Indaco ed esasperazione

In quel momento, l'unica certezza cui poteva aggrapparsi era la sua stessa esistenza: si pizzicò il braccio, appurando di non essere ancora morta.

Eppure non stava nemmeno sognando.

Il ragazzo dinanzi a lei era in controluce, e i tratti del volto non erano ben visibili. Ma ciò che spuntava dalla sua schiena sì: immense ali dipinte d'indaco. Poteva sentire quanto erano morbide senza neanche toccarle.

Allora aveva ragione. I suoi poteri, tutto ciò che l'aveva sempre riguardata e disgustata, derivava dalla volontà di un dio.

Perché quello davanti a lei non poteva essere altro che un angelo: un bellissimo angelo della morte. Tra le mani, si accorse infatti in quel momento, teneva stretta una splendida lancia. Pareva brillare di luce propria, ed avrebbe quasi giurato che la punta fosse di diamante se non le fosse apparso troppo assurdo.

Tutto, di quella sera, era assurdo.

Era stata tradita, rapita, aveva visto cose fuori dal mondo, ed ora si trovava ad un indesiderato tête-à-tête con un angelo. Probabilmente, era stato inviato ad ucciderla.

Oppure voleva portarla da qualche parte e l'arma tra le sue mani non era altro che una sua misura di sicurezza. Come una guardia del corpo che ha paura al contempo di pericoli esterni e del suo stesso cliente.

"Non sei un essere molto loquace". Disse l'angelo, e Sereide avrebbe giurato di sentire una nota divertita nel suo tono imperioso. Un messaggero degli dei che rideva di lei.

Quella serata non faceva che andare di bene in meglio.

"Chi sei?". Gli chiese, quando ritrovò la facoltà di proferir parola.

"Interessante". Rispose lui, semplicemente, inclinando appena la testa. Se non avesse aperto bocca, le sarebbe parso di star avendo conversazione con una vera e propria statua; la sua postura era perfettamente eretta e non s'intravedeva il minimo sforzo sulle braccia muscolose, che dovevano brandire un oggetto tanto pesante.

Non sapeva perché, ma quell'essere iniziava a darle davvero fastidio. Molto fastidio.

"Cosa sei?". Provò a chiedere nuovamente, esasperata da tutta quella situazione.

"Umani. Un attimo mi sorprendono, quello successivo cancellano ogni minima traccia di curiosità dalla mia mente- si voltò impercettibilmente quando lei fece un passo di lato. Non voleva perdere neanche per un istante il contatto visivo con Sereide- Siete esseri così prevedibili".

Oh, dunque per lui erano loro gli 'esseri' strambi. Non ci aveva mai pensato. Anche i fantasmi che vedeva in continuazione, credevano che ad essere strani fenomeni fossero gli umani, proprio com'era vero il contrario?

Scosse la testa. Non era il momento di farsi prendere da certi pensieri. Avrebbe potuto farli dopo, comoda nel suo letto. Si, insomma... da viva.

"Cosa sei". Ripeté allora, il tono di voce che ormai costituiva un ordine più che una richiesta.

"Le risposte sono tante. Potrei cominciare col risponderti allo stesso modo. Tu sai cosa sei?". Parlò piano, e lei ebbe la pericolosa idea di avvicinarsi di un passo per sentirlo meglio. Fu un gesto istintivo, di cui si curò appena mentre veniva travolta dalla rabbia.

Stava tardando ad arrivare dalla madre per questo palestrato mentecatto sarcastico. Era sicura che, anche se si trattava di un angelo, il gran proverbio 'tutto muscoli e niente cervello' si adattasse benissimo anche a lui. Tra gli esemplari maschili che aveva conosciuto, la maggior parte era stupida o cattiva.

Che domande, poi.

Certo che sapeva cosa era, lei. Lei era... lei era... un'umana. Forse. Sbuffò nuovamente e si lasciò sfuggire un risolino appena appena nevrotico.

Non le piaceva più quel gioco. Affatto.

"Ora devo tornare a casa. A mai più rivederci". Solo un attimo dopo si accorse di aver pronunciato ad alta voce le ultime parole, anziché nella sua mente come aveva programmato.

Oh, poco male. Al massimo l'ego dell'angelo sarebbe stato un po' scalfito.

Lui però la guardò, sorpreso, e fece una cosa sconcertante: si mosse. Le si pose dinanzi ed aprí le braccia, divenendo il più grande segnale di stop che Sereide avesse mai visto.

"Non puoi andartene". Rivelò, semplicemente.

"In che senso non posso andarmene".

