Capitolo 13 - Strade diverse

I mattoncini bruni che ricoprivano muri, pavimento e soffitto, contrastavano con i colori sgargianti dei vestiti e dei capelli della ragazza. 

Se ne stava sospesa nel vuoto, sull'acqua piatta del canale, tenuta a mezz'aria dall'incantesimo che la teneva prigioniera. Piccole onde circolari si increspavano sotto le sue scarpe dal tacco vertiginoso, senza però mai toccarle. 

D'un tratto, da rilassato che era, il suo viso assunse un'espressione contratta, come se si stesse risvegliando da un brutto sogno. 

Trasalì, nel momento in cui i suoi sottili occhi viola si spalancarono. 

Eveline si sistemò meglio con la schiena sulla parete, quindi si chinò, avvicinandosi col viso all'orecchio di Steiyn, sussurrandogli formule nella sua lingua complicata. 

Lui se ne stava con la testa all'insù, appoggiato con le spalle al ventre della ragazza: si era addormentato profondamente da almeno una decina di minuti, mentre la luce dell'Elementwin sul suo petto andava poco alla volta sfumando nel buio.

«Si può sapere che gli stai raccontando?» chiese Areck, a bassa voce, nel vedere l'altra continuare a bisbigliare cose a allo Skreenight già da qualche minuto, nonostante lui non potesse risponderle. La dragonessa se ne stava affacciata dall'unica finestra nella stanza e fumava. 

Eveline alzò il capo: «È un incantesimo che va rinnovato di continuo, serve per velocizzare il riposo. Quando si sveglierà avrà l'impressione di aver dormito tutta la notte.»

La Skreenight alzò le sopracciglia, affascinata: «Alla faccia, certo che voi streghe potete fare qualsiasi cosa.»
L'altra fece spallucce, arrossendo: «Ho dovuto imparare a farlo. Serve ad un mio amico.» 

Areck buttò il mozzicone giù dalla torre, quindi andò a sedersi accanto a lei. Ora che il medaglione di Steiyn si era spento la stanza si era fatta più buia. 

Eveline sussurrò ancora qualcosa all'orecchio del ragazzino e tutto l'ambiente parve come cristallizzarsi, nel chiaroscuro e nella pace di quel momento, mischiandosi al ticchettio lieve della pioggia.

«Poi mi devi dire dove li compri, i tuoi vestiti ignifughi» scherzò la strega, sottovoce, rompendo il silenzio appena poté.
Areck ridacchiò, cercando di non fare troppo rumore, per non svegliare lo Skreenight: «Solo se mi dici dove tu compri quei dilatatori giganteschi» e la sua voce, con quel volume così basso, parve ancora più profonda.
L'altra si toccò una delle due falci di luna bianche che portava su entrambi i lobi, sorridendo: «Ti piacciono? Solitamente non fanno una bella impressione, ma a me non importa, tanto il mio emblema fa sempre un'impressione peggiore» si rattristò, nell'indicarsi la guancia sinistra, quella col simbolo dello Yang sopra.
La dragonessa aggrottò le sopracciglia: «Non deve essere emozionante girare con quel coso sulla faccia per tutta la vita: così si vede lontano un chilometro che sei una strega.»
«Ormai ci sono abituata» fu la risposta, quindi fece per chinarsi sul viso del ragazzo ancora una volta, riprendendo a sussurrare. 

Dopo poco, però, la sua attenzione fu attirata da quello che stava facendo Zhore, il che la fece esitare, rivolgendole quindi tutta la sua curiosità. La bimba se ne stava in ginocchio, accanto alla sorella, dritta con la schiena e con gli occhi chiusi, concentrata in chissà che cosa già da qualche minuto. 

«Ma fa sempre così?» provò a chiedere la strega.
Areck fece spallucce: «Si starà mettendo in contatto con qualcuno nei paraggi. Tutto normale, tranquilla.»
«Aspetta, in che senso? Può comunicare telepaticamente con le persone?»
«Sì, ma solo se stanno dormendo e solo se si trovano nei dintorni» precisò la dragonessa, giocherellando annoiata con le fibbie delle sue scarpe.

Eveline non fece in tempo a chiedere altro, che la piccola Indovina aprì lentamente gli occhi, arricciando la bocca in un'espressione insoddisfatta.
«Sono riuscita a connettermi soltanto con uno Skreenight» ammise, sospirando. 

La dragonessa le mise un braccio intorno al collo e Zhore si sistemò meglio, sedendosi vicino a lei e appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Ah sì? E ti ha detto qualcosa di interessante?» provò Areck, con gentilezza.
«Nulla che non sapessi già, come sempre» le rispose, accovacciandosi nella stretta calda dell'altra.

La strega strinse gli occhi in due fessure, nel continuare ad osservare la bimba con interesse: «Zhore, mi spieghi meglio cosa hai fatto? Non credo di aver capito benissimo.»

«Nulla di che, ho provato a parlare mentalmente con gli altri Skreenight che sono tenuti prigionieri nel castello. Ci sono riuscita con uno soltanto, che però si è svegliato. Quell'altro col casco mi ha dato dei problemi invece, niente da fare» fu la risposta. La sua espressione restò neutra quando decise di guardare la giovane dritta in faccia, sporgendosi un po': «Non farti troppi pensieri, Eveline, accadrà quel che deve accadere e basta. D'altronde, è già cominciato ad accadere molto, molto prima del momento in cui tu stessa hai messo il primo piede dentro questo posto.»

Eveline inclinò il viso di lato, come se avesse voluto studiarla: «Ascolta, tu... sai già come andrà a finire tutta questa storia, non è vero?»
La piccola annuì, sospirando: «Sì, ma non dirò nulla a riguardo, cerca di capire. Ci sono determinate cose che non posso anticipare, perché se lo facessi il futuro potrebbe subire dei cambiamenti innaturali, ed io non voglio essere l'artefice di paradossi temporali o disastri simili.»

La strega si stupì del linguaggio usato dall'Indovina, che insieme a quella sua voce rotonda la faceva sembrare un'adulta incastrata nel corpo di una bambina.
Areck la coccolò, accarezzandole la testa: «Che dici, tua madre si sarà già accorta della nostra assenza a casa?»
«Ha mandato delle persone a cercarci» fece con tono asettico l'altra, «ma non posso dirti da quanto tempo.»
«Davvero? Di già?»
«Abbi la pazienza di aspettare l'alba, per favore» concluse la piccola, con tono serio.

Ci fu un momento di silenzio, che si sciolse nel buio della notte, per poi adagiarsi delicatamente su ogni singolo mattone squadrato del pavimento polveroso.

