Capitolo IX
Leonardo mi liberò i polsi e slegò i cuscini che aveva addossato alla testiera del letto. Mi sostenne contro il petto, strofinandomi il naso contro il collo, mentre Francesco armeggiava con il materasso. Poi venni affidata a lui, mentre Leonardo rovistava in un cassetto.
Francesco mi aiutò a sistemarmi e mi fece appoggiare mani e ginocchia sul materasso. Sentii qualcosa di metallo chiudersi intorno al polso. Non protestai, ma inarcai la schiena in un tacito invito che speravo nessuno dei due potesse rifiutare.
Leonardo salì sul letto, alle mie spalle, e mi afferrò i fianchi. Mi accarezzò il sedere e afferrò un fianco, mentre l'altra mano scivolava verso la vagina, penetrandola con due dita. Arcuai la schiena e gemetti, stringendomi attorno alle sue dita.
Affondò nella fessura e lo bagnai con i miei umori. Dopo aver imbevuto le dita della mia essenza, mi stuzzicò il clitoride.
Capii che non voleva soltanto farmi eccitare di nuovo, ma farmi fremere il più possibile. Ne avevo bisogno per attenuare il dolore che poteva arrecarmi. Lo sentii prendere un bel respiro, poi tornò a infilare le dita nel mio sesso bagnato e risalire fino al sedere. Allargò la natica usando la mano libera. Mi irrigidii.
Un'esitazione, poi Francesco mi tolse le cuffie e mi prese il viso tra le mani.
«Tutto bene, Clara?»
Risposi con un debole cenno di assenso.
«Posso guardarvi?»
«Certo.» Francesco mi tolse il foulard. Lo guardai e poi gettai un'occhiata oltre la spalla. Leonardo incrociò il mio sguardo e mi sentii percorrere da una scarica elettrica.
Si chinò su di me, mi affondò le dita nei capelli e li tirò piano, accostandomi le labbra all'orecchio. «Stiamo per entrare dentro di te, tesoro. Ci spingeremo a fondo. Molto a fondo. Urlerai per noi. Verrai per noi.»
Venni colta da un sussulto, Leonardo sottolineò quanto appena detto massaggiandomi di nuovo il clitoride e infilandomi le dita dentro.
«Sì.»
«Entrambi» disse. «Insieme. Contemporaneamente. Sei pronta?»
Mi bloccai e cercai di guardarlo di nuovo, ma lui mi teneva per i capelli.
«Sì o no? Possiamo parlarne, se senti di averne bisogno.»
«No!»
Leonardo guardò Francesco.
«Mi fido di voi.»
«Sto per prendermi il tuo sedere, tesoro. Mi farò strada dentro di te e ti riempirò come mai prima d'ora. Francesco prenderà la tua vagina. Ti scoperemo e...»
Ebbe un'esitazione, come a voler aggiungere qualcos'altro.
«Ti faremo stare bene. Parla con noi. Dicci cosa ti piace e cosa ti fa male. Se andiamo troppo veloci o troppo piano, se spingiamo troppo o se va bene. Hai capito?»
«Sì, Signori.»
«Brava, Clara» mi lodò Francesco, chinandosi per baciarmi con totale abbandono. Sotto il tocco appassionato delle sue labbra, mi rilassai.
Leonardo colse l'attimo e mi massaggiò ritmicamente il clitoride, disegnando piccoli cerchi sulle terminazioni nervose che mi avrebbero mandata su di giri al momento opportuno. Poi si fermò, negandomi il piacere per un lungo istante. Gemetti nella bocca di Francesco. Sembravo una creatura agonizzante. Leonardo ripeté il processo fatto di tocchi deliziosi ed esitazioni esasperanti, portandomi sempre più vicina all'orgasmo.
«Leo...»
Non c'era alcun bisogno che finissi la frase. Sapeva benissimo per cosa stavo implorando. «Non venire, tesoro. Aspetta noi. Capito?»
Protestai con un lamento e Leonardo mi sculacciò.
Francesco mi strinse il mento. «Sii paziente o non otterrai nulla. Rispondi a Leonardo.»
Il mio corpo si irrigidì, al limite, arrossato e sul punto di esplodere.
«Sì, Signore.»
