Scrivendo di supereroi
Racconto vincitore del MonthShot di Maggio dei WP_Advisor, occupando il primo posto insieme a @elelot2. Buona lettura!
Se stai creando un personaggio e non lo rendi vulnerabile ai lettori non piacerà, nemmeno se ha dei superpoteri.
Stan Lee
Era stato lento, un processo iniziato così tanti anni prima da diventare qualcosa di quotidiano per Harper: piano piano la sua concezione di sentimento era scomparsa del tutto, una rara forma di degenerazione emotiva dovuta ai forti stress a cui era stato sottoposto durante il crollo delle torri gemelle. All'inizio aveva pianto, così tante lacrime che scendevano dal suo viso per poi posarsi sulla spalla del soccorritore da impregnargli la maglietta, di cui il piccolo ricordava ancora il colore e l'aroma dolce, quasi floreale; poi lo avevano consegnato all'assistente sociale e, da quel momento in poi, aveva improvvisamente smesso di parlare.
Fu nel 2005 che Daniel e Penny Robertson lo adottarono: dei genitori adottivi davvero amorevoli ma... Disperati. Il ragazzo che avevano deciso di accudire, oltre ad essere muto, non cambiava mai la sua espressione facciale, chiuso in un muto silenzio che sapeva di tutto tranne che di infanzia. Lo portarono da centinaia di psichiatri, di psicologi, dai migliori psicanalisti d'America e dalla loro amica strega che diceva di saper fare miracoli con gli intrugli di uva e carta pesta; eppure niente funzionò, procurando al ragazzo soltanto un forte mal di testa e ancora meno voglia di esprimersi a parole.
Altrettanto lentamente era iniziata la reazione inversa, quella che nessuno si sarebbe mai aspettato: a dodici anni Harper iniziò a scrivere dei racconti, delle favole meravigliose che facevano ridere i suoi coetanei e gli fruttavano ottimi voti a scuola, nonostante lo sconcerto delle professoresse per la sua condizione clinica. Tuttavia il progresso non terminò con qualcosa di così banale, o questa non sarebbe una storia di supereroi: un giorno Penny entrò nella stanza di suo figlio e, meravigliata, osservò come la sua penna dava vita ad un meraviglioso unicorno blu... Letteralmente. Da quel giorno in poi la madre adottiva tenne d'occhio quel piccolo talento che albergava in casa sua e lo curò, facendogli provare nuovi generi letterari, nuovi oggetti a cui dar vita, nuovi strumenti da creare ed utilizzare in caso di estremo bisogno.
Fu così che, nel 2018, Harper fece la sua prima apparizione come paladino del popolo.
"Andiamo amico, non puoi essere così lento! Arriveremo tardi al college e sarà tutta colpa tua, quindi sarai costretto a pagarmi la colazione e tua madre non sarà molto contenta della tua assenza ingiustificata!"
Harper gesticolò il più veloce possibile, affannato a causa della corsa, i capelli biondi attaccati alla nuca e gli occhi verdi che dardeggiavano dall'entrata della scuola al suo amico: sei tu che ti sei fermato a conversare con quelle ragazzine, Mason, non io.
"E chi avrebbe dovuto trascinarmi via dalla tentazione, salvando così la mia anima in pena e portandola via da sotto le grinfie dell'Inferno? Sei il solito ignorante, Harper!"
E tu il solito melodrammatico, avrei dovuto evitarti quei due anni fa, quando mi stavi venendo addosso con un piatto pieno di tacos e io mi sono limitato a prenderlo in mano, giusto per evitare di farti fare la figura dello scemo.
"Ah sì?"
I due smisero di dibattere non appena i battenti si spalancarono davanti a loro, rivelando un giovane professore sbarbato che li guardava dall'alto in basso, gli occhi protetti da un paio di occhialini in stile Harry Potter; quando capì chi erano si sbatté una mano in faccia, sospirando, e gli indicò il corridoio della vicepresidenza.
"E' la settima volta che ci capitate, quest'anno. Riuscirete a passare il prossimo mese senza finire nei guai?"
I due si scambiarono un'occhiata mesta e alla fine fu Harper stesso a rispondere al povero insegnante, un sorriso triste sulle labbra e le dita agili che ritraevano con un gesto secco la sua affermazione: no, non credo proprio.
