⁹⁹. 𝘝𝘪𝘵𝘢

Quattro mesi


Cara Saryu,

Non so davvero come dovrei iniziarla, questa lettera. Tempo fa, Yae mi disse che scrivere permette di mettere in ordine i pensieri, o aiuta a trattenere con sé una persona. Eppure, nonostante io non abbia alcun tuo ricordo da trattenere, nessuno di noi sarebbe qui, se non fosse stato per te. E di questo posso solo ringraziarti.

Sono passati quattro mesi dalla caduta della Chiesa. Le giornate si susseguono tranquille, e stiamo cercando di riprenderci un po' alla volta. Riavvicinarmi a Dianne si sta rivelando un processo lento e complicato. Nonostante la storia del Progetto e la situazione di Eve l'abbiano sconvolta, Nicholas mi ha confessato che, secondo lui, l'unico motivo per il quale non si convince ad abitare con noi è perché si sente di troppo. Ho il vago sospetto che abbia iniziato a farle da padre, anche se Dianne non lo ammetterebbe mai.

Comunque, Nick mi ha suggerito di coinvolgerla nella ristrutturazione, assicurandomi che il resto "sarebbe venuto da sé". Devo dire che è molto più brava di me coi lavori manuali; riesce quasi a stare al passo di Eddie. Ancora non riesco a capacitarmi di come, quella volta (nonostante le avesse confermato di conoscermi), per esortarla a seguirlo lui le abbia consegnato la rivoltella di Elsi, dicendole che avrebbe potuto sparargli nel caso non avessero trovato nessun Florian ad attenderli. "Con piacere", aveva persino risposto lei. Da non crederci.

Da allora, Eddie e Di hanno iniziato a fare amicizia, anche se spesso si accapigliano per motivi futili. Lui la provoca con un sorriso furbo, e lei inizia a rivolgergli una serie di epiteti che, a quanto pare, divertono tantissimo Eve. Da quando ha scoperto di essere in grado di farla ridere, Dianne ne inventa sempre di più coloriti e assurdi. E così, quei battibecchi sono diventati un'occasione per fare del bene a mia sorella, e loro due sembrano anche andare un po' più d'accordo.

Sai, da qualche giorno, sotto suggerimento di Nicholas, ho iniziato a diminuire le dosi degli antidepressivi e degli antipsicotici. È strano vedere l'allucinazione di Nadine assieme alla Eve in carne e ossa, ma sto cercando di abituarmici. Non voglio più sentirmi annebbiato dai farmaci, anche se a volte il peso di tutto quello che è successo mi comprime sino a soffocarmi. Quando capita, cerco una radura tranquilla per sdraiarmi sull'erba e scoprirmi le cicatrici, resistendo all'impulso di dipingerne altre.

Eddie sa di non dovermi venire a cercare. Dianne, invece, una volta si è imbattuta in me mentre raccoglieva della legna. Ho cercato subito di coprirmi le braccia; pensavo che avrebbe dato di matto. Invece mi ha preso per mano e ha iniziato a trascinarmi verso il bosco, mostrandomi un piccolo lago nascosto che ancora non ero riuscito a scovare. Ha iniziato a togliersi i vestiti sino a rimanere in intimo, e mi ha convinto a fare lo stesso. Aveva i polsi solcati da due cicatrici a forma di anello, lì dove i Sorveglianti le avevano stretto le manette durante il suo arresto. Sulle mani aveva le ustioni causate dal poligrafo che aveva dato alle fiamme, e sulla schiena aveva i graffi dei rovi dov'era finita mentre fuggiva da Larkhall. Mi ha mostrato le sue cicatrici a una a una. "Ora hai visto tutto di me", ha concluso. Ci siamo immersi nelle acque basse sulla riva, e sono riuscito a baciarla di nuovo. Siamo tornati fradici e a sera inoltrata, e mentirei se dicessi che i sorrisini maliziosi di Eddie non mi abbiano fatto piacere.

Adesso fa molto caldo, e l'inchiostro mi sta annerendo la pelle. Non ho una macchina da scrivere, qui con me, e quindi non ho potuto far altro che prendere carta e penna per stendere questa lettera. Non ho mai adorato scrivere a mano, ma forse anche i miei pensieri meritano di essere incisi in questo modo. Forse lo meritano...