«Brava» mi elogiò, allontanando le dita dal clitoride, imbevendole nel sesso bagnato e portandole di nuovo verso la fessura inviolata.
Infilò lentamente le dita, con delicatezza, aprendole poco a poco e muovendole avanti e indietro. «Avrei preferito prepararti con un buon set di plug anali. Le sensazioni che proverai ti risulteranno estranee, ma sei pronta.»
Avvicinandosi alla fessura liscia, scivolò dentro il mio sesso, sibilò di piacere e si aggrappò ai miei fianchi. Rimase dentro il tempo necessario per inumidire il pene con i miei umori. Poi si ritrasse.
Infine, mi allargò le natiche e avvicinò il glande al piccolo orifizio.
«Inarca la schiena, tesoro. Spingi verso il basso e butta fuori l'aria. Non voglio farti male.»
Tremai, annuii e feci come mi era stato detto. Lo accolsi. Scivolò dentro di me con un'unica spinta decisa. La punta entrò subito. Quando raggiunse l'anello muscolare interno, si fermò.
«Tesoro...» Mi separò le natiche. «Continua a inarcare la schiena. Spingi più che puoi. Fai un respiro profondo ed espira bene. Stringi la mano di Francesco. Dimmi se fa troppo male.»
Presi fiato e annuii. «Okay.»
Allargai le ginocchia e ritrovai l'equilibrio. Sollevai il sedere ed espirai.
Leonardo si chinò per baciarmi la schiena e riprese a spingere per entrare dentro di me. La punta del pene superò l'anello muscolare e... ah, scivolò in profondità. Boccheggiai. Dolore, niente di inaspettato. Mi carezzò i fianchi, mi mormorò parole incoraggianti. Francesco mi tolse i capelli dal viso e mi sorrise.
Leonardo sembrò impiegare una vita per penetrarmi del tutto. Una volta dentro mi afferrò i fianchi e gettò indietro la testa con un gemito.
«Ci sei?» chiese Francesco.
«Preparati.»
Non dovette ripetersi. Francesco prese un preservativo e si tolse le mutande.
Sentii Leonardo stringere i denti, si ritrasse dai muscoli serrati e spinse di nuovo, affondando con facilità. Continuai a respirare e l'ansito di piacere con cui culminai il respiro sembrò accrescere la sua eccitazione.
Si ritrasse e spinse ancora, più velocemente e con forza maggiore. Lo ricompensai con un altro mugolio incoerente e mi aggrappai alle lenzuola.
«Svelto » tuonò alla volta di Francesco. «Dico sul serio.»
«Sì.» Scivolò sotto di me, mi prese la testa tra le mani e mi baciò selvaggiamente.
Mi dissolsi tra di loro, sciogliendomi, emettendo versi gutturali e oscillando a ritmo con le spinte di Leonardo.
Francesco mi strinse i fianchi e quando provò a penetrarmi un poco alla volta, sussultai, rimanendo a bocca aperta.
Una sottile membrana ora li divideva. Cominciai ad ansimare e lanciai un grido.
«Ti faccio male, tesoro?» mi chiese Leonardo, la voce rotta dallo sforzo.
«È stretta. Sento tirare.»
Leonardo si chinò sulle mie spalle, mi baciò.
Francesco disse: «Faremo piano...»
«Non provateci neanche» strillai. «Scopatemi, cazzo. Sto morendo...»
Il sesso anale e la doppia penetrazione mi stavano piacendo.
Sfacciatella, esigente!» ringhiò Francesco.
«Sì, Signore. Svelti!»
Leonardo mi sculacciò per una questione di principio. «Non sei tu a dare ordini, tesoro. Ma si dà il caso che l'idea di scoparti ci piaccia.»
Francesco non aspettò, né rispose. Si limitò a pompare, scopando con spinte lunghe e decise che mi scuotevano il corpo. Leonardo si adeguò al suo ritmo e iniziò a farsi strada nel mio sedere tra una spinta e l'altra.
Trovammo ben presto una sincronia, come se fossimo uno strano trio di ballerini. Francesco affondava in me, seguito da Leonardo, mentre io facevo ondeggiare i fianchi per aumentare l'impatto.
L'atto si trasformò in una sinfonia di respiri, gemiti, sudore e rumore di lenzuola. Sembrava che l'avessimo già fatto centinaia di volte e conoscessimo l'andatura e il ritmo necessari a stimolare il massimo del piacere. Era magia pura.