Il ragazzo muto si sedette, mogio, al suo tavolo nell'aula di disegno, il cuore che faticava a riprendere il suo solito ritmo ed un foglio scribacchiato dalla vicepreside tra le mani: quella era una scuola d'élite i cui studenti non potevano MAI ritardare, e altrettanto spesso potevano permettersi di saltare una lezione per colpa di qualche imprevisto famigliare. Harper arrossì ricordandosi come suo padre, essendo lo sbadato essere umano che era, non aveva notato un sasso delle dimensioni di un gatto sull'asfalto ed era inciampato, atterrando di faccia sul terreno proprio mentre stava portando il figlio a scuola; l'allora sedicenne l'aveva dovuto portare di peso al pronto soccorso, arrivando poi da solo fino all'edificio scolastico e beccandosi una nota dopo che, in un gesto pieno di affetto, la vicepreside gli aveva strappato la giustificazione fornitagli dall'ospedale.
Che tu sia maledetta, vipera...
"Ehi, Harper, che piacere vederti sano e salvo! Alla fine quella madama rosa e fiori non ti ha ingoiato per intero?"
Il ragazzo si voltò, ritrovandosi davanti il viso della sua migliore amica: Olivia Halton, la più giovane studentessa del loro corso ad aver venduto il suo quadro ad un'artista famoso, di cui Harper non ricordava però il nome. Che si trattasse di un certo Jeff Koons?
"Sei pronto a ritrarre Mason dal vivo?"
Harper rise, una serie di facce buffe e incroci di dita a segnalare che sperava di disegnarlo abbastanza brutto da prendere un'insufficienza; Olivia rise, divertita, e gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla:
"Oggi hai da fare? Volevo uscire con te e Mason a fare un po' di shopping, magari mi consigliate cosa prendermi per l'estate! Che ne dici?"
Ma siamo a Marzo, mancano ancora tre mesi...
"Capirai, voleranno in fretta come i tuoi bei voti fuori dalla finestra se continui a far arrabbiare i piani alti! Si può sapere cosa vi salta in testa, a te e al tuo amico psicopatico?"
Il ragazzo sospirò, decidendosi a prendere il quaderno e scrivendo tutto ciò che pensava per evitare di confondere Olivia, evidenziando tutte le parole su cui voleva attrarre l'attenzione della compagna:
Vorrei tanto essere come Fire Bolt, almeno lei è libera e può fare tutto quello che vuole, usando il suo talento per qualcosa di utile e non per prendere un semplice e banalissimo voto!
"Neanche a me piace il sistema scolastico, ma non puoi farne un dramma! Suvvia, appena riuscirai a scrivere qualcosa di abbastanza sensazionale lo pubblicherai e riceverai tutti i soldi di cui la tua famiglia ha bisogno! Allora, ci stai?"
Il ragazzo annuì, un piccolo sorriso che si faceva strada sulle sue labbra, ed Olivia che gli sussurrava all'orecchio:
"Tu non hai bisogno di una tuta da supereroe per essere speciale, Harper: ti basta sorridere"
Quello stesso giorno andarono al centro commerciale, Olivia che monopolizzava ogni singolo negozio di videogiochi che trovava mentre Mason colonizzava quelli d'abbigliamento; Harper si limitava a seguirli modestamente, la testa bassa e le tasche vuote. Gli bastava vedere i sorrisi dei suoi compagni per essere felice, anche se sul suo volto non mostrava nessuna delle emozioni che lo stavano travolgendo, e fu proprio per questo che non si accorse degli individui loschi che li stavano seguendo: uno alla loro destra e uno alla loro sinistra, avvolti in dei cappotti neri come la pece e con dei cappelli altrettanto scuri a gettare ombra sui loro lineamenti ben poco rassicuranti.
"Ragazzi, guardate! E' appena uscito il gioco di Game of Thrones ed è..."
Olivia non finì mai la frase: uno dei manigoldi le si gettò addosso da dietro e la prese tra le braccia, bloccandole i polsi con una sole delle sue manacce e usando l'altra per puntarle la canna di una pistola contro la nuca.
Da lì fu tutto un attimo: un colpo di pistola sparato in aria ad attirare l'attenzione dei clienti ignari, l'agente della sicurezza che alzava la sua arma solo per gettarla a terra due secondi dopo e Mason che, preso in ostaggio dall'altro manigoldo, si dimenava come un pesce fuor d'acqua pur di sfuggire al suo destino; Harper si allontanò dai suoi amici, il cuore che batteva all'impazzata e le mani tremanti, mentre il primo bandito si rivolgeva a tutti gli astanti che si trovavano attorno a lui:
"Voglio tutte le vostre borse e i vostri soldi, subito!"
La mente di Harper ci mise un po' a schiarirsi ma, quando lo fece, si rese conto che stava ancora guardando Olivia negli occhi: era arrabbiata, spaventata, confusa e triste, una tristezza tale da renderle lucidi gli occhi e farle abbassare la testa pur di nasconderlo. Il bandito che la teneva prigioniera si accorse di quel piccolo scambio di sguardi e sputò nella direzione del ragazzo, rivolgendogli una di quelle occhiate in grado di uccidere senza muovere un dito:
"Che te ne fai lì imbambolato, eh? Se non hai niente di valore smamma, pivello!"
