Capitolo 19 - La scatola
«Scusate, ho dimenticato di farvi vedere una cosa» fece Steiyn, richiamando l'attenzione degli altri su di sé.
Gli Skreenight stavano discutendo animatamente tra loro già da qualche minuto quando, dalla tasca del pantalone, il ragazzo tirò fuori la mappa che aveva già mostrato ad Heyel, dispiegandola completamente.
«Ehi, ma questa non l'avevi presa sulla nave?» ricordò Areck, arricciando il naso quando l'odore della salsedine impregnato nella carta sfiorò il suo olfatto estremamente sviluppato.
Lui annuì: «Esatto, ma non è questo il punto.»
«È nella lingua delle streghe» gli fece eco il Cacciatore, incrociando le braccia.
La dragonessa esitò qualche secondo, un po' confusa: «E... quindi?»
Heyel alzò lo sguardo al cielo, poi le buttò addosso tutto il suo sarcasmo: «Ho capito che hai un occhio solo, ma pensavo che riuscissi a vedere che è scritta a mano.»
Lei gli sorrise con fare canzonatorio: «Sai anche pensare, adesso? Che carino che sei.»
Zhore, lì accanto, ridacchiò tra sé nel vedere i due scagliarsi addosso fuoco e fulmini col pensiero.
«Ragà, non è il momento» sospirò Steiyn, rimproverandoli entrambi.
«Aspetta un attimo» s'intromise Rinae, timidamente, inclinando un po' il viso, «ma la lingua delle streghe non poteva essere scritta solo dalle streghe?»
Il Cacciatore annuì: «È quello che stavo cercando di dire» disse, lanciando contemporaneamente un'occhiataccia ad Areck.
«E questo che diavolo starebbe a significare?» sbottò quest'ultima, «Che c'è un'altra strega, oltre ad Eveline, dentro questo castello?»
«Però! Sei perspicace» la prese in giro lui, rispondendole con un sorrisetto ironico.
«È la prima cosa che ci è venuta in mente» sottolineò Steiyn, più serio, cercando di far mantenere l'attenzione degli altri due sull'argomento, «A meno che Settevite non se la sia fatta scrivere da qualcun altro al di fuori di queste mura, prima di creare i Timely, come progetto.»
«Perché? I posti dove siamo stati fin ora avevano bisogno di un progetto?» si stupì la dragonessa, «Solo a me sembravano cose random buttate completamente a caso con in mezzo un sacco di mostri?»
«Il progetto serve solo come base per permettere al creatore di non perdersi» puntualizzò Rinae, che di portali se ne intendeva, «Il contenuto del Timely Door tende spesso ad assumere forme simili a ciò che viene custodito all'interno, ed essendo che all'interno c'eravamo noi, l'aspetto dell'ambiente è sicuramente stato influenzato dalle nostre personalità e dalle vibrazioni sonore del nostro potere magico. Ancor di più quello direttamente intorno al soggetto in questione, quel pezzo d'ambiente subisce sempre la maggior distorsione.»
Steiyn incrociò le braccia, nel riflettere: «Allora è per questo che il paesaggio cambiava, ogni volta che ci avvicinavamo allo Skreenight prigioniero?» chiese, ripassando nella mente tutti i Timely in cui aveva notato questo dettaglio, compreso il suo, essendo che lui ne aveva visti più di tutti, quella notte.
«Precisamente» annuì la Skreenight.
«Quindi, questi progetti base, possono essere creati solo dalle streghe?» provò Heyel, più curioso.
«In realtà no» agitò il capo la ragazza, pensierosa, «Al contrario, può crearli quasi chiunque. Pensa che anche io sono in grado di crearli. Sinceramente, non riesco a capire perché un alchimista potente come questo Jack Settevite dovesse chiedere una cosa così semplice addirittura ad una strega.»
Steiyn fece scorrere gli occhi sul foglio, nel breve silenzio che si venne a creare in quel momento.
«Ci sono troppe cose che non tornano... e non mi piace per niente» concluse, rabbuiandosi.
Areck si portò le mani ai fianchi: «Cose che non tornano e che, guarda un po', in un modo o nell'altro hanno sempre a che fare con una strega.»
Il ragazzino si morse un labbro, voltando lo sguardo altrove, ma in quel momento non poté fare a meno di darle ragione.
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La scaletta a chiocciola che portava al sesto piano era stretta e buia, a tal punto che la dragonessa dovette portarsi in testa al gruppo col suo lampione e fare luce per tutti. Non avrebbe però mai pensato che potesse salire così in alto, pareva non finire mai.
Areck arrivò insieme agli altri, nella stanzetta circolare che stava in cima alla rampa, con il fiatone; quando fece sparire la sua asta, si premette i palmi nella zona lombare, lamentandosi: «Avrò dolori per tutta la settimana, me lo sento!»
«Esagerata» la prese in giro Zhore, ridacchiando tra sé, «La schiena ti farà male due giorni, sei ore e trentadue minuti, a partire da domani sera alle sette e quattordici»
Areck si lasciò scappare un sorriso amaro: «Beh, grazie tante. Perlomeno adesso so che a domani sera ci arrivo viva.»
«Mica ti facevo restare qui, se a domani sera non ci arrivavi viva» le rispose la bimba, stavolta più seria.
«E quello che cosa sarebbe?» chiese Heyel, quando il suo sguardo fu attratto dal profilo dorato della Blast Off, sul fondo della stanzetta, accanto alla piccola finestra ad arco. La luce pallida dell'esterno imperlava i contorni gocciolanti dell'enorme cerniera, facendo scintillare i cristalli incastonati lungo il suo bordo.
Rinae si portò entrambi i palmi sul viso, e i suoi occhi brillarono di violetto: «Che meraviglia, non avevo mai visto una Blast Off dal vivo...» sussurrò con delicatezza, come se la sua voce, se troppo forte, avesse in qualche modo potuto scalfire la superficie lucida e preziosa del portale.
«È uguale a quella che stava al secondo piano» specificò Steiyn, «Non vedo le statue però, stavolta» quindi cercò quest'ultime inutilmente, voltando con più attenzione lo sguardo intorno.
«Che si fa? Entriamo?» fece spallucce la dragonessa, avvicinandosi all'oggetto col viso, per osservarlo meglio, e la sua attenzione fu subito catturata dalle opalescenze ammalianti delle pietre.
Rinae si lasciò scappare una risatina nervosa: «No, non credo proprio! Queste porte sono a tempo, se resti chiuso dentro poi devi aspettare che qualcuno ti venga ad aprire dall'esterno.»
«Sembra aperta, però» osservò Heyel, che aveva notato la grossa zip abbassata.
«È stata Eveline ad aprirla, mi ha detto che l'avrebbe fatto» gli fece eco Steiyn, che non riusciva a staccare gli occhi dall'apertura luminosa, dalla quale, stavolta, non si riusciva bene a distinguere il contenuto.
Quindi esitò, nel raccogliere, dentro di sé, risolutezza e coraggio.
Doveva entrare, assolutamente, ma sapeva già che sua sorella non avrebbe approvato affatto.
Si voltò verso di lei, con l'idea di parlare chiaramente, ma la ragazza afferrò le sue intenzioni ancor prima che lui riuscisse ad aprire bocca.
