La rosa giallo-blu
Alex
La partita di pallavolo stava iniziando e dovevo essere concentrato al cento per cento: volevo vincere a tutti i costi, siccome dalle nostre azioni sarebbe dipeso il futuro della nostra squadra. In quel momento mi stavo allenando con la palla blu e gialla, sentendomi infuocato, teso come una corda di violino ma senza farlo notare ai miei avversari, i quali avrebbero potuto usare la mia stessa ansia a loro favore durante il gioco, rivoltandola contro di me ed i miei compagni. Ero così teso da non sentire il fischio dell'arbitro e fu un mia compagna a farmelo notare. Guardai i miei avversari con le braci negli occhi e la voglia di fare del mio meglio una fiamma così potente da mettergli paura; fu così che mi asciugai la fronte dal sudore e mi posizionai in campo, pronto a combattere.
Un fischio dell'arbitro che questa volta sento e la partita inizia, mi concentrai all'istante e la partita si trasformò in una vera e propria battaglia. Fu un batti e ribatti continuo, nessuno di noi aveva voglia di mollare, da quella parte campioni indiscussi ormai da anni e da questa una squadretta emergente, di poco conto, ma con molto coraggio da vendere; dagli spalti dovevamo sembrare dei leoni che si studiano a vicenda prima della vera e propria lotta per conquistare il trono. All'ultimo punto l'errore più grave lo facemmo noi, un mio compagno toccò la rete mentre cercava di mandare la palla di là, e alla fine del primo set furono proprio loro a conquistare il podio.
Ero una furia, arrabbiato sia con i miei compagni che con gli avversari, mi sentivo ribollire il sangue nelle vene e la voglia impellente di ammazzare colui che aveva commesso lo sbaglio...
Poi però notai lei, il suo sguardo, il sorriso smagliante e gli occhi verdi pieni di speranza che vagarono nella mia direzione, forse per caso o forse no: aveva un sorriso smagliante, stupendo, un'espressione così decisa da non lasciare il dubbio su chi sarebbe stato il vincitore di quella partita, siccome a dividerci vi era la rete e non potei fare a meno di chiedermi perché dovesse proprio essere un'avversaria. Mi attirava come fosse una calamita e mi sembrò la cosa più idilliaca che avessi mai visto, in quel momento, un pezzo di paradiso sceso in terra, il quale su di me ebbe effetto stranamente calmante. Il mio cuore battè più piano, mi rilassai e cercai un modo di mostrare il mio valore in campo non solo per la mia squadra, ma anche per lei; capii che le avrei dedicato la mia vittoria anche se era un'avversaria e non le avevo mai parlato, ma a cuor non si comanda e la mente tace quando la seduzione gioca.
Mentre aspettavamo l'inizio del secondo set ci scrutammo, sguardi brevi ma intensi a correre tra noi, e nonostante fossimo lontani il suo profumo arrivò fino a me: sapeva di primavera, un fiore appena sbocciato il cui odore avvolge tutto ciò che lo circonda, così come i miei sensi che riconobbero il delicato aroma della rosa. Sì, era proprio qualcosa da cogliere al volo, così come l'occasione di dimostrarle che anche noi avevamo delle armi niente male nel nostro arsenale!
Quando ricominciammo a giocare mi sentii più orgoglioso, più deciso, nonostante il fatto che la ragazza non mi guardò più ed evitò i miei occhi, il mio sguardo insistente: ormai avevo capito di piacerle e questo mi diede la giusta carica per continuare, un'ultima occhiata a lei e alla sua splendida figura prima di dimostrarle quanti ero bravo, prima di svelarle tutto il potenziale tenuto nascosto fino a quel momento. Il suo profumo mi lambì di nuovo le narici e le sorrisi estasiato, i suoi occhi bassi, ma nonostante questo l'aura di determinazione che emanò influenzò anche me e mi fece prudere le mani, la voglia di alzarle il viso con le dita affinché mi guardasse fin troppo forte per resisterle. Eppure... Toccare il tuo avversario è fallo. Mi limitai a stamparmi la sua immagine nella mente e fu così che vincemmo il secondo set, il legame con la mia squadra mi permise di distribuire anche a loro la grinta che quella ragazza senza nome aveva offerto a me.
"Numero tredici eh? Chissà, forse un giorno scoprirò il tuo nome..."
Alla fine lei rialzò lo sguardo su di me e mi sorrise, un piccolo accenno di rispetto per la mia forza a farmi da contrafforte; contraccambiai per poi congratularmi con i miei compagni ed incontrare lo sguardo di lei un'ultima volta, orgoglioso di me stesso, sfidandola mentre ci avviavamo ognuno verso il proprio allenatore; lei arrossì e lo distolse per prima, io che rincorrevo quelle iridi verdi come un prato su cui distendersi e guardare la luna. Chissà, forse un giorno lo faremo insieme!
Scacciai quel pensiero dalla mia mente, consapevole di averle fatto un seppur qualche tipo di effetto, per poi avvicinarmi al mio allenatore e discutere insieme a lui degli altri set rimasti: avevamo ancora tre turni a disposizione per ribaltare la situazione a nostro favore. Ci saremmo riusciti? Avremmo perso? Questo era ancora tutto da vedere.