Cinque mesi


Caro Rein,

Nonostante ormai io sappia che questo non era il tuo vero nome, ancora non riesco a chiamarti "Hermes", allo stesso modo in cui non ci riesce Eddie. Forse è colpa del mio desiderio di ricordare i bei momenti che abbiamo passato tutti e tre insieme. Oppure mio figlio mi ha semplicemente influenzato.

Alla fine mi ha raccontato tutto. Ci ha messo un bel po', in verità. Un pezzo della storia l'avevo già sentito nel Laboratorio, ma sapevo che c'era di più dietro la cicatrice sulla sua nuca. Non posso negare che una parte di me, nascosta e forse sbagliata, provi una sorta di ammirazione per il tuo gesto.

Sai, qualche mese fa chiesi a Eddie se ti considerasse il suo migliore amico o cos'altro. Il modo in cui il suo viso si accese in un luccichio mi fece sorridere come un ragazzino. Nonostante lui non avesse ancora svelato quella parte di sé, io scorgevo i suoi sentimenti straripare da ogni gesto, da ogni sguardo. E, ancora oggi, il semplice ricordo di te riesce a plasmarlo in una forma diversa, più tenue e delicata.

Qualche giorno fa Eve ha abbozzato un tuo ritratto, incidendo assieme a esso l'ultimo sogno che aveva fatto. Ci ha raccontato di come tu, in diverse occasioni, avessi nascosto alcuni disegni nella Stanza Bianca, tutti raffiguranti una rondine in gabbia. Nonostante Eve non sia riuscita a interpretare questo ricordo, a noi è parso sin troppo chiaro. Eddie ha sorriso di quel tuo tentativo di aprirle gli occhi; "sfrontato come sempre", ha sussurrato. Poi è stato il suo turno di andare a rimuginare da qualche parte, sospetto su un ramo della quercia che abbiamo in giardino. Sarebbe piaciuta moltissimo anche a te.

A volte ti immagino qui in montagna con noi, a fare a gara con lui per chi riesce a dissodare più zolle, o a tagliare più legna. Io vi preparerei qualcosa di buono per rifocillarvi, e anche tu potresti godere di tutto questo verde. Dianne probabilmente litigherebbe anche con te, ed Eve avrebbe al suo fianco un altro volto amico. Disegnereste schiena contro schiena, abbracciati dai fiori e dai fili d'erba. Ma la tua luce è esplosa troppo presto. Troppo in fretta.

Avrei solo voluto che ci rischiarasse un po' più a lungo.


Sei mesi


Ciao, Amélie.

Sono di nuovo su questa scrivania a scrivere una lettera, approfittando di un momento di pace. Qui c'è sempre molto da fare. Oggi siamo riusciti a installare dei pannelli solari, con l'aiuto di Klaus. Siamo molto fortunati ad averlo con noi, soprattutto perché si occupa di visitare Eve. Ormai mia sorella ha raggiunto i sei mesi di gravidanza, e sto cercando di farla nutrire nel miglior modo possibile per permetterle di sostenere gli sforzi fisici. Eppure, non è quella la sua vera debolezza. Spesso capita che si svegli nel cuore della notte e inizi a disallinearsi nella Zona Oscura, mentre annaspa sotto i colpi di un attacco di panico. Solo la presenza di Eddie riesce a farla tornare in sé. La stringe e la culla sino a farla riaddormentare, e io non posso far altro che guardarli dallo stipite della porta, impotente.

Per fortuna, non sempre le cose sono così complicate. Nicholas mi ha portato moltissimi libri e spartiti, e, nonostante io li abbia sempre evitati, ho iniziato a provare a leggere la musica. Ho suonato delle melodie classiche al pianoforte, ed Eve ne ha riconosciuta una. Lentamente, ha iniziato ad accennare dei passi di danza al centro del salotto. "Memoria muscolare", l'ha chiamata Nicholas. Il suo corpo ricordava ancora la coreografia del saggio di danza che avrebbe dovuto ballare quel giorno. Lì ho avuto per la prima volta il sentore che quella ragazza fosse davvero mia sorella, che tu l'abbia davvero reclusa per diciassette anni in una stanza vuota.

