Il discorso del migliore amico di Guido e la storia di Oza
Ma ecco quanto scriveva Francesco Paolo De Caro in memoria del suo grande amico Guido.
"Con la intensa commozione del compagno che ha perduto il compagno dei più lieti giorni giovanili, leggerò modeste parole di saluto anche a nome di quelli che con Guidino Gabrielli spartirono le ore di studio e quelle di spensierato divertimento. E non vi parlerò a lungo di lui, perché la vita di Guidino si compendia così: è morto a vent'anni! E poi chi non ricorda il suo sorriso intelligente? Chi non ricorda il giovanotto simpatico, sempre pronto allo scherzo e alla facezia arguta? Ora, egli non è più che un cadavere cereo e immoto in questa cassa, e non più sente il pianto dei suoi cari, a lui non arrivano le invocazioni tenerissime dei suoi genitori. Mentre nell'Ateneo di Conversano, Guido si preparava alla licenza liceale, con la quale egli avrebbe voluto iscriversi all'Accademia Militare di Torino, per uscirne Ufficiale d'Artiglieria e seguire così la brillante carriera del suo illustre e venerato genitore, il male, tremendo e fatale, lo colse improvvisamente, e, strappandolo al suo tavolino di studio, lo incatenò nel letto di dolore, nelle cui torture, egli sentì morire prima le sue giovanili illusioni, i suoi sogni, le sue speranza, e poi, a poco a poco, tutto se stesso. Quando il male ebbe reso Guido, una volta così fresco e forte d'energie giovanili, un corpo immoto, in cui eran vivi solo il cuore, il cervello e gli occhioni neri, profondissimi, e limpidissimi, la famiglia portò il malato e il suo dolore lontano dai rumori profani del paese, e si chiuse con le ansie e i travagli quotidiani nella casa di campagna, le cui arie purissime avrebbero assicurata e affrettata la guarigione di Guido. E qui, la passione di Guido e dei suoi continua più atroce. Passò l'estate torrida, venne l'autunno a gravare con la sua tristezza sull'infelice casa, passò l'inverno freddo e Guido non guariva. La mamma, che vedeva il figliolo morire ogni giorno, a poco a poco, ricacciava negli occhi le lacrime che le venivano copiose. Bisognava fingere: era necessario perché Guido non se ne accorgesse. Il babbo andava attorno al letto bianco e sorrideva al figlio; gli parlava come a compagno, come ad amico. Bisognava distrarlo perché non disperasse del suo stato. E tutti attendevano la primavera. Col ridestarsi della natura, al tiepido sole d'aprile e maggio, Guido sarebbe guarito, poiché egli era giovane, poiché il sole è il farmaco migliore. Ma a primavera la catastrofe!
Si ridestarono le piante, tornarono i fiori al biancospino e al mandorlo, ma a Guido non tornò la salute. Alcuni giorni fa, improvvisamente, il suo stato s'aggravò. La sua passione, durata tredici lunghi mesi di sofferenza, la quale egli sopportò con la più cristiana rassegnazione, la sua passione, dicevo, culminava verso la catastrofe. L'altra notte, mentre la casa taceva nel notturno silenzio, Guido chiamò a sé la mamma, che vegliava sola, inconscia della fine imminente. Si sollevò a stento su di un braccio e: "Mamma, dammi un bacio!"- queste le sue ultime parole. Il bacio della mamma fu il viatico per la dipartita. L'urlo della mamma, trafitta nelle visceri, fece accorrere i famigliari e l'ormai inutile opera del medico. Guido era morto: eran morti il cuore, il cervello, gli occhioni neri, profondissimi, limpidissimi, Signori! Morire a vent'anni è cosa atroce, tanto che si vorrebbe morir subito per non pensare di dover morire a vent'anni. La tragicità della sorte di questo giovine, costato alla madre lacrime, palpiti, dolori e poi a lei strappato per sempre quando la vita doveva sorridergli generosa, non può essere paragonata a nessun'altra. La morte del giovane a vent'anni è la distruzione in un attimo di tutto ciò che ai genitori è costato anni di sacrificio e di dolori, è la distruzione del castello di speranze e di nobili ambizioni, cullate durante le ore di lavoro e di dolore. Ma noi, oggi, non dobbiamo soltanto compiangere la fine troppo immatura del nostro Guido; dobbiamo ammirare in lui la rassegnazione veramente cristiana che non gli venne meno per tredici mesi di martirio. La morte, egli l'ha bevuta a sorso a sorso, con stoicismo, e il giovinotto quasi imberbe ha insegnato a soffrire e a morire. Della mia ammirazione per lui, profonda quanto l'affetto che a lui mi legava, io vorrei dire a lungo, se lo sapessi fare.
Ma tu, Guido, perdonami e lascia che io non sforzi il cervello, perché riuscirei male, in modo non degno di te. Ora non ti dirò che una preghiera ed un saluto. Torna, tu, spirito già fatto divino, presso la tua mamma straziata; torna a sorridere al tuo genitore e ai tuo fratelli, fa che essi tutti ti sentano vicino, e possano così, per un momento, asciugare le loro lacrime. Torna anche fra i tuoi amici, torna col profumo della tua anima purissima. Noi ti ricorderemo, ricorderemo le nostre giornate liete di comuni gioie, ricorderemo questo giorno che a te dedichiamo, con tutti questi fiori che la primavera ha portato per te. D'ora vale, amico mio carissimo: addio Guidino, noi torniamo alla casa tua, dalla mamma tua a piangere ancora una volta con lei la tua dipartita"
Della storia di Guido però, entra a in un certo senso a far parte un'altra giovane De Caro: Oza, la sorella di Francesco Paolo, morta appena quindicenne, nel 1921, quando era liceale, anch'ella presso il Collegio di Conversano. Alle signorine, all'epoca, non era consentito fare avanti e indietro dal Convitto, quindi si chiuse proprio tra quelle mura l'esistenza della giovinetta, probabilmente a causa di una meningite, o più verosimilmente encefalite. Impossibile non tracciare un parallelo con la storia di Guidino. Erano quasi coetanei: Guido Nato nel 1903, Oza nel 1906. Morti lei nel 1921 e Guido nel 1924. Tre anni di distanza dalla nascita e tre dalla rispettiva dipartita. Vengono i brividi solo a pensarci. E mi sono chiesta se fosse stata proprio la triste fine di questa fanciulla a condizionare il sentore di Guido. Quando viene a mancare qualcuno che conosci, che fa parte della tua famiglia, magari ti convinci del fatto che potrebbe toccare anche a te. Gli adolescenti poi, sono particolarmente soggetti a restar segnati da certe situazioni. Vi lascio comunque la foto della bellissima Oza, coi suoi occhioni chiarissimi. Ho voluto ricolorarla per farla in un certo senso "rivivere", proprio come quella di Guido.
Nelle foto sotto, Francesco Paolo e a seguire la sorella Oza De Caro
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