«Hai un potere importante, Zhore» constatò tra sé Eveline, forse pensando ad alta voce.
L'Indovina sbuffò, un po'amareggiata: «Non lo auguro a nessuno, mia cara strega. Vivere sapendo già tutto, compreso quando avverrà la morte delle persone che ti circondano, credimi, toglie un po' di senso a tutta la tua esistenza ogni giorno che passa. Per mia enorme fortuna, non mi è concesso conoscere la data della mia, di morte. Sta di fatto che io ero molto più libera e spensierata, prima di ricevere questo Elementwin.»

La ragazza sentì un brivido rigarle la schiena nell'ascoltare quella dichiarazione. Si strinse nelle spalle, cercando di immaginarsi quel che avrebbe provato lei, nel conoscere con precisione il momento esatto in cui Hiroshi l'avrebbe lasciata da sola, passando definitivamente a miglior vita, ma non ci riuscì. Scrollò le spalle, cercando di togliersi di dosso quell'inquietudine.

La dragonessa abbracciò la sorellina, dandole un bacio sulla fronte: «Tu avrai sempre senso, per me.»
Zhore si fece ancora più piccola, tra le sue braccia, stringendola a sua volta: «Sì, questo lo so già. Ma è ok, sono contenta di saperlo.»

Vedendo Eveline rabbuiata, Areck provò a tirarla un po'su: «Sai, sua madre gestisce diversi alberghi di lusso, a Milano. Il potere del suo Elementwin, prima di passarlo a Zhore, le ha permesso di costruirsi una carriera pazzesca. La prima cosa che fece, quando divenne Skreenight, fu comprarsi un biglietto della lotteria. Ti lascio immaginare il resto.»
La strega restò a bocca aperta, cambiando totalmente espressione: «Che cosa? Fammi capire, stai forse dicendo che voi due siete ricche sfondate?»
Sul viso dell'altra si allargò un sorrisetto malizioso: «Un potere importante richiede una ricompensa importante.»

«Si sta svegliando» avvertì la bambina, riferendosi a Steiyn, un po' seccata dal dover sempre annunciare ciò che per lei era scontato: «ma non chiedetemi di fare il conto alla rovescia, per cortesia.»
«Sai che amo quando lo fai» sorrise sua sorella, pizzicandole il viso con affetto.
La piccola alzò gli occhi al cielo, facendo finta di lamentarsi con lo sguardo, perché in realtà era contenta che l'altra fosse così di buon umore.

Il ragazzino inspirò a fondo nel girare il viso di lato, quindi i suoi occhi si socchiusero.
Eveline gli sorrise, più in alto rispetto a lui: «Beh? Tutto apposto? Hai dormito bene?»

Steiyn provò a mettere meglio a fuoco: quando si accorse di essere appoggiato alla strega in quella posizione, le sue guance si accesero di rosso per l'imbarazzo, quindi s'alzò di scatto a sedere. 

«Io, ehm... mi sembra di aver dormito per ore. Quanto tempo è passato?»
«Tranquillo, ti ho fatto un incantesimo» gli rispose la giovane, incrociando le gambe e mettendosi più comoda, «Hai riposato solo un quarto d'ora scarso, anche se ti sembra di più. Dovevi recuperare molte energie.»

Steiyn provò a stropicciarsi gli occhi, ma gli scappò un gemito quando sentì il dolore delle sue ferite pungergli i palmi: erano completamente sporchi di sangue rappreso; alcuni tagli erano ancora lucidi e gocciolanti, altri erano nascosti dalla plastica dei cerotti sciolta, ancora incollata alle sue dita.

Eveline si alzò, nel vederlo esitare: «Devi fare qualcosa per quelle», quindi fece apparire dal nulla una bottiglietta piena d'acqua, «Vieni, ti aiuto a pulirle.»

Si spostarono vicino alla finestra, dove la luce argentea delle due mezzelune permetteva di vedere con più chiarezza. Steiyn si sfilò la giacca scura che aveva ancora addosso, restituendola alla strega, che la fece sparire in una nuvoletta di fumo. Poi lei gli disse di aprire bene le mani e di tenerle in su: lui si lamentò quando l'altra gli versò il liquido freddo sulla pelle, che gocciolò sul pavimento di pietra. Lo Skreenight si sforzò di lavarsi ugualmente, strofinando un po'.

«Areck, hai dei cerotti nella tua scatola-inventario?» chiese la strega, che nel frattempo fece sparire la bottiglia.
L'altra agitò il capo: «Mi spiace, ci tengo solo la mia asta, le sigarette e dei vestiti di ricambio.»
«Li ho io» li sorprese Zhore, tutti e tre, alzandosi e facendo apparire un pacchetto di carta, portandolo poi ad Eveline: «Tieni, sapevo che ti sarebbero serviti per lui. Li ho portati apposta.»
La strega, dal suo canto, non riusciva proprio ad abituarsi alle previsioni della bambina, seppur per delle cose così semplici. 

«Grazie» disse Steiyn al posto suo, quando la ragazza prese in mano la scatolina dalle mani della Skreenight.
«Sono venti. Se ne metti otto a sinistra e dodici a destra è meglio» puntualizzò l'Indovina, con quella sua espressione neutra. Quindi, così come si era alzata, tornò a sedersi di fianco alla sorella.

«Non puoi usare quella roba che gli hai messo al petto?» chiese la dragonessa, osservando la scena. Si riferiva alle bende-antidolore che il ragazzino aveva ancora addosso.
«No, lui è un Evocatore, questi tagli gli servono. Gli sistemo solo quelli più profondi» puntualizzò Eveline, incominciando a staccare la pellicola dell'adesivo dai cerotti. 

Si mise in ginocchio, davanti allo Skreenight, per stare più comoda, visto che lui era particolarmente basso. Cominciò a coprirgli le ferite con cura ed attenzione, una alla volta, seguendo il suggerimento di Zhore per quanto riguardava il numero. 

Era un po' insolito a vedersi, sembrava come se quei due stessero prendendo parte ad una sorta di rito, con quel pallore vibrante alle loro spalle e il buio su tutto il resto, il luccichio della pioggia che increspava le ombre. 

Per una manciata di minuti, si sentì solo il rumore di quest'ultima, amalgamarsi al rombo ovattato delle onde del mare in lontananza. 

«Dovresti prenderti un po' più cura di te stesso, fare più attenzione» gli disse, ad un certo punto, mentre cercava di togliere una pellicola attaccata un po' male, «non sei arrivato neanche a scalare metà castello e sei già ricoperto di medicazioni.»
La cosa dovette divertirla parecchio, poiché prese a ridacchiare, tra sé. La sua positività, però, cambiò completamente quando il suo sguardo incontrò quello del mago.

