A Danae

Lo_Spettro


A Parigi, messieurs, a Parigi, dove le insegne Metropolitan divennero l'ingresso alla nuova modernità ed il progresso, in continua espansione, ai grandi Boulevard febbricitava di luce. Alle locande, ai loro richiami e alle mise chiassose dobbiamo in volo messieurs, con le nostre ali bianche, come fossimo sopra al divagare del mare, scorgere. Come imprudenti albatri che nessuno addita e crede di vedere, spingiamoci col nostro passo goffo verso i sorrisi degli avventori: i tanti ubriachi assieme agli impacciati gentiluomini in abiti da sera li vedremo catturati dai deliqui ingenui, riflessi in miriadi di specchi, e ai salotti, dove sui sofà, sdraiati corpi non più in fiore con speranze mischiate a cattive sorti si alterneranno ai balordi, una maîtresse passerà a ravviare quelle ragazze gettate come un qualsiasi scarto, sempre accarezzato poiché prezioso, a cui ogni linea ritraente non sarebbe arrivata a domani, né a dopodomani. Qui, posiamo il nostro sguardo.


Fermiamoci ad una fulva dal carnato chiaro come ladri sopraggiunti e riannodiamoci poi al tempo, alla vita, sbattendo e risalendo sul trono, nell'azzurro. La parte di noi che andrà a curiosare e concludere l'insolita storia si legherà molto ad un'artista, seduto in terra, chino sulla sua ispirazione, che agitandosi pareva non perder mai il livore della vita. S'allontanava e riprendeva un qualcosa di suo, rigettava e rifaceva i tratti di una Natura Imperatrice, corpo nato per accogliere, contenere, perpetuare. Leggeva Verlaine, Baudelaire e proveniva da una festa aristocratica. Ricevuto insigne meriti, aveva deposto la sua medaglia d'oro a miglior espositore straniero all'Universale ed ora guardava anche lui con ammirazione eterna la fulva, sottile filo del suo inseguimento. Quella figura non poteva che stare a Montmartre, in una maison close. Ricalcava verosimilmente la sua Nuda Veritas. «Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male». Seduta di lato, poggiava i gomiti sui lati sinuosi d'un canapè blue, le sue forme morbide, i suoi capelli lunghi, sciolti erano esattamente come il clamore mostrato irritante e scandaloso del suo genio, rivelava e svelava e in molti domandavano di lei. Ma gli occhi, vitrei, persi chissà dove, facevano insignificante tutto; proprio come una verità che celava dentro...


"Ancora una volta, Ve lo chiedo: venite via, venite con me a Vienna!"

"Vi ascolto senza fastidio mio caro, ma son stata fin d'ora così ingenua da non meritarmi alcun Paradiso".

"Non dite questo di Voi. Non ostacolate la meta, è lo stesso Destino che vi sussurra alle spalle. Alzatevi e camminate, allontanatevi dal presente e rioccupatevi di Voi, senz'aggiungere null'altro".

"E come farò a sostenermi in un luogo che neanche conosco?"

"Vi troverò marito. Non posso disegnare Voi a memoria, Vi percepisco ma non Vi afferro e sapete poi che la realtà per essere creata dev'esser per forza di cose osservata".

"Dite sul serio, siete veramente disposto ad aiutarmi, a guidarmi, a condurmi per mano, dove all'ironia non dovrò più sottostare con labbra strette e abominevoli rancori?".

"Certamente, domani stesso, prenderò il treno se Voi lo volete, altrimenti dovrò insistere ed insistere sperando che almeno quel che Vi chiedo non prenda la stessa piega di tutti questi fogli di carta".

"Siete un galantuomo Gustav, m'avete convinto, domani all'alba, avrò presto preparato i miei averi, e sarò pronta sull'uscio ad attendervi con tutte le mie speranze".

"Legatevi solo dei desideri da soddisfare mademoiselle, non mi pacificherò finché, nello stesso modo in cui ho da ritrarvi, non renderò la Vostra vita migliore".


E fu, lì per lì, una promessa che venne mantenuta. Sette anni dopo, Gustav, ancora, si mise a seguir quel filo, quello squarcio di luce, quella cascata, quell'impeto da troppo tempo ostacolato e che doveva a tutti i costi essere libero. Anastasie divenne moglie d'un importatore di vetri di Burano, ma il legame con il suo redentore non si slegò mai. In una bella giornata primaverile lui, varcò il giardino segreto della sua abitazione, bello e quieto con meli, ciliegi ed altri grandi alberi da frutto, con tutto il suo corredo d'artista. Finestrelle scure spezzavano il manto erboso. Sapeva di trovarvi lei immersa mentre si prestava a giocar con Bijou, il bellissimo dalmata a cui era molto legata. La trovò invece dormiente, abbandonata su dei cuscini in un ricco Savonnerie, con la testa leggermente piegata su lato e le labbra appena dischiuse. Il suo vestito, libero, agile, delicato era una mescolanza del blu del Danubio col cielo sopra. Emergeva intorno un odore acre, dolciastro, opulento, conturbante, mischiato con vaniglia, dell'oppio senz'altro e permaneva intorno come se la belva si fosse appena allontana dal suo pasto. Non volle svegliarla, né riportarla indietro, volle soltanto sdraiarvisi vicino, ad ascoltar il suo respiro. Una pagina accanto a lei era aperta, la lesse:


Vinti ma non domati, esiliati ma vivi,

e malgrado gli editti dell'Uomo e le sue minacce,

non hanno certo abdicato, serrate le mani tenaci

su tronconi di scettro, e corrono nei venti

Le nuvole veloci dai mobili capricci

sono la polvere ai piedi di questi spettri rapaci

e la folgore urlante attraverso gli spazi

è solo un'eco lontana dei loro duri olifanti.


Una nota a margine poi riportava questo:

"come vorrei trovare nelle mie labbra e sopra la mia carne Voi, in un pulsare ritmico e a fermarvi con una resistenza, un accenno, stringendovi il polso perché nella troppa foga si è ancora poco consumato".


- Che meraviglia un susseguirsi di emozioni che formano quadri nel quadro. Davvero bellissima - @paroleemusica

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