«No, Steiyn, non pensarci nemmeno», lo rimproverò lei, «non sai neanche da quanto tempo è aperta, potrebbe chiudersi da un momento all'altro.»
«Ma Rinae, io ci devo entrare! Devo parlare con Eveline!» insistette, «E poi come pensi che faccia lei? Mi ha detto che sarebbe rimasta lì dentro fino a chiusura, quindi è chiaro che sicuramente conosce un modo per uscire.»
La Skreenight afferrò il ragazzino per un polso, per trattenerlo: «Sei impazzito? Non ti lascio entrare lì dentro!»
«Ehm, potrei... ?» provò Zhore, alzando timidamente un indice, ma in quel momento gli altri parvero ignorarla completamente.
«Aspetta» fece Heyel, posando un palmo sulla spalla di Rinae, nel tentativo di farla ragionare «Sto pensando ad una cosa: se un paio di noi entrano lì dentro e tu resti fuori, saresti capace di riaprire il portale dall'esterno?»
«Stai scherzando?» si scostò bruscamente lei, risentita, «Certo che no! È una Blast Off, non ha niente a che vedere con dei portali semplici come i Timely. Non è un tipo di passaggio che io posso aprire, non sono così potente.»
«Per aprirla bisogna scrivere "Partenza" nella lingua delle streghe» precisò Steiyn, mentre si liberava dalla stretta della sorella, ricordando quel che aveva visto fare alla strega, al secondo piano: «Heyel, resta tu qui fuori con lei. Premerai le rune sulla base quando bisognerà riaprirla, conoscendo la lingua delle streghe non avrai problemi.»
«Beh, una cosa è certa» sottolineò il Cacciatore, «io lì non ci entro.»
«Il fatto è che...» provò l'Indovina, ancora, senza successo.
«Steiyn! Credi davvero che sia così semplice?» esclamò Rinae, sgridando il ragazzino, «Hai idea di quanto potere magico ci voglia per premere le rune di una Blast? Io e lui insieme non riusciremmo neanche ad arrivare alla seconda, senza prosciugarci completamente!»
Lui restò spiazzato da quella dichiarazione: «Ma che dici? Eveline ci ha messo un attimo.»
La ragazza allargò le braccia, spazientendosi: «Grazie tante! Stai parlando di una strega!»
L'altro s'incupì di colpo, immobilizzandosi.
Che cosa?
Due Skreenight adulti, entrambi figli di maghi, non arrivavano a fare neanche metà dell'incantesimo che quella ragazza aveva fatto davanti a lui con tutta quella naturalezza?
Pensando a questo dettaglio, gli parve improvvisamente di avere una qualche sorta di unità di misura, per capire quanto fosse immenso, il potere magico di Eveline, messo a confronto con il loro.
«Mi fate parlare, per cortesia?» s'innervosì Zhore, approfittando di quei pochi secondi di silenzio che si erano venuti a creare.
L'attenzione degli Skreenight si spostò improvvisamente tutta su di lei, come se si fossero ricordati solo in quel frangente che lei poteva vedere il futuro.
«Giusto. Da quanto tempo è aperta la Blast?» le chiese Steiyn, stropicciandosi le mani con nervosismo.
«Dodici minuti e trentanove. Avete due minuti e venticinque per pensarci. Ventiquattro» la bimba agitò il capo, come se così facendo avesse voluto scacciare l'abitudine di mettersi a contare i secondi, «In realtà, adesso ci sono due futuri possibili. Due strade, ma sono diverse» ammise, prestando molta attenzione alle parole che diceva.
«Due futuri?» le fece eco Rinae, un po' disorientata da quel discorso. Guardò Heyel, che al contrario sembrava incuriosito, e Areck, che invece si limitò ad incrociare le braccia, un po' annoiata.
«Sì» continuò l'Indovina, «possiamo arrivare al settimo piano sia entrando nel portale che facendo il giro di questa torre. Riscendendo le scale e tornando indietro, c'è un passaggio poco prima dell'inizio del ponte sospeso. È la strada più sicura, ma anche la più lunga.»
«Però così non incontriamo Eveline» insistette Steiyn, teso come una corda di violino. Sono abbastanza convinta che in quel momento lui stesse contando i secondi alla rovescia, in mente.
«Che intendi con "più sicura"?» le chiese invece Heyel, scoprendosi affascinato dal potere della piccola. Era la prima volta che glielo vedeva usare.
Lei fece spallucce: «Entrando nella Blast Off arriveremo prima al settimo piano, ma qualcuno si farà male.»
«Ecco, appunto» sottolineò Rinae, annuendo vigorosamente «Lo dice anche lei, dobbiamo fare il giro.»
«Il fatto è che...» proseguì Zhore, voltandosi a guardare il passaggio ancora aperto, «... credo che quella del portale sia la strada più giusta.»
«Non c'è il rischio che restiamo bloccati lì dentro?» intervenne Areck, riflettendo sulla questione a sua volta.
«No» agitò il capo la ragazzina, «Il portale si richiuderà ma Eveline ci farà uscire. Se decidiamo di entrare è lei che dobbiamo cercare.»
«E se non la trovassimo?» fece Rinae, preoccupata, «Possiamo fidarci di questa Eveline?»
«No che non possiamo, è una strega» agitò il capo il Cacciatore, per nulla convinto.
Zhore arrossì visibilmente: «Io... io penso che soffrire un po' sia un prezzo equo da pagare se poi si riesce a trarre vantaggio dalle situazioni. Non tutto il male viene per nuocere, e una strada più difficile può insegnare qualcosa, rendere più forti. Per questo la trovo più giusta» si limitò a dire, cercando con cura le parole, in modo che non facessero intuire più del necessario.
«Che cosa vuol dire?» alzò un sopracciglio la Specialista, confusa.
Zhore cominciò a spiegare un po' meglio a Rinae perché non poteva essere più chiara, a riguardo dei molteplici futuri che vedeva.
Steiyn si concesse ancora qualche momento: aspettava che sua sorella fosse sufficientemente distratta da distogliere la sua attenzione su di lui, anche solo per pochi secondi.
Fece un passo indietro: la Blast era alle sue spalle, sospesa, ancora utilizzabile. Non avrebbe sprecato quell'occasione.
Areck parve accorgersi immediatamente delle sue intenzioni: lo guardò e lui si bloccò, pregandola con lo sguardo di non dire niente. Lei roteò il suo unico occhio al cielo, fece no con la testa, ma non lo fermò: al contrario, gli accennò un sorrisetto complice, che il ragazzino afferrò al volo, ricambiando con un'occhiata d'intesa.
Il secondo dopo, lui scattò verso il portale aperto. Veloce, senza più alcuna esitazione, mandando completamente all'aria le lecite preoccupazioni degli altri e tutti i loro ragionamenti.
Pochi attimi, per poi sparire dentro la Blast con un balzo.
«No! Steiyn! Torna qui!» gridò Rinae, vedendolo sparire dentro il passaggio.
Fece d'istinto per andargli dietro, ma Heyel l'afferrò per il busto, con un gesto ancora più rapido: «Aspetta, no! Ferma!» esclamò, cercando di farla ragionare, tenendola ferma tra le braccia.