Steiyn aveva un'espressione strana: era completamente rosso in viso, gli occhi socchiusi in quel che pareva una profonda nostalgia, lucidi di tristezza e dispersi in chissà quale ricordo lontano.

L'altra si strinse nelle spalle, sentendosi un po'a disagio
«Ma che cos'hai?» chiese, preoccupata.

Lo Skreenight si riscosse, come se quella domanda l'avesse improvvisamente riportato sulla terra. Dovette accorgersi di essere arrossito di nuovo, ma la cosa non fece che peggiorare la situazione, facendolo arrossire ancora di più.
Voltò il viso di lato, imbarazzandosi: «No, scusa, è che tu somigli... cioè, voglio dire, ehm... no, non farci caso, ero solo sovrappensiero.»

«Poi dici che sono io che comincio i discorsi e non li finisco» s'accigliò Eveline, agitando il capo.
Lui chiuse gli occhi un momento, pentendosi di non essere rimasto zitto. Provò a rigirare quella conversazione iniziata per sbaglio, dicendole una cosa che non c'entrava nulla ma che però pensava sinceramente: «Eveline, tu... sei diversa da quando eravamo in quella foresta.»

La strega aggrottò le sopracciglia: «Che intendi dire?»
Le guance dell'altro non volevano smettere di bruciare, quindi provò a massaggiarsele con la mano libera: «Intendo... quando abbiamo parlato, in quella grotta, pensavo di avere davanti un certo tipo di persona. Ora, però, più saliamo il castello e più diventi diversa da quel che avevo immaginato.»

Lei non riusciva a capire dove lui volesse andare a parare: «E... quindi?» provò, sempre più confusa.

Steiyn sospirò: avrebbe dovuto pensarci meglio prima di infilarsi in quel discorso, si pentì ancora prima di pronunciarle, le parole che stava per dire. 

«Io non lo so come sono le streghe, perché tu sei la prima che incontro in vita mia, però tu... ecco tu non sembri esserlo, per niente.»

L'altra strinse molto più forte l'ultimo cerotto sul mignolo del ragazzino, facendolo gemere per il dolore: lo guardò come se lo stesse rimproverando furiosamente col pensiero.
Steiyn fece un passo indietro nel vederla così contrariata, alzando i palmi e scattando sulla difensiva: «Aspetta, non me ne sto lamentando.»

«Pensi che io sia contenta di avere questo stupido lato umano?» s'alzò in piedi la ragazza, parlando con rabbia: «Questa cosa che io mi lasci coinvolgere ogni volta dalle persone mi rende una strega debole, strana» strinse i denti nel dire quell'ultima parola, caricandola di tutto l'odio che provava verso sé stessa. «Quando frequentavo la Nocturne venivo tenuta alla larga perfino dalle altre streghe e dalle mie stesse compagne di dormitorio, per questo mio modo di essere, diversa, sbagliata, così docile, così curiosa nei confronti dei sentimenti altrui. Colpa mia, d'altronde, che permetto sempre a chi ho intorno di entrare nella mia vita, come in quella maledetta mattina di dicembre...» chiuse i pugni, nel lasciarsi attraversare dall'ira.

«Oh, calma calma!» intervenne Areck, alzandosi di scatto e mettendosi in mezzo ai due. Quella ragazza era pur sempre una strega, e la Skreenight, da quel che era successo sulla nave, aveva ormai compreso che non era per nulla prudente farla arrabbiare.
«Beh? Ora non ricominciamo. Eveline, calma, non serve che fai così: scommetto che lui non intendeva offenderti, si è solo espresso male. E poi, fattelo dire, ragazza mia, tu sei un po' troppo severa con te stessa.»

«Fatti gli affari tuoi!» esclamò l'altra, indietreggiando di qualche passo.
Steiyn si portò una mano tra gli occhi chiusi: ecco, lo sapeva, aveva combinato un casino.

La Skreenight non si fece incantare, il suo tono restò basso ma deciso: «Avrai anche accettato i tuoi poteri, ma da quel che vedo ciò che devi ancora imparare ad accettare è che sei più umana di quello che vorresti dimostrare. Ci provi, a fare la strega cattiva, ma da quel che ho visto fallisci miseramente ogni volta, mi spiace.»

Eveline sibilò la sua risposta, sporgendosi sul viso dell'altra, tanto che per poco non le sfiorò la punta del naso con la sua: «Carino, detto da una che non vorrebbe avere i poteri e poi non fa altro che vantarsi di essere un drago. Pensa ai tuoi, di problemi d'accettare.»

Areck digrignò i denti, mostrando i canini appuntiti: «Tu... non mi conosci.»
«Nemmeno tu» fu la risposta, decisa. 

Eveline si tirò indietro, esitò, ma poi la sua rabbia si trasformò improvvisamente in tristezza. Li squadrò entrambi, agitando il capo: «Sapete cosa? Mi avete stancato, tutti e due. Io me ne vado, non ne posso più.»

Li scansò e a passi ampi percorse la piccola stanza, salendo su per la scalinata alle loro spalle, di corsa. 

Steiyn provò a scattare verso la sua direzione, ma la dragonessa lo fermò, afferrandolo per una spalla: «Basta, lasciala andare. Direi che hai parlato abbastanza.»
L'altro si liberò da quella presa con un movimento piuttosto brusco, fregandosene altamente: quindi corse dietro alla strega, risalendo anche lui i gradini.

Areck si lasciò scappare un sospiro amareggiato, nel mentre anche Zhore la anticipava, salendo a sua volta.

Quando il ragazzo arrivò in cima alla rampa, si ritrovò in quella che sembrava l'ennesima stanzetta angusta. Questa era addirittura senza finestre, ancora più buia dell'altra. Se non fosse stato per la luce proveniente dal centro del Timely Door che Eveline stava aprendo, in quel preciso istante, non si sarebbe visto proprio nulla. 

La giovane puntava la sua chiave nel foro del portale, dalla quale cominciarono ad uscire delle saette giallissime, che illuminarono tutto l'ambiente con bagliori intermittenti. Sulla cima del contorno, la scritta dorata Nèvrhall dominava lo spazio lucido.

«Te ne vai davvero?» strinse i denti lo Skreenight. Non riusciva a crederci, si sentiva così in colpa.

Lei si voltò di scatto quando lui provò ad avanzare nella sua direzione, bloccandolo con un gesto della mano: «Se ti avvicini giuro che stavolta ti ammazzo, Steiyn» lo minacciò, perforandolo con quei suoi occhi di marmo. 

