Prologo
La prima volta che lo vidi avevo dieci anni. Mi sgridò perché mi ero messa in mezzo al campetto da basket, impedendo così a lui e ai suoi amici di giocare. Il tono severo e controllato del diciottenne che era allora scatenò nel mio io di bambina per bene la voglia di disubbidire per sentire ancora una volta la sua voce sferzarmi la pelle.
Non ebbi modo di mettere in atto il proposito perché Giada, la mia migliore amica all'epoca, mi trascinò via sgridandomi anche lei perché avevo fatto arrabbiare gli amici del fratello. Quell'ultimo rimproverò però non suscitò in me lo stesso turbamento.
L'estate passò veloce tra visite sgradite al campetto di basket e occhiate piene di biasimo di Giada ogni volta che le chiedevo notizie su quel gruppo di ragazzi. Allora lei sbuffava, alzando gli occhi al cielo, e mi infilava a forza una delle sue costose bambole in mano per giocare. Ma ormai quei giocattoli, che solo qualche giorno prima bramavo, erano diventati niente di fronte alla sensazione che avevo provato quando Francesco, questo era il nome del ragazzo moro dagli occhi scurissimi, mi aveva sgridata.
L'ossessione per lui crebbe. Un giorno Giada gridò esasperata che a quelli come lui non piacevano le bambine ciccione e povere. Quella frase crudele suscitò in me l'ennesimo sentimento di inadeguatezza, che mi portavo dietro fin dalla più tenera età. Io non ero una bambina bionda ed eterea, né avevo genitori che potessero comprarmi vestiti alla moda e ogni nuovo modello di bambola sul mercato, come Giada. Nonostante la giovane età però possedevo un certo realismo che riusciva a farmi accettare ogni situazione della vita.
Il prete della chiesa del quartiere, che mia madre mi costringeva a frequentare senza che un barlume di fede fosse riuscito a toccarmi, sarebbe stato orgoglioso di me. Durante il catechismo ci ripeteva che la virtù cristiana per eccellenza era l'accettazione del proprio destino. E io di quella ero provvista in abbondanza.
Negli anni successivi scoprii che non ne era dotata Giada; infatti l'amicizia finì esattamente dieci anni dopo e dieci kilogrammi in meno sul mio corpo, quando vinsi una borsa di studio per una prestigiosa università. Lei, nonostante le grosse possibilità economiche del padre ricco industriale, non passò la selezione e dovette ripiegate su un altro ateneo, meno prestigioso.
Da quel giorno si fece negare al telefono e anche quando passavo da casa sua, la domestica mi rispondeva che non era in casa.
Mi dispiacque, ma ancora una volta mi rassegnai. Continuavo però a non accettare il fatto di non aver più rivisto il bel Francesco dopo quella fatidica estate. Negli anni mi iscrissi a ogni possibile social network pur di avere sua notizie, ma con scarso successo.
Lo ritrovai per caso durante una vacanza anni dopo. Fu in quell'occasione che scoprii qualcosa su me stessa, che avrebbe cambiato per sempre l'angolazione da cui guardavo il mondo.
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