42. A GUARDARE LE STELLE
Lanciai uno sguardo all'orologio. Ero in ritardo. Allungai il passo. Mi ero svegliata tardi e sarei certamente arrivata in ritardo alla seconda conferenza sul paranormale. Ethan si era proposto di accompagnarmi, ma non volevo che saltasse la sua lezione per me.
Entrai in aula e presi posto in fondo, fingendo di non notare lo sguardo di qualche curioso che fissava il mio cappello a tesa larga, come se non ne avessero mai visto uno. Tirai fuori quaderno e penna, attenta a non fare rumore.
-C'è un problema con il principio antropocentrico- stava dicendo il professore, fissandoci con attenzione –chi vuole provare a dirlo?-
Il principio antropocentrico... cos'era... ah, certo! Il principio secondo il quale l'essere umano tende a interpretare ogni cosa come se l'elemento centrale fosse l'uomo stesso.
Una ragazza dagli spessi occhiali da vista alzò la mano. –Il problema è che suppone che l'essere umano sia il fine dell'evoluzione, sia colui per cui tutto è stato creato-
L'insegnante annuì. –Eccellente, in realtà nulla conferma questo... l'essere umano potrebbe essere solamente il mezzo per creare qualcosa di nuovo-
-L'intelligenza artificiale?- domandò un ragazzo seduto in prima fila.
-Tra le varie cose- lo assecondò l'insegnante –oppure un nuovo essere, di cui non sappiamo ancora nulla, una creatura che magari esce da qualche laboratorio-
Qualcosa come Wolly Wood. Deglutii. Era un pensiero inquietante, molto inquietante.
-Il folklore è sempre stato popolato da oscure creature, sono quelle che per secoli hanno perseguitato gli incubi dei nostri antenati- continuò –alcune si sono ispirati a fatti reali per crearli, per esempio il ritrovo dei fossili ha creato molte storie che riguardano i mostri- diede un colpo alla superficie della cattedra con la mano aperta –oppure le malattie, si pensa che all'origine del mito del vampiro ci siano diverse malattie-
Come la porfiria. Lo sapevo fin troppo bene. Mi misi a giocherellare con i capelli.
-Forse là fuori c'è già un qualche essere di cui non sappiamo nulla... citando un famosissimo autore francese: dopo l'uomo l'Horla-
Oppure dopo l'uomo Wolly Wood.
Le stelle brillavano come diamanti sul cielo scuro. Era uno spettacolo bellissimo. Seduta al fianco di Ethan, con l'aria fresca che mi muoveva i capelli e mi accarezzava il viso, ero proprio di buon umore.
-Non mi stancherei mai di osservarle- ammisi.
-Nemmeno io- mi fece eco Ethan. Non dovevo guardarlo per sapere che stava sorridendo.
-Sono così antiche, noi esseri umani siamo così piccole sotto di loro- mormorai.
-Sì, siamo immensamente piccoli- mi passò un braccio intorno alle spalle, un gesto che mi fece sorridere. –Neppure le stelle però sono eterne-
-Lo so- sussurrai –ma mi piace pensare che resteranno là per sempre, a vegliare su noi sprovveduti esseri umani-
Ethan non parlò, si limitò a stringermi a sé. Avrei dovuto dirglielo in quel momento. Avrei dovuto chiarire che la mia malattia era più grave di quanto gli avessi lasciato intendere. Mi parve di sentire il discorso tra i miei. Dovevo semplicemente dirgli: "Non solo io non sono eterna, ma le mie prospettive di vita potrebbero essere molto brevi". Ovviamente non ci riuscii. Probabilmente non ci sarei mai riuscita. Scacciai quel pensiero, cercai di rifiutarlo, in fondo non mi ero mai sentita così bene, i sintomi non erano peggiorati. Mi spinsi un po' di più verso Ethan, la gonna di taffetà che frusciava.
-Comunque mi hai promesso una stella cadente- gli ricordai.
Sentii Ethan ridacchiare. Mi tirai un po' più su per guardarlo in viso. Stava sorridendo.
-Prenderesti una stella caduta per me?- gli chiesi.
-Se ne vedrai cadere una te l'andrò a prendere- mi promise.
Studiai con attenzione il suo viso. –La cercheresti per me?-
-Certo, io farei le follie per te, non lo sai?-
E io non gli dicevo tutta la verità. Inspirai a fondo. –Senti, Ethan, io... -
-Una stella cadente!- esclamò lui, interrompendomi.