Il ragazzino esitò, non riuscendo ad insistere oltre. Dal tono che lei assunse sembrava seriamente che avrebbe potuto farlo fuori, in quel momento anche solo con lo sguardo. 

«Avrei dovuto toglierti di mezzo subito, a quanto pare, quando ero ancora in tempo» concluse la strega, guardandolo con odio. Infine, attraversò il passaggio, da sola.

Lo Skreenight abbassò il capo, deprimendosi un po'. Studiò con i polpastrelli l'ultimo cerotto che lei gli aveva stretto intorno al mignolo: gli faceva ancora male, un po' come quelle ultime parole, che riecheggiando nella sua testa si stringevano fortissimo intorno al suo animo.

«Sai? Dovresti smetterla di paragonare Eveline a tua madre» gli disse Zhore, quando lo raggiunse, colpendolo con quelle parole come se gli avesse affondato uno stiletto nel cervello.

Lui strizzò gli occhi dal fastidio che gli diede quell'affermazione, così diretta e affilata, così vera.

«Credevo che leggessi il futuro, non il pensiero» le rispose, sconcertato.
La bimba incrociò le braccia, risentita: «Beh, ho visto in uno dei vari futuri possibili che te lo chiedevo, a chi ti riferivi quando hai detto ad Eveline che somiglia a qualcuno, e tu mi hai risposto che lei ti ricordava tua madre. Niente di più, in questo futuro mi sono solo risparmiata la domanda» quindi parve riflettere a voce alta: «Però mi sa che non mi è convenuto molto, dato che ho comunque dovuto darti tutta questa spiegazione.»

Steiyn si perse per qualche secondo a guardare il Timely aperto davanti a sé: «Non posso farci niente, davvero. Non lo faccio apposta, loro... loro due hanno quello stesso modo di fare...»
La piccola fece spallucce: «Vedo che anche in questo caso la tua risposta non è cambiata.»

«Zhore, per favore, dimmelo subito» provò poi lui, senza guardarla in viso, nel frattempo che anche la dragonessa li raggiungeva: «Eveline non se n'è andata seriamente, vero?»
L'altra affondò quei suoi occhioni neri e blu in quelli altrettanto scuri di lui, attraendoli a sé come una calamita: «Voi avete un grande dono che sottovalutate troppo, Steiyn, ovvero quello di poter scoprire le cose. A tempo debito.» 

Nel parlare, invitò entrambi gli Skreenight ad avvicinarsi al passaggio con un gesto della mano, quindi sorrise al ragazzino, stuzzicandolo in positivo: «D'altronde, lei il portale ve lo ha aperto.»

Quell'ultima frase fu sufficiente a trasformare l'espressione dell'altro, che, da triste ed abbattuta, piano piano si riaccese, di curiosità. Forse Zhore un po' gli aveva risposto.

Areck tirò una sonora pacca sulla schiena del giovane, facendolo sia barcollare che sorridere: «Un po' di grinta, suvvia!» esordì, motivante: «Che sennò al prossimo scontro con gli Animy ci tocca raccogliere i tuoi resti con un cucchiaino!»

- - -

Non appena i tre Skreenight misero piede oltre il Timely Door, lo spettacolo del suo contenuto li travolse, insieme all'aria calda di quello che sembrava un tardo pomeriggio di mezza estate.

Davanti a loro, altissimi palazzi pungevano il cielo rosso, con quei loro tetti appuntiti, e la luce del tramonto si rifletteva nel vetro e nell'acciaio, di quella che pareva essere a tutti gli effetti una moderna metropoli disabitata. 

Tutto era avvolto in un silenzio imbarazzante, tanto che il frusciare di alcune cartacce a terra risuonò forte e chiaro al passaggio del vento arancione sull'asfalto. Quello, insieme al potere magico che sia Areck che Zhore parvero udire quasi un secondo dopo aver messo il primo piede oltre il portale. 

«Ok, lo Skreenight che cerchiamo non deve essere troppo lontano» constatò la dragonessa, acuendo l'udito: «Da quella parte» precisò, indicando la via davanti a sé.

Steiyn si sentì all'improvviso microscopico al cospetto dei grattacieli. Si guardò intorno: si trovavano nel centro di un incrocio, neanche troppo largo in realtà. Le strade erano stranamente strette, forse era quello a dargli l'impressione che i palazzi fossero infinitamente alti, insieme anche al fatto che ci si specchiasse il cielo sopra. Il Timely era sospeso in aria proprio lì, nel punto in cui le quattro vie si intersecavano. 

Il ragazzino si voltò ovunque, esitando nell'avanzare. Iniziava già a percepire una bruttissima sensazione, oramai stava imparando a riconoscerla.

«Li sento. Sono da qualche parte, ma non riesco a capire in che direzione.»
«Parli degli Animy?» si fece seria la dragonessa, fiutando l'aria, con quel suo atteggiamento spesso più animalesco che umano.
Steiyn annuì, preoccupato.
«Forse sono ancora troppo lontani» provò a ragionare Areck, guardando attorno con più attenzione: «Beh, in ogni caso, quando arriveranno noi saremo pronti. Coraggio.»

I tre si incamminarono lentamente, lasciandosi il semicerchio del Timely alle spalle.

Eveline s'affacciò dalla ringhiera del terrazzo, respirando l'aria morbida della sera che sfiorava l'orizzonte: i suoi capelli corti e castani si scompigliarono al vento, coprendole un po' il viso. Lì, sulla cima di un palazzo, osservava gli Skreenight avviarsi a passo lento lungo le strade della città deserta, piccolissimi; le loro ombre si allungavano sull'asfalto mentre lei li seguiva con lo sguardo. Aveva "ovattato" il suono del suo potere magico, per nascondersi sia alle loro orecchie che a quelle di chiunque altro.

In quel frangente, ciò che Steiyn le aveva detto di aver visto dopo l'incantesimo combinato, prese a ronzarle fastidiosamente in ogni angolo del cervello, accavallandosi a qualunque altro pensiero.

Una bambina bionda. Una bambina bionda che giocava con lei.

Per quanto si sforzasse, non riusciva minimamente a ricordare una figura del genere.
Possibile che si trattasse davvero di qualcuno che aveva conosciuto prima di perdere ogni memoria? Avrebbe dato qualunque cosa per poter vedere anche lei ciò che quel ragazzino le aveva raccontato.

«Ammettilo, un po' stai cominciando ad affezionarti a loro» disse una flebile voce alle sue spalle. 