«No, no! Stupido impulsivo! Torna indietro! Steiyn!» esclamò lei, nel tentativo di liberarsi dalla stretta, «Perché? Non mi ascolta mai! E adesso che cosa faccio?»
Areck si mise in mezzo a sua volta: «Calma, calma! Agitarsi non serve a niente. Zhore?» fece poi, rivolgendosi alla piccola, «Conto alla rovescia, da brava.»
La bimba sospirò, scocciata, rilassando fin troppo le spalle e lasciando ciondolare le braccia: «Quarantasette, quarantasei...»
«Toglimi le mani di dosso!» esclamò la Specialista, liberandosi dalla presa del Cacciatore, che la lasciò andare.
«Si può sapere che vuoi fare?» s'accigliò il giovane, guardando Rinae come se fosse completamente impazzita, «Vuoi seriamente entrare lì dentro e sperare che una strega poi ti aiuti ad uscire?»
«No!» strinse i denti la Skreenight, rossa in viso per la rabbia, «Ma ora sono costretta! Non posso lasciare Steiyn lì dentro da solo, non esiste!»
La dragonessa si scrollò le spalle, molto più calma rispetto all'altra: «Per quanto mi riguarda non ho alcuna intenzione di mettermi a fare il giro della torre, dopo tutte le scale che abbiamo dovuto salire. Se mia sorella dice che è questa la strada più giusta, io mi fido. E poi con Eveline ci voglio parlare anch'io.»
«Trenta, ventinove... » continuava l'Indovina, meccanicamente.
«Seriamente?» insistette lui, non riuscendo proprio a comprendere perché quei ragazzi avessero tutta quella voglia di mettersi nei guai da soli.
Sta di fatto che Rinae non aspettò più, e attraversò l'uscio della Blast prima ancora che Areck riuscisse a rispondergli.
«Beh» gli disse, spolverandosi una spalla con fare altezzoso, «Io a domani ci arrivo viva di sicuro» sorrise, tra sé, gongolandosi un po' e lanciando un'occhiatina soddisfatta alla sorellina. Zhore inclinò un po' il viso a quell'affermazione, quasi pentendosi di averle rivelato quel dettaglio.
Entrambe le Skreenight entrarono nel portale, sparendo sotto gli occhi interdetti di Heyel.
Areck per poco non cadde in ginocchio quando mise piede oltre la zip, sul suolo ricoperto di muschio, che si trovava leggermente più in basso rispetto a quello del castello. L'Indovina no, lei conosceva quel particolare e mille altre cose.
Il pavimento sotto gli anfibi della dragonessa era composto dagli stessi mattoni che c'erano nel Midnight, con l'unica differenza dell'erbetta bassa, che li ricopriva d'un manto umido e scuro. Studiò l'ambiente davanti a sé con più attenzione. Si trovavano dentro una sorta di foresta, cupa e oscura, ricca degli odori della terra bagnata e della vegetazione, ma soffocata da una nebbia fittissima, che lasciava a malapena intravedere il soffitto squadrato, più in alto, sulle loro teste, e così densa che si poteva tagliare con un coltello.
Altro che biblioteca, sparire lì dentro significava perdersi e punto, a prescindere dal fatto che avessero avuto il tempo di tornare indietro o meno.
«Steiyn!» chiamò la Specialista, lì accanto, mettendosi le mani intorno alla bocca a mo' di megafono.
«Grandioso» sospirò Areck, e con un gesto brusco del braccio fece riapparire il suo lampione. Sta di fatto che, lì dentro, perfino la fiamma sulla sua lanterna sembrava inutile, arrivava solo ad illuminare qualche tronco d'albero poco più avanti, che affondava le sue radici bianche nei mattoni levigati del pavimento, nient'altro. «Mai che si trovi qualcosa di normale dentro questi portali, eh? Che so, un ristorante» sbuffò, rivolgendosi alla sorellina.
La piccola le rispose mostrandole la sua espressione più annoiata: «Undici, dieci...»
Heyel le raggiunse proprio in quel frangente e per poco non inciampò anche lui nello scavalcare l'uscio.
«Steiyn! Riesci a sentirmi? Steiyn!» continuava a chiamare Rinae, che intanto era avanzata di qualche passo rispetto a loro.
«Ti avverto» mormorò il Cacciatore, parlando alla dragonessa: «Se restiamo intrappolati qui dentro, passerò il resto dei miei giorni a dirti che te l'avevo detto.»
Areck sorrise a quella battuta, stavolta facendosi più complice nei suoi confronti: «Beh, questa sì che sarebbe una tortura. Altro che Settevite.»
Heyel non si lasciò sfuggire l'occhiata d'intesa che lei gli regalò, cosa che lo fece sorridere a sua volta, più sinceramente.
«Due, uno» sentenziò Zhore, e la zip dorata della Blast si sciolse su se stessa, trasformandosi in una sorta di sfera liquida e lucida, alle loro spalle. Restò così, sospesa a mezz'aria, gorgogliando all'eco delle voci dei giovani, che avevano cominciato a chiamare tutti insieme il nome del ragazzino, inutilmente.
Eveline avanzò nella fitta vegetazione come se quella per lei fosse routine, continuando a tenere ovattato il suo potere magico.
I boschi erano sempre le ambientazioni più comuni quando si trattava di portali, perché meno difficili da realizzare. Lanciò un'occhiata al soffitto mattonato sulla sua testa, senza stupirsi. Le Blast Off erano dei portali complessi e non potevano contenere luoghi a cielo aperto, così quel posto acquisì un senso nella sua mente, quando lei capì che si trattava di una sorta di giardino al coperto. Un giardino decisamente umido, ma troppo freddo per somigliare a una serra.
La strega per poco non inciampò su una radice, trasalendo. Non riusciva a vedere nulla davanti a sé, era irritante. In quel momento, infatti, la sua luce nel buio era l'eco sottile del potere magico di Hiroshi, che la guidava nel bianco, mostrandole attraverso l'udito strade e scorciatoie ai suoi occhi altrimenti invisibili.
Ancora un passo, il ticchettio del tacco lucido delle sue scarpe rosse rimbalzava secco sulle pareti di mattoni che circondavano il luogo, accompagnandola nella sua ricerca.
Ad un certo punto, la nebbia sparì, improvvisamente, facendola sussultare per la sorpresa, ma solo lì davanti a lei: formava una sorta di cerchio, tutt'intorno ad un perimetro incolore che, a quanto pare, essa non riusciva ad oltrepassare. Eveline si fermò, una volta superato quel confine.
Si ritrovò in uno spazio a parte, non troppo ampio, dove finalmente riuscì a distinguere il grigio violaceo del pavimento di pietra, in contrasto con il verde desaturato del muschio, che ricopriva le zone più in ombra.
Lì al centro, Hiroshi l'aspettava, seduto su quella che sembrava essere una grossa cassapanca, di forma rettangolare.
Quando vide arrivare la strega, il giovane esitò qualche secondo, aspettando che lei dicesse qualcosa.
La ragazza, tuttavia, si fece subito scura in volto alla vista dell'ingombrante oggetto.