Presero il giusto ritmo all'unisono, fondendosi in una perfetta armonia sensuale. Più mi avvicinavo al fuggevole orgasmo contro cui non potevo oppormi, maggiori erano le sensazioni che provavo. La brezza mi sussurrava sulla pelle. Il cuore batteva all'impazzata. I muscoli erano tesi. Avevo persino la pelle d'oca.
Francesco tornò a baciarmi appassionatamente e mi divorò le labbra socchiuse dai mugolii.
«Per favore...» implorai.
«Sì» gracchiò Francesco. «Ora. Sto morendo.»
«Sì» gli fece eco Leonardo. «Vieni per noi.»
Prima ancora che finisse la frase, mi lasciai sfuggire un grido gutturale, un verso roco, animalesco immensamente gratificante. Mi contorsi tra loro, inarcando la schiena. L'urlo roco di Francesco fece da contrappunto all'estasi che accecò Leonardo. I loro corpi e anime si riversarono in me durante l'orgasmo. Avevo concesso tutta me stessa, ma loro avevano fatto altrettanto, dandomi tutto.
***
Entrai nella stanza d'albergo a testa bassa, andando dritta alla valigia riposta nell'ampia cabina armadio. Avevo lasciato Leonardo e Francesco addormentati nel nostro letto. Come faceva male ora l'aggettivo nostro.
Non avevo neanche avuto il coraggio di salutarli.
Luisa uscì in quel momento dal bagno. Era già pronta.
«Ben tornata! Se non ti sbrighi, perderemo il volo» disse soltanto.
Misi la valigia sul portavalige, la aprii, e rientrai nel guardaroba per prendere le poche cose che avevo portato con me. Mentre ripiegavo i capi di abbigliamento, alcune lacrime iniziarono a scendere. Erano calde, sferzanti di dolore, cercai di farmi coraggio pensando che per una volta nella vita, un tempo davvero breve, ero stata libera
Mi asciugai le lacrime, e il respiro straziato si calmò un po'mentre mi muovevo verso il comò e raccoglievo le mie cose.
Luisa mi guardò preoccupata. Conoscendomi sapeva che chiedermi qualcosa non sarebbe servito a niente in quel momento, sarebbe tornata alla carica più tardi, quando avrebbe avuto la certezza che le avrei risposto.
In silenzio finimmo di preparare i bagagli.
In principio fu sticazzi e vediamo che succede. Magari bene, ma magari insieme.
In quel momento, per qualche motivo che ignoravo, pensai che non sarei mai stata meglio con nessun altro.
Che non ero quella giusta lo dicevano le stelle, i fondi di caffè e i segni particolari sulla mia carta di identità. Eppure quella notte, mentre dormivano a una galassia di ricci distanti da me, avevo visto Vega sorridermi, ruffiana, dalle loro schiene ammaliatrici.
Che cosa abbiamo fatto?
Mi avevano chiesto con voce sottile e accorata.
Ma era davvero la loro voce?
Così ho preferito tacere, piuttosto che servirgli una di quelle risposte placebo che fanno sempre al caso mio. Una di quelle pescate a caso dall'ultima edizione del mio personalissimo Bignami di frasi fatte e buoni sentimenti, da applicare su lingua e cuore un paio di volte a settimana, come anestetico emotivo e balsamo paracolpi da sentire acuto.
Che cosa abbiamo fatto? Quindi?
Non so voi, ma io ho fatto il giro del mondo in cinque giorni e sbagliato uscita in tangenziale tra Via Lattea e Pianeti limitrofi. Ho parato il muro di Kaori Takigawa alle Olimpiadi di Seul del 1988. Ho trovato Carmen Sandiego e tradotto Isocrate come se il Rocci non esistesse.
Questo avrei voluto, dovuto, rispondere.
Ma il coraggio non sarà mai la mia tazza da tè, e i miei vecchi Ray-Ban a stento riescono a nascondere le prove liquide di questi lunghi e troppo brevi giorni, trascorsi con Voi su quest'isola.
I soliti baci di cui vi stancherete presto. Un sole diverso che non pretende di diventare il nostro. Nessuna risposta. L'unica promessa possibile.
Mai altri che Voi.
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