Lei sorrise, prima di voltarsi: avrebbe potuto riconoscere quel suono tra mille e mille altri suoni.
«Konbanwa, Jack» gli fece il verso, imitando quel suo modo di parlare, nel girarsi verso di lui.

Lo spettro ridacchiò a quella provocazione, incrociando le braccia: se ne stava in piedi, sull'altro angolo del terrazzo, sollevato di averla finalmente trovata. Le mostrò il cellulare, agitandolo davanti a sé: «È un sacco che provo a chiamarti» fece, diventando un po' più serio, «Sì può sapere che fine hai fatto?»

Lei abbassò lo sguardo, vergognandosi: «L'ho rotto, anche questo. Mi dispiace.»
Hiroshi alzò gli occhi al cielo, paziente, quindi rimise il suo in tasca. Quella ragazza sfasciava telefoni neanche fossero fatti di burro.

«Sei stato ugualmente veloce a trovarmi» ammise la strega, inclinando il viso.
«Sai che sono veloce, a trovare le cose» le rispose, però era come se volesse mettere un punto a quel dialogo frivolo. Lei stava continuando a girarci intorno, ma lui lo sapeva benissimo dove l'altra avrebbe voluto andare a parare.

Eveline, infatti, si fece scura in volto quasi subito: «Bene, direi che è arrivato il momento che tu mi dia delle spiegazioni.»
Lui si avvicinò, con passi lenti, allargando le braccia: «Sono tutto tuo, piccola libraia.»

«Perché mi hai fatta venire dentro questo castello, Jack?» fece la ragazza, diretta «Non era per il libro.»

Il giovane la raggiunse, parlandole più a bassa voce data la distanza conquistata. Ciò che le disse divenne subito il centro di tutta la conversazione: «Ho trovato una cosa, al sesto piano del castello. Ho bisogno del tuo aiuto.»

Lei aggrottò le sopracciglia. Si era aspettata di andare alla ricerca di qualcosa, certamente, sta di fatto che l'altro ancora non accennava a dirle di cosa si trattasse, nemmeno in quel momento. Questo dettaglio la inquietava e incuriosiva insieme. 

Strano, lui era un po' chiuso di carattere, va bene, ma perché non dirglielo subito e basta? Il bianco degli occhi della ragazza si macchiò con l'arancio del sole che moriva, mentre cercava di studiare il viso affilato del suo amico e trovare da sola una risposta alla sua domanda, come se fosse lì, nascosta dentro le iridi chiare dell'altro. Beh, non ci riuscì.

«Perché non vuoi dirmi che cos'è, questa cosa? Non pensi che abbia, quantomeno, il diritto di saperlo?»
Hiroshi si strinse nelle spalle, voltandosi, imbarazzato: «In realtà... non sono sicuro che sia quello che penso.»

Eveline sbuffò, con aria di rimprovero nel tono di voce: «Aspetta, che diavolo significa che non sei sicuro? Hai visto o no di cosa si tratta?»
Lui agitò il capo, preoccupato: «No che non l'ho visto, sta dentro una grossa... scatola?»

L'altra stava cominciando ad arrabbiarsi: «E quindi? Attraversa la scatola e guardaci dentro, no?»
Lo spettro la afferrò per le spalle, avvicinandosi ancora di più a lei: «Eveline, è esattamente questo il punto! Io quella scatola non riesco ad attraversarla.»

I due ragazzi esitarono, fissandosi a vicenda per qualche secondo, poi la strega abbassò il viso, cercando di riflettere con più attenzione. 

Com'era possibile? 

Lui attraversava tutto, qualunque tipo di oggetto materiale, a meno che non fosse qualcosa che lei stessa aveva stregato per lui, per fargliela usare, come il telefono o il libricino di Halloween. Oppure, a meno che l'oggetto in questione non fosse un'arma anti-spettro. Erano molto rare queste armi, in realtà, e potevano solo provocare delle ferite, essendo che gli spettri non possono morire una seconda volta. I pavimenti e i muri, invece, potevano sia essere attraversati che non, quelle erano le uniche due cose ad essere facoltative per lui. Le persone no, quelle poteva toccarle. Eveline, però, non si era mai trovata davanti ad una novità del genere: lui che non attraversava "qualcosa"? Per quale assurdo motivo?

«Stai scherzando?» gli fece, sconcertata.
«Ti giuro che non riesco a capire nemmeno io» ammise lui, dubbioso.

Lei voltò lo sguardo di lato, provando a pensarci meglio: «Perché non dovresti poter attraversare questa scatola?»
Sta di fatto che l'altro ci aveva già riflettuto da solo: «Credo che potrebbe essere un motivo legato al suo contenuto. Non riesco a trovare altre spiegazioni, altrimenti.»
«Jack», si fece seria la giovane, nel tornare a fissarlo: «Tu cosa pensi che ci sia, lì dentro?»
Il ragazzo fece qualche passo indietro: «Ho un sospetto, ma non sono convinto di niente. Ho bisogno che tu mi aiuti ad aprirla, perché se lì dentro c'è quello che io credo che ci sia, beh...»
«Beh, cosa?» s'irritò l'altra, avanzando e recuperando la distanza «Dimmelo e basta, no? Perché ci giri intorno?»
Hiroshi sospirò, con aria stanca, voltandosi. Non sembrava avere alcuna intenzione di confessare: «No, senti, è una questione delicata... se non sono sicuro non voglio azzardare teorie.»

Eveline lo afferrò per il gilet, nervosa: «Ti rendi conto che mi hai fatta venire qui, fino in Giappone, stanotte, solo perché tu sei curioso di sapere cosa c'è dentro una maledetta scatola?»
Lui non si fece intimorire, irritandosi a sua volta: «Sei tu che non ti rendi conto! Ci sono dei prigionieri, dentro questo castello! Te ne sei accorta o no? Non ti sembra strano? Un alchimista che cattura degli Skreenight e li tiene in ostaggio con metà Elementwin al collo, non è una cosa normale questa!»

«E perché me ne dovrebbe importare qualcosa?» quindi strinse i denti nel continuare, stavolta abbassando leggermente il tono: «E a te, a te perché dovrebbe importare? Tu che cosa centri con tutta questa storia?»
Anche l'altro parve calmarsi un attimo, si lasciò andare in un sospiro: «Tu lo sai benissimo, perché mi importa, non fare finta di non capire. Inoltre, il contenuto di quella scatola potrebbe essere collegato anche agli altri ragazzi, non soltanto a me.»