Era dunque quella, la scatola di cui lui le aveva parlato?
Sul serio?
«Jack...» fece, sottovoce, restando immobile, «Questa... non credo che sia una "scatola".»
L'altro abbassò lo sguardo, ammettendo silenziosamente che quel su cui se ne stava seduto somigliava molto di più a qualcos'altro, e anche lei sembrava averlo intuito subito.
Sta di fatto che non parlò. Soltanto, le fece segno con un breve cenno del capo di avvicinarsi.
Le dita della strega sfiorarono la viscida pietra del coperchio, bagnata di umidità e intarsiata di rune e altri segni sottili, lungo tutto il contorno. Tutta la scatola doveva essere lunga all'incirca un paio di metri, e in altezza arrivava alla vita di Eveline: era appoggiata su un pesante basamento, che con essa formava un blocco unico. Piccoli funghi crescevano agli angoli e alla base, come se si trovasse nascosta lì dentro da diverso tempo.
«Questa non è una scatola» insistette la ragazza, alzando la voce, ma il suo tono non voleva rimproverare il suo amico, al contrario, sembrava preoccupata, incerta, come lo sguardo che gli lanciò, in quel frangente.
Hiroshi scese dal coperchio, ma non le rispose. Era inquieto quanto lei: il non riuscire ad attraversare quella pietra lo faceva sentire a disagio, per diversi motivi, ma questo Eveline glielo leggeva in faccia.
«Tu l'hai già capito cosa contiene, non è vero?» chiese la strega, in un sospiro.
Lui esitò, senza nasconderle la sua ansia: «Forse. Spero soltanto di sbagliarmi.»
Eveline fece un giro completo intorno all'oggetto, lentamente, osservandolo per intero. Quindi si chinò, posando le unghie su uno dei lati più lunghi e grattando via il muschio, rivelando così altre scritte, nella sua lingua. Era stata fabbricata da una strega, non c'erano dubbi. Pensò che Settevite dovesse avere molti soldi, per commissionare una cosa del genere.
Il coperchio era spesso una decina di centimetri e ricopriva completamente tutta l'apertura. Doveva pesare parecchio, Eveline non si stupì che Hiroshi non fosse riuscito a sollevarlo da solo.
Provò a fare la cosa più semplice, la prima che le venne in mente: si schioccò le nocche di entrambe le mani, quindi prese a spingere la pietra in avanti. Quest'ultima, sotto la sua forza fuori dal comune, si spostò solo di qualche millimetro.
La ragazza si tirò indietro quasi subito, riprendendo fiato e asciugandosi la fronte bagnata: tutta quell'umidità non aiutava.
«Proviamo insieme» propose, contenta che per una volta potesse chiedere all'altro una mano per un qualcosa di così fisico. Il ragazzo non esitò, portandosi alla sua sinistra. Presero a spingere contemporaneamente, con tutte le loro energie, e le loro scarpe scivolarono sui mattoni levigati del pavimento: nulla, tutto ciò che ottennero furono solo altri due o tre millimetri di differenza.
Eveline si tirò indietro, affaticata, massaggiandosi i polsi. Così non andava bene.
«Ho capito, spostati» esordì, seccata, e lo spettro non se lo fece ripetere, indietreggiando di parecchio rispetto a lei.
Un secondo dopo, le dita della strega si erano colorate di nero: le picchiò sulla pietra, e l'intero coperchio s'accese di bianco, ricoprendosi di una patina sottile e ondulata.
Eveline tirò in su le mani, davanti a sé, e l'oggetto si mosse verso l'alto, sollevandosi di qualche centimetro: il muschio si strappò, insieme a tutto quel che gli cresceva intorno, alzando una polvere sottile. I palmi della ragazza si aprirono lentamente, quindi la pesante lastra si spostò da sopra l'apertura. Lei strinse i denti a quello sforzo, facendo diversi passi indietro, le braccia cominciarono a tremarle.
Lasciò cadere il coperchio solo quando tutti e quattro i bordi furono scoperti, scatenando un tonfo sordo, che riecheggiò cupo nell'aria, tremando sulle pareti, poco distanti. La ragazza barcollò, annaspando, ma lo spettro le posò un palmo su una spalla, e lei s'appoggiò a quella presa salda, ritrovando l'equilibrio.
«Tutto ok?» provò lui, ma avrebbe detto qualunque cosa pur di perdere ancora qualche momento.
Lei annuì, respirando a fondo.
Davanti ai due giovani la scatola era finalmente aperta.
Esitarono entrambi. Si guardarono, incerti, ma la cosa sembrò motivarli poiché si convinsero all'unisono e, insieme, avanzarono.
Eveline si sporse sul bordo, lentamente. Quando ci guardò dentro, la sua espressione si trasformò in un misto di sorpresa e inquietudine.
Quella "scatola" conteneva un ragazzo.
Non uno qualunque, quello... era Hiroshi.
Ecco perché lui non poteva attraversarla, ma certo! Era perché lì dentro c'era nascosto il suo vecchio corpo!
Era più giovane però, somigliava molto a quando lei lo aveva incontrato per la prima volta nella biblioteca della Nocturne. I tratti del suo volto erano più gentili e rotondi, tanto da sembrare che stesse semplicemente dormendo. La sua pelle no, invece, quella era rigida e trasparente, e insieme all'abito elegante che indossava fugava ogni dubbio sul fatto che, quello davanti agli occhi di Eveline fosse, in tutto e per tutto, un cadavere.
La ragazza s'accigliò, e i dubbi iniziarono ad accavallarsi nella sua mente: Hiroshi era morto nel novantotto, quasi vent'anni prima. Dunque, come poteva essere che quel corpo fosse ancora perfettamente intatto? Ma soprattutto: cosa diavolo se ne faceva Jack Settevite? Per quale motivo dissotterrarlo e metterlo lì? A cosa gli serviva?
La strega posò la sua attenzione sul suo amico, cercando il suo viso, insieme a qualche indizio alle risposte a tutte le sue domande.
Ciò che trovò, invece, fu l'espressione spaventata dell'altro, che aveva cominciato tremare visibilmente. Lei gli posò una mano su un braccio, preoccupata, non aspettandosi quella reazione da parte sua: «Ehi? Stai... bene?»
Hiroshi non la guardò, la sua attenzione era totalmente concentrata sul cadavere dentro la cassa: «Sì, io... è strano, vedersi dall'esterno... non ricordavo di essere così.»
Giusto, essendo uno spettro, lui non poteva specchiarsi ed erano passati tanti anni. La giovane si sforzò di mettersi nei suoi panni, provando ad immaginare come dovesse essere, guardarsi e rivedersi morti, in quel modo dannatamente inquietante.
«Non riesco a capire...» agitò il capo lei, confusa: «Che cosa se ne fa Jack Settevite del tuo cadavere?»
Hiroshi si sbottonò il gilet, rivelando il suo Elementwin, in quel momento acceso di un debole bagliore candido: «Il medaglione... come ho fatto a non pensarci? È chiaro. Settevite deve aver cercato il mio medaglione, ma a quanto pare non sapeva che fossi morto, e alla fine deve aver trovato solo il mio... corpo.»
