La bellezza di villa Montone e quell'urlo tra gli alberi.
Fu proprio in questo luogo da sogno, immerso nel verde e in una pace paradisiaca, che pare Guidino abbia lasciato la vita, il 13 aprile del lontanissimo 1924. Decisi sedutastante che dovevo visitare quel posto!
Appresi che la masseria fosse ubicata in Contrada Malavespa, non troppo distante dal Santuario della Madonna della Croce, e mi ci feci ripetutamente accompagnare, prima da un'amica e poi dalla zia. Sono sempre stata convinta che anche i luoghi possano "parlare", pregni di una memoria storica che, in qualche modo, ti arriva in tutta la sua intensità, non appena ci metti piede. Ero consapevole che non avrei potuto assolutamente visitare la villa dall'interno, poiché oggi è proprietà privata di un imprenditore nocese.
Mi sarei accontentata degli esterni e di quel po' che fosse visibile da dietro i cancelli. Cancelli sui quali, la prima volta in cui mi ci recai, stavano beatamente abbracciati tra i loro i gelsomini, regalando all'aria quell'odore che ho sempre amato fin da bambina. A lasciarmi incredula fu però un raggio di sole. Già: proprio simile a quello che sembrò additarmi la lapide.
Un fascio che "tagliava" la villa in una maniera assolutamente singolare e suggestiva. Fortunatamente, riuscii a fotografarlo, e sono quindi in grado di mostrarvelo.
Il grido di Guido, di papà Giovanni e di mamma Beatrice. La natura, attraverso l'odore gradevolissimo dell'erba e il profumo di fiori, sembrava dire "Ci ho provato, ho provato a rendere migliori quei giorni di agonia, ho provato a consolare, a riempire quegli occhi di bellezza e di speranza! Ci ho provato, ma ho fallito".Superato l'iniziale stupore per la bellezza mozzafiato e l'imponenza di ciò che si stagliava di fronte ai miei occhi, li chiusi e restai in silenzio, cercando di ascoltare solo con le orecchie e di "sentire" con l'olfatto. Il fruscio leggero del vento tra gli alberi, parve tramutarsi in un grido di dolore. Sì: percepii quel dolore eterno, pur tra tanta bellezza.
Riaperti gli occhi, cercai inutilmente di individuare quale fosse la finestra della stanzetta in cui Guido avesse finito i suoi giorni, quella da cui, magari ogni tanto guardasse fuori, nell'illusione di tornare presto a riappropriarsi della freschezza e della bellezza dei suoi vent'anni.
Tornai sulla sua tomba con due fiori di in stoffa, di quelli che sfidano il naturale appassire e simboleggiano l'eternità. Portai con me anche un lumino a pile, senza cera che potesse consumarsi in fretta. Gli "raccontai" che ero stata dietro le porte di quella che fu casa sua, in cui sicuramente aveva lasciato qualche scheggia d'anima.
"Chi sei stato, Guido?" – domandavo scioccamente dentro di me – "Quale malattia ti ha fatto soccombere nove giorni prima di quella che all'epoca era considerata la maggiore età? Con che spirito l'hai affrontata? Sapevi che sarebbe giunta la fine o te ne sei andato sperando fino all'ultimo istante? Studiavi ancora? Se si, per diventare cosa?
Avresti voluto seguire le orme paterne, con la carriera militare o perseguire altre strade che fossero solo ed esclusivamente tue? Eri innamorato? Avevi consegnato il tuo cuore a una fanciulla con cui meditavi di costruire il futuro? Che aspetto avevi?
Quale colore avevano i tuoi occhi e i tuoi capelli?
Certo, di bello dovevi essere bello, altrimenti i tuoi genitori non avrebbero tenuto a puntualizzarlo nell'incisione sulla tua lapide, benché non l'accompagnasse alcuna foto.
E a proposito di foto: possibile che non esista neanche una che ti ritragga?" Questo fu il mio dialogo-monologo interiore.
Pensai che ci fosse solo una cosa da fare: informarsi su chi fossero i familiari, anche alla lontana, ad esclusione del magistrato amico di papà, che io vidi sì e no un paio di volte quando ero piccolissima, e con cui non avevo diretti contatti.
Impossibile recuperare il numero dalla rubrica del telefono di papà, che aveva smesso del tutto di funzionare.
NOTA AUTRICE: Dal momento in cui voglio che questa storia sia non solo da leggere ma anche da guardare e conseguentemente da sentire tramite sensazioni (un percorso per immagini, in pratica) vi lascio a fine capitolo con una carrellata di scatti di Villa Montone Gabrielli.
La prima è credo l'unica esistente del complesso masserizio così com'era nel tardo Ottocento. I successivi, invece, sono dei miei scatti molto più recenti.
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