L'incontro con Guidiello

Quel giorno lo ricordo benissimo, perché era il compleanno della nonna: 18 marzo 2018. Era mancata l'8 dicembre 2017, quindi si trattava del primo compleanno che mi vedesse costretta a portarle i fiori a cimitero, e non più la ciambella preparata da me. Mancavano 3 giorni alla primavera astronomica, ma quella meteorologica era esplosa già da un po'.

Il grigio invernale (per quanto paradossalmente da me amatissimo) era ormai un ricordo lontano. Tutto era inondato di luce: perfino i marmi delle lapidi erano divenuti abbaglianti, così tanto che dovevi porre la mano sulla fronte per guardarli senza restarne accecata.

Avevo consegnato alla nonna il mio bouquet di ranuncoli bianchi e nebbiolina, fatto la consueta "chiacchierata a senso unico" con lei, con la zia, sua sorella e con il nonno Nicola. Non restava che far rotta verso casa. Mentre stavo avviandomi però all'uscita, vidi da lontano una conoscente di quelle particolarmente loquaci.

Solo che, quel giorno lì, io di parlare non avevo troppa voglia. Può capitare, no?

Non è mica sinonimo di cinismo o cattiveria: è solo che per me, i cimiteri sono e dovrebbero restare luoghi di silenzio e di riflessione.

Quei posti dove ti rechi con l'illusione di avere una certa "intimità" con chi non c'è più. Perché a casa, ora squilla il telefono, ora il campanello, ora qualcuno ti scrive su whatsapp o su messanger... insomma ce n'è sempre una, e non si riesce a ritagliarsi il tempo per pensarli con la pace e la tranquillità dovuta.

Certo, il cordiale: "Come va? Tutto bene?" - ci sta, ma non è il contesto ideale per intrattenersi a chiacchierare. Così, quella "amica geniale" di Marica invertì la rotta, dirigendosi (a costo di allungare il tragitto e i tempi di rientro) in una zona fino a quel momento sconosciuta, e quindi mai praticata del camposanto. La conoscente salì però gli scalini.

"E ora che faccio? "- mi domandai tra me e me. Mi guardai attorno e trovai la mia risposta: di fronte a me, una delle cappelle di più antica costruzione del cimitero, sormontata dall'effige di San Michele. Niente porte: accesso libero.

"Perfetta!" – esclamai mentalmente, mentre già mi catapultavo all'interno. Sorrisi di fronte alla lapide di una signora bionda, amica di famiglia di mamma e dei nonni. Lei è la persona sepolta più di recente in quella cappella: gli altri, poverini, vi giacciono da tempo immemore.

Il mio sguardo scivolò sulla lapide a pianoterra, proprio sotto la signora bionda in questione. 

Vi si posò perché un raggio di sole, che filtrava dalla vetrata polverosa in alto a destra, sembrava indicarmela con evidenza. La scritta, laboriosamente incisa mi colpì immediatamente.

"Guido Gabrielli, spento nella ventenne primavera, bello ed uomo, da tutti adorato e pianto. I doloranti genitori qui deposero anima e pensiero".

Lessi anche la data di nascita e di morte.

TARANTO + 22-04-1903 NOCI + 13-04-1924"

Niente di meno che gli anni '20 del secolo scorso! Non fu tanto il tempo trascorso dalla sua morte, però, a impressionarmi, quanto il fatto che questo povero ragazzo fosse morto 9 giorni prima del suo ventunesimo compleanno.

Rilessi più attentamente la scritta.

Quel "spento nella ventenne primavera" suonava come un'amara, dolorosa ma bellissima poesia. Parole che mi trapassarono il cuore. Sicuramente, per esprimersi in questo modo, in un'epoca dove l'analfabetismo era la normalità per molti, la famiglia del ragazzo doveva essere importante e colta, oltre che dotata di una sensibilità immensa.

Guido: mi evocò subito tenerezza quel nome. Quando frequentavo ancora il liceo, mandarono in onda una fiction sul carabiniere-eroe Napoletano Salvo D'Acquisto, con un Beppe Fiorello che convinse parecchi, ma entusiasmò molto poco me, per dirla in tutta sincerità.

La mia attenzione invece fu catturata da un personaggio puramente inventato, a cui gli autori diedero appunto il nome di Guido. Vuoi per l'aspetto dell'attore che lo interpretava, vuoi per l'ingenuità e la bontà infinite del personaggio, che venerava l'amico Salvo come fosse una divinità, me ne "innamorai" e presi a dare il medesimo nome all'ipotetico intestatario delle pagine del mio diario. Curioso, no? Restavo lì immobile a fissare la lapide e, nonostante fossimo a marzo, nonostante quel raggio di sole sembrasse non volersi schiodare da lì, sentii freddo. Incredibilmente freddo.

Sentivo a pelle che dietro quella lapide palpitasse e bussasse una storia bellissima, per quanto triste. Una di quelle storie particolari che meritassero assolutamente di essere raccontate. Dentro di me, una vocina mi ammoniva:"Ma lascia perdere! Chi mai potrà raccontartela questa storia a distanza di quasi un secolo? Una battaglia persa in partenza!". "E io invece quella storia la ricostruirò! Quant'è vero che mi chiamo Marica!" – risposi alla me più arrendevole.

Un piccolo "flash" mi sovvenne in merito al cognome. "Ma Gabrielli non era un magistrato amico di papà, che frequentava spesso la sua ditta di maglieria?" E accidenti, gliel'avevo sentito nominare più volte il Giudice Gabrielli, tutte le volte che gli erano occorsi dei consigli legali da qualcuno che più di tutti se ne intendesse.

"Vuoi vedere che questo ragazzo era un suo antenato?"- mi dissi.

Gabrielli... Gabrielli! Era anche il cognome di un poeta nocese, autore di meravigliosi versi in vernacolo e non solo, alcuni dei quali sono poi diventati "emblema della nocesità". 

La sua penna era conosciuta e apprezzatissima anche oltre i confini di Noci e di Napoli, città dove poi si trasferì e morì. Addirittura fecero il suo nome sul bollettino di New York. 

Ne parlava in un libro che volle donarmi anche un'altra figura emblematica e amatissima di Noci: l'insegnante Chiara Maria Pugliese, che su di lui aveva condotto appassionate ricerche.

Ma guarda un po' quante curiose coincidenze! Un filo, ai miei occhi ancora invisibile, doveva sicuramente collegare il tutto. Andai via facendo questa promessa a me stessa e a quel giovane sconosciuto, figlio di un'epoca troppo lontana dalla mia, che avrei però voluto vivere, pur consapevole che avrebbe significato dover rinunciare a tanto di quello che abbiamo oggi.

Rivolsi un ultimo sguardo a quella lapide e a quel raggio di sole: vi giuro che sono tornata in quella cappella moltissime altre volte, ma non l'ho mai più vista luminosa come quel giorno, neppure in piena estate. Mi diressi quindi verso casa, meditando già sul "come" riuscire a rintracciare i primi tasselli del puzzle.


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