Quell'ultima parola gli si spezzò in gola, incrinandosi in un singhiozzo. Si voltò, dando le spalle alla cassa, nel tentativo di nascondersi agli occhi della ragazza.
Gli spettri non potevano piangere, dunque per quanto lui si fosse sforzato, non sarebbe stato in grado di tirare fuori neanche una lacrima. Eppure, in quel momento non riusciva a smettere di singhiozzare: si portò una mano sul viso, vergognandosi.
Eveline gliela prese, togliendogliela dalla faccia, rimproverandolo a bassa voce: «Jack, smettila. Ti farai uscire il sangue dagli occhi.»
Lui se la scrollò di dosso con un movimento brusco: «Tu non...! Credi sempre di sapere tutto, non è vero?»
La ragazza indietreggiò: «Ehi, calmati adesso! Si può sapere che ti prende?»
«Eveline, guardami!» esclamò, socchiudendo gli occhi nella tristezza, «Non... riesco nemmeno a piangere...»
Lei s'impressionò a quella dichiarazione, irrigidendosi.
«Che cosa ci faccio ancora qui...?» sussurrò lui, con voce rotta, nascondendo il viso dietro un palmo, inutilmente, «Non ne posso più... io non ho mai voluto tutto questo. Perché non potevo morire e basta, come tutti quanti? Voglio solo morire e basta... voglio solo morire in pace...»
Gli occhi della strega si velarono, nel sentire quelle frasi spezzate uscire dalla bocca del suo amico. Rivedere sé stesso senza vita doveva averlo completamente sconvolto, ma lei non riusciva a rendersi conto di come doveva essere, non poteva.
Restò qualche secondo così, immobile, lì davanti ad un cadavere e al suo spettro, non sapendo che cosa fare.
Lui voleva morire, solo questo. Era così semplice, no?
Sarebbe bastato rompere l'Elementwin che portava al collo e tutte le sue sofferenze sarebbero finite all'istante.
Le iridi bagnate di Eveline si posarono sul gioiello rotondo del ragazzo, che in quel momento sobbalzava sul suo petto, insieme ai suoi sospiri, brillando di luce bianca.
L'espressione della strega si fece più attenta.
Accanto al medaglione, Hiroshi indossava un'altra collana, alla quale era appeso un ciondolo di legno a forma di piccola zucca.
Eveline spalancò gli occhi: lui ce l'aveva ancora? Dopo tutti quegli anni?
La sua mente fu investita da un'immagine lontanissima, con la violenza di un treno in corsa. Credeva di aver completamente rimosso quel ricordo, e invece quest'ultimo riapparve nella sua memoria nitido come non mai.
Quella collana gliel'aveva regalata lei da piccola, durante il periodo in cui si erano trasferiti insieme, ed era stata il primo regalo che gli avesse mai fatto. Era composta di un particolare legno anti-spettro, per quello lei era stata entusiasta quando l'aveva rubata per lui, dalla bancarella di quell'alchimista distratto. La sua forma particolare l'aveva fatta sorridere, sembrava creata apposta per Hiroshi. Ricordò quello, ricordò quando gliel'aveva portata e quanto lui avesse riso per quel regalo stupido ma dolce.
Poi, ricordò quando lui aveva cominciato a stare male per via dei due tagli sul suo petto, che avevano cominciato a sanguinare sempre più copiosamente, col passare del tempo, non dandogli pace; e lei, così piccola, così debole rispetto a qualunque altra strega, ogni volta che glieli ricuciva ci impiegava sempre più tempo, sempre più energie, allungando inutilmente le sofferenze dell'altro. Si malediva per questo.
Ricordò di come aveva cominciato a rifiutare quella sua inusuale tendenza a provare sentimenti umani, nel tentativo di rafforzare il suo potere magico, di riuscire ad essere più svelta, più efficace nei suoi incantesimi, in quelli che faceva per ricucirlo e in quelli che usava per farlo riposare, in quelli che andavano rinnovati una volta al mese su alcuni oggetti, in modo che lui non potesse attraversarli.
Ricordò come lei, col passare degli anni, era rimasta vicino a lui solo fisicamente, sforzandosi di allontanare, invece, ogni tipo di rapporto che non fosse il loro lavoro. E così lo ignorava, allontanava, non gli dedicava più il minimo interesse, lo usava, per trovare ciò che le serviva, e lo faceva andare sempre avanti nelle loro ricerche, fregandosene altamente che potesse farsi del male, perché beh, tanto lui non poteva morire un'altra volta. Di ciò che lui provava, però, in tutto questo, a lei sembrava non importare, non riguardare.
Eppure, quel ragazzo era sempre lì.
Per lei, al suo fianco, anche dopo i cinque anni dalla stipula del patto, anche in quel momento, quella notte, lì davanti a lei, col suo regalo ancora appeso al collo, subito accanto all'oggetto più prezioso che aveva.
Eveline si accorse di avere la vista completamente appannata dalle lacrime. Si forzò di ricacciarle indietro, stropicciandosi gli occhi con un polso.
Che cosa le stava accadendo?
Da quando aveva messo piede in quel castello era come se uno strano calore avesse cominciato a scaldarla dall'interno, sciogliendo il ghiaccio che si era formato, in quegli ultimi anni, intorno al suo cuore.
Perché mai così improvvisamente? Era per via degli Skreenight?
Aveva cominciato ad avere questa sensazione sul ponte di Caldhera, quando ci si era ritrovata da sola con Steiyn, e da quel momento quello stato d'animo non l'aveva più abbandonata.
Era dunque stata colpa di quel ragazzino?
Oppure no, oppure semplicemente lei ci era sempre stata così e basta. Così umana.
Guardare Hiroshi piangere senza però riuscirci, le aveva riportato alla mente quanto, in realtà, lei non riuscisse mai a distaccarsi completamente da lui, e a quanto non potesse farci niente, benché continuasse a provarci, perché era fatta così e punto, non importava quanto si sforzasse, era inutile: non sarebbe mai stata una strega come tutte le altre.
In quel momento, però, per la prima volta, parve come rendersi conto che forse... forse lei non voleva davvero essere una strega come tutte le altre.
Hiroshi inspirò a fondo: stava cominciando a calmarsi.
Le mani di Eveline cercarono la piccola zucca di legno sul suo petto, seguendone le venature ondulate, nel silenzio più assoluto, scandito unicamente dal respiro spezzato del giovane.
«Jack... voglio che tu vada via» gli disse, trascinando quelle parole come macigni pesantissimi.
Ecco come doveva andare.
L'aveva sempre saputo, l'aveva sempre rimandato.
Hiroshi si sorprese, non aspettandosi quel discorso: «Cosa stai dicendo?»
Eveline si sforzò di assumere un'espressione più convincente: «Voglio che tu vada via» ripeté, ingoiando tutto il dolore che quella frase le stava inaspettatamente riportando in superficie, «È ora che tu lo faccia. Io non sono più una bambina, ormai so badare a me stessa, e tu hai il diritto di riposare in pace. Basta aspettare, non ha più senso.»
Lui parve pentirsi di quel che si era lasciato sfuggire, poco prima, tra i singhiozzi: «Aspetta, dici sul serio? Ma... sei sicura?» fece, stringendosi nelle spalle, confuso.