"Tu devi venire con me". Eccola, la bomba. La frase che si aspettava dicesse da quando se l'era trovato dietro di lei, in quella strada buia.

Era giunta l'ora della sua missione? Cosa le avrebbe mai potuto chiedere Dio, a quel punto?

Portava su di sé i segni di un antico tormento: aveva ucciso, e l'avrebbe fatto nuovamente. Almeno finché non fosse riuscita a controllare i poteri che aveva, e tutti quelli che sarebbero arrivati col tempo.

Cosa avrebbe mai potuto volere da una giovane omicida, un essere onnipotente del genere?

Niente che desidera se o che in qualche modo bramasse avere. Nella vita aveva imparato presto alcune lezioni fondamentali: la prima fra tutte, mai aspettarsi qualcosa da qualcuno.

Amore e fede, letali ma millantate sotto strati di salvezza fasulla.

"Non credi che sarei una compagnia migliore di quei fantasmi di prima?- lei lo guardò, senza capire dove volesse arrivare. Di fantasma ne aveva visto uno forse, e non era nemmeno sicura che lo fosse. Non sembrava un fantasma comune, anzi- Quelli della gabbia". Specificò allora l'angelo.

Sereide rimase ancora più stupita. Perché mai credeva fossero fantasmi? Era più che certa fossero di carne ed ossa, proprio come lei.

L'aveva sentito dalla voce. Eppure... non li aveva effettivamente visti, ma poteva darsi che ciò fosse dovuto al buio. Ed anche se fossero stati quelle creature soprannaturali, in particolare, lei li avrebbe visti di certo.

"Come lo sai?".

"Ragazzina, io so tutto". Era definitivo. Quell'essere le dava sui nervi.

Perché mai il destino aveva voluto che lo incontrasse? Oh, giusto. Probabilmente era arrivato il momento della sua missione, e questa creatura snervante ne era solo il messaggero.

Iniziò a chiedersi perché la stesse tirando tanto per le lunghe, ma poi si arrestò: una domanda più importante stava prorompendo nella sua mente.

"Allora lui... insomma Lui- indicò il cielo, ma quando si accorse di aver puntato le bellissime ali dell'angelo, direzionò il dito più in alto- esiste davvero?".

"Ragazzina, ora capisco perché non hai amici. Insomma, non sai tenere una conversazione. Passi da un argomento all'altro come se non ci fosse un domani. E, prima che tu lo chieda, lo so e basta. Nessun amico nella tua piccola vita". Sereide restò a bocca aperta.

"Irritante". Si lasciò sfuggire dalle labbra, e lui le lanciò un'occhiataccia che di carino aveva poco e niente. Uh, quindi aveva capito il gioco. Lui poteva insultarla in tutti i modi possibili, dandole della ragazzina, dell'asociale, dell'ignorante e non sapeva quante altre cose; lei doveva starsi zitta e buona ad ascoltare senza controbattere.

Che razza di stupido gioco.

In realtà, se fosse stata un'altra situazione, non le sarebbe importato molto. Aveva imparato a non rispondere alle provocazioni, ad abbassare la voce e mostrarsi anche noiosa, purché la lasciassero stare.

Tutto ciò perché, anche se molte erano persone orribili, non li avrebbe mai voluti sulla coscienza. Giocavano con la morte senza neanche saperlo: era pericoloso e non le pareva equo.

Per questo riusciva a sopportare ogni angheria cui i suoi coetanei, a volte anche alcuni insegnanti, la sottoponessero.

Meglio quello del sentirsi macchiata l'anima col rosso più scuro.

Delle lacrime calde iniziarono a premere, impazienti di uscire. Non avrebbe mai voluto piangere davanti a quell'angelo spocchioso, ma non ce la faceva più.

Quella sera era diventata un oblio di esasperazione da cui non riusciva più ad uscire, e tutto ciò che poteva fare era sentirsi sballottata da una parte all'altra nelle mani di gente strana e un destino cieco.

Sereide era esasperata.

Cosa aveva mai fatto di male, lei? Il suo Dio la stava punendo per quello scoppio d'energia che aveva portato alla morte dei suoi compagni? Ma non era stato un gesto volontario! I sensi di colpa l'avevano divorata per anni, e non avevano mai smesso di farlo, né si erano attenuati.

Si era allenata con la madre, giorno e notte, perché non accadesse più una cosa del genere.

Eppure in quel momento, proprio come quando l'avevano rapita, sentiva il fuoco crescere dentro di sé, invitandola ad ardere tutto e tutti sul suo cammino. Sarebbe stato così rassicurante spegnere ogni sentimento ed ascoltare quella splendida ed inebriante voce dentro di sé.