La strega agitò il capo, contrariata: «Cosa vuoi che faccia? Che continui ad aprire i Timely agli Skreenight e che li porti al cospetto di Settevite? Perché dovrei, non me ne torna niente in cambio. È rischioso, ci sono gli Animy e i portali si autodistruggono una volta liberata la persona all'interno.»
«Beh, hai trovato il libro. Quello conta come ricompensa, no?» le ricordò lui, facendo spallucce.
«Oh, finiscila!» lo rimproverò lei, alzando gli occhi al cielo.

«Senti, ti dico una cosa» fece quindi lo spettro, per tentare di convincerla: «Sono rimasti soltanto altri due Skreenight da tirare fuori dai Timely, ed uno dei due è qui dentro. Dopodiché, c'è direttamente il sesto piano: la scatola si trova lì, dentro una Blast Off. Ha un coperchio pesantissimo, da solo non sono riuscito neanche a spostarlo, devi aiutarmi con uno dei tuoi incantesimi. Una volta che l'avremmo aperta e avremmo capito cosa contiene, ti prometto che ce ne andiamo.» I suoi occhi sottili si strinsero ancora di più nel suo tentativo: «Per favore, hai già fatto più di metà strada, finisci quello che hai cominciato. Non manca così tanto.»

Eveline non era d'accordo, faceva no con la testa, sul suo viso un'espressione di rabbia e tristezza insieme: «Perché devo sempre lasciarmi coinvolgere? Io sono venuta qui solo perché volevo trovare dei tesori, solo quello. Potevi dirmelo prima, di salire direttamente al sesto piano, invece di farmi fare tutta questa strada. Cosa c'entro io con tutto questo casino?»
«Se te l'avessi detto subito non avresti mai aiutato quei ragazzi.»
«Beh, perché forse stare con quei maghi rende il mio potere magico ancora più debole di quello che già è? Io... ho avuto delle difficoltà stanotte, non mi era mai capitato di dover chiedere così tante volte aiuto a qualcuno.»

«Ascolta, se il problema è questo perché non li precedi?» provò il ragazzo, riflettendoci, «Non devi per forza accompagnarli fino all'ultimo piano, è sufficiente che apri l'ultimo Timely, poi mi raggiungi al sesto. Loro se la caveranno.»

Lei non era ancora convinta: «Non lo so... se li vedessi troppo in difficoltà non so più se riuscirei ad ignorarli. Jack, il mio potere mi serve per tenerti qui, con me, in questa dimensione. Se si indebolisse troppo, io non potrei più ricucirti quei tagli, né stregare gli oggetti per non farteli attraversare, né usare le formule per farti dormire, nulla. Non è un tipo di magia facile, quella che ti tiene a questo mondo, lo sai perfettamente, eppure ogni volta sembri come dimenticartene.»

Hiroshi si fece improvvisamente più triste, nel sentire quel discorso: «Sai, a volte penso che se io mi lasciassi andare alla morte sarebbe tutto molto più semplice per te.»
«Beh, non puoi!» lo aggredì l'altra, risentita, «il tuo potere di trovare i tesori mi serve per guadagnarmi da vivere! Inoltre, non potresti comunque, neanche volendo.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo: la strega aveva ragione e lui lo sapeva. 

Erano tutti e due incatenati l'un l'altro, incastrati in una terribile e indispensabile trappola, un circolo vizioso, che avevano creato loro stessi e dalla quale non riuscivano ancora a sciogliersi, nonostante tutti quegli anni trascorsi insieme, a cercare una soluzione. Alla fine il tempo era stato loro nemico, in qualche modo li aveva legati e loro avevano continuato a rimandare, ad aspettare un momento giusto per separarsi che però non arrivava mai.

Lui aveva paura di "passare oltre", lei aveva paura di non riuscire ad andare avanti se fosse rimasta da sola. Quella loro vicinanza li salvava e al tempo stesso li condannava. Nell'ascoltare quella conversazione, provai un misto di pena e di affetto, per entrambi.

«Ci vediamo direttamente dentro la Blast» fece lo spettro, nel porgere il palmo aperto verso la ragazza. 

Lei fece apparire il libricino di Halloween in una nuvoletta violacea, quindi glielo porse. Tuttavia esitò a lungo, nell'appoggiare il volume tra le dita del suo amico, forse anche più del dovuto.

«Che succede?» inclinò il viso lui, accigliandosi.
Quando trovò le parole adatte, l'altra alzò il suo sguardo candido: «Mi stavo dimenticando di parlarti di una cosa che mi è successa. È importante.»

Hiroshi ripose il libro nella tasca interna del suo gilet: «Ovvero?»
«Lo Skreenight Evocatore che era nel primo Timely ha fatto un incantesimo combinato insieme a me.»
«Ah sì? Ed è sopravvissuto?» scherzò il ragazzo, prendendola in giro.
Lei lo guardò come se avesse voluto tirargli un pugno: «È un discorso serio, Jack.»
L'altro alzò i palmi, ridacchiando: «Capito. Spara.»
«Durante l'incantesimo, lui ha visto qualcosa che appartiene a me. Un mio ricordo.»

Lo spettro si rabbuiò improvvisamente, spalancando gli occhi: «Cosa?»
«Te l'ho detto che era importante.»
«Ha visto la strega Nera?» esclamò, sporgendosi su di lei col viso.
Lei si scostò, tirandosi indietro di qualche passo: «Ha visto me, molto piccola, giocare con una bambina bionda, in un salotto. A te questo dice qualcosa?»
Hiroshi parve come trattenere il fiato, nel cercare di elaborare quell'informazione, tanto che quel che disse si trasformò in un sussurro: «Una bambina bionda?»

La strega annuì: «Ha detto che aveva i capelli biondi, gli occhi chiari e le lentiggini. E che disegnava.»
Lui si prese qualche altro secondo: i suoi occhi rincorrevano un punto indefinito sul pavimento del terrazzo, nel cercare qualunque tipo di risposta, informazione, dettaglio.
«Una bambina bionda...» ripeté, tra sé, nella sua ricerca.

«Jack, potrebbe essere che il mio potere magico abbia conservato delle memorie di quel pezzo di vita che non riesco a ricordare?» provò la giovane.
Il ragazzo agitò il capo, non sapendo bene cosa risponderle.

Poi lei parve rifletterci ancora meglio: «Oppure... e se fosse una sua prerogativa? Voglio dire, se questa fosse una cosa che solo Steiyn può fare? Che tu sappia, un Evocatore può avere questo tipo di capacità latente? D'altronde, quel ragazzino riesce perfino a sentire il potere oscuro.»