Lei annuì, tuttavia mentiva. No che non voleva che se ne andasse, non l'aveva voluto per anni e non lo voleva adesso. In quel momento, però, parve finalmente rendersi conto del perché, non lo voleva. Il suo tono s'incrinò alla rabbia: «Non appena usciamo da questo castello, voglio che tu vada via. È quello che hai sempre voluto anche tu, no? Beh, è arrivato il momento.»
Hiroshi si lasciò scappare un sospiro amaro: «No, io non intendevo... » agitò il capo, contrariato, «Ok, essere uno spettro è una tortura, lo ammetto, e vorrei più di ogni altra cosa andarmene da questa schifosissima dimensione terrena, certo... ma tu? Cosa farai? Non posso ancora lasciarti da sola, è presto.»
Eveline lo strattonò, risentita: «Ti ho detto che non sono più una bambina! Vuoi smetterla di trattarmi sempre come se lo fossi? Non ho bisogno di te, me la caverò benissimo per fatti miei, stanne certo!»
Lui alzò gli occhi al cielo: «Sì che sei una bambina. E sei una strega un po' particolare, per giunta, quindi sei destinata a restare sola, e questo non è giusto.»
«Tu andrai via e basta!» esclamò, irritata, «E se non lo farai di tua volontà te lo frantumo con queste mani, quello stupido medaglione!»
L'altro le afferrò i polsi, per farla calmare. I suoi occhi affilati sfidarono quelli rotondi e marmorei della ragazza, senza esitare: «Tu non vuoi veramente che io vada via» le disse, regalandole un mezzo sorriso, «Ti conosco troppo bene, non lo vuoi.»
La strega provò a replicare, ma ogni obbiezione le si fermò a metà strada tra la gola e lo stomaco.
Lui aveva ragione.
Non era giusto, però.
Doveva andarsene, lei non aveva più alcun diritto di trattenerlo nel suo mondo, dopo tutti quegli anni... come aveva potuto essere così egoista?
C'era stato bisogno di vederlo così disperato, in piedi davanti al suo stesso cadavere, per rendersene finalmente conto? Come aveva potuto essere così cieca?
Sempre con la faccia nascosta tra le pagine dei libri, sempre a voltare lo sguardo altrove, al solo pensiero di dover prendere, prima o poi, quella maledetta decisione.
Eveline si liberò dalla sua stretta con un movimento frettoloso, quindi picchiò più volte i palmi sul petto di lui, e le lacrime tornarono a sfiorarle i bordi delle palpebre: «No! Non importa cosa voglio io! Ho detto che te ne devi andare! Non appena usciamo dal castello, promettimelo!» gridò, in balìa della frustrazione.
Hiroshi, dal suo canto, non si scompose minimamente: «Vorrei. Tu non immagini nemmeno quanto, ma non posso, non ancora. Non finché tu non avrai imparato ad accettare la tua umanità, e questa è una cosa che isolandoti dal resto del mondo non puoi fare.» Il suo tono risuonò serio, deciso, nonostante fosse avvolto da quel suo consueto alone di stanchezza.
Eveline si bloccò, ritrovando la calma. Quell'affermazione parve improvvisamente illuminarla.
Si trattava solo di questo, dunque?
Della sua umanità?
Da stranita, la sua espressione assunse come un'aria di sfida.
Poi, cambiò ancora, quando si avvicinò a lui col viso, caricandosi d'un emozione a lei totalmente nuova; le sue dita si posarono sulla camicia scura del ragazzo, salendo su per il colletto, fino a trovare il contorno della sua mandibola diafana e seguirne il profilo, lungo la linea sfumata delle sue basette corvine, affondando infine, tra i suoi capelli corti.
Hiroshi ebbe uno scatto quando sentì il corpo della ragazza appoggiarsi al suo: provò a fare un passo indietro, ma era bloccato dalla cassa, che era rimasta alle sue spalle. Lei non gli diede più alcuna possibilità di muoversi, stringendolo a sé, con quel tipo di dolcezza a cui lui non riuscì a sottrarsi.
Le labbra rosse della strega cercarono quelle sottili dello spettro, dischiudendosi, infine, in un morbido bacio.
- - -
Calore umano.
Era l'unico che lui potesse sentire.
Mai, come in quel frangente, lei gliene aveva concesso.
Eveline gli aveva regalato affetto solo da bambina, dopodiché s'era chiusa in sé stessa, nel vano tentativo di preservare il suo potere magico. Nel sentire il suo respiro scaldargli l'anima, però, in quel momento Hiroshi seppe che lei aveva mentito, da sempre, sia a lui che a sé stessa.
Eccola lì, la ragazzina che l'aveva tirato fuori da quella biblioteca innevata.
Era tornata, finalmente. O forse, non se n'era mai davvero andata.
«Che stai facendo... ?» sussurrò Hiroshi, quando ebbe ripreso possesso della sua bocca.
La strega mostrò con orgoglio il rossore che le bruciava il viso.
«Accetto la mia umanità» affermò, con semplicità e soddisfazione, e un sorriso leggero le attraversò il volto da parte a parte.
Lui le sorrise a sua volta, ma al contempo agitò il capo, un po' confuso: «Non... credo che funzioni così.»
«Ora andrai via?» chiese la ragazza, ritirando fuori lo sguardo di sfida di poco prima.
Lo spettro sospirò, più amareggiato: «Sei crudele, Eveline.»
«Sono una strega» fece spallucce lei, prendendolo un po'in giro, «ma sono anche umana» continuò, ritornando seria, «mi dispiace sai, io... volevo solo avere il potere di aiutarti» ammise, abbassando lo sguardo.
«Guarda che lo so» sussurrò lui, ma in realtà si sentì sollevato di sentirglielo dire.
Improvvisamente, Eveline si sentì pungere, lì sulla guancia dove aveva l'emblema: fu così forte che la ragazza cadde in ginocchio, premendosi le mani sul volto. Trattenne a stento un urlo e si piegò in avanti così tanto che quasi sfiorò il pavimento con la fronte.
Hiroshi s'inginocchiò a sua volta, davanti a lei, allarmato, cercando di capire cosa le stesse succedendo. Tirò in su la giovane, afferrandola per le spalle, quindi la costrinse a guardarlo.
Eveline stringeva i denti dal dolore: era impallidita e gli occhi le si erano arrossati tutti d'un colpo. Il ragazzo restò spiazzato alla vista della sua guancia, quando, lentamente, le girò il viso un po' di lato: lo Yang si era rimpicciolito. Lui non aveva mai visto su di lei una cosa del genere, di certo non era normale.
«Che cos'è? Che succede?» si lamentò la ragazza, non riuscendo a capire cosa le stesse accadendo.
«Il tuo emblema è... più piccolo» s'incupì l'altro, immobilizzandosi.
Lei si scostò dalla presa di lui, tremando leggermente.
Funzionava così, dunque?
Era bastato un bacio per annullare anni di tentativi in cui aveva cercato di rafforzare i suoi poteri? Oppure era stato quel che lei aveva detto, l'aver ammesso ad alta voce che stava provando ad accettare la sua umanità? Oppure qualcos'altro, ancora, qualcosa di più interno, che lei invece non poteva vedere, controllare?