La mia concentrazione, ahimè, si dissolse nei miei sogni ad occhi aperti come fosse una pietra nell'acido, la palla che schizzava di fronte a me senza alcun significato preciso: ormai in mente avevo solo lei, la sua figura ed i suoi occhi, una serie di immagini che mi tentavano e mi stranivano al tempo stesso. Era dolce ma io non le avevo mai parlato, come facevo ad esserne sicuro? E se magari era simpatica come la fame in Africa?
Un altro punto perso a causa della mia fantasia, un altro attacco mandato fuori campo e la sua espressione piena di confusione, di delusa tristezza rivolta verso i miei atteggiamenti poco sportivi.
Stupido, stupido Alex!
Il mio mister non esitò nel lasciarmi in panchina, lacrime di rabbia repressa che scorrevano sul mio volto mentre il mio compagno prendeva il mio posto: avevo perso la mia occasione, la mia squadra avrebbe trionfato senza di me! E lei non mi avrebbe neanche considerato...
Quando perdemmo anche il quarto set mi calmai leggermente, seppur ancora frustrato, e mi diresti verso lo spogliatoio per lavarmi il viso e rimettere i miei pensieri nella giusta direzione: potevano aver trionfato, la vittoria era loro in tutto e per tutto, ma per quanto riguardava il campionato non era ancora stata detta l'ultima parola!
Valia
Un respiro, due, tre, i battiti del mio cuore che iniziano pian piano a tornare regolari; mi scorrono fiumi sulla fronte e passo una mano per fermarli, tremante di gioia, la partita un successo assoluto: abbiamo vinto contro l'Anzio, il che non dovrebbe assolutamente essere un vanto per noi, ma nonostante tutto questi scriccioli emergenti hanno lottato con le unghie e coi denti per conquistarsi il posto. Peccato, alla prossima partita dovranno riscattarsi a tutti i costi per passare il turno...
Paolo mi batte una mano sulla schiena ed è quello il momento in cui vedo il moretto, quello che mi ha fissato per tutto il tempo come fossi la sua preda, il quale mi volta finalmente le spalle e si dirige verso lo spogliatoio, le spalle abbassate per la tristezza, le mani chiuse a pugno e la sua figura che emana rabbia pura da ogni poro. Ma è un sentimento sportivo, il suo: non farà del male a nessuno per aver perso, soltanto a sé stesso, ed è proprio ciò che io voglio evitare.
Urlo alla mia squadra un ultimo saluto e corro verso gli spogliatoi, veloce come un fulmine, volendo evitare di arrivare in un momento inopportuno, ed è quello il momento in cui sento la sua voce chiedermi:
"A cosa devo l'onore?"
Sussulto, acqua e fuoco che sembrano mescolarsi in quel tono creando una miscela roca, temprata dalle intemperie. È solo allora che mi ricordo dove si trova la stanza maschile e il calore mi irrora immediatamente le guance, tigendole di rosso, mentre mi volto lentamente accolta da una visione celestiale: è senza maglietta e, a mio parere, di addominali ne ha abbastanza da far svenire una donna comune soltanto alla vista. Purtroppo i pensieri sconcertanti che abitano la mia mente si fanno avanti in quel momento e io nascondo il viso tra le mani, limitandomi ad inspirare il suo odore etereo che aleggia nell'aria, un misto tra menta piperita e liquirizia che mi avvolge come fosse aria, vento fresco ad inondare il mio essere. Gli rispondo insicura:
"Volevo soltanto complimentarmi con te, sei stato una vera furia alla partita. Non devi buttarti giù per aver perso, sono sicura che la prossima volta saprete riscattarvi!"
Non risponde. Abbasso lentamente le mani e lo ritrovo a fissarmi, gli occhi azzurri di quell'individuo a nascondere piccoli pezzi di ghiaccio grigio della sua iride che mi sondavano, mi studiavano, parlavano senza emettere un suono. Questa volta non esitai a guardarlo a mia volta, la voglia di toccare quei muscoli forte, travolgente... Ma toccare l'avversario significa commettere un fallo, a pallavolo.
"Alla prossima partita... Alex"
Alex
Ero scappato come un codardo ma lei era lì per me, una rosa che mi avvolgeva nel suo tappeto di spine per proteggermi dal resto del mondo. Non l'avrei più delusa, poco ma sicuro!
Inspirai nuovamente il suo odore per non dimenticarlo più, ci saremmo rivisti ancora e ne ero più che consapevole; avrei tanto voluto toccarla ma mi trattenni, le braccia incrociate sul petto, subendomi il suo sfogo di timidezza per poi riuscire finalmente a rivedere il suo sguardo, quello che mi aveva incantato fin da subito, quello a cui dovevo gran parte della mia sconfitta ma anche del mio esordio.
A pallavolo non puoi toccare il tuo avversario, la pena che arrivava fino al cartellino rosso nei casi più gravi. Le sorrisi con furbizia, una scintilla di ironia ad illuminarmi gli occhi, e mormorai ben consapevole che la mia carriera di rubacuori era appena terminata dopo quell'incontro:
"Alla prossima partita, Valia"
[Storia partecipante al contest di magicartist2018 scritto in collaborazione con MilenaFin4]
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