Hiroshi si massaggiò la fronte con le dita, non riuscendo a districarsi in quell'intreccio di domande: «Mi dispiace, non so proprio cosa dirti. Non ho mai sentito di un potere del genere, negli Evocatori. Quando quella volta mi liberasti dalle catene, successe una cosa simile, ovvero mi capitò di sentire il tuo potere magico mischiarsi al mio. Però... io non vidi proprio nulla. Quindi può anche essere come dici tu.»

Eveline voltò il viso verso la città, scivolando col pensiero tra le strade d'asfalto bruno e il vetro fiammeggiante dei grattacieli. «Se fosse davvero una sua capacità unica, allora lui mi serve. Devo scavare più a fondo in questa faccenda.»

- - -

Steiyn si bloccò, di nuovo. Si stavano addentrando in una stradina più buia, più nascosta, le pareti altissime dei palazzi che la fiancheggiavano impedivano alla luce del tramonto di filtrare completamente. 

Areck, che era più avanti, si voltò verso di lui, facendogli segno col capo di proseguire: «Lo Skreenight è di sicuro dietro questa strada, il suono del suo potere magico è più forte adesso.»

Lo sguardo del ragazzino si spostò alle spalle della dragonessa, dove l'angolo formato dalle mura nascondeva alla vista l'uscita di quel vicolo. Stavolta lo sentiva prepotente, il potere oscuro, pesargli nel petto, rubargli l'aria. Agitò il capo, cercando come di scrollarselo di dosso con quel gesto. 

«C'è qualcosa che non va» provò, nell'asciugarsi il sudore freddo da una tempia, con il dorso della mano, «Stavolta sembrano addirittura più numerosi di quelli che c'erano sulla nave. Li sento lontani, ma... sono così tanti che mi sembra di percepirli ovunque, a ondate.»

Areck non riuscì a tenere per sé la sua preoccupazione. Quel suo unico occhio acceso rimbalzò sulla sorellina e sul ragazzino, passando dall'uno all'altro più e più volte. I due Skreenight erano in gamba e nonostante la loro giovane età avevano dimostrato di sapersela cavare molto bene, anche perché il potere dell'Elementwin aiutava in questo, acuendo tantissimo le loro capacità fisiche, la loro forza e la loro resistenza. Tuttavia, forse perché essendo la più grande, in quel frangente sentì un leggero di senso di responsabilità premerle addosso. Fece apparire la sua lanterna con un brusco gesto del braccio, illuminando l'ambiente circostante.

«Sentite, se capiamo di non riuscire a tenere testa al nemico, mi faccio crescere le ali e vi porto via dal Timely in volo, quindi non vi preoccupate. Siete leggeri, insieme vi riesco a sollevare. D'altronde, noi non siamo obbligati a fare questa cosa» concluse, nel porgere un palmo aperto verso lo Skreenight, che sì, afferrò la sua mano, ma non mi sembrò proprio convinto. 

Girando l'angolo, davanti ai tre, il paesaggio apparve un tantino diverso da quello che si erano lasciati dietro. Sbucarono su una strada perpendicolare alla loro, più larga e illuminata, anch'essa fiancheggiata da grattacieli e marciapiedi, ma per nulla simile a quelle che avevano percorso in precedenza. Lì la luce del sole sembrava filtrare in modo strano, accendendo tutta l'aria di un tono più violaceo, oscuro, polveroso. L'asfalto stesso era più nero in alcuni punti, rovinato, spaccato in diverse parti, e nell'aria fluttuava del pulviscolo bianco. 

I maghi si guardarono intorno più volte, studiando il nuovo ambiente, nel silenzio. Poi Steiyn tirò la maglietta di Areck, per attirare la sua attenzione, e quando la catturò, indicò alla loro destra. 

C'era una macchina grigia, parcheggiata vicino al marciapiede. 

Una di quelle auto grosse, col cassone sul retro e solo due posti davanti. Era messa parallela alla strada, dal lato in cui si vedeva il parabrezza. Era lì che confluivano tutte le crepe sul bitume.

I tre si lanciarono delle occhiate incerte: era la prima auto che vedevano, dentro quella città. Il ragazzo ingrandì l'arco, chinandosi e sfilando una freccia di pietra dall'asfalto, quindi tutti e tre fecero per avvicinarsi al veicolo, con prudenza. Quando fu in prossimità dell'abitacolo, la dragonessa guardò attraverso i finestrini, ma a bordo non c'era nessuno. Provò ad aprire la portiera e, con suo stupore, ci riuscì senza alcun problema: ne approfittò per dare una rapida occhiata all'interno.

«Areck» chiamò la bimba, sottovoce, facendo segno alla sorella di girare dietro al mezzo. Lei lasciò la portiera aperta, raggiungendoli, quindi tutti e tre si ritrovarono a guardare con attenzione il contenuto del cassone. 

Sul fondo c'erano varie cose: scatole di cartone vuote, oggetti vari per l'auto, un paio di taniche di benzina, il ruotino di scorta, una cassetta degli attrezzi, un triangolo e alcuni piedi di porco. Più vicino al bordo, invece, c'era un ragazzo

Era sdraiato su un fianco, sembrava molto alto e di forte corporatura, ma non si riusciva a capire altro a causa del casco completamente nero che gli avvolgeva sia la testa che il viso. Aveva le braccia in avanti e i polsi ammanettati con un aggeggio strano ed elettronico, tutto di gomma, che gli stringeva le mani in due guanti, di gomma nera anche quelli. Dello stesso materiale era pure il telo che avvolgeva tutta la base del cassone, come un tappeto. 

Steiyn abbassò l'arco, quindi fece per sporgersi di più col viso, curioso, ma Areck lo allontanò, con un gesto brusco della mano. 

Il corpo del tipo emanava delle pericolose scariche elettriche, come il mezzo Elementwin candido che portava appeso al collo. Scintillavano ad intermittenza sulla sua pelle abbronzata, sottili e rapidissime, sfolgorando nell'aria grigia. Il ragazzino s'impressionò per non averle notate in tempo da solo e col pensiero ringraziò la Skreenight.

«Ok Zhore, facci spoiler» fece la dragonessa, spezzando il silenzio, «Come gli leviamo quelle robe alle mani e quell'affare dalla testa, senza friggerci?»
«Devi rompere il dispositivo che tiene chiuse le manette» le rispose l'Indovina, senza una particolare espressione in volto «Il suo potere reagisce al dolore che gli causano quelle.»