Era più debole, lei, adesso? Per questo lo Yang si era ristretto? Anche il suo potere magico aveva subito un calo?
«Come ti senti? Stai bene?» provò il ragazzo, preoccupato, non sentendola parlare.
Eveline si toccò nuovamente il viso. Sentiva un lieve formicolio alla guancia, ma nulla di più. Solo pochi secondi prima il dolore era stato fortissimo, tanto che non era più riuscita a stare in piedi, trafiggendola come se le avessero affondato una lama affilata in faccia. Ora, invece, sembrava più come se avesse ricevuto uno schiaffo e le fosse rimasto il bruciore della botta.
«Riesci a sentire dei cambiamenti nel suono del mio potere magico?» gli chiese, smettendo di tenere il suo potere "ovattato", in modo che Hiroshi lo ascoltasse.
Lui si prese qualche secondo, quindi annuì: «Credo di sì, mi sembra... come se fosse più echeggiante.»
«Oh, no, andiamo, dai... » s'agitò lei, picchiettandosi le dita sull'emblema, come se così facendo il suo potere magico potesse riprendere a funzionare regolarmente, neanche fosse un vecchio televisore scassato.
Il ragazzo le afferrò il polso, per farla smettere, ora più irritato: «Finiscila! Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
«Ti ho dato un bacio, e allora?» arrossì la ragazza, prendendosela un po' a male, «Mica lo sapevo che mi avrebbe fatto quest'effetto!»
«Non intendevo questo» s'infastidì lui, «Eveline, tu... una strega muore senza i suoi poteri. Ed ora è come se si fossero... abbassati d'intensità? Anzi si sono abbassati di sicuro, ti si è perfino rimpicciolito l'emblema. E se si rimpicciolisce fino a scomparire? Rischi la vita per delle stupidaggini, te ne accorgi?»
La ragazza roteò gli occhi al cielo: «Smettila, non serve che ti preoccupi. Adesso che lo so ci starò più attenta.»
L'altro non parve molto soddisfatto da quella risposta, tuttavia si rilassò, spostandosi un po'indietro.
Il silenzio che si venne a creare in quei pochi secondi d'esitazione strisciò nel muschio sotto le loro ginocchia, facendoli rabbrividire entrambi dall'imbarazzo.
«Mi dispiace» fece poi Eveline, voltando il viso di lato e abbassando un po' la voce, «Forse ho agito troppo d'impulso. Non t'ho manco chiesto niente.»
Il giovane s'appoggiò con la schiena al basamento di pietra, sedendosi a terra più comodamente: «Non importa» riuscì solo a dire, in un sussurro.
Lei si fece di colpo più triste: «Ho reso tutto solo ancora più difficile, come se già non lo fosse abbastanza.»
«Ascolta: a questo punto, prima vado via e meglio è per tutti e due. Questa... questa cosa... non può funzionare. Odio ammetterlo, ma è così. Ora l'ho capito» concluse il ragazzo, sprofondando in un sospiro.
Eveline si accostò a lui, sedendosi anche lei con la schiena contro la pietra. Appoggiò la sua testa sulla spalla dell'altro, ed Hiroshi fece lo stesso, appoggiandosi alla sua fronte con una guancia.
«Mi mancherai» ammise la ragazza, sempre sussurrando, come se la sua natura di strega potesse sentirla parlare e lei stesse provando a nascondersi da essa.
Lo spettro chiuse gli occhi, più amareggiato di lei: «Anche tu, piccola libraia.»
Restarono così, un paio di minuti, ad ascoltare la foresta annegare nella nebbia.
Come se non ci fosse nient'altro, oltre il confine di quello spazio circolare, e per un momento tutto parve aleggiare, concedendo ad entrambi un silenzio bianco, fermo.
Fu Eveline a romperlo, di colpo trafitta da un pensiero.
«Jack?»
«Cosa?», riaprì gli occhi lui.
«Se Settevite ha dissotterrato il tuo corpo perché voleva proprio il tuo Elementwin, secondo te è perché sta cercando una categoria specifica di medaglioni?»
«Comincio a pensare che sia così.»
Lei si scostò da lui: «Credi che lo voglia ancora? Dato che non l'ha trovato al collo del tuo cadavere?»
«Non lo so, è strano» s'accigliò il ragazzo, nel riflettere meglio su quel discorso: «Lo sanno tutti che quando uno Skreenight muore il suo Elementwin segue la sua anima, anziché il suo corpo. È per questo che si passa in eredità il prima possibile, no? Anche a ragazzini molto piccoli. Per evitare di restare spettri alla prima disgrazia. Strano che un alchimista così rinomato non conosca una banalità del genere.»
«Beh, magari lo sapeva, ma non sapeva che tu fossi già morto, e cercandoti ha trovato solo il tuo cadavere. Infondo, mettersi a cercare uno spettro è pura follia» ragionò la giovane, strofinandosi due dita sul mento, «Non capisco però a cosa gli serve tenere il tuo corpo qui dentro.»
«Perché, i medaglioni? Che se ne fa dei medaglioni? Pensaci un attimo, tu che sei una strega e ne capisci più di me, di artefatti magici», le disse, nel tirarsi su e rimettersi in piedi: «Cosa ci potrebbe creare, un alchimista molto potente con tutti questi Elementwin? Non sono... troppi?»
La ragazza lo imitò, alzandosi a sua volta, quindi prese a spolverarsi i jeans: «Sì che sono troppi. Non conosco alcuna formula che richieda tutto questo potere. E usando dei medaglioni specifici, per giunta. Specifici in base a cosa poi? Voi Skreenight appartenete a delle categorie? Tipo in base alla quantità del vostro potere magico, o cose del genere.»
«Non che io sappia» agitò il capo Hiroshi, «Non ho mai sentito parlare di categorie.»
Gli sguardi di entrambi i ragazzi si posarono sul cadavere dentro la cassa, che era rimasto lì, al loro fianco.
Eveline ebbe un'idea strana, quindi alzò un sopracciglio: «Senti un po', se tu volessi... potresti tornare dentro il tuo vecchio corpo? Cioè, è una cosa che voi spettri potete fare?» chiese, vinta dalla curiosità.
Lui, per tutta risposta, fece una smorfia disgustata: «Eh? Stai scherzando? Non ci tengo a fare lo zombie, grazie, mi fa decisamente schifo come idea. Sono passati, quanti, vent'anni? Mi sorprendo che sia rimasto così intatto e che non emani un tanfo indicibile.»
«Forse, finché lo spettro resta nella dimensione terrena, il suo cadavere non può decomporsi» ragionò la ragazza, cercando di ricordare se una cosa del genere l'aveva davvero letta su qualche manuale, o se si trattava soltanto di una sua supposizione.
«O forse, è proprio questa "scatola" che lo tiene intatto» le fece notare lui, invece.
Eveline agitò il capo: «Se fosse così, Settevite dovrebbe aver messo il tuo corpo lì dentro a pochi giorni dalla tua morte, e questa è una possibilità troppo improbabile. Non credo che lui c'entri qualcosa con il tuo omicidio, visto il suo interesse per il tuo medaglione. Crossing The Line non ha mai accennato nulla su ciò che accade al cadavere di uno spettro, subito dopo il trapasso?»