No, non poteva farlo. Non poteva.

Mentre la mente della ragazzina veniva divorata dai più oscuri pensieri, l'angelo si spostò e, per la prima volta, distolse lo sguardo. Non gli importava più avere un contatto visivo con quella strana creatura, perché sapeva che aveva catturato il suo interesse. Certo, avrebbe ancora potuto decidere di scappare da un istante all'altro, ma se ne sarebbe preoccupato quando fosse giunto il momento.

"Non hai molta scelta, comunque. Se non vieni con me spontaneamente, sarò costretto ad usare la forza". Ci tenne a specificare la creatura alata, ridacchiando. Fu quest'ultimo dettaglio a rendere Sereide ancora più scontrosa.

"Allora stiamo per scoprire chi vincerebbe in una battaglia tra un angelo e... una come me". Non l'avrebbe mai detta una cosa del genere, se quella risata insolente non l'avesse irritata oltre misura. Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, e non se n'era nemmeno resa conto, prima di combinare il disastro.

L'angelo girò violentemente su sé stesso e inchiodò il suo sguardo con occhi di fuoco.

Cosa aveva combinato? Non poteva di certo rimangiarsi un'affermazione del genere. Né poteva combattere con lui.

Ma quando lui vide che lei, piuttosto che prepararsi a combattere, era divorata dai pensieri, capì che non avrebbe dovuto fare nessuno sforzo e si rilassò. Umani. Cambiavano continuamente idea; anche se la ragazzina non era solamente umana, quella parte sembrava preponderare in tutte le sue emozioni.

Sarebbe stato un bel problema.

"Vieni con me". Ordinò in tono perentorio, stufo ormai di quel giochetto.

"Devo andare a casa".

"Infatti ti porterò a casa". Rispose repentinamente l'angelo, la voce profonda e trasparente come l'acqua.

Un attimo, pensò Sereide, dov'era il trucco?

"Ma se un attimo fa hai detto...".

"Le parole a volte sono davvero enigmatiche. Ognuno ne capisce il senso seguendo la propria logica. Non lo trovi strano?". Se anche l'avesse trovato strano, di certo non voleva discutere proprio di quello con uno sconosciuto alato in un vicolo sperduto della città.

"Cosa vuoi da me?".

"Che torni da dove sei venuto essere. E subito".

"Essere? Ah! Disse quello con delle cose viola dietro la schiena". Alla sua frase, l'angelo si decise a spalancare del tutto le ali. Fu in quell'istante che la ragazza cominciò a dubitare seriamente di sé stessa e a chiedersi se non le avessero dato dei potenti allucinogeni quanti l'avevano rapita.

Forse tutto ciò faceva parte di un esperimento.

Le ali erano grandissime. Di certo non molto funzionali, per vagabondare nel mondo degli umani, ma stupende.

"Queste cose hanno un nome, ragazzina". Quel tipo era troppo irritante per essere un semplice frutto di medicine umane, sul serio. Ma che mangiava a colazione, sarcasmo e sbruffonaggine?

"Oh, se è per questo anch'io ho un nome. Piacere, Sereide".

"No. Tu non ti chiami così".

"Ma che...".

"È una storia troppo lunga e questo non è il momento Nereide".

"Sereide. Con la S! Non ci vuole tanto, sono certa che puoi riuscirci".

"Seguimi- disse allora lui, volgendo gli occhi al cielo- Nereide". Ripeté il nome scorretto con un sorrisetto che aveva ben poco di rassicurante.

"Quella non è la direzione per casa mia".

"Disse la bambina che si era persa nei boschi e stava andando incontro al lupo".

"Credo di averlo già trovato, il lupo. Ben più di uno, in una sola sera. E lo sento. Quella... non è quella la direzione per casa mia". Indicò la strada buia dinanzi a sé ma, prima che potesse guardare nuovamente l'angelo, fu rapita da un gran sonno.

In pochi istanti si ritrovò a cadere, e quel senso di svenimento continuò a perseguitarla anche quando due forti braccia la sorressero.

"Non mi stai portando a casa, vero?". Sussurrò, rancorosa, prima di sprofondare nel sonno.

Oh, la creatura alata lo sapeva. Doveva portarla a casa. Ma quella bambina non sapeva nemmeno quale fosse la sua vera casa, e sarebbe stato molto diverso da ciò che si aspettava.

Sizal aprì le ali e spiccò il volo. Sarebbe stato un lungo viaggio.

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