E Harper seguì le sue indicazioni, ma senza mai voltare le spalle ai suoi amici; aprì lo zaino e, a distanza di sicurezza, ne estrasse quel quaderno dove di solito scriveva tutto ciò che voleva dire ai suoi amici e che non sarebbe riuscito a trasmettergli attraverso il linguaggio dei segni. Una strana decisione si fece largo nella sua mente: si mise seduto, il quaderno sulle sue ginocchia e una penna in mano, e cominciò a scrivere:
I due manigoldi tenevano ancora prigionieri i loro ostaggi, disperati nella ricerca di denaro ma determinati a non andarsene senza. Eppure non sapevano che, tra le loro mani, c'erano il miglior giocatore di rugby di tutta l'America e la famosissima eroina dai capelli rossi Fire Bolt...
L'effetto della magia che lo caratterizzava fin da bambino serpeggiò tra la gente, insinuandosi negli animi dei suoi amici e dei rapinatori e modellando la realtà come più gli conveniva. L'unica reazione tangibile fu quella di Olivia, la quale spalancò gli occhi e lo guardò, confusa, mentre il ragazzo sorrideva e continuava a tessere la sua tela d'inchiostro.
Fu proprio per questo che Fire Bolt approfittò di un momento di distrazione del bandito e si liberò il polso destro, lanciandogli uno di quei pugni fiammanti in grado di mandare al tappeto anche il peggiore dei criminali!
Olivia si mosse con naturalezza proprio mentre il manigoldo si chinava per raccogliere una borsetta: con un movimento agile quanto brusco eseguì gli ordini che la penna trasmetteva alla sua coscienza e colpì il proprio aggressore, una coltre di fiamme che le circondava la mano e bruciava la pelle sul viso del suo bersaglio. Mentre la gente si riprendeva dalla sorpresa, meravigliata da quello che i loro poveri occhi umani avevano appena visto, Harper scrisse il più velocemente possibile un'altra frase, concludendo così l'opera di salvataggio che aveva iniziato:
Mentre la confusione più totale regnava nel centro commerciale, il giocatore di rugby Mason diede una testata al suo, di aggressore, facendogli perdere i sensi e salvando a sua volta la giornata.
Uno stile semplice, chiaro, conciso, netto come il taglio di una spada ma non altrettanto tagliente: il corpo di Mason eseguì gli ordini senza discutere e fu così che, mentre tutti coloro che si trovavano intorno a loro gioivano per quell'inaspettata vittoria, l'agente della sicurezza si avvicinò ai malcapitati e gli mise le manette addosso, trascinando i due banditi incoscienti fuori dal centro commerciale; i clienti urlavano la loro felicità e altrettanto faceva Mason, festeggiando come un pazzo per essersi finalmente difeso senza l'aiuto del suo migliore amico.
Eppure, in tutta quell'euforia, Olivia si accorse che Harper era ancora seduto per terra, un quaderno sulle ginocchia e lo sguardo spento che seguiva ogni suo piccolo gesto, ogni minimo movimento; gli si accovacciò affianco e prese l'arma del delitto, studiando le pagine scritte da lui pochi secondi prima e sorridendo, la consapevolezza di quello che era appena successo ancora vivida nella sua mente:
"Sei stato tu, vero?"
Lui annuì, mesto, pronto a ricevere uno schiaffo o a sentirsi chiamare pivello dalla persona a cui più teneva al mondo. Ma Olivia non era della stessa opinione: gli gettò le braccia intorno al collo e singhiozzò, nascondendo il proprio volto rigato di lacrime nella maglietta del ragazzo:
"Sei tu il vero supereroe, qui: senza di te saremmo morti entrambi, e forse non solo noi. Grazie, Harper!"
Il ragazzo ricambiò l'abbraccio e, per la prima volta dopo anni, un vero e proprio sorriso gli distese le labbra.
Un'ombra scura osservava da lontano attraverso le telecamere del centro commerciale, un cappuccio calato sulla fronte e gli occhi che brillavano al buio come quelli di un gatto. La soggetta si passò la lingua sulle labbra prima di bere un altro goccio di caffè, parlando alla guardia che aveva appena ucciso con un tono di voce suadente e caldo come le sabbie del Sahara:
"Immagino che quel ragazzo sia la mia nuova nemesi. Il capo sarà molto felice che io l'abbia trovato... Chissà, magari riuscirò a portarlo dalla mia parte e scriverà un libro su di me! Sai come sarebbe bello essere l'antagonista in una storia sui supereroi?"
Eh sì, caro lettore: Harper non è poi così lontano come credevi.
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