«Non glie l'ho mai chiesto» ammise, pentendosi un po' di non averci pensato prima, effettivamente «Sai, non avrei mai immaginato che qualcuno potesse avere un motivo per dissotterrare il mio corpo.»
«Mhm, giustamente... »
«Non riesci a capire qualcosa dalle scritte che ci sono lì sopra? È la tua lingua, d'altronde.»
«No, macché. Sono troppo rovinate e quasi tutte illeggibili. Rischio solo di leggere una cosa per un'altra e di capirci ancora meno.»
«Da quanto tempo si trova qui, secondo te? Ci sono cresciuti i funghi intorno.»
«Un paio di anni forse, a giudicare dalla forma e dallo spessore del muschio. Ma chi può dirlo?»
Nessuno dei due riuscì ad aggiungere altro. C'erano troppe, troppe cose che non tornavano, non combaciavano.
Un alchimista rapisce cinque Skreenight, e li tiene tutti dentro il suo castello, con solo mezzo medaglione al collo. Perché solo mezzo medaglione? Gliene serviva solo una parte fin dall'inizio? Allora per quale motivo rapirli? Avrebbe potuto rubare le metà dei gioielli e basta, fuggire via e lasciarli vivere in pace. Gli Skreenight possono sopravvivere anche con solo una metà di medaglione al collo, tranquillamente. Certo, sarebbero stati estremamente più deboli, sia fisicamente che dal punto di vista del potere magico, ma avrebbero potuto vivere ugualmente.
No, non tornava. A Jack Settevite servivano i medaglioni completi, altrimenti non avrebbe mai rapito quei ragazzi. Imprigionandoli nei Timely, con metà Elementwin addosso, lui li stava tenendo in vita. Gli servivano vivi, tutti quanti.
Ok, ma il cadavere, allora?
Eveline sospirò, spazientita, nel rendersi conto che le sue congetture non la stavano portando da nessuna parte. C'era qualcosa che le sfuggiva, la chiave per risolvere quell'intricato enigma.
«Che cosa facciamo?» chiese, più confusa che mai.
La risposta dell'altro fu decisa, nervosa: «Dobbiamo parlare con questo Settevite, mi sembra ovvio. E se non vuole parlare, lo facciamo parlare noi a suon di potere magico in faccia.»
«Sai dov'è?»
«No, non sono andato oltre questo portale, ma presumo che si trovi all'ultimo piano del Midnight, il settimo, ovvero superando queste mura.»
Il ragazzo si sfilò il libro di Halloween dalla tasca interna del gilet, quindi lo porse alla strega.
Lei alzò un sopracciglio: «Che... intenzioni hai?»
L'altro fece spallucce: «Vado a vedere, no? Tu intanto esci da questa Blast, torna nel castello e raduna gli altri al sesto piano. Quando torno indietro decideremo insieme il da farsi.»
Eveline lasciò che la copertina scura del libricino scivolasse sui suoi palmi aperti: «Aspetta, vuoi andare così, da Settevite? Da solo? E se fosse pericoloso?» gli disse, trattenendolo per un braccio non appena lui fece per allontanarsi.
Hiroshi non si aspettò quelle parole, gli sfuggì un sorrisetto preoccupato: «Sei seria? Da quando te ne importa qualcosa?»
Lei parve offendersi un po', poiché voltò lo sguardo altrove: «Beh, non sappiamo chi sia questo tizio, quali poteri abbia...» fece, provando a giustificarsi.
Lo spettro ridacchiò: «Tu sei una strega, Eveline. Sei l'essere più potente che io conosca, il tuo potere magico li fa tremare, gli alchimisti. Finché ci sei tu nei paraggi io non ho paura di niente. Sono gli altri che devono avere paura.»
«Beh, non sono così potente, stanotte» si vergognò, indicandosi il piccolo emblema sulla guancia.
Hiroshi le sorrise con più dolcezza, agitando il capo: «Menomale che non hai provato ad accettarla prima, sta cavolo di umanità. Sarei rimasto volentieri a vederti arrossire per altri vent'anni, altrimenti.»
Prima che Eveline riuscisse ad accorgersi che quello era un complimento, il ragazzo avanzò oltre il muro di nebbia, sparendo per qualche istante dalla sua vista. La strega si prese ancora qualche secondo, ma poi ci arrivò, e arrossendo ancora di più rincorse l'altro, guidata dal sibilo sottile del suono del suo potere magico.
Lo raggiunse subito, ma non disse nulla. Entrambi avanzarono tra gli alberi per qualche momento, fin quando non si ritrovarono davanti alla parete che circondava tutto il giardino, a solo qualche metro di distanza dallo spazio con la cassa.
Era umida e mattonata, ricoperta di muschio, tanto per cambiare.
Hiroshi vi passò un palmo sopra, come se così facendo riuscisse ad orientarsi, quindi annuì: «Da qui riesco ad arrivarci. Torno tra dieci minuti, il tempo di capire com'è la situazione.»
Eveline annuì a sua volta, sforzandosi di autoconvincersi.
L'avevano sempre fatto, andiamo, che le stava accadendo adesso? Lui era perfettamente in grado di cavarsela da solo.
«Provo a vedere se gli altri sono già entrati nella Blast Off. Mi cerchi tu, dopo?»
«Come vuoi» fece lui, distrattamente.
«Allora se sono già dentro resto qui anch'io, così usciamo tutti insieme.»
I due ragazzi si lanciarono un'occhiata complice. Poi Hiroshi attraversò i mattoni della parete, lasciandola da sola, nel bianco.
La strega strinse il libro al suo petto, lì ferma, in piedi davanti al muro.
Sembrava un cagnolino fedele che aspetta il suo padrone rientrare, dietro la porta di casa, neanche un secondo dopo che lui è uscito. E dire che, nella sua immaginazione, l'aveva sempre fatta Hiroshi la parte del "cagnolino". La padrona era sempre stata lei, era lei a dirgli cosa fare, sempre, dove andare, nonostante fosse lui a suggerirle i luoghi, quando andare, cosa prendere, cosa lasciare.
Una strana angoscia, che la ragazza pensava ormai di aver dimenticato, le strinse lo stomaco, accorciandole il fiato. I battiti del suo cuore echeggiarono forti nelle sue orecchie, scandendo i secondi in cui lo spettro era sparito dentro la parete come un conto alla rovescia.
Per la prima volta, da quando facevano quel tipo di ricerche, lei ebbe paura per lui.
«Ti ho trovata, finalmente!»
Eveline si girò alla sua destra, nel sentire quella voce familiare, con un movimento lento, poiché ancora incapace di riemergere completamente dai suoi pensieri.
Spalancò gli occhi quando si accorse che a parlare era stato Steiyn.
Il ragazzino era lì, davanti a lei, distante al massimo un paio di metri, quel tanto che bastava per renderlo visibile, in quella nebbia.
Aveva il suo arco in mano, con una freccia incoccata.
Gliela stava puntando addosso, ed all'espressione furiosa sul suo viso sembrava che stavolta, il coraggio di scoccare, l'avrebbe trovato eccome.
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