Prefazione

Quelli di voi che avessero già letto il mio precedente romanzo "La Via Crucis secondo Ermes", in questo momento, dopo una veloce occhiata al titolo, staranno pensando qualcosa che posso dedurre con molta facilità.

Vi starete chiedendo: "Ma la tizia ha una vera e propria fissazione, un'ossessione per quelli che portano il nome Guido?". Beh, non avete tutti i torti, però permettetemi qualche parola di chiarimento, che trovo assolutamente necessaria.

Non sono io che ho questo interesse ossessivo per "i Guido", è solo che, evidentemente, devo star loro simpatica, visto che, in qualche modo, mi "vengono a cercare".

Se vi è possibile, riavvolgete un attimino il nastro: nella prefazione a "La Via Crucis secondo Ermes" vi dicevo che la storia di Guido Pasolini l'avevo scoperta cercando in rete informazioni su un giovane del mio paese, che portava lo stesso nome, e al quale mi stavo interessando.

Sapete, internet è un archivio infinito e qualcosa, anche al livello di storia locale, magari si finisce per trovarla. Nel mio caso, trovai altro e decisi di concentrarmi su quello, dal momento in cui c'erano più elementi e fonti storiche a disposizione.

La storia di Guido (Guidino, per me diventato Guidiello) Gabrielli volevo quindi raccontarvela già da diverso tempo, l'ho solo lasciata in standby. Fino a non molto tempo fa, c'era la mancanza totale di elementi, ma non era certamente l'unico "freno".

Avete mai sentito parlare di quel blocco paralizzante che sopraggiunge, presto o tardi, per chiunque ami la scrittura e ci si diletti? Ebbene, questa volta ho dovuto farci i conti anche io. Più ero ansiosa e desiderosa di scriverne, più mi bloccavo dinanzi al foglio di word in bianco, che veniva immediatamente richiuso con un triste "Vabbè, dai, vediamo se domani gira meglio e riusciamo a beccare la vena giusta!".

Ed è stato così che si sono susseguiti i mesi e, infine, è giunto più volte il momento di cambiare proprio calendario. Mi sono ricordata delle parole di un'amica, anch'ella amante della scrittura, che mi disse: "Sta tranquilla, è perfettamente normale. Sai, succede a tutti: più qualcosa ti sta a cuore, più ti emoziona, più ti coinvolge, meno riesci a scriverne. Prima riuscirai a trovare il giusto distacco emotivo, prima le parole fluiranno da sole, senza bisogno che tu faccia nulla, se non trascriverle". Aveva ragione: punto!

Il mio "problema" (se proprio si vuol chiamarlo così) è sempre stato quello di essere sensibile... troppo sensibile! Quasi all'inverosimile, direi.

Mi sono imposta più volte un cambiamento, ma niente: non c'è stato mai verso. Ogni singola storia che mi colpisce particolarmente, che appartenga essa al presente o che si sia consumata, come quella di Guidino, quasi un secolo fa, finisce per coinvolgermi in toto.

Tant'è che in più persone, tra quelle interpellate per il mio lavoro di ricerca, si sono lasciate sfuggire un meravigliato: "Ma cavolo, Marica! Parliamo di un qualcosa che è avvenuto nel 1924, come diamine è possibile? Sembra quasi che tu l'abbia vissuto sulla tua pelle, quasi fossi stata una persona vicina a questo ragazzo!"

"E che vi devo dire"- rispondevo- "non so darvi io stessa una risposta. Questa storia mi si è attaccata al cuore e basta!".

Ed è la verità, perché si tratta di una storia che, in un certo senso, mi è venuta incontro senza che io l'avessi minimamente cercata, con la scoperta di quella lapide e di quella particolare iscrizione, all'interno di una cappella tra le più antiche del cimitero di Noci.

Una cappella nella quale non mi sarei mai e poi mai sognata di entrare. Questo però, se avrete la bontà di proseguire la lettura, ve lo racconterò nei prossimi capitoli.

Fatto sta, che alla fine mi sono detta: "Ora basta: io inizio a scriverne. Che il racconto fluisca libero, con le informazioni che sono riuscita ad acquisire. Poi, rileggendo, se qualcosa risulterà fuori posto, andrò a limare e correggere".

Mi sono anche posta il problema dei famigliari.

Quando ci sono parenti ancora in vita, devi comunque confrontartici, perché potrebbe non aggradare per niente il fatto che una sconosciuta, di punto in bianco, prenda e si metta a scrivere di un tuo congiunto, della sua sofferenza e della sua giovanissima vita spezzata.

Mi sono chiesta quale fosse il modo giusto di interfacciarmi con loro, mettendo anche in conto che potessero liquidarmi con un: "Signorina ma lei da dove sbuca? Non sono affari che la riguardano!". Fortunatamente, però nessuno della famiglia Gabrielli si è posto con me in questi termini.

Anzi: mi hanno raccontato quel poco che sapevano del proprio antenato. E qui li ringrazio pubblicamente per la gentilezza e la signorilità che ha sempre contraddistinto la loro famiglia.

Purtroppo, quando le storie di per sé sono molto lontane nel tempo, i ricordi che arrivano alle generazioni future sono già molto pallidi e sbiaditi. A ciò va inoltre aggiunto che chi per sua sventura, muore in giovanissima età, pur essendo, come dicevano gli antichi "caro agli Dei", non ha il tempo di lasciare dietro di sé una traccia duratura.

Se però ora io sono qui a scriverne e voi a leggerne, significa che ci sono sia le fonti (e ringrazio chi me le ha fornite) che il consenso della famiglia Gabrielli.

E il consenso di Guidino, il protagonista che a me diverte chiamare alla napoletana "Guidiello"? Beh, direi che a questo punto sia implicito, perché vi posso garantire che, pur non essendo più fisicamente presente, si è dimostrato sì discreto, ma anche bello testardo affinché la sua storia fosse raccontata.



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top