L'altra parve prendersi qualche momento: «Mhm, non mi fido a colpirle con la base della mia asta, anche se sembrano di gomma. Non voglio rischiare di prendere la scossa.» La sua arma era ignifuga, ok, ma era pur sempre fatta di materiale metallico.
«Se ci soffi sopra una piccola fiamma puoi provare a scioglierle» intuì Steiyn, aggrottando le sopracciglia per via del potere oscuro, che lui ancora continuava a percepire tutt'intorno.

La Skreenight parve rifletterci un istante, poi pensò che forse non era male come idea. Saltò sul cassone, avvicinandosi al mago, studiandolo meglio dall'alto, per trovare un'angolazione comoda. Gli scostò con un piede un angolo della felpa a trama scozzese, che lui portava su una t-shirt chiara e sui jeans bruni. Quindi gli si inginocchiò accanto, avvicinando il viso alle manette e tirandosi in su i lunghi capelli con le mani.

Dalla sua bocca partì una fiammata verde e sottile, dritta, precisa, in direzione della gomma. Il led blu che lampeggiava sul dispositivo di squagliò dopo qualche secondo, insieme al resto della plastica di quel che sembrava una serratura elettronica, quindi si sentì uno scatto. 

La ragazza si interruppe, sollevando il capo. Le manette si aprirono da sole e le scariche elettriche sul corpo dello Skreenight si interruppero improvvisamente. Anche il led che lampeggiava sul casco si spense, facendo un click a sua volta. Areck afferrò quest'ultimo con entrambe le mani, ormai senza che ci fosse più alcun pericolo di folgorarsi, e glielo tolse. 

Inclinò il viso di lato, nell'osservare meglio il ragazzo davanti a sé: era un po' più grande di lei, con i capelli corti, così chiari da sembrare bianchi, e un po' di barba sul mento squadrato. Era sudatissimo, sicuramente per colpa dell'imbottitura del casco, e in quel momento tentava di svegliarsi, respirando a fondo. 

Lei alzò un sopracciglio: «Oh, è un biondino» quindi si rivolse a Steiyn, guardandolo con ironia «non è che stavolta è un parente tuo?»
Il ragazzino scosse il capo, sorridendo a quella battuta. 

L'altro aprì lentamente gli occhi, mostrando un paio di iridi nere.
«Buongiorno principessa» lo incalzò Areck, «Come va? Fatto un bel riposino?»
In un certo senso era contenta che non fosse un altro bambino a cui fare da balia.

«Cosa...? Ma dove?» provò lui, nel cercare di tirarsi in su con la schiena, «Voi chi... diavolo siete?» La sua voce era profonda e calda, nonostante fosse ancora impastata nel torpore del sonno.
«Ehi, porta rispetto» gli fece la dragonessa, mostrandogli il suo medaglione, «Siamo colleghi.»

Il giovane si sfilò i guanti di gomma, quindi si mise a sedere, stropicciandosi la faccia: «Merda, mi sento come se mi avessero preso a ginocchiate in fronte.»
«Già, e scommetto che anche tu non ricordi niente, ti sembra di aver dimenticato qualcosa di importante ma non sai cosa, eccetera, eccetera» alzò l'occhio al cielo, la ragazza, con poca pazienza. 

L'altro si guardò intorno, sempre più disorientato: «Aspetta... che razza di posto è questo? Dove mi trovo? Come ci sono finito qui?»
«Come tutti noi» gli rispose, più seria, indicando anche i due ragazzini, «anche tu sei un prigioniero di Jack Settevite, che sarebbe il padrone di questo castello.»
Lui si voltò, più volte, quindi la scrutò più attentamente: «Eh? Ma di che di castello parli?»
L'altra si corresse: «Pardon, hai ragione: adesso siamo dentro una città che sta dentro un Timely Door. Un Timely che sta dentro ad un castello. Che a sua volta sta dentro il Giappone. Carino, non trovi? Manco una matriosca» gli rispose, con un certo sarcasmo, poco invogliata a spiegarsi meglio. 

Il ragazzo si rigirò il suo mezzo Elementwin tra le dita, ancora più confuso di prima. 

«Scusate, forse dovrei dirvelo adesso» farfugliò Zhore, preoccupata, stringendosi nelle spalle con un certo imbarazzo.
«Dire cosa?» provò la dragonessa, voltandosi, ma non fece in tempo.

Steiyn si piegò in due dal dolore quando sentì arrivare il potere oscuro, che gli schiacciò i polmoni, mozzandogli il fiato e stringendosi fortissimo intorno alla sua gola.
Sia il ragazzo biondo che Areck alzarono gli sguardi davanti a loro, lentamente, nell'osservare quello che stava arrivando: dal fondo della strada si alzava quella che sembrava essere un'enorme onda nera, polverosa. La dragonessa strinse in una fessura quel suo unico occhio verde: no, non era terra, e nemmeno qualcosa di liquido. 

«Ma quelli... sono Animy!» esclamò.

Migliaia e migliaia di mostri felini riempivano il paesaggio, occupando la strada in tutta la sua larghezza: si accalcavano l'uno accanto all'altro, l'uno sull'altro, in una corsa disordinata e distruttiva, travolgendosi a vicenda e calpestando sotto le loro zampe tutto quello che si trovavano davanti, alzando polvere e detriti. Ce n'erano talmente tanti che riuscivano a malapena a passare tra i palazzi, spaccando vetrine e marciapiedi e facendo tremare l'asfalto in un rombo ovattato, che diventava ogni secondo sempre più imponente, man mano che si avvicinavano. L'auto cominciò a vibrare a sua volta.

«Se non andiamo via subito moriremo in una maniera davvero poco elegante!» gridò Zhore, afferrando la sorella per un braccio e strattonandola, come per riportarla sulla terra.

Il giovane accanto a lei fu più svelto: «Salite, forza!» esclamò, nel frattempo saltò giù dal cassone e nel vedere la portiera anteriore aperta entrò velocemente nell'abitacolo, mettendosi alla guida dell'auto. Cercò qualcosa sotto il tappetino ai suoi piedi, tirando via un pezzo di stoffa: ciò che trovò fu una chiave. Ringraziò mentalmente sé stesso per aver avuto l'intuito di metterla lì, sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui gli avrebbe salvato la giornata. 

Steiyn scattò a sua volta, raggiungendolo sul sedile accanto giusto pochi istanti prima che l'altro infilasse la chiave nel blocchetto d'accensione, rimpicciolendo l'arco ed allacciandosi la cintura.

Areck afferrò di peso la sorellina, con un gesto rapido, quindi chiuse il coperchio del cassone con loro due dentro. Entrambe persero l'equilibrio, cadendo l'una addosso all'altra, quando la macchina sfrecciò in avanti, stridendo sull'asfalto.

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