbagliata!» esclamò.

La sua spada prese forma sul suo braccio, per poi conficcarsi a pochi centimetri di distanza dal corpo della strega Bianca, sul pavimento allagato. Eveline si era scansata appena in tempo: anche lei, come la sua gemella, era visibilmente stanca.

Evangeline non demorse, riprovando a colpirla: stavolta la sua lama di pietra schioccò contro quella di metallo dell'altra, che in meno di un istante era apparsa nella sua mano.

Le due si separarono, allontanandosi tra loro, per via dell'impatto. 

Presero fiato entrambe, in un momento di tregua. Eveline continuava a tenere il braccio rivolto verso la barriera, ma non osava distogliere lo sguardo dalla strega Nera, che la fissava a sua volta. Chissà come doveva essere, guardare negli occhi di qualcun altro e rivedere sé stessi.

Evangeline fece un piccolo segno col capo, al suo stesso incantesimo, e i roditori oscuri si carbonizzarono, nell'aria, autodistruggendosi in folate nere.

Gli Skreenight si guardarono intorno, disorientati, quando Eveline fece sparire la barriera, riabbassando il braccio. Cadde in ginocchio, completamente sfinita. 

La strega Nera ritirò la sua lama, quindi le andò incontro, avvicinandosi con aria minacciosa.

Steiyn reagì in meno di un istante: non esitò, scattò verso la ringhiera e da quest'ultima ne tirò fuori una freccia di ferro, quindi la incoccò, e l'avrebbe lanciata contro Evangeline, se soltanto Zhore non avesse afferrato il ragazzo per il busto, sbilanciandolo. Il dardo si conficcò sul soffitto, quando lui cadde di schiena, sopra la ragazzina.

«Cosa fai!» esclamò, scansandosi l'Indovina di dosso con rabbia.
«No!» gridò lei, quindi gli saltò al collo, ributtandolo a terra, «Non puoi colpirla con una freccia, sei pazzo? Te la rispedisce indietro! Ti ammazza!» l'afferrò per la maglietta, quindi lo trattenne sul pavimento, facendo pressione sulle sue spalle con tutto il suo peso.

Steiyn parve calmarsi, alle parole della bimba.
«L'ho visto!» fece lei, diventando tutta rossa in viso per lo sforzo, «In uno dei futuri possibili! Ti avrebbe ucciso se avessi provato a colpirla! Ti avrebbe ucciso con la tua stessa freccia!»

Il ragazzo restò immobile, sconvolto, mentre Zhore riprendeva fiato e si asciugava gli occhi, strofinandoci sopra tutto l'avambraccio.

«O-ok, ho capito... grazie...» riuscì a dire lui, soltanto. Lei si spostò, e l'altro si mise a sedere, cercando di riprendersi dal breve shock. A quanto pare, l'Indovina gli aveva appena salvato la vita.

Evangeline, nel frattempo, si era accucciata davanti ad Eveline: le stava dicendo qualcosa nella sua lingua, difatti gli Skreenight non riuscirono a seguire quella conversazione. Forse solo Heyel colse qualche parola, ma erano comunque ad una certa distanza, e la strega Nera parlava a bassa voce.

«Ascoltami, Eveline... dico sul serio, guardami» le disse. 

L'altra voltò lo sguardo, disgustata, ma lei le afferrò il mento con una mano, per poi voltarlo verso di sé: «Fondiamoci. Saremo una creatura unica, perfetta, e staremo sempre insieme, come due metà di una cosa sola. Perché non vuoi? Tu non desideri essere completa? Come tutte le persone?»

«No...» le rispose la strega Bianca, cominciando a singhiozzare, «Io voglio essere me stessa...»
«Ma anche io sono te stessa!» insistette Evangeline, intristendosi a sua volta, nel vederla piangere, «Così come tu sei me stessa. Saremo davvero noi soltanto quando saremo unite, insieme.» 

Nel dirle quelle parole e nel capire perfettamente tutti i dubbi e le paure provate dalla sua gemella, gli occhi di Evangeline si tinsero inaspettatamente di bianco. Anche lei aveva paura, anche lei aveva dei dubbi, ma voleva davvero tanto sentirsi completa, intera, unica. 

«Non sono pronta per questo...» sussurrò Eveline, piangendo.
«Non devi per forza esserlo subito, io posso anche aspettarti» provò ancora l'altra, speranzosa.
«Non so se sarò mai pronta...» abbassò lo sguardo la giovane, non riuscendo più a guardarsi riflessa nel viso della sua gemella.

Evangeline si alzò, staccandosi da lei, e le sue iridi tornarono a macchiarsi di giallo: «Parliamone, ti prego. In privato, senza quei maghi intorno, a tu per tu» quindi si voltò alla sua sinistra, alzando il viso verso il secondo pianerottolo, in cima alla torre, «Mi trovi all'ottavo piano. Raggiungimi. Da sola, però.» 

Fece apparire una scopa completamente nera, che pareva essere stata immersa nella fuliggine.

Non aspettò che Eveline le rispondesse: ci salì sopra, dopodiché si sollevò da terra, per poi volare fin sul secondo pianerottolo. 

Al centro di quest'ultimo, c'era una piccola porta ad arco. La strega Nera atterrò, dopodiché aprì l'anta di quest'ultima, per poi attraversarla, richiudendosela infine alle spalle.

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