Seguii il suo sguardo e la vidi. La stella che percorreva il cielo simile a un graffio, la stella che poteva cambiare il mio destino.
-Esprimi il desiderio- mi ricordò Ethan
"Voglio vivere, voglio solamente vivere, voglio che questo momento sia solo uno dei molti momenti felici che vivrò"
E poi mi strinsi a Ethan, le mie labbra che s'intrecciavano con le sue, come se fossero nate solo per quello, come se esistessimo solo per noi due, per incontrarci e unirci. Lui cadde all'indietro preso alla sprovvista, poi mi cinse con forza la vita.
Rotolammo nell'erba profumata, ridendo. Non so per quanto tempo giocammo a quella lotta fatta di baci, carezze, sospiri, ma alla fine ci fermammo, un po' ansanti.
-Comunque non mi hai ancora detto una cosa- esclamò Ethan, fissandomi con lo sguardo che brillava sotto i capelli spettinati.
-Cosa?- chiesi, un po' troppo bruscamente. Aveva intuito che nascondevo qualcosa?
-Com'è andata la lezione di oggi?-
-Oh... bene, bene, ha parlato del principio antropologico- e gli raccontai tutto. -Tu credi che possano esistere degli esseri paranormali?- chiesi infine, evitando di guardarlo.
Ethan non rispose subito. Era pensieroso. Restai in attesa, il cuore che batteva furiosamente in attesa della risposta. -Non so- sussurrò infine -ma Lauren non è stata morsa da un vampiro- aggiunse con convinzione. Come poteva esserne così certo?
-Ovvio- mi misi seduta. I vampiri non esistevano, erano solo frutto della fantasia... allora perché mi sentivo così? Scrollai la testa. Era inutile pensarci. -Questa sera supera i miei sogni- ammisi, desiderando cambiare discorso.
-Questo era l'obiettivo- strizzò l'occhio.
Mi portai distrattamente una mano al collo e sfiorai la sottile collana che indossavo. Fu così che me ne accorsi. -Ho perso il ciondolo!- esclamai.
-Deve essere da queste parti- mormorò Ethan, fissando l'erba.
-Per forza- mi misi in ginocchio e iniziai a cercare, disperatamente. Non potevo crederci. La collana era un regalo di mia madre.
Ethan cominciò a tastare per terra. -Deve essere caduto mentre ci rotolavamo-
-Ci tenevo a quel ciondolo- mormorai, sentendo gli occhi bruciarmi. Guardai l'erba, il cuore in gola. Era fitta, difficile riuscire a vedere qualcosa.
-Lo troveremo, non preoccuparti- mi rassicurò Ethan, continuando a frugare con cura.
Mi tirai su, con un sospiro. -Chissà dov'è finito- mormorai, sconsolata.
-Sai una volta da bambino ho perso una palla- spiegò, con voce distratta.
-L'hai ritrovata?-
-No... ma non è questo il punto-
-Allora è un esempio un po' infelice-
-Sì, in effetti... eccolo... ops, c'è qualcosa insieme-
-Cosa?- lo fissai confusa.
Un istante dopo mi mostrò il mio ciondolo e della polvere luminosa. -Polvere di stelle- spiegò.
Scoppiai a ridere. -Me lo hai sfilato tu il ciondolo!- compresi.
-Certo, altrimenti come avrei potuto fare questo gioco-
Scrollai la testa, simulando un profondo sospiro.
-La notte è ancora giovane... che ne pensi di andare fino alla spiaggia?- mi chiese Ethan, sorridendo, felice che il suo scherzo fosse riuscito.
-Sì, mi piacerebbe molto- ammisi –anche se sarebbe una cosa molto romantica... compromettente oserei dire... non è che mi volete compromettere, mio cavaliere?-
-Io?- assunse un'espressione d'innocenza che mal si addiceva a lui.
-Proprio voi-
Rise, la sua risata capace di scaldarmi il cuore e farmi tremare come una ragazzina.
-Non posso comunque rifiutare l'invito- dissi.
-Proprio quello che volevo, mia dama- fece un balzo con cui si mise in piedi, quindi mi porse la mano in cui non teneva il mio ciondolo -vogliamo andare?-
-Con vero piacere- e l'afferrai, lasciando che lui mi sollevasse.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Vi è piaciuto questo capitolo?
Cosa pensate della lezione? E della serata con Ethan?
A presto
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