Negli ultimi tempi ho riflettuto molto sull'estinzione della specie umana. A volte mi chiedo se io sia l'ultimo essere umano rimasto a ricordare una determinata canzone, ad aver letto un determinato romanzo. E, quelle volte, solo quelle volte, io riesco a comprenderti. Riesco a comprendere quel desiderio di far tornare le persone a moltiplicarsi, di sentire di nuovo le risate dei bambini. Ma comprendere non è come perdonare. Non posso accettare ciò che hai fatto a Eve, pur di perseguire il tuo sogno di plastica. Lei non sarà mai più in grado di vivere nel mondo reale, di compiere delle semplici azioni quotidiane. E anche se noi la proteggiamo dall'esterno, non potremo mai proteggerla da ciò che la lacera dall'interno.


Sette mesi


Caro Willas,

Oggi ti abbiamo portato qui in montagna. Avevo chiesto da tempo a Liese di recapitarmi le tue ceneri, e dopo tante peripezie ce l'ha fatta. Vorrei facesse lo stesso anche con i resti di Saryu, ma a quanto pare il processo è un po' più complicato. In città adesso c'è un governo provvisorio, formato dagli ex-membri del Lethe e da diversi rappresentanti di circoscrizione. I malthesiani hanno accettato la guida di Liese, soprattutto grazie alla diffusione della cura per il morbo di Met. La situazione nelle città-agglomerato in Unione Latina, nella Confederazione del Nord e nella Nazione Solare è invece ancora molto complicata. Gli oligarchi della Chiesa sparsi in tutto il mondo non vogliono arrendersi, nonostante il corpo Sorveglianti sia ormai stato smantellato, anche qui a Malthesia. Sembra che se ne sia occupato il Capitano Riley Martinez, un tuo vecchio commilitone. Forse ne saresti stato felice.

Stamattina ho versato le tue ceneri accanto alla baita, in un solco dove avevo piantato una variante di rose senza spine, in modo da non far ferire Eve. Sapere che d'ora in poi cresceranno anche grazie a te ci fa del bene.

Io ed Elsinore cerchiamo di mantenerti in vita con ricordi e aneddoti di ogni tipo. Ormai tutti qui hanno imparato il linguaggio dei segni, anche se nessuno l'ha fatto in fretta quanto te. Ogni tanto ripenso al tuo volto arrossito lì nella sezione Comunicazioni, e non posso far altro che sorridere e piangere assieme, senza ricordarmi quale delle due azioni sia venuta per prima.

Elsi si sta riprendendo. Mi hanno detto che giù in città ha riunito un gruppo di ex-Levatrici ed ex-Ostetrici Spirituali, in modo da condividere le rispettive esperienze e far conoscere al mondo ciò che la Chiesa li costringeva a subire, con la scusa delle Rievocazioni. È una ragazza forte e determinata, e so che ce la farà.

Oggi, dopo aver pranzato tutti insieme, mi ha chiesto di lasciarla da sola accanto alle tue rose. Con la coda dell'occhio l'ho vista inginocchiarsi e farsi baciare dai petali, col viso rigato di lacrime. Penso che neanche se avesse ancora il dono della parola riuscirebbe a esprimere meglio quello che provava per te.

Una volta mi hai detto che temevi di non essere in grado di renderla felice. Ebbene, credo che per quel poco tempo che la vita vi ha concesso, tu sia stato la rosa senza spine di cui lei aveva bisogno.


Otto mesi


Ciao, Oliver.

Non credevo che sarei mai finito a scrivere una lettera anche a te. Eppure, oggi mi è tornata in mente una frase che ti rivolse Abramizde, nel vostro ultimo colloquio. Ti disse che il fatto che nessuno dei due temesse di usare la violenza vi rendeva simili. E io non ho potuto far altro che collegare questa frase a ciò che è accaduto ieri sera.

Da quando si è trasferita con noi, Dianne si è sempre rifiutata di dormire assieme a me. Per settimane l'ho sentita giustificarsi con decine di scuse, tra cui il fatto che a Larkhall lei e Nicholas dormissero per terra, e che ormai non fosse più abituata a stare su un vero letto. Se non la conoscessi bene, potrei addirittura supporre che si imbarazzi ancora troppo per dormirmi accanto. Ma ieri sera, finalmente, ho capito.

Come al solito mi sono coricato nel grande letto a due piazze, e le ho dato la buonanotte un paio di metri più in là, nel futon. Qualche ora dopo, l'ho vista accendere una torcia e sollevare il busto dal pavimento, lasciandosi le coperte attorcigliate attorno alle caviglie, con uno sguardo vuoto. Mi sono inginocchiato accanto a lei, dandole il tempo di accorgersi della mia presenza. Quando ho capito che non si sarebbe ritratta, mi sono allungato a stringerla. Le ho chiesto cosa avesse. Lei mi ha risposto con una semplice, piccola frase: "ho ucciso una persona". L'ho sentita tremare contro di me, come una farfalla impigliata in una ragnatela. E, alla fine, non ho potuto far altro che restituirle un'eco delle sue parole. "Anch'io".

Abbiamo parlato per qualche ora, sussurrandoci segreti nel buio. Poi ci siamo spostati entrambi nel letto matrimoniale. Ora sa che non dovrà più sentirsi troppo "sporca" da non poter dormire con me: anch'io ho il suo stesso sangue sulle mani.

Tra le cose che ci siamo detti a mezza voce, mi ha confessato come il suo tormento, in realtà, derivasse non tanto dall'aver ucciso Mauryce Davis, quanto dall'aver provato gioia nel farlo. Quella ferina soddisfazione, quella libertà che aveva sentito mentre la sua vita le scivolava tra le mani sembravano averla scossa nel profondo. Mi ha detto che aveva impiegato molto tempo prima di riuscire ad attenuare quelle sensazioni, come una melodia suonata in sordina.

Eppure, mentre mi raccontava tutto questo, non ho avuto paura di lei, né dei suoi pensieri. Credo che in realtà ogni persona custodisca una "cosa che striscia" assetata di dolore, e che la differenza stia solo nello scegliere dove rivolgerla. Alcuni rivolgono la lama verso sé stessi, ferendosi o gettandosi via, altri lo fanno verso il prossimo, considerandolo meno umano di loro. Altri ancora, come te o Abramizde, decidono invece di lacerare il mondo intero, consumandolo sotto i colpi della propria ambizione.

Sai, Leader, inizio a pensare che su una cosa tu avessi ragione. Che mostrare le rispettive debolezze sia un modo per riconoscerci nello sguardo degli altri. E che forse lasciare le cicatrici alla luce del Sole non sia una cattiva idea. Probabilmente questo è tutto quello che riuscirò mai a concederti.


Nove mesi


La cassetta continuava a spargere per la cucina un lieve fruscio di fondo, che a tratti ovattava le parole delle canzoni. Florian aveva scelto accuratamente ognuna di quelle tracce, incidendole in un mixtape personalizzato. Per fortuna che Klaus mi ha riportato lo stereo.

Escluso il ronzio della musica, la casa sembrava piuttosto silenziosa. Liese e gli altri non erano ancora arrivati, ed Eddie e Dianne dovevano essere sul retro a spaccare un po' di legna, in preparazione per l'inverno. Ricordò una scena di qualche giorno prima, quando Dianne era salita su un ciocco tagliato a metà e aveva provato a stare in equilibrio su un piede solo. A nulla erano valsi i suoi richiami da padre apprensivo, prontamente surclassati dalle risate dei ragazzi.

Florian si ritrovò a sorridersi, mentre sollevava con delicatezza un pancake paffuto per impilarlo assieme agli altri. Impugnò saldamente la boccetta di sciroppo, puntandola verso l'ultima frittella in cima.

- Sono tutti per me? - mormorò Dianne, sorprendendolo con un abbraccio alle spalle. Ian sentì il suo calore cingergli lo stomaco, e si distese in un sorriso involontario.

- Mangeresti davvero quindici pancake?

Lei sbuffò divertita. - Non sottovalutarmi.

Si voltò a osservarla, ricambiando l'abbraccio. Aveva i capelli tirati in una coda voluminosa, che le ricadeva pigramente sulle spalle dorate. La sua salopette era sporca di terriccio, simbolo del suo accanimento con le piante del giardino, e le sue guance spiccavano arrossate dalla fatica.

Per un attimo rimase incantato. Come puoi essere così bella?

- Cerco solo di salvare la tua glicemia.

Lei aggrottò la fronte. - Quel gorilla di tuo figlio dice che bisogna mangiare, se si vuole far crescere la massa muscolare. E per ora me la sto cavando bene - disse, contraendo un bicipite con aria soddisfatta.

Lui scosse la testa, e si spostò a lavare il padellino dei pancake. Le note finali di una canzone riempirono lo spazio tra loro, prima che un giro di chitarra si facesse strada nella cucina, sfidando i fruscii.

Dianne sgranò gli occhi. - Adoro questa canzone! - esclamò, afferrandogli le mani ancora bagnate. Lo portò con sé al centro della stanza, liberandosi delle scarpe per danzare a piedi nudi. Ian si lasciò sballottare da una parte all'altra, godendosi i sorrisi infantili che sbocciavano sul volto della sua metà.

A un tratto, senza realizzarlo, interruppe i suoi saltelli allegri, stringendola tenacemente a sé. Sentì la propria morsa farsi via via più disperata, al ricordo degli incubi che ultimamente gli dilaniavano il sonno. Spesso la accoglieva al mattino con uno sguardo ricolmo di terrore, reduce da un sogno in cui Jonas la violentava, Amélie la usava come cavia o la Chiesa la imprigionava. E così, ogni volta che poteva, la guardava più a lungo, la cingeva più forte, imprimeva nella mente ogni sua curva e ogni sua valle, sperando che nulla l'avrebbe mai più portata via da lui.

- Ehi - sussurrò Dianne, con una sfumatura inquieta nella voce. - Che succede?

Lui scosse il capo, continuando a inglobarla con la propria altezza. Portò una mano ad accarezzarle la nuca, sciogliendole la coda di cavallo.

- Niente. È che sei meravigliosa.

Dianne sembrò arrossire, seppur imbronciata. - E io che mi stavo preoccupando.

- Non devi farlo - ribatté, adombrandosi. - Non devi preoccuparti per me.

- Non "devo". Voglio - disse lei, cupa. - Tu ti prendi sempre cura di tutti; io mi prendo cura di te. Va bene?

Dianne mantenne la sua espressione truce, in attesa. Sebbene accompagnata dai suoi modi peculiari, Ian capì che dopotutto si trattava davvero di una richiesta, che lui avrebbe potuto avallare o meno.

Sentì qualcosa distendersi dentro. Avere qualcuno al quale poter esternare le proprie preoccupazioni era qualcosa di nuovo, eppure una parte di lui si sentiva come se lei fosse al suo fianco da sempre, impegnata a scavare una feritoia tra i mattoni delle sue mura.

- Va bene - mormorò, tenue.

Lei sorrise, sfiorandogli le ustioni del volto. - Allora -, riprese, - a cosa stavi pensando?

Florian rifletté un momento, valutando se raccontarle uno degli incubi che lo tormentavano. Prima che potesse iniziare a parlare, tuttavia, videro la figura di Eddie fiondarsi trafelata nella cucina, con la fronte zuppa di sudore.

- Eve... Eve è...

Ian si risvegliò di scatto, e gli cinse una spalla. - Cosa? Cos'è successo?

Il ragazzo lo fissò interdetto. - Ci... Ci siamo.

Lui non se lo fece dire due volte, e lo seguì a rotta di collo assieme a Dianne. Trovarono Eve adagiata sul letto, che piangeva e stringeva le lenzuola fradice tra le dita. Sul volto aveva un'espressione terrorizzata, e i suoi lunghi capelli stavano sparsi sul cuscino come lingue di fuoco.

Eddie si inginocchiò accanto a lei, asciugandole la fronte col dorso della mano.

- Che... Che facciamo? Mancano due settimane al termine. Klaus aveva detto che si sarebbero trasferiti qui qualche giorno prima, ma è troppo tardi. Io n-non so fare niente - balbettò, con la voce rotta dal panico. - Non ce lo hanno insegnato in Accademia, perché dicevano che non... C-che non ce ne sarebbe stato bisogno.

Florian non disse nulla, pietrificato dai gemiti di dolore di sua sorella. La consapevolezza di ciò che stava succedendo lo colpì come una sassata. Osservò Eddie continuare a tremare, impregnato di un timore ancestrale che lo rendeva giovane quanto avrebbe dovuto essere. Guardò Eve come si guarda un organismo nuovo, come se in quei nove mesi avessero dimenticato che lei era la prima donna in quasi vent'anni a portare in grembo una nuova vita.

- Dobbiamo chiamare Klaus - sputò, cercando di rimettersi in sesto. - Dobbiamo dirgli di sbrigarsi. - Tuttavia, nonostante sapesse cosa fare, le sue dita incespicarono alla ricerca dell'ID.

Dianne la afferrò al suo posto, avviando la comunicazione con uno sguardo fermo. Lui la ringraziò in silenzio, lasciandosi riallineare dal suo viso sicuro.

- Saranno qui tra venti minuti - disse poco dopo, concludendo la telefonata. - Hanno detto di farla respirare piano e di prendere dei guanti sterili. E anche un coltello.

Eddie allargò gli occhi, incapace di muovere un muscolo. Loro si precipitarono fuori dalla stanza, procurandosi quanto richiesto. Quando tornarono, trovarono il ragazzo seduto sul letto, intento ad accarezzare il viso di Eve con movimenti lenti e sussultanti. Sulle coperte bianche spiccavano le loro mani unite in un groviglio, con quella sottile di lei che spariva tra le dita forti di lui.

Furono i venti minuti più lunghi della loro vita. Il tempo fu scandito dalle parole lievi di Eddie, che esortava Eve a respirare lentamente, nonostante le sue urla soffocate continuassero a gelargli la pelle. Su di loro gravava un senso d'impotenza spesso come una corona di spine.

Ian non si accorse dei nuovi arrivati sin quando non se li trovò accanto nella stanza, a trafiggergli il viso coi loro sguardi impauriti. Elsinore si accasciò dall'altro lato del letto, e intrecciò le sue dita a quelle di Eve. Sua sorella socchiuse leggermente le palpebre, con le iridi chiare rese acquose dal pianto.

- Va tutto bene - esordì Liese, tesa. Florian la vide far guizzare gli occhi sulle macchie vermiglie fiorite tra le lenzuola candide. - Ci siamo qua noi, adesso.

Klaus si sedette su uno sgabello accanto alla trabacca, e Nicholas lo aiutò a sollevare le coperte accanto ai piedi di Eve. - Non preoccuparti, piccola. Vedrai che presto sarà tutto finito. Sarà un bambino splendido. Sano. Sarà-

Le sue parole rassicuranti furono interrotte da un urlo straziante della ragazza, che si contorse su se stessa come una serpe. Ian sentì le ossa del suo bacino schioccare, e dovette reggersi allo stipite della porta per non svenire.

- Mi fa male - sussurrò Eve, arricciando il viso sino a disfarlo. - Eddie...

Smise di parlare, lacerata da un'altra contrazione. Eddie le afferrò la mano con entrambi i palmi, sbiancandosi le dita a furia di stringere. I suoi occhi color cielo erano fissi su qualcosa di inesistente.

- Maledizione, Nicholas, fa' qualcosa - disse Dianne. - Ti prego.

Nicholas si compresse nelle spalle, prima di voltarsi di sbieco verso Dianne. Nel suo sguardo giaceva qualcosa di spezzato, una supplica indecifrabile.

- Klaus, fatele un cesareo - gracchiò Liese. - Non può riuscirci da sola. Il suo corpo...

- No. Il bambino è già entrato nel canale del parto. Non possiamo inciderla adesso - disse Klaus, con le punte dei guanti di lattice intrise di rosso. - Dobbiamo continuare in questo modo.

Florian cercò di ignorare le espressioni atterrite dei due medici, sentendo la coscienza allontanarsi pericolosamente dal corpo. Gli parve quasi di scorgere il viso sinistro di Karl Abramizde stagliarsi sopra di loro. "È giusto così" sussurrò, maligno. "È come vuole la natura."

I minuti scivolarono via dalla sua mente annebbiata. Poi fu il turno delle ore. L'unico suono che si concesse di registrare fu l'asettica voce di Klaus, che chiedeva a Nicholas o a Dianne di passargli qualcosa. Liese, intanto, rassicurava Eve con una debole nenia di parole. "Ancora un po'", "stai andando benissimo", "ce l'hai quasi fatta". Respiro dopo respiro, goccia dopo goccia. Ogni nuova fatica che scorreva sul viso dell'anziana, ogni nuova chiazza cremisi che affiorava sulle lenzuola. E lui avrebbe voluto aggiungersi a quel rosso, tagliarsi via il mostro che gli stava scavando una fossa dentro. Ma non si mosse. Il freddo che gli pungeva la pelle era semplicemente troppo; tutto era troppo.

Non disse nulla neanche quando sentì il pianto di un neonato lacerare il silenzio, o quando Klaus pronunciò quelle parole sconosciute, "atonia dell'utero". Eppure, Ian sapeva di non aver bisogno del loro significato: in fondo, il linguaggio della morte era l'unico che avesse mai compreso a fondo.

- Vi prego - mormorò Dianne, leggera. - Vi supplico...

Elsinore aveva nascosto il viso accanto al petto di Eve, ma i suoi lamenti si riuscivano a sentire ugualmente in tutta la stanza, come fossero stati da sempre scolpiti nelle pareti. La seconda persona a morire tra le sue braccia.

Florian strisciò contro lo stipite della porta. Crollò per terra. Guardò in alto. Non ricordava quand'era stata l'ultima volta che aveva respirato. Stava respirando? Avrebbe potuto ancora respirare?

"Tu sei troppo debole, Evie", aveva detto Klaus, mesi prima. "Portare in grembo un bambino è troppo rischioso. Vedrai che sarai felice lo stesso. Ci saranno Eddie e Ian con te. Vivrai una bella vita."

Eppure, lei non aveva voluto sentire ragioni. Forse per via degli anni passati da Amélie a forgiarle addosso il sogno di diventare una madre, forse per via di un atavico desiderio di difendere con le unghie qualcosa che sentiva suo. E loro ci avevano provato in tutti i modi. Le avevano dato forza, affetto, protezione. Ma non era bastato.

Ian si scoprì a dover soffocare una risata folle, che gli gorgogliò dal fondo dello stomaco avvinghiandosi al pianto. Hai visto, Amélie? Si disse. L'umanità sarebbe inciampata sulla linea di partenza.

Con la coda dell'occhio vide Liese passare un panno pulito sul corpo del neonato, che continuava a strillare e ad afferrare l'aria con le dita arricciate. Non gli sembrava vero che al mondo potesse esistere qualcosa di così piccolo, di così fragile.

- È una bambina - pianse Eddie, tenendola su come fosse stata di cristallo. - È una splendida bambina.

Eve si sforzò di aprire gli occhi su di loro, ma le sue mani non riuscirono a raggiungere il viso della piccola. Eddie le posò la neonata sul petto, e sua sorella le sfiorò il nasino col proprio.

- Ma petite étoile - sussurrò. Stellina mia.

Eddie strinse i pugni accanto a lei, cercando di trattenerla con ogni fibra del corpo. Il castello di carte che era stato sino a quel momento crollò un tassello alla volta, come in un filmato al rallentatore. Il suono del suo respiro mozzato gli ridusse lo stomaco a brandelli, e Ian sentì un groppo acido risalirgli in gola. Avrebbe voluto strapparsi le orecchie, cucirsele a sangue sul cranio.

- Non lasciarci soli - sussurrò il ragazzo, accarezzandole i capelli. - Non lasciarmi solo.

- Non sei solo - disse Eve. Ian la vide far spaziare lo sguardo su tutti loro, uno per volta. Si soffermò su di lui, registrando il suo viso distrutto. Per un attimo sembrò tornare la bambina che aveva visto seduta davanti all'olovisione, intenta a disegnare. Quella volta era lui quello che stava per andare via. Ma ora avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo per scambiarsi con lei, per uscire dal palcoscenico della vita al posto suo.

La videro distendersi in un sorriso sereno, sforzandosi un'ultima volta per parlare.

- Questi mesi qui, insieme a voi... Sono stati i più belli... Della mia vita.

Eddie si strinse a loro, come a volergli fare scudo col proprio corpo. Le sue spalle sussultarono, mentre le sue ciocche color Sole si aggrovigliarono a quelle di Eve, bagnandosi di lacrime.

- No, Evie... Evie, resta qui, resta con noi... No, no, no, no, n-

Ma Eve era già altrove. Osservò il volto della bambina, dipingendosi dentro i suoi tratti morbidi e delicati. Dopodiché, i suoi occhi si spensero, e il suo viso perse progressivamente colore.

E il mondo

Perse colore

